Giuseppe Leuzzi
La schiavitù del Sud
Ritorna
in tutte le storie recenti degli Usa (quella voluminosa di Luraghi per esempio,
“La guerra civile americana”, ora nella Bur), ed è la materia di “Lincoln”
l’anno scorso, il film di Spielberg, il più visto dell’anno, la vera storia
della guerra civile americana. In cui lo schiavismo del Sud non c’entra. Ovvero
sì, alla fine ne fu il motore, ma per convenienza politica. Dello stesso
Lincoln, che per questo forzò la sua dirittura morale.
La vera
storia della guerra civile fu dunque questa. Lincoln era abolizionista, e con
lui i suoi amici stretti. Ma non abbastanza per dichiarare guerra al Sud. Anche
perché non erano certi che il Nord avrebbe vinto. Ma anche, anzi soprattutto,
perché ritenevano che gli schiavi non avrebbero tratto profitto dall’emancipazione
“tutta subito”.
Lincoln
si costrinse alla guerra per le pressioni dei gruppi estremisti del suo partito,
il Repubblicano: banchieri, industriali, minerari, latifondisti che volevano
mercati aperti, manodopera a buon mercato, e l’egemonia su tutti gli Usa, anche
a costo di disintegrare il Sud. Dopodiché, e solo per rafforzare lo
schieramento in guerra, Lincoln annunciò che la schiavitù sarebbe stata abolita
se il Sud fosse stato sconfitto. Con questa dichiarazione, poteva sperare che
un fronte interno si aprisse dentro lo schieramento confederato, e sottraeva a
Francia e Inghilterra le basi morali per un intervento a favore del Sud.
La
vittoria del Nord nella guerra civile ha consegnato da allora il potere nelle
mani degli affaristi. C’è una netta cesura di clima morale negli Usa tra prima
e dopo la guerra civile. Anche negli Stati del Nord, dove i vecchio ceto
dirigente della nuova Inghilterra, seppure liberale e emancipazionista, fu
sconfitto come i Confederati del Sud. Lo stesso Lincoln ha sacrificato un
pezzetto della verità e della sua buona coscienza per avere un paese in cui i
Lincoln non potevano più esistere: la politica diventava un maneggio, di cordate
– ci saranno altri avvocaticchi di provincia alla presidenza come lui, Nixon e
Clinton ancora di recente, ma per conto di precisi gruppi d’interesse. Non è
accertato, ma è possibile che il “pazzo non identificato” che lo uccise fosse stato
assoldato e portato a tiro non dai sudisti ma dai rivali di Lincoln nel suo partito.
Tutto sappiamo noi del Nord
La
Calabria è una penisola nella penisola, molto allungata. Trecento chilometri da
Galdo, o Praia, a Melito Porto Salvo, quindi non più di altre regioni, la
Toscana per esempio o la Puglia, ma appesa come appare, da Nord a Sud e non
adagiata, sembra lunghissima. Sarà per questo forse che soffre di un distinto
strabismo o miopia – una miopia strabica? Tutti sanno a Melito Porto Salvo dove
si trova Praia a mare, o Maratea, e come sono fatte, nessuno a Praia sa di
Melito. Anzi, della stessa Reggio ha vaghe cognizioni – si trova “laggiù”. E altri
nomi per varie evenienze famosi, sempre di laggiù, Aspromonte, Gioia Tauro, la
Locride, suscitano a Praia, Mormanno, Galdo arricciamenti di naso, con la
migliore buona volontà.
È lo
strabismo del regno di Napoli, che Napoli stava al Nord, e non si curava di
quello che si portava “dietro”. O, in Sicilia, di Palermo, alla quale metà
dell’isola è rimasta sconosciuta fino a pochi anni fa, l’agrigentino, il
ragusano, il siracusano, anche se molte famiglie ne erano proprietarie. Questo
è anche l’effetto del feudo, che porta a trascurare la roba. Ma ignote
restavano pure le gloriose città di Agrigento e Siracusa, roba cioè con più
quarti di nobiltà delle recenziore e arabesca Palermo. Mentre l’altre metà,
Messina e Catania, si salvava per non darsene a intendere, con suoi traffici
commerciali fuori del’isola, per quanto modesti.
Si può
ipotizzare che questo sia l’esito di qualsiasi centro eccentrico, come Napoli o
Palermo, che fatalmente dimentica il grosso della materia. Ma non lo è di
Cagliari, per esempio: il centro della Sardegna, decentrato al Sud, non ha intralciato
e ha anzi favorito le culture, gli investimenti (almeno nelle intenzioni:
alluminio, chimica), e le buone disposizioni del centro-nord dell’isola.
No, il
rapporto infelice è dal Nord al Sud. Sarà un effetto della fisica erettile, che
il raggio visivo punta in alto – bisogna essere un po’ gobbi per guardare in
basso, e così facendo si perde il meglio. O non sarà Dio puntato al Nord, come
nelle proiezioni mercator, apparentemente anodine (cilindriche, proporzionali)?
Anche la bussola segna il Nord.
Milano
Dunque,
non lavorano più abbastanza per mantenerci, questi lombardi.
Ma, se
la storia è questa, perché si sono fermati?
La Svizzera ha liberalizzato i salari per
attrarre le industrie frontaliere dall’Italia e la Germania – la
delocalizzazione. I delocalizzatori si sono portati dietro le maestranze,
quando hanno accettato salari minori. E ora gli svizzeri votano contro questi
lavoratori, che abbassano i salari. I ticinesi (sono loro che hanno fatto la
maggioranza anti-stranieri) sono in fondo lombardi: capricciosi.
“L’Italia
impoverita dagli scandali è costretta a vendere la Lombardia alla
Svizzera. È una fiction. Svizzera, prodotta e messa in onda domenica dalla tv
svizzera di lingua italiana, la Rsi. Il sogno della Lombardia.
Della
Valle e Elkann fanno a legnate attorno al “Corriere della sera”, la coscienza
del paese. La coscienza è una questione di soldi?
Però, todos caballeros a Milano.
Dacché tutto
andava male alla Fiat, Marchionne, la 500, la Chrysler, la cassa integrazione,
e l’Alfa Romeo andava assolutamente regalata alla Volkswagen, i tedeschi sì che
ci sanno fare, al tutto ottimo: la Juventus per prima, molto meglio delle
milanesi, la chiusura della fabbriche, e anche Marchionne. Il “Corriere della
sera” ha svoltato dopo che dalla Fiat sono arrivati i soli soldi veri per
l’aumento di capitale e la sopravivenza dell’azienda – l’azienda “Corriere della
sera”, l’orgoglio di Milano.
Il
cantiere della metropolitana imbianca a Milano le strade. Sembra neve ma è polvere.
Un’altra Seveso? No, le autorità sono rassicuranti, la città si rassicura. Anzi
si consola, con Leopardi, la metafisica, e i sogni. Resiste.
L’Inter
vuole il calciatore Vucinic della Juventus. Non ha i soldi per pagarlo, e
propone uno scambio col suo calciatore Guarìn, che invece vuole lasciare
l’Inter, a tutti i costi. Affare fatto. Se non che due azionisti dell’Inter,
Moratti e Tronchetti Provera, non vogliono che Guarìn vada alla Juventus, e allora
dicono e fanno dire che Vucinic ha evidenziato alla visita medica problemi di
salute. Senza vergogna.
Tre
giorni dopo Vucinic gioca nella Juventus. Cinque minuti soli ma bastanti per un
quasi-gol, tutto da solo contro mezza Inter. Ma non se ne parla: Milano non ha
umorismo.
La Roma
batte, nel suo stadio a Roma, la Juventus in una partita fiacca, giocata dalla
squadra torinese con le riserve, con due soli tiri in porta e due gol, di cui uno
annullato, alla Juventus. I grandi giornali milanesi magnificano la Roma: un’impresa,
etc. Il giorno dopo l’Udinese batte il Milan al completo, a San Siro, dominando
dall‘inizio alla fine, con tantissime occasioni da gol, e niente: il Milan esce
dalla Coppa Italia, cui non ambiva, si dice, e basta. È così che si costruisce
un’identità.
I
politici dice corrotti, e i corrotti vuole linciati non da ora, da sempre.
Tommaso Grossi ci scrisse anche un poema, “Prineide”, nel 1815. Milano vuole
poter rubare con buona coscienza, per questo è giudice e boia.
A ogni
incriminazione di Berlusconi, ne avrà fatte sei o sette, il Procuratore Capo di
Milano Bruti Liberati si esibisce in tv dicendo che è “un atto dovuto”. Scemo
non è.
leuzzi@antiit.eu