Non
sarà necessariamente donna, ma sarà un presidente notaio. E non sarà un ex Pci o laico di sinistra, ma
dell’area di centro se non confessionale, per l’alternanza prevista dalla
cosiddetta Costituzione materiale.
Renzi non ne ha ancora sottomano uno che vada bene a tutti, ma vuole riportare con l’elezione del successore di Napolitano la presidenza della Repubblica al ruolo costituzionale che aveva prima di Scalfaro. Sul quale condivide il giudizio negativo del presidente dimissionario.
Renzi non ne ha ancora sottomano uno che vada bene a tutti, ma vuole riportare con l’elezione del successore di Napolitano la presidenza della Repubblica al ruolo costituzionale che aveva prima di Scalfaro. Sul quale condivide il giudizio negativo del presidente dimissionario.
Un
ruolo costituzionale, cioè di rappresentanza. Con i poteri legali formali
previsti dalla Costituzione, e col ruolo politico limitato alla persuasione
morale. Possibilmente di esperienza o rilievo internazionale. Non sarà un
ritorno agevole – Renzi ne è convinto – di fronte ai poteri acquisiti in questi
venti anni dalle istituzioni non elettive: magistratura e burocrazie, civili e
militari. Ma è su questa base che pensa alle “larghe intese”, per superare
presto e senza intoppi lo scoglio e riprendere la navigazione politica, sulle “cose
da fare”.
Renzi
non è il solo, con Napolitano, ad auspicare una presidenza nell’alveo della
Costituzione. L’esperienza di Scalfaro raccoglie ora giudizi prevalentemente negativi
presso gli stessi costituzionalisti. A lui anzi si fa risalire la responsabilità maggiore delle disgrazie
dell’Italia. Per aver scavalcato lo spirito e la lettera della Costituzione,
sciogliendo le Camere a piacimento. E aver aperto le dighe all’improntitudine
delle Procure e alla giustizia politicizzata.
La
memoria di Scalfaro non è buona anche perché risalgono ai suoi anni, e in
qualche modo alla sua azione, inibitiva o decisiva, le disgrazie dell’Italia.
Scalfaro presiedette all’attacco alla
lira e alla più colossale opera di disgregazione dell’economia, con 1,7 milioni
di licenziamenti tra il 1993 e il 1994, con
la delocalizzazione selvaggia e il blocco degli investimenti. Dissolse i Parlamenti
per suoi disegni politici. Impedì la riforma delle pensioni nel 1994, quella
che poi Monti e Fornero dovranno fare 18 anni dopo, a un costo estremamente
oneroso per la finanza pubblica.
Nessun commento:
Posta un commento