venerdì 5 dicembre 2014

Un presidente di prima di Scalfaro

Non sarà necessariamente donna, ma sarà un presidente notaio. E non sarà un ex Pci o laico di sinistra, ma dell’area di centro se non confessionale, per l’alternanza prevista dalla cosiddetta Costituzione materiale.
Renzi non ne ha ancora sottomano uno che vada bene a tutti, ma vuole riportare con l’elezione del successore di Napolitano la presidenza della Repubblica al ruolo costituzionale che aveva prima di Scalfaro. Sul quale condivide il giudizio negativo del presidente dimissionario.
Un ruolo costituzionale, cioè di rappresentanza. Con i poteri legali formali previsti dalla Costituzione, e col ruolo politico limitato alla persuasione morale. Possibilmente di esperienza o rilievo internazionale. Non sarà un ritorno agevole – Renzi ne è convinto – di fronte ai poteri acquisiti in questi venti anni dalle istituzioni non elettive: magistratura e burocrazie, civili e militari. Ma è su questa base che pensa alle “larghe intese”, per superare presto e senza intoppi lo scoglio e riprendere la navigazione politica, sulle “cose da fare”.  
Renzi non è il solo, con Napolitano, ad auspicare una presidenza nell’alveo della Costituzione. L’esperienza di Scalfaro raccoglie ora giudizi prevalentemente negativi presso gli stessi costituzionalisti. A lui anzi si fa risalire  la responsabilità maggiore delle disgrazie dell’Italia. Per aver scavalcato lo spirito e la lettera della Costituzione, sciogliendo le Camere a piacimento. E aver aperto le dighe all’improntitudine delle Procure e alla giustizia politicizzata.
La memoria di Scalfaro non è buona anche perché risalgono ai suoi anni, e in qualche modo alla sua azione, inibitiva o decisiva, le disgrazie dell’Italia. Scalfaro  presiedette all’attacco alla lira e alla più colossale opera di disgregazione dell’economia, con 1,7 milioni di licenziamenti tra il 1993 e il 1994,  con la delocalizzazione selvaggia e il blocco degli investimenti. Dissolse i Parlamenti per suoi disegni politici. Impedì la riforma delle pensioni nel 1994, quella che poi Monti e Fornero dovranno fare 18 anni dopo, a un costo estremamente oneroso per la finanza pubblica. 

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