sabato 15 febbraio 2014

Il trapasso

Una crisi di governo così partitica, anzi di corrente, anzi personale, fuori dal Parlamento, non si era mai avuta. Nessun rispetto per chi non fa parte della pastetta.
Boldrini e Grasso hanno perso la parola?
Il partito della Costituzione intoccabile è sparito?
Rodotà? Zagrebelsky? Non saranno in corsa per fare i presidenti dopo Napolitano?
E Napolitano, che ci sta a fare?
Sarà pure una terza Repubblica, ma perché così squallida?

Il mondo com'è (163)

astolfo

Capitalismo – Seneca il giovane, grande filosofo moralista, era un arricchito col prestito a usura di cui ebbe il monopolio in Britannia. Secondo lo storico Dione Cassio, fu l’esosità di Seneca una delle cause, se non la principale, della rivolta dei Britanni della regina Boadicea. Bertrand Russell ha potuto sostenere, divertito, che la rivolta della regina fu la prima battaglia contro il capitalismo, rappresentato dal principale sostenitore dell’austerità nell’impero, a Roma a corte, e nelle province – Seneca morirà suicida, si ricorderà, per ordine di Nerone, che era stato suo allievo ma non tollerava le critiche all’economia del lusso.
C’era già allora la disputa tra l’accumulazione del risparmio – dell’ascesi – e quella della spesa e dei consumi, anche suntuari.  

Cina – Esce da oltre due secoli di folklore e denigrazione, dopo la lunga serie di meraviglie seguite alla “scoperta” di Marco Polo. Specie in ambito inglese, a seguito quindi delle guerre di penetrazione commerciale. Da “Robinson Crusoe” a Céline, passando per De Quincey e John Stuart Mill, il “pericolo giallo” è stato esorcizzato nel disprezzo: come di un mondo rozzo, violento, sudicio. Anche la Cina di Deng, dopo trent’anni, resta terra incognita – non si sa più del boom, di un’economia in crescita ogni anno del 10 per cento, ma, s’immagina, nella schiavitù.
Più che altro, è la prova dell’ignoranza dell’Occidente, da un secolo, forse un  secolo e mezzo, dal congresso di Berlino, chiuso su se stesso. L’Occidente si è voluto quello che con più strumenti e più apertura mentale ha scoperto e fatto progredire il mondo. Ma non lo ha fatto. Non lo fa più appunto da un secolo e mezzo – a meno che Occidente sia la politica transpacifica degli Usa, la “globalizzazione”. “Se la Cina dovesse prendere la strada del Giappone le conseguenze sarebbero davvero difficili da immaginare”, George Orwell, che conosceva l’Asia, poteva scrivere nel 1944: “La Cina costruisce già mitragliatrici, e tra breve inizierà senza dubbio a fabbricare aerei da combattimento”.

Dialogo – È solo ormai religioso. E in tale veste artefatto: serve a depotenziare le chiese cristiane, le più missionarie, e di più la cattolica. È un fatto politico e non teologico o ermeneutico. Su questo piano non ce n’era bisogno, le “tre religioni monoteiste” del dialogo si sono sempre riconociute e rispettate. Il dialogo non è all’ordine del giorno in nessuna delle confessioni dell’islam  o dell’ebraismo. Ed è politicamente corretto – indispensabile, inevitabile – solo in Europa, alimentato dal laicismo, per sradicare le radici cristiane.
La chiesa cattolica, che più ne parla e lo organizza, lo fa con la chiara intenzione di disinnescare la trappola - naturalmente con fair play, ma non più di una melina.

Formiche Tra le organizzazioni più studiate, prestandosi all’osservazione, e quella forse di maggior abuso dell’etologia, di comparazione e assunzione dei suoi modelli nell’umanità  e la società umana.  L’etologia è impropriamente assunta non come fatto, al più in forma di analogia, ma come serbatoio di modelli, di comportamenti. I tanti studi sulle formiche, depurati dalle curiosità, ne danno un quadro incoerente, niente di più.
La formica ha addomesticato tremila e più specie di insetti, l’uomo appena una cinquantina di animali. E ha un’organizzazione “politica” che privilegia, in perfezione e soddisfazione, il totalitarismo, gerarchizzata all’estremo, invece che la democrazia. Ma, poi, le formiche non sono “diverse”. Ce ne sono di stupide e di intelligenti. Alcune – regine o soldati – sono centinaia di volte più grandi delle comuni operaie, nello stesso nido. Ci sono formiche vegetariane (grano) e formiche carnivore, alcune ribelli, altre schiaviste.
Di che dubitare delle “leggi della natura”.
Tutte però hanno un imprinting: escono dal bozzolo già “imparate”. 

Oppio – Oggi in forma di eroina, dà di più il “segreto dell’universo”. Ogni “paradiso artificiale”, di cui si vorrebbe magnificata la potenza liberatrice, si caratterizza dal puinto di vista conosciti, e creativo, per le balordaggini. Si prenda la letteratura sull’oppio, il primo dei paradisi artificiali, la più ricca di annotazioni – era una droga delle masse, prima del recente proibizionismo, dall’Iran alla Cina, e degli intellettuali in Europa, a San Francisco e a New York. Un “A modern De Quincey”, di un capitano Robinson, un libro di un’ottantina di anni fa, registra fra i piaceri dell’oppio la sapienza divina, la capacità di andare all’origine di tutte le cose. L’autore non solo scopriva l’origine della materia ma sapeva anche condensarla in una formula o frase, che però, al risveglio, non ricordava.  Una volta che, prima della fumata, si mise in mano la penna, al risveglio la frase definitiva risultò essere: “La banana è grande, ma la pelle è più grande”. Il cervello è tutto da esplorare.

Spagna – Si decompone dopo quasi due secoli di guerra civile. Tra istituzioni dissolte (monarchia,  separatismi) e indifferenza morale (aborti, matrimoni, figli). Dopo Napoleone (1814), e fino a Texeira, 1982, ha avuto una cinquantina di sollevazioni militari.

Spionaggio – Quello ideologico è un fenomeno unico del Novecento, a favore delle dittature. Non per soldi, non per professione, ma per passione politica. Non quello interno, che non si può definire ideologico, essendo prevalentemente controllato e obbligato, di polizia, quanto quello esterno. Di inglesi e americani a favore dell’Unione Sovietica. E più durante lo stalinismo. E di tedeschi a favore sempre di Stalin sotto Hitler e nella guerra. Non a favore degli altri Alleati nella guerra.
O forse bisogna dire a favore del comunismo – non c’erano spie ideologiche hitleriane o mussoliniane, a Parigi, a Londra, a Mosca, negli Usa. Una passione che trascina allo spionaggio?

astolfo@antiit.eu

Amorevole aguzzino, nel Regno delle Fate

D’ordinario si esumano, per questo Spenser, Petrarca (la forma sonetto, il titolo italiano) e la religiosità. Ma è troppo dire, per un vero canzoniere, di canzonette (ritmo costante, ritornelli, ripetizioni). Semmai speziato di Lucrezio, come in molta altra poesia elisabettiana, cantabile e filosofica. Non nello stile, sì nell’urgenza dello stato fisico – la materia, il cosmo, il tempo, la luce, la tenebra - dellincipiente scientismo. Come stato e come mutamento, sconfinato e torbido, che solo nella poesia - d’amore ovviamente – si soddisfa.
Luca Manini, anglista spenseriano in cattedra a Parma, dà un robusto spessore alla raccolta, col saggio introduttivo, la traduzione, le annotazioni. Ma non si può non dire Spenser “spensierato”, disimpegnato. Il vezzo è insopprimbile, il manierismo che occupò il Cinquecento: queste elegie sono già “adorno e impalpabile scenario di Regno delle Fate” (Praz) come poi nella “Faerie Queene”. Gonfio anche, pieno di volute e quasi barocco. Tanto più in quanto si sa che il poeta era bugiardo: bello e onorato, fu un aguzzino, uno che perorava il genocidio degli irlandesi, alla cui conquista aveva collaborato.
Edmund Spenser, Amoretti, Bompiani pp. 173 (con testo orig.) € 10

venerdì 14 febbraio 2014

L’anarchia al potere

Destruam et aedificabo
Diceva Proudhon
Prima dei Fucking Sky.
Non sarà la parabola
Di Renzi un ruzzolon?

La storia cominforme

Una novità c’è, in questa storia. Rispetto alla prima edizione, rilegata, 2012, è saltata nella presentazione della “fine degli anni settanta” questa frase: “Agli ultimi, cupi sussulti del decennio morente si intreccia l’emergere di trasformazioni colossali che riguardano leconomia e la cultura, il privato e il pubblico, la politica e la comunicazione”. Il resto rimane, uniforme, plumbeo: Con poca storia – un lungo articolo togliattiano, nella lezione di Scalfari, il successore di Togliatti e Berlinguer. Cominforme quindi, e pieno di sussiego. C’è da dimostrare che Berlusconi è Craxi, anche se non si sa a che fine. Lo storico svolge il compito. Il lettore rimpiange i soldi spesi.
Non c’era il Muro? Un Muro? Il Muro non è caduto? Sarà. Non c’era un Partito Comunista Italiano, pieno di voti e alterigia, che fece l’austerità e i governicchi di Andreotti? Il glorioso Pci, certo. Non c’era l’inflazione sopra il 20 per cento? La scala mobile non alimentava l’inflazione e il debito pubblico? L’inflazione, la scala mobile? Prodi non aveva regalato la Sme a De Benedetti, con una dote di 30 miliardi di lire? Non c’è stata un sinistra in questi quasi cinquant’anni dall’assassinio di Moro? Questa sinistra non è stata ed è dominante nella finanza, nei media, nell’università, nella giustizia, e alcune volte anche in Parlamento? No, pare ci si stata solo una “anomala alleanza di centrodestra”. Sola? Anomala?
Ma a che scuola li mandano, questi storici? Marx direbbe che li paga Berlusconi.
Guido Crainz, Il paese reale. Dall’assassinio di Moro all’Italia di oggi, Donzelli pp. 320 € 21,50

Letture - 162

letterautore

Actuosum Abini – Vive nella “Clavis” e nel “Titan” di Jean Paul. Una sorta di materia prima, che sarebbe stata teorizzata dall’anatomista tedesco B.S.Albinus a metà del Settecento – o dal padre suo, che si chiamava anche lui Bernhard ed era anatomista? Per Jean Paul è il principio attivo che rende possibile la vita, di cui attribuisce l’ideazione all’incolpevole fisiologo - la cui colpa semmai è di essere stato un meccanicista, il corpo riducendo a ossa e muscoli. La letteratura fa la storia, a volte..Anagrammando la sostanza, il sito Falkenstern Anagramm Generator (Anagramm Spieleck.de), ci ha costruito sopra 1.086 parole, e un numero imprecisato (10897286400?) di anagrammi “matematici”.


Boccaccio – George Orwell – ma nell’ambito di lunga tradizione di studi britannici – ha “l’innocenza del Boccaccio”. Perduta per via della Riforma, anche dopo non c’è stata – poco boccaccesco è in effetti il “Decameron” di Pasolini, o Balzac delle “storie drolatiques”. Situazioni e terminologia sono nel Boccaccio piane e non pruriginose perché il suo mondo era pacificato. Orwell dice “quasi pagano”, ma questo è dubbio: nei confronti della religione la misura comune del “Decameron” è il dileggio. Che, se astratto, è più cattivo di qualsiasi anticlericalismo laico, e invece è una “questione di famiglia”.
Già prima della Riforma, delresto, un puritanesimo aleggiava: già Rabelais, nota Orwell, è sconcio.

Confessione – È altro genere, non da oggi, rispetto alla “Vita Nuova” di Dante – e ai precedenti latini e greci. Anche alle epistole di Petrarca. Oggi è come diceva T.S.Eliot nel suo primo saggio su Dante, 1920, di cui apprezzava la mescolanza di biografia e allegoria, l’estrapolazione di un senso dalla cose piuttosto che l’aneddoto e l’esibizionismo: “Al giorno d’oggi possiamo leggere sulla stampa «confessioni» di un valore insignificante. Ognuno met son coeur à nu (titolo del quaderno di riflessioni di Baudelaire, n.d.r.), o finge di farlo, e l’interesse per la cosidetta «personalità» è un fenomeno di una ricorrente variabilità”.

Dante - Quello esoterico, di cui in molta pubblicistica, e fondamentalmente in Asín Palacios, lo studioso del  “Dante islamico”, più propriamente influenzato dal mistico sufi Ibn ‘Arabi, diventa insostenibile nella versione corretta che ne dà Henry Corbin. Nel saggio su Ibn ‘Arabi, “L’immaginazione creatrice”, l’orientalista francese riconduce la cosmologia e l’antropologia di Dante alla teosofia della luce del neoplatonismo zoroastriano. In età ellenistica trasfusa nell’islam dalle dottrine gnostiche e ed ermetiche. Dopodiché, via Avicenna, questa teosofia permeò la cultura medievale.  

Eretico non lo fu a dispetto della chiesa, che invece lo avrebbe voluto. È – sopratutto se lo si legge invece di parlarne o di sentirne parlare – la chiesa vivente, l’unica possibile (immaginabile), in ogni suo aspetto, sia pure minimo, un anfratto, una sinuosità. Della vita conosciuta e degli scritti, in poesia e in prosa. Ma a dispetto della chiesa. Dopo il concilio di Trento, ma anche prima, lungo la linea da Petrarca a Bembo.
Dante riesce dall’ombra a fine Seicento col Gravina, nel quadro del suo “principio di verosimiglianza” e del necessario “rapporto tra poesia e realtà”. Nonché degli orientamenti probabilmente anticlericali, benché Gravina fosse  legato al card. Pignatelli, vescovo di Napoli.

Don Giovanni – “Ogni Don Giovanni si risolve in un Faust, ogni Faust in un Don Giovanni”, Friedrich Hebbel. Non ogni Faust, quello di Lenau e Goethe sì: trapassi tedeschi – fisica della metafisica?
Però, il Don Giovanni-Faust è di un italiano, Da Ponte, e di un italianista, Mozart.

Editoria – L’editoria commerciale, a fine Settecento, fu un punto di svolta nella storia della letteratura: aprì gli accessi alla scrittura praticamente senza restrizioni, se non quelle deboli (labili, volubili, influenzabili) del pubblico, dei gusti della maggioranza. Comunque di un pubblico abbastanza vasto da liberare lo scrittore dai vincoli di casta, camarilla, corte, dalle inevitabili protezioni. L’autoedizione, con la stampa a domanda e con l’ebook, potrebbe essere la nuova svolta. A condizione che trovi (si apra, si crei) sbocchi all’uscita, verso il pubblico.

Parodia- L’esito ultimo è “Finnegans Wake”, un pasticcio circonvoluto. Contorto, attorcigliato su se stesso. Un onanismo mentale. Come di un grande, immenso, incommensurabile, perfino sapiente, attore comico, che si scompiscia alle sue proprie battute in un teatro attonito – vuoto in realtà. La parodia non regge la distanza: è uno sprint, un uppercut.
Nel “Brusio della lingua” R.Bathes la vuole sovversiva: prendere di petto il senso non produce che altro senso, la sovversione del linguaggio è “barare, celare, sottilizzare (nelle due accezioni della parla: raffinare e far scomparire un bene), cioè a rigore parodiare, ma ancora meglio simulare”. Ma l’ironia dissecca.
Meglio dice Kierkegaard: “Il quadrato è la parodia del circolo: la vita e il pensiero sono un circolo, mentre la pietrificazione della vita prende la forma della cristallizzazione. L’angolare è la tendenza a restare statici: a morire”. La parodia è solo scherzo. Quindi breve, inattesa, sorprendente. Altrimenti è faticosa, infelice ripetizione.

Pasolini  - È don Giovanni. Dario Fertilio riassume sul “Corriere della sera” la lettura di un romanzo inedito di Carlo Sgorlon sulla morte di Pasolini, “Nel segno del fuoco”, che così riassume: “Sgorlon trasforma l’eros torbido e tormentato di Pasolini in una pulsione estrema ma ortodossa, non più omosessuale ma dongiovannesca”. A  parte il lapsus della “ortodossia” (di Fertilio?), è la lettura che mancava. Sostenuta anche da chi lo conosceva bene, come Naldini, lo stesso Moravia.
Ma la sindrome omosessuale si può dire molto dongiovannesca, del Don Giovanni di Da Ponte e Mozart, ossessionata dal catalogo, dalla pulsione insaziabile, dal possesso che sfugge, e per questo tormentata.  Sia quella del Gay Pride sia quella rimossa. Don Giovanni è l’insufficienza del sesso-possesso.
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Umorismo – È interno al linguaggio, secondo Jean Paul, umorista incontinente tra Sette e Ottocento. L’uso acuto dei segni, per l’arte germanica del Witz (ma lo humour britannico non è diverso) che ne moltiplica i riferimenti al reale e il senso delle cose, ne è l’essenza. Non necessariamente stravolgendo i segni, solo rivelandone “altri” nessi. Al fondo, una ingegneria della metafora. Tanto più “naturale” – istintiva, basica, ovvia, non artificiosa (non manifestamente) - tanto migliore, riuscita.
Jean Paul diceva “naturale” l’attività metaforica, la costruzione di nessi, anche i più improbi-improbabili. Naturale al linguaggio, che ne avrebbe bisogno in continuo per l’analogia necessaria, da ricostituire a ogni istante, tra “interno” ed “esterno”, la percezione e l’esperienza.

letterautore@antiit.eu

giovedì 13 febbraio 2014

I furbi onesti che distrussero l’Italia

Un epitaffio squallido della cosiddetta Seconda Repubblica. I cui protagonisti sono esibiti in invereconde esibizioni, di cui non si rendono conto: Prodi, Berlusconi, Amato, D’Alema, De Benedetti, Monti, e la storia continua con Renzi. Tanta albagia, e su tutto sospetti, accuse, invettive reciproche, senza mai un’idea.  Alle spalle di un paese devastato dalla questione morale, che invece Friedman ricorda, quando ci arrivò da corrispondente del “Financial Times” a Milano trent’anni fa, ”quinta potenza economica del mondo”, e in via di modernizzazione, pieno di idee e incubatori di idee. Ora in ritardo su tutto,  e pieno di buchi, che in gran parte sono ruberie – legali, comunque coperte dalle Procure.
Un libro malinconicissimo. Quasi illeggibile tanto è deprimente. Si capisce che l’editore abbia puntato sul Napolitano re di briscola per farlo leggere, il presidente che “trama-all’ombra-del-Quirinale” – anche se non sa che cosa (si chiamano Monti e Passera gli uomini del presidente….).
Alan Friedman, Ammazziamo il gattopardo, Rizzoli, pp. 300 € 18

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (197)

Giuseppe Leuzzi

La schiavitù del Sud
Ritorna in tutte le storie recenti degli Usa (quella voluminosa di Luraghi per esempio, “La guerra civile americana”, ora nella Bur), ed è la materia di “Lincoln” l’anno scorso, il film di Spielberg, il più visto dell’anno, la vera storia della guerra civile americana. In cui lo schiavismo del Sud non c’entra. Ovvero sì, alla fine ne fu il motore, ma per convenienza politica. Dello stesso Lincoln, che per questo forzò la sua dirittura morale.
La vera storia della guerra civile fu dunque questa. Lincoln era abolizionista, e con lui i suoi amici stretti. Ma non abbastanza per dichiarare guerra al Sud. Anche perché non erano certi che il Nord avrebbe vinto. Ma anche, anzi soprattutto, perché ritenevano che gli schiavi non avrebbero tratto profitto dall’emancipazione “tutta subito”.
Lincoln si costrinse alla guerra per le pressioni dei gruppi estremisti del suo partito, il Repubblicano: banchieri, industriali, minerari, latifondisti che volevano mercati aperti, manodopera a buon mercato, e l’egemonia su tutti gli Usa, anche a costo di disintegrare il Sud. Dopodiché, e solo per rafforzare lo schieramento in guerra, Lincoln annunciò che la schiavitù sarebbe stata abolita se il Sud fosse stato sconfitto. Con questa dichiarazione, poteva sperare che un fronte interno si aprisse dentro lo schieramento confederato, e sottraeva a Francia e Inghilterra le basi morali per un intervento a favore del Sud.
La vittoria del Nord nella guerra civile ha consegnato da allora il potere nelle mani degli affaristi. C’è una netta cesura di clima morale negli Usa tra prima e dopo la guerra civile. Anche negli Stati del Nord, dove i vecchio ceto dirigente della nuova Inghilterra, seppure liberale e emancipazionista, fu sconfitto come i Confederati del Sud. Lo stesso Lincoln ha sacrificato un pezzetto della verità e della sua buona coscienza per avere un paese in cui i Lincoln non potevano più esistere: la politica diventava un maneggio, di cordate – ci saranno altri avvocaticchi di provincia alla presidenza come lui, Nixon e Clinton ancora di recente, ma per conto di precisi gruppi d’interesse. Non è accertato, ma è possibile che il “pazzo non identificato” che lo uccise fosse stato assoldato e portato a tiro non dai sudisti ma dai rivali di Lincoln nel suo partito.

Tutto sappiamo noi del Nord
La Calabria è una penisola nella penisola, molto allungata. Trecento chilometri da Galdo, o Praia, a Melito Porto Salvo, quindi non più di altre regioni, la Toscana per esempio o la Puglia, ma appesa come appare, da Nord a Sud e non adagiata, sembra lunghissima. Sarà per questo forse che soffre di un distinto strabismo o miopia – una miopia strabica? Tutti sanno a Melito Porto Salvo dove si trova Praia a mare, o Maratea, e come sono fatte, nessuno a Praia sa di Melito. Anzi, della stessa Reggio ha vaghe cognizioni – si trova “laggiù”. E altri nomi per varie evenienze famosi, sempre di laggiù, Aspromonte, Gioia Tauro, la Locride, suscitano a Praia, Mormanno, Galdo arricciamenti di naso, con la migliore buona volontà.
È lo strabismo del regno di Napoli, che Napoli stava al Nord, e non si curava di quello che si portava “dietro”. O, in Sicilia, di Palermo, alla quale metà dell’isola è rimasta sconosciuta fino a pochi anni fa, l’agrigentino, il ragusano, il siracusano, anche se molte famiglie ne erano proprietarie. Questo è anche l’effetto del feudo, che porta a trascurare la roba. Ma ignote restavano pure le gloriose città di Agrigento e Siracusa, roba cioè con più quarti di nobiltà delle recenziore e arabesca Palermo. Mentre l’altre metà, Messina e Catania, si salvava per non darsene a intendere, con suoi traffici commerciali fuori del’isola, per quanto modesti.
Si può ipotizzare che questo sia l’esito di qualsiasi centro eccentrico, come Napoli o Palermo, che fatalmente dimentica il grosso della materia. Ma non lo è di Cagliari, per esempio: il centro della Sardegna, decentrato al Sud, non ha intralciato e ha anzi favorito le culture, gli investimenti (almeno nelle intenzioni: alluminio, chimica), e le buone disposizioni del centro-nord dell’isola.
No, il rapporto infelice è dal Nord al Sud. Sarà un effetto della fisica erettile, che il raggio visivo punta in alto – bisogna essere un po’ gobbi per guardare in basso, e così facendo si perde il meglio. O non sarà Dio puntato al Nord, come nelle proiezioni mercator, apparentemente anodine (cilindriche, proporzionali)? Anche la bussola segna il Nord.

Milano
Dunque, non lavorano più abbastanza per mantenerci, questi lombardi.
Ma, se la storia è questa, perché si sono fermati?

La Svizzera ha liberalizzato i salari per attrarre le industrie frontaliere dall’Italia e la Germania – la delocalizzazione. I delocalizzatori si sono portati dietro le maestranze, quando hanno accettato salari minori. E ora gli svizzeri votano contro questi lavoratori, che abbassano i salari. I ticinesi (sono loro che hanno fatto la maggioranza anti-stranieri) sono in fondo lombardi: capricciosi.

“L’Italia impoverita dagli scandali è costretta a vendere la Lombardia alla Svizzera.  È una fiction. Svizzera, prodotta e messa in onda domenica dalla tv svizzera di lingua italiana, la Rsi. Il sogno della Lombardia.

Della Valle e Elkann fanno a legnate attorno al “Corriere della sera”, la coscienza del paese. La coscienza è una questione di soldi?
Però, todos caballeros a Milano.

Dacché tutto andava male alla Fiat, Marchionne, la 500, la Chrysler, la cassa integrazione, e l’Alfa Romeo andava assolutamente regalata alla Volkswagen, i tedeschi sì che ci sanno fare, al tutto ottimo: la Juventus per prima, molto meglio delle milanesi, la chiusura della fabbriche, e anche Marchionne. Il “Corriere della sera” ha svoltato dopo che dalla Fiat sono arrivati i soli soldi veri per l’aumento di capitale e la sopravivenza dell’azienda – l’azienda “Corriere della sera”, l’orgoglio di Milano.

Il cantiere della metropolitana imbianca a Milano le strade. Sembra neve ma è polvere. Un’altra Seveso? No, le autorità sono rassicuranti, la città si rassicura. Anzi si consola, con Leopardi, la metafisica, e i sogni. Resiste.

L’Inter vuole il calciatore Vucinic della Juventus. Non ha i soldi per pagarlo, e propone uno scambio col suo calciatore Guarìn, che invece vuole lasciare l’Inter, a tutti i costi. Affare fatto. Se non che due azionisti dell’Inter, Moratti e Tronchetti Provera, non vogliono che Guarìn vada alla Juventus, e allora dicono e fanno dire che Vucinic ha evidenziato alla visita medica problemi di salute. Senza vergogna.

Tre giorni dopo Vucinic gioca nella Juventus. Cinque minuti soli ma bastanti per un quasi-gol, tutto da solo contro mezza Inter. Ma non se ne parla: Milano non ha umorismo.

La Roma batte, nel suo stadio a Roma, la Juventus in una partita fiacca, giocata dalla squadra torinese con le riserve, con due soli tiri in porta e due gol, di cui uno annullato, alla Juventus. I grandi giornali milanesi magnificano la Roma: un’impresa, etc. Il giorno dopo l’Udinese batte il Milan al completo, a San Siro, dominando dall‘inizio alla fine, con tantissime occasioni da gol, e niente: il Milan esce dalla Coppa Italia, cui non ambiva, si dice, e basta. È così che si costruisce un’identità.

I politici dice corrotti, e i corrotti vuole linciati non da ora, da sempre. Tommaso Grossi ci scrisse anche un poema, “Prineide”, nel 1815. Milano vuole poter rubare con buona coscienza, per questo è giudice e boia.

A ogni incriminazione di Berlusconi, ne avrà fatte sei o sette, il Procuratore Capo di Milano Bruti Liberati si esibisce in tv dicendo che è “un atto dovuto”. Scemo non è.

leuzzi@antiit.eu

Italia sovietica – 18

1.200 giorni per un processo.
Dodici anni per una condanna di bancarotta.
Vent’anni per recuperare il bottino di una bancarottiere, in minima parte.
Otto anni per un giudizio in Cassazione.
Dieci milioni di processi non fatti.
Più tribunali procapite (uffici con capoufficio) che in qualsiasi altro apese.
I giudici più pagati al mondo.
I giudici con più privilegi al mondo.
L’irresponsabilità dei giudici.
L’irriformabilità della giustizia.
(ma il tutto è più fascista, dopo settant’anni, che sovietico)

mercoledì 12 febbraio 2014

La cultura si vuole di classe

Una società colta necessita di un sistema sociale strutturato in classi. Non è il manifesto di un conservatore, è la constatazione di un fatto: una società civile non è ancora esistita, ed è improbabile che si produca, in assenza di una stratificazione. Vista “da sinistra”, è una conclusione che ben si attaglia al mondo globale dopo la caduta del Muro, ed è ormai un terzo di secolo, piatto e amorfo, anche nel verbo dominante dell’arricchitevi.
Eliot si fa rileggere per la pregnanza dell’argomentazione. Mentre, non avendo precedenti, non sappiamo come sarà una società senza classi, sappiamo per esperienza che gli esiti migliori in campo culturale sono di ristretti gruppi di individui, in certo modo selezionati, in quanto parte di gruppi etnici, o familiari, nel quadro di un assetto sociale non egualitario. Non chiusi, e anzi aperti: il tradizionalista Eliot sa e dice che la tradizione è viva solo se si evolve, e che la “classe” continua a produrre cultura solo se si adatta ed evolve – tradizione e classe si distinguono se si trasformano. Eliot evita così il classismo – non argomenterebbe che la schiavitù era necessaria alla’ottima filosofia greca. È pessimista, come ogni conservatore (non c’è più la cultura di una volta, etc.). Ma sul classismo si limita a una sorta di realkultur, se si potesse dire.
Si leggeva questa riflessione all’uscita sessant’anni fa (tradotta da Giorgio Manganelli) probabilmente in chiave di guerra fredda e anticomunismo. Oggi ha bizzarramente valenza contraria, contro la società piatta del libero mercato.
T.S.Eliot, Appunti per una definizione di cultura

Ombre - 208

Monti puntualizza ai giornalisti: “Sono sempre stato una tomba per quello che riguarda le conversazioni con il capo dello Stato nel 2011”. Come dire: c’è ben altro.

 

Toyota deve “richiamare” 1,9 milioni di auto ibride Prius, cioè tutte quelle in circolazione. Ma non perde la fiducia delle agenzie di rating. Fiat si compra Chrysler e viene degradata a quasi spazzatura. Così dovrà pagare uno o due punti percentuali in più alle banche sul suo debito. È così che funziona il mercato.


La Roma dei record non vince il derby con la Lazio povera – al punto che “nessun giocatore la vuole”, l’allenatore Reja dixit. E l’umore della città subito si rovescia: Roma da rifondare, Lazio forte.
Roma è la vera capitale d’Italia: umorale. Forse per questo l’Italia non ne tiene conto.

“Contatti Napolitano-Monti nel 2011: FI e M5S «Quirinale chiarisca»”, “Napolitano: complotto è solo fumo”, Letta: vergognoso tentativo di mistificazione”, “Renzi: intollerabile polemica”, “Monti conferma, ma non è anomalia”. Ma di che stiamo parlando, che tanti s’indignano? Che deve chiarire il Quirinale. Cos’è questo complotto?
Non è nemmeno la Rai, sono i titoli di Sky tg 24. È però vero che Sky è di Murdoch, uno che sa come si manipola l’informazione.

E Letta, che dice vergognosi e mistificatori Prodi, De Benedetti, lo stesso Monti, la Rcs, il “Corriere della sera”, il “Financial Times”? Con chi dobbiamo stare?

Murdoch, che è di destra, anche bruta, in Italia si finge di sinistra. Però, mentre il Pd modestamente chiede un euro ai sottoscrittori, lui ne vuole 500. 

Nessuno vuole le frequenze tv. Un altro lascito di Monti, anzi del superministro Passera, il consulente di Napolitano. L’asta per le frequenza va deserta, e lo Stato dovrà rifondere i danni ad alcuni operatori, come la 3, danneggiati dal blocco della concessione due anni fa.

L’asta era stata organizzata da Passera a favore di Murdoch e De Benedetti. Tra veri professionisti, cioè, della questione morale – due che non spendono per niente. Ora che Passera è finito, come banchiere e come politico, Murdoch e De Benedetti non sono interessati alle frequenze, anche se il piano Passera non chiedeva molto.

Woody Allen, alla riscossa nell’eterna lite con Mia Farrow, lamenta col “New York Times” che il figlio avuto con lei, Ronan, sia ora dichiarato figlio di Sinatra: “Quindi io ho mantenuto il figlio di un altro”. La questione morale è solo economica. Solo in America?

Il filosofo Esposito riscopre con Grillo “la politica dell’insulto” – “la voglia di annichilire l’avversario che mette a rischio la democrazia”. La argomenta su “Repubblica”, senza senso del ridicolo. Ma è vero che c’è sempre qualcuno più offensivo di noi.

“Repubblica” si butta con ben due pesi massimi, Erbani e Grion, sull’idea di un giudice
della Corte dei conti di far valere nel patrimonio nazionale anche i beni artistici. Mentre, a fianco, Salvatore Settis dice che è una sciocchezza.

Lo stesso Settis dice però che in Franca se ne intendono. Avendo affidato a Maurice Lévi e Jean-Pierre Jouyet – sono famosi? - uno studio ottimo, eccellente, prezioso, sui beni immateriali. Che è la stessa cosa. L’erba del vicino è sempre più verde, più alta, più fitta? Era – è – la mediocrità piccolo borghese.
Settis ha già avuto la Legion d’honneur?

Quello che il ministero dell’Economia francese ha commissionato a questi famosi Lévi e Jouyet fu fatto trent’anni fa in Italia da un ministro del Lavoro, De Michelis, impegnando i giovani senza lavoro, in cooperativa o associazione, a costituire un data base del patrimonio culturale. Sempre la storia – piccolo borghese - che i figli dei vicini sono migliori? O la cosa è irrilevante perché De Michelis era socialista? Settis! 

martedì 11 febbraio 2014

La festa a Napolitano - 2: quisling di Sarkozy

Naturalmente non è così che succedono le cose, ma è come se fossero state predisposte. Tutte filano concordi a un unico obiettivo, e tutte si ricompongono come se un piano fosse stato predisposto. Forse è solo una concordia casuale. Non è così, ma insomma: le rivelazioni di eminenti democristiani – Prodi, De Benedetti, Monti – sul ruolo di Napolitano nella crisi del 2011, la solidarietà pelosa degli stessi, e del “Corriere della sera”-Rizzoli, organi di Bazoli-Banca Inrtesa e del suo neo guelfismo, la tempistica delle rivelazioni, nel mentre che generosamente si esclude l’impeachment del presidente.
Tutto spinge verso il bel gesto: Napolitano si sdegna e se ne va. Con la complicità di buona parte dell’ex Pci. E la collusione di Berlusconi. Lo stesso tentativo di Renzi di rinnovare tempi e modi della politica sembra concorrere: è presentato e vissuto come un diversivo – Renzi si deve logorare, troppo irruente..
Si punta forte sul Pd, ma depurato delle tracce ex comuniste, come già di quelle ex socialiste. E a non far decadere, con la legislatura, questo imprevisto monocolore Dc, la sola soluzione di governo possibile in questa legislatura, una grazia del cielo per i neo confessionali.

Non c’è la confusione amletica, c’è un siluro che non sgarra, diritto allobiettivo. Un munizionamento di riserva risulta apprestato, che subito si fa valere. Oggi le “rivelazioni” di Zapatero, benché vecchie di duei mesi. Domani esce  il libro. Dopodomani ci saranno le rivelazioni francesi? E poi ci sono Bruxelles, gli Usa, Londra, etc.
Il “complotto” politico non è tutto. C’è - e più ci sarà - quel piano economico alternativo commissionato a Passera. Che non è neanche Monti, era solo uno di Banca Intesa (cioè di Bazoli), ex braccio destro di De Benedetti. Un piano rivisto più volte, su e giù per l’Italia. Come a dire: è l’“Europa” (Merkel, Sarkozy) che ha imposto Monti a Napolitano, o Napolitano che lo ha proposto all’“Europa”?
Questa difesa d’ufficio che si propone di Napolitano è la più insidiosa. Si fa molto richiamo all’Europa, che avrebbe voluto un ricambio. Non è possibile, l’Europa non ha mai cacciato un governo, neanche in casi peggiori. Ma, soprattutto, è un’Europa talmente mediocre, Sarkozy, Merkel, Barroso, che non si può non vedere in questa difesa l’insidia peggiore per Napolitano: essere stato il quisling di Sarkozy.

Poi c’è la recessione, che ogni italiano paga. Il debito moltiplicato dai governi virtuosi del presidente, come le tasse. E i “novant’anni”.


La rivoluzione è la “decency”

Orwell è scrittore dalle idee chiare, che espone con semplicità, prima che scrittore. Negli articoli, e anche nelle recensioni, di questa raccolta, 100 pezzi in tutto, ha squarci di realtà ancora inesplorati dalla storiografia. Sull’India, la Birmania, la guerra di Spagna, La Cina remota e vicina: “Se la Cina dovesse prendere la strada del Giappone le conseguenze sarebbero davvero difficili da immaginare”, scrive nel1944: “La Cina costruisce già mitragliatrici, e tra breve inizierà senza dubbio a fabbricare aerei da combattimento”. Sul fascismo che prospera anche senza guerre: “Il nodo centrale del fascismo sembrerebbe consistere non tanto nel fatto che esso risolve i problemi facendo la guerra, quanto piuttosto che li risolve in modo non democratico e senza abolire la proprietà privata”. Sul libero mercato con le famose “regole”, mentre è intrinsecamente monopolistico, per un motivo semplice: “Il problema con le gare è che qualcuno le vince”. E con pezzi d’antologia, un mondo in due pagine: sulla speleologia, il nazionalista indiano, lo stereotipo del cinese (“chiana man”), le Faroer, e su molti letterati, Conrad, Stevenson, Dickens più volte, Cyril Connolly, Edmund Wilson.
Insuperato è anche nelle corrispondenza del giugno-luglio 1945 in “Europa” - l’Europa continentale è per Orwell “Europa”. In Francia, il partito Comunista  è “il meno anticlericale tra i partiti della sinistra”. I tedeschi, tra le macerie, sono “ben nutriti, ben vestiti”, meglio degli inglesi vincitori, con “biciclette più nuove e calze di seta”, solo vergognosi “terribilmente di aver perso la guerra”. Senza un cenno, né a Parigi, né a Vienna, Berlino, Amburgo e qua e là per la Germania, ai campi di sterminio: non se ne parla, non si sa. La grande questione èa come gestire i deportati, quattro milioni e  mezzo di russi, polacchi, francesi, italiani, etc., al lavoro in Germania, molti di essi volontari, tutti remunerati e nutriti, fino alla fine della guerra, e in regola con le norme tedesche a protezione del lavoro, da sfamare e rimpatriare. Mentre si dà per certo che non finirà presto la guerra in Asia, contro il Giappone – la Bomba arriverà il 6 agosto. “La fattoria degli animali” è già uscita, con scandalo, ma Orwell chiede ripetutamente un piano di ricostruzione anglo-americano che possa coinvolgere l’Urss, paventando quella che si chiamerà la guerra fredda.
Questa chiarezza spiega Orwell, l’isolamento che accompagna la verità. L’anarchico conservatore il cui momento non è mai venuto in Italia, non senza motivo: la cultura più lontana dalla vera libertà – che non è quella dei vecchi liberali. Orwell non edulcora - anche la vittima può rifulgere vincente, se compassionevole e compassionata. Drammatizza, col senso della storia. Ma anche questo con semplicità, mantenendo vigile il gusto del giusto e dell’ingiusto. L’ultimo suo lettore, il filosofo francese Jean Claude Miquéa, ne spiega il socialismo con la formula a lui cara della “common decency”, non banale come sembra: “La common decency si áncora nelle strutture elementari della reciprocità che fondano da sempre la vita collettiva… Orwell aveva perfettamente ragione di sottolineare il fine «conservatore» di ogni progetto rivoluzionario. La possibilità di una vera società socialista dipenderà in gran parte dalla capacità delle persone comuni di preservare le condizioni morali e culturali della loro propria umanità”. La “decenza” è coniugare l’economia sociale con la libertà, dice qui Orwell ,“il che può avvenire solo se i concetti di giusto e sbagliato saranno restituiti alla politica”.
La prefazione di Jonathan Heawod, il direttore dell’“Observer” che dispose la raccolta dieci anni fa, lo ricorda isolato ancora in vita, malgrado i successi di giornalista e scrittore. “La Fattoria degli animali”, terminata a fine febbraio 1944, le ci volle un anno per trovare un editore. Victor Gollancz la respinse perché anticomunista, T.S. Eliot la respinse, per conto di Faber, perché “troppo solidale”, cioè comunista, Jonathan Cape su consiglio di un amico al ministero dell’Informazione, secondo il quale la satira avrebbe suscitato il risentimento dei russi, preziosi alleati – “balle”, scrisse Orwell a margine della lettera (l’amico di Cape al ministero era Peter Smollett, spia sovietica poi famosa).
Il giornalista è anche uno scrittore, il suo “1984” resta tra i monumenti del secondo Novecento, per quanto indigesto. Anche qui dà molti saggi narrativi. Facendo emergere quella che è la sua chiave: non trasfigurare, non cercare vezzi. Un aneddoto di Heawood fotografa lo scrittore e il giornalista. Orwell a Parigi a metà 1945, già famoso per “La fattoria degli animali”, vedendo il nome di Hemingway nella lista degli ospiti illustri dell’albergo, lo cerca in camera, e si presenta come Eric Blair, il nome anagrafico. “Beh, che vuoi?”, risponde Hemingway, credendolo uno dei tanti giornalisti inglesi. Orwell allora azzarda il suo nome de plume. E Hemingway si fa cameratesco: “Perché non l’hai detto prima? Entra, beviamo qualcosa. Facciamoci un doppio whisky”. Questo nel racconto di Orwell. Hemingway invece ricorda che Orwell lo andò a trovare con aria “alquanto tesa e preoccupata”, timoroso che gli agenti di Stalin gli fossero alle costole, e gli chiese una pistola, che Hemingway gli prestò, una Colt calibro 32. Orwell si vuole onesto, Hemingway prigioniero delle mitizzazioni.
George Orwell, Gli anni dell’ “Observer”, Bcd, pp. 348 € 8,90

lunedì 10 febbraio 2014

In inglese si può dire

Nell’anticipazione in inglese, “Monti’s secret summer”, una pagina illustrata del “Financial Timses”, Alan Friedman può porre i problemi veri:
“L’offerta di Giorgio Napolitano, il presidente italiano, a Monti dell’incarico di primo ministro – un posto che era ancora occupatissimo da Silvio Berlusconi, il politico miliardario di centro-destra – è al centro di serie questioni di legittimità in Italia. Cosa avvenne in Italia qull’estate e autunno mentre i politici combattevano la crisi dell’eurozona è ancora un argomento d’intenso dibattito. Che il presidente stesse progettando la sostituzione dell’eletto Berlusconi col non eletto tecnocrate Monti – mesi prima del finale trasferimento dei poteri a novembre – rafforza le preoccupazioni sui ripetuti e forzati interventi di Napolitano nella politica. Il suo ruolo fuori misura dopo la crisi ha spinto molti a chiedersi se ha esteso i suoi poteri costituzionali al limite – o anche oltre…
Piano Passera
“Corrado Passera, un primario banchiere che sarebbe diventato ministro di Monti per lo Sviluppo economico, le Infrastrutture e i Trasporti, aveva intanto luce verde quell’estate da Napolitano per preparare un documento riservato di 196 pagine con le sue proposte per un’ampia “terapia shock” dell’economia. Era un programma di proposte politiche di governo e di riforme che ebbe quattro successive bozze, che Napolitano e Passera discussero avanti e indietro quell’estate e nel primo autunno.
“La crisi s’intensificò nell’autunno. Gli italiani ancora ricordano la smorfia di scetticismo sui volti di Angela Merkel e Nicholas Sarkozy, quando fu loro richiesto a una conferenza stampa in ottobre se avevano fiducia nella capacità d Berlusconi di tagliare il deficit e ridurre il debito, che era allora al 120 per cento del pil. (L’ultima cifra è 133 per cento)….
Chiamata di correo
“(Nell’intervista con Friedman) Monti disse: «E in un’occasione ho discusso il documento di Passera con Napolitano, e quindi dopo, mesi dopo, quando fui nominato primo ministro, immediatamente chiesi a Passera di entrare al governo”….
Fermare Berlusconi
“Molti italiano tuttora disprezzano Monti per il programma di austerità e come un burattino della Commissione Europea o della signora Merkel. In retrospettiva, ha mancato di tocco politico ma è stato un figura di transizione utile in un tempo di crisi. Monti dice che il suo miglior risultato è stato di entrare in politica alle elezioni di febbraio 2013 a spese del partito di Berlusconi. “Non fosse stato per i voti che ho tolto al centro-destra”, ha detto Monti nell’intervista, “Berlusconi ora sarebbe o il presidente della repubblica o il primo ministro, quindi ho ottenuto un risultato concreto bloccando questo”….
Seri problemi costituzionali
“Progettare in segreto, anche come misura contingente, la nomina di un nuovo primo ministro quando una maggioranza parlamentare è al governo può essere un’azione prudente e responsabile per un presidente ma non è un potere esplicito assegnato dalla Costituzione, anche se c’è una crisi finanziaria in corso in mezza Europa come era il caso nell’estate del 2011.
“Checché si pensi di Berlusconi, seri problemi costituzionali sono posti dalle manovre dietro le quinte che risultarono nella nomina del suo successore”.

Le festa a Napolitano

Tutto è come se l’impeachment di Napolitano andasse votato: i tempi, l’accusa di aver tramato a giugno del 2011 contro il governo, l’autorevolezza dei testimoni d’accusa. Berlusconi non oserà, ma sarà peggio. Se non è questo l’obiettivo della trappola: svilire le istituzioni, sfiancarle.
Le premesse non lasciano dubbi. Le interviste di Alan Friedman con gli amici del giaguaro, De Benedetti, Prodi, lo stesso Monti. L’uscita del libro dopodomani. L’anticipazione di oggi sul “Corriere della sera”, per un amaro san Valentino.
Manca solo la liaison con Ackermann, il banchiere svizzero della Deutsche Bank, che a giugno 2011 scatenò lo spread, con vendite e rumours. Già socio in affari di De Benedetti. Benefattore e pupillo di Angela Merkel. Ma il complotto è già solido come si presenta.
Quello che Friedman non dice è che quello Napolitano-Monti era il governo dei banchieri. Di Monti con Passera, l’uomo azienda di Banca Intesa. E che ora è lo stesso partito bancario – “Milano”, gli affari, la Rcs di Banca Intesa (o Giovanni Bazoli) - a fare la festa a Napolitano.
Dice: ma Tremonti era antipatico. O Berlusconi. È l’unica “ragione” dei complottisti? Ci prendono in giro – ma hanno ragione: in effetti il paese è “di merda”, come dicono loro, che li prende per i suoi alfieri di sinistra.

Certo, Napolitano non ci fa una bella figura, il primo presidente (ex) comunista della Repubblica. Ha fatto tutto da sé? Ma non è mai stato uomo di potere, o di banca. Ha avuto un suggeritore mefistofelico? Ha abbastanza anni e esperienza di queste cose. Il debole non diventa forte, il vecchio non è più saggio: affidarsi a degli affaristi?

I tradimenti di Conrad

Si gioca alla rivoluzione anarchica tra collezionisti antiquari e una ricca casa in un quartiere alto di Londra. Se non che tutti i complotti del gruppo falliscono. Il racconto essendo un giallo, bisogna fermarsi qui – basti dire che c’è il lieto fine, la ricerca del colpevole non dovrebbe essere difficile per il lettore. Ma, come per tutte le trame “segrete”, inevitabile s’impone la conclusione che sono ripetitive: sanno sempre di già visto. Quella di Conrad tre quarti di secolo prima – quasi: il racconto è del 1906 – dello stolido terrorismo italiano. Ma anch’essa più o meno rituale. Forse non ci sono tanti modi di tradire.
La proposta del racconto con l’originale è la vera sorpresa. Mostra netto quello che è un limite di Conrad: aggrovigliare la storia in narrazioni indirette, di qualcuno che le racconta a un altro - e questi spesso a un terzo. Forse per scrupolo di verosimiglianza, ma creando molteplici piani, quando si poteva raccontare con semplicità in terza persona. Mostra anche che la lingua apparentemente aggrovigliata di Conrad in traduzione è in buona misura dell’originale: Conrad è uno scrittore inglese di formazione polacca, probabilmente, e di lingua francese, sicuramente. L’uso dei possessivi, o l’aggettivo spesso dopo il nome: un inglese, che non fosse lusingato di arruolarlo, avrebbe da obiettare. Ha anche- benché sincero ammiratore del modo di vivere inglese – dei personaggi inglesi che non lo sono: non la bella ragazza, non gli anarchici, non l’eminenza grigia. Ancora di più qui Conrad è continentale – o “europeo”, come lo voleva, Orwell.
Questo è il suo punto di vantaggio, secondo lo stesso Orwell: per il romanticismo, “l’amore per il nobile gesto”, e per “la notevole comprensione della politica cospirativa” – aveva in orrore anarchici e nichilisti, e nello stesso tempo li ammirava: “reazionario magari in politica interna, ma ribelle alla Russia e alla Germania”. Uno scrittore terragno, meglio che marinaro, argomenta ancora Orwell (“L’uomo venuto dal mare”, ora in “Gli anni dell’«Observer»”): “Può darsi che i suoi brani più ricchi di colore abbiano come tema il mare, ma è quando sbarca sulla terraferma che Conrad tocca l’apice della maturità”. È vero: memorabili sono i racconti di perversione degli animi candidi, l’ansia del fallimento.
“L’informatore” uscì nel 1906 in rivista e due anni dopo nella raccolta “A set of six”, con altre storie di eroismi fallimentari, “An anarchist”, “The Brute”, gli stessi “Duellanti”.
Joseph Conrad, L’informatore, Leone, pp. 91 (con orig. a fronte) € 6

domenica 9 febbraio 2014

Problemi di base - 168

spock

Un Mesina si riesce a emozionarlo, anche un Vallanzasca, un Letta e un Renzi no: c’è un motivo?

Perché il Pd non è nel Pse?

Perché il Pd s’è messo sulle spalle il giudice Esposito?

Anche i familiari di Esposito?

E Grasso?

Berlusconi non è simpatico: fa a gara coi suoi nemici?

Ma twittava meglio La Rochefoucauld, oppure ora Grillo?

Perché Draghi, secondo la Corte costituzionale tedesca, ha fatto bene a salvare le banche tedesche e male a salvare le altre?

spock@antiit.eu

Paolo Poli come me

 “C’erano ancora le porte aperte su strada”. Sembra un altro mondo e un’altra storia, ma Paolo Poli, non sembra, ma va per gli 85 anni. Beh, era anche un tempo in cui “la gioia era essere uguali a tutti: avere vestito grigio, scarpe grigie, cravatta grigia”. E l’ideale maschile Maurizio Arena. Con quelle “sere a cena dalla Laura Betti”, compagni di gavetta da giovani speranze, e Pasolini: “Lui e Moravia che parlavano dell’illuminismo, e noi muti, come soggiogati da tanta luce. A volte la Betti provava a intervenire, ma l’azzittivano subito”.
Luca Scarlini gli ha fatto un omaggio, spulciando le tante sue trasmissioni radio, le interviste, le uscite in tv, per ricavarne un fuoco di fila di battute, scenette, personaggi. Con un gusto però da appetizer: Paolo Poli gigione è solo il periscopio di uno dei migliori lettori del Novecento letterario, “da sempre fidanzato con i libri”, il più libero. Seppure afflitto dalla parodia: “Non sono una donna vera, non sono giovane, sono un vecchietto. E quindi è tutto falso quello che io racconto. Però… cerco una verità letteraria che sia anche specchio della storia. In fondo Joyce è la parodia di Omero, Picasso di un intero museo, e Stravinskij di Wagner”.
Luca Scarlini (a cura di), Alfabeto Poli, Einaudi, pp. 171 € 18

Quando la sinistra a Berlino adottò Reagan

Sono dieci anni che lo Hartz IV, la più radicale delle riforme europee del lavoro, è entrato in funzione, a febbraio del 2005. La disoccupazione era salita in quel mese in Germania a 5,2 milioni di persone, quasi come nel dopoguerra. Il numero delle famiglie in povertà aumentava di anno in anno di un paio di milioni, dall’11 per cento della popolazione nel 2001 al 13 per cento nel 2004, al 15 per cento nel 2005, e ancora in crescita – arriverà al 18-20 per cento. Rilevazioni successive, nel 2007, daranno in povertà un bambino su sei, anche questo un record negativo del dopoguerra – un terzo di essi nelle grandi città del Nord: Berlino, Amburgo, Brema.
La riforma radicale del lavoro fu di tipo reaganiano o thatcheriano, per un liberismo totale. Adottata dall’ultimo governo di sinistra della Germania, di socialisti e verdi. Introdusse, oltre alla libertà totale di licenziamento, la paga oraria di quattro euro l’ora, meno della metà del salario minimo, con l’istituzione chiamata dei mini-job, una sorta di salario di avviamento (il salario minimo tedesco è per ora di fatto, non legale: il nuovo governo ne prevede l’adozione a 8,5 euro l’ora). La wage ratio, la parte dei salari nel reddito nazionale, risulterà scesa dopo appena tre anni al minimo del dopoguerra, il 64.5 per cento – segno di forte ineguaglianza.

La Germania si salva col dumping sociale

Il sabotaggio tedesco dell’euro era previsto: “L’euro nasce per unire ma potrebbe dividere l’Europa” era l’opinione di Martin Feldstein, profetica (1997), che questo sito ricordava due anni, nel pieno della guerra dello spread:
Ora che la Corte costituzionale tedesca ha fatto sue le ragioni della Bundesbank, seppure sottomettendole, per convenienza politica, alla Corte di giustizia europea, vale la pena rileggere le argomentazioni dell’economista di Harvard, esperto dei problemi di politica monetaria in quanto ex consigliere di Reagan - “Emu and International Conflict”, il suo saggio, fu pubblicato su “Foreign Affaris”, nov-dic. 1997, pp. 60-73, a cura del Council on Foreign Relations.
“Per molti americani, l’unione economica e monetaria europea sembra remota”, era l’incipit: non lo è. Nell’immediato, a partire dal 2002, l’euro “trasferirà la politica monetaria dalle banche centrali nazionali a una nuova Banca centrale europea”. A lungo termine, l’effetto maggiore della moneta unica sarà la creazione di un’unione politica, uno Stato federale europeo con responsabilità sulla politica estera e di sicurezza, nonché per le politiche economiche e sociali, che ora sono nazionali. “Il trattato di Maastricht prevede esplicitamente l’evoluzione verso una futura unione politica”.
Un auspicio, dunque. Ma con un avvertimento:”L’unione politica tra i paesi europei è concepita anche come un mezzo per ridurre il rischio di un’altra guerra intra-europea tra i singoli Stati Ma il tentativo di gestire costruire un’unione monetaria e il successivo sviluppo dell’unione politica hanno più probabilità di produrre l’effetto contrario. Invece di incrementare l’armonia e la pace globale, il passaggio all’unione monetaria e l’integrazione politica che ne conseguirebbe dovrebbero condurre più probabilmente a conflitti accresciuti all’interno dell’Europa e tra l’Europa e gli Stati Uniti”.
Non sarà facile coordinare le politiche monetarie dei singoli paesi membri in un’unica politica monetaria. Specialmente nei periodi negativi del ciclo, quando insorgessero la disoccupazione e problemi di bilancio. Inoltre, i paesi dominanti vedranno accresiuta la possibilità di determinare le politiche dell’Unione Europea nel suo insieme.
Il primo problema sarà la separazione netta della Bce dal consiglio dei ministri europei, dall’autorità politica. È questo il fondamento delle politica monetaria tedesca, l’autonomia assoluta della Bundesbank dal governo (presunta, n.d.r.: giuridicamente l’autonomia è netta, ma la nomina del presidente della Bundesbank è solo politica). Mentre la Francia, almeno fino a qualche anno fa, esigeva la sottomissione dell’autorità bancaria centrale all’autorità politica.
Un’altra differenza tra la Bundesbank e i partner europei riguarda l’impegno primario contro l’inflazione, Anche a costo di un’elevata disoccupazione  Le economie perderanno elasticità, perdendo gli aggiustamenti del cambio. Un limite che sarà risentito con asprezza in caso di ciclo negativo, con caduta della domanda aggregata,interna ed esterna, ed aumento della disoccupazione (il caso dell’Italia da tre anni, n.d.r.): l’euro cancella i rimedi, “il declino automatico del tasso di cambio della moneta (che favorisca le esportazioni) e un declino dei suoi tassi d’interesse (incrementando la spesa domestica, delle famiglie e degli affar, sensibile ai tassi d’interesse)”.
Soluzioni alternative sono possibili, ma allora in conflitto. Per esempio l’uso della spesa pubblica in funzione congiunturale contro la disoccupazione e la recessione: “Il «patto di stabilità» che il governo tedesco ha voluto affiancare all’unione monetaria impedisce al bilancio pubblico di superare un disavanzo del 3 per cento del pil”.
Feldstein evoca poi anche il “dumping sociale” tra i vari paesi membri, nel quadro degli ammortizzatori sociali che garantiscono il mercato del lavoro. Senza fare ipotesi specifiche (ma è quello che è successo in Germania dieci anni fa, con gli accordi sindacali voluti dal governo rosso-verde di Schröder, per cui si può pagare il lavoro anche quattro euro l’ora, un’elemosina, il resto ce lo mette lo Stato: non niente, poiché riguarda alcuni milioni di lavoratori, ufficialmente 7,5 milioni, n.d.r.).