zeulig
Amicizia –
Facebook la innova come rete commerciale. Un’estensione della vecchia tecnica
di vendita porta a porta, oppure a domicilio, che tuttora si pratica per alcune
plastiche tedesche. La banalizza, ma non del tutto. Meglio sarebbe dire che la
mette a frutto in chiave utilitaria “bassa”,
commerciale. Rispetto a quella alta, del mutuum adiutorium, della forza della simpatia. Non la banalizza del
tutto perché, seppure semplificata e mistificata, a carica debole, le conserva
una forza, una energia. Come impiego del tempo. Come ritorno al passato nelle
immagini e nella ricostruzione del passato stesso. Nell’immaginario, seppure
illusorio.
La rete
non vuole il contatto personale, prospera in solitudine. Ma è una solitudine
popolata, e questo le dà una carica. Sia pure debole.
“Amici,
non vi sono amici”, è tutto Nietzsche, la filosofia dell’aforisma. Derrida, che
si riduce a Nietzsche ma è altro, lo sa nelle “Politiche dell’amicizia”. In
forma riduttiva, non lirica né etica, e tuttavia molto carica di significati.
Soprattutto nella certificazione delle dissimmetrie: la corrispondenza fra
dissomiglianze, differenze, diversità anche coltivate. Anzi, curate – altrimenti
si parla d’altro, di “scambio e debito”. Questo “bene” è gratuito: “Non si
dispone del bene dell’amicizia, ma ci si attrezza a offrirlo”.
Avventata
anche la nozione del due in uno, che Nietzsche ripropone con costanza.
Heidegger
scolastico (2) – Quello scolastico è
il più sostanziale, anche coerente. Rosenberg lo inquisì, quello della razza
pura tedesca, per gesuitismo scolastico. Lui sempre ha onorato senza riserve la
filosofia aristotelica, cioè scolastica, “che ha da sempre pensato
realisticamente”. Di cui ha tesaurizzato il linguaggio e la peculiare
metafisica. Forse è qui la magia della sua oralità, nel fascino del predicatore
- che bisogna immaginare agostiniano o domenicano, non un imbonitore.
Per
essere buon scolastico manca a Heidegger l’Expositio super salutatione
angelica. Gli manca anche il detto “ex nihilo nihil fit, et in nihilum
nihil potest reverti”, niente viene dal nulla, né vi può tornare. Ma
questo è voluto, per poter lavorare. Per il resto c’è tutto. Compreso il Cusano
del Dio Presupposto: “Se ci si domanda se Dio è, si presuppone l’essere”.
Elementare Watson. Ma poi Cusano, si sa, pretese di pesare il respiro. Da
ultimo Heidegger non ha trovato “un compito possibile per il pensiero”, dopo
cento volumi, di quattrocento pagine in media l’uno. Si è nascosto, insomma,
pure lui, per l’eclisse della chiesa e del sacro.
Ma se
l’evoluzione, l’ereditarietà e la curvatura dello spazio, invece che leggi di
biologia o fisica, scienze rampanti, fossero chiamate enti o essenze, che
siedono in qualche iperuranio e di là governano il mondo, non ci sarebbero
novità. Heidegger stesso lo spiega di Einstein: lo spazio e il tempo che non
sono niente in sé, ma esistono solo in virtù dei corpi e le energie che vi
s’imbattono e degli eventi che vi si producono, sono già in Aristotele. E “ciò
che è stato sarà” si trova nell’“Ecclesiaste”. L’Ereignis, il Logos o Tao tedesco, intraducibile, è
l’inconfessabile “Avvento”.
E si dice
scolastico ma s’intende agostiniano. Per quel parlare di Dio per platoniche
analogie tra divino e spirituale, che rimise in circolo l’apofatismo già
cancellato da Cristo e i primi padri. La sua ontologia è metafisica semplice,
derivata dalla teologia, nella formulazione ben nota dell’agostiniano Lutero:
“Vivere non è essere devoti ma diventare devoti, non è essere sani ma diventare
sani, non è essere ma divenire”.
Un
agostiniano insomma, benché disprezzi il latino come lingua filosofica – anche
Kierkegaard lo disprezza, ma secondo lui filosofare si può solo in danese – in
quanto lingua dell’innominabile Scolastica. Peccato, avrebbe letto in Cicerone
che non c’è assurdità che non sia stata detta da qualche filosofo, lui che ora
è filosofo solo per i latini. Anche Nietzsche si meravigliava che gli italiani
amassero “il grigiore e ancora grigiore della nostra Scolastica tedesca”.
Ma uno
Scolastico senza Dio, com’è possibile? “Heidegger non elaborerà alcuna
filosofia della religione”, come era nei suoi propositi iniziali, e così pure
“Essere e tempo” resterà interrotto, in una con la perdita della fede, o meglio
della chiesa. Ma “non si dimenticherà tuttavia delle caratteristiche che
temporalità e storicità debbono avere, se autentiche”. Friedrich-Wilhelm Von
Hermann, che a Friburgo ha insegnato la Filosofia, già segretario di Heidegger
e ora tra i curatori dell’opera omnia, lo dice con semplicità: Heidegger vuole
riformulare la filosofia sulla “esperienza fattuale della vita”, e così
“l’autentica filosofia della religione”, che va cercata nella religiosità cristiana, così come questa
viene vissuta” nell’esistenza.
Mondo –
È cacca, dice Kant, per gli spurgatori del genere umano, che si vogliono i veri
filosofi (“La fine di tute le cose”, seconda nota al testo): “In ogni epoca, coloro
che si autodefinivano saggi (o filosofi) si sono sbizzarriti in similitudini
negative, in parte disgustose, per rappresentare il nostro mondo”. Nel
complesso, in quattro modi: “1) come una
locanda (o un caravanserraglio); 2)come
un carcere, tesi cara ai bramini, ai tibetani e ad altri saggi d’Oriente
(nonché a Platone); 3) come un manicomio;
4) come una cloaca”.
Nichilismo
- La radicale assoluta solitudine dell’uomo è stata materia di vescovi in
Concilio. E la discesa di Dio, nel Cristo, al bordo del niente. Il nichilismo,
si sa, viene con la teologia. È materia cristiana – e ebraica, mussulmana: del
discorso del Dio Unico. Il nichilismo rigoroso non è ateo, si sa, ma credente,
si è atei perché si ragiona, si crede nella ragione: quando non c’è più il
divino ma un Dio unico, il Principio di tutte le cose, ascendere a Lui, lo
diceva William Blake, è “scendere nell’annientamento del proprio io”, che poi
conseguentemente diventa annullamento dell’io - si ascende a Dio, già Dante lo
sapeva, andando all’ingiù, bisogna essere umili.
Storia –
Perché si vuole cancellata? Il nulla e l’assurdo c’erano prima della storia. La
storia è nata – la cosmologia, la filosofia – per cercare un rimedio. La prima
religione è stata filosofia. La prima filosofia è stata cosmogonica e politica
– interrogatrice, consolatrice. È a questo punto che interviene Heidegger, che
potrebbe d’intuito ristabilire le cose ma annaspa. Senza colpa, è solo di
recente, a opera del Sessantotto che lo ha contestato con Marcuse, che il
gigantesco falso su cui l’Occidente edifica la filosofia e la morale è emerso,
la trasformazione cioè dei fatti in essenze, degli eventi in parusie, con la
mania diffusa delle apparizioni, della storia metafisica. Mentre la
dimostrazione di Dio, che la Scolastica basa sul principio di causalità, viene
anche meglio con la casualità.
Suicidio - Il suicidio è problematico (per l’etica, il diritto, i
rapporti umani), non è un “atto” isolato. Lo è nelle fattispecie, ma la vita
non è un fatto isolato.
Primo Levi, che ne ha viste tante, prima di suicidarsi, è
perplesso: “Nessuno è in grado di capire il suicidio. Per lo più non lo capisce
neppure il suicida”. Il suicidio, in effetti, non esiste. Non se non si è nel
pieno possesso delle proprie facoltà - che è proprietà giuridica e non ontologica
- o se si vogliono salvare altre vite, se si obbedisce a un codice d’onore, dal
comandante della nave che affonda al negoziante fallito, se si è minacciati
nella vita, da un inquisitore, una tribù cannibale, un male spietato o molto
doloroso. Schopenhauer, che filosoficamente voleva uccidersi, non lo fece. Non
ci pensò neppure. Ma anche lui, se lo avesse fatto, non sarebbe stato un
suicida.
Morselli lo spiega, lo scrittore, che poi si ucciderà: “Nessuno si è mai tolto
volontariamente la vita. Il suicidio è una condanna a morte, della cui
esecuzione il giudice incarica il condannato”. Blanchot cita Arria, la moglie
di Cecina Peto, per sostenere che “non si può neanche «progettare» di uccidersi”.
Non si suicidarono i nazisti dopo la sconfitta – sì, Hitler, i Goebbels, Göring,
ma per la scena e non per disperazione: soprattutto temevano la morte, come
tutti gli assassini.
Non c’erano suicidi nei lager? Troppa
fatica, nei campi si moriva comunque. Ce ne sono stati tra i sopravvissuti, i
più corazzati, dalla politica o la cultura, e potrebbe essere un modo
rovesciato di apprezzare la vita.
In altra
occasione, a proposito di Trakl e Celan, “i due poeti tedeschi meno
decifrabili”, entrambi suicidi, Levi accosta “l’oscurità della loro poetica” a
“un pre-uccidersi”.
zeulig@antiit.eu