Buche, acqua,
sanità, scuola, asili, rifiuti, Roma va meglio delle altre grandi città
italiane, Milano, Napoli naturalmente, ma anche delle medie, Torino, Firenze,
Bologna. Perfino i trasporti pubblici sono meglio, quelli dei pendolari
compresi, che a Roma vengono da Napoli e da mezzo Abruzzo. Ma ha pessima
opinione. Perché è fatta così, è pettegola – tutti i film sulla sua “grande
bellezza” ce lo dicono. E ha un giornalismo da vecchia provincia.Nel 208, al
cambio della guardia politico in Campidoglio, inatteso, si scoprì che Roma
aveva 12 miliardi di debiti, malgrado le leggi speciali, superfinanziate, per
il Giubileo 2000. Di questo non si parla, della necessità di ridurlo. Magari
mettendo sul mercato i 43 mila immobili di cui a vario titolo il Campidoglio è
diventato nei secoli proprietario e non sa amministrare – ne ricava 27 milioni
di affitti, quasi tutti morosi (mentre ne paga 21 sull’unghia per cinquemila
abitazioni per i bisognosi). Su questo debito paga 800-900 milioni d’interessi
l‘anno. Che è il disavanzo di bilancio.
L’Acea,
l’azienda comunale acqua e energia, ha 3,6 miliardi di debiti, per un fatturato
di 500 milioni scarsi. È cioè un’azienda fallita, l’unica del settore. Ma
assolutamente non bisogna liberarsene, è
un “bene pubblico”, l’acqua è sacra, etc. Roma ha un migliaio di “supermanager”
a 300 mila euro l’anno. Questi non ce li ha la Fiat, ma nemmeno la Volkswagen,
che fattura 200 miliardi. E fa la raccolta differenziata di malavoglia,
malgrado il super senso civico dei romani - i rifiuti sanitari non si ritirano
dalle farmacie da sette mesi.Non c’è rimedio?
Basta dare la colpa al sindaco Marino. Che è inviso al Pd.Tanto basta per fare
l’opinione, e calmarla. Il resto è ordinaria disamministrazione.
sabato 1 marzo 2014
Bulgakov “medico in prima linea”
Geniale
Bulgakov, medico-scrittore, avrà inventato anche “E.R. – Medici in prima linea”,
e il serial tv. Questi racconti si possono dire un’anticipazione, nel 1925 (ma
già a caldo, i veri “Appunti”, poi perduti, erano del 1917, e del 1921 una
seconda redazione, anch’essa smarrita), di Michael Crichton, i suoi “Casi di
emergenza” e la serie che Steven Spielberg ne ha tratto,. Le vicissitudini di
un neolaureato medico unico di un ospedalino di provincia, con cento e passa
pazienti al giorno, e molta chirurgia avventurosa, tra il 1916 e il 1917, tra
le tormente, e lunghe notti a lume a petrolio. Ora che Hardcastle ne ha tratto
una serie tv, di cui si prepara la terza edizione, dopo le mini-serie 2012 e
2013, si apprezza il lato “visionario” della narrativa di Bulgakov, la sua
capacità di mettere a fuoco le situazioni più impensate, anche improbabili.
Si
ride molto, c’è molta ignoranza nella miseria, ai limiti della stupidità, e si
piange, ma sempre si ricorda. La letteratura
russa ha una tradizione di medici: il medico scrittore (Cechov), il medico
personaggio (Živago). Bulgakov è medico, scrittore e personaggio. “Morfina”, il
racconto lungo altrimenti noto, incluso nella raccolta, ripercorre l’esperienza
personale della dipendenza contratta da Bulgakov per una vaccinazione
antidifterica che gli provocava dolori insopportabili: ottenutone sollievo con
piccole dosi di morfina, ne divenne succube per un anno e mezzo. È come scriveva Milli Martinelli, proponendo
la raccolta venticinque anni fa: nell’ospedalino Bulgakov “ha sperimentato
l’assoluto controllo della propria emotività”, che poi trasfonderà nella
scrittura, usando caratteristicamente “la penna da grande dissezionatore del
fatto da rappresentare”, da “anatomista del dettaglio”.
Michail
Bulgakov, Appunti di un giovane medico,
Bur, pp. 203 € 8
venerdì 28 febbraio 2014
Ombre - 210
La
Capria pubblica un libro, “La bellezza di Roma”, in cui chiede di liquidare i
vigili urbani e di sostituirli, “a concorso”, con architetti e specialisti di
belle arti e conservazione del patrimonio. Ognuno di loro mettendo a guardia di
un monumento. L’intellettuale è sempre totalitario.
Ma
perché la coscrizione dei laureati? E a concorso: col primo, il secondo, il terzo?
Sartori,
che conosce bene Renzi da Firenze, ne è molto critico. Per questo è scomparso
dalla Rai, e dal “Corriere della sera”?
Dodici
pagine di pubblicità finanziaria – la più costosa – di Unipol sulle maggiori testate. Beneficenza?
Renzi
debutta condannando il “capitalismo di relazioni” con cui Milano ci governa.
Non vorrà dispiacere a Bazoli?
Il conflitto d’interessi
Un’industriale all’Industria
E uno, maschio, al Lavoro:
Era caso di coscienza
Il conflitto d’interesse
Ma disceso nella Bassa
Si risolse in interessenza.
Un’industriale all’Industria
E uno, maschio, al Lavoro:
Era caso di coscienza
Il conflitto d’interesse
Ma disceso nella Bassa
Si risolse in interessenza.
C’è
l’arsenico nell’acqua a Roma Nord, un
avvelenamento di massa è stato evitato per caso. Ma senza colpevoli: c’entra il
Comune, e Pignatone il Terribile si astiene. La Giustizia vuol essere severa.
Lo Stato progettava con la mafia attentati negli Usa. È l’ultima tappa dello Stato-Mafia. Lo assicurano alcuni vecchi pentiti in scadenza di contratto, rovistando nella memoria.
Tra
i pentiti dello Stato-mafia internazionale c’è Di Carlo. Un trafficante di
droga che si penti per avere l’estradizione dall’Inghilterra, dove il carcere
si fa duro. All’epoca rivelò che Berlusconi s’era arricchito commerciando in
cocaina.
Bisognerebbe
fare una storia dei pentiti.
Ma
chi era lo Stato nella trattativa con la mafia: prima un giudice, Di Maggio, morto
nel 1995. Ora un questore, La Barbera, morto in tempo una decina d’anni fa.
Ma
non si può dire che le sorprese manchino a Palermo: ora La Barbera potrebbe
resuscitare. Scrive Bianconi sul “Corriere della sera”: “Prima di interrogare
La Barbera, i pubblici ministeri annuciano
il deposito di nuovi materiali…”. Palermo città divina, diabolica?
Ester
Bonafede, assessore stakhanovista al Lavoro della Regione Sicilia, lamenta al
bar di “guadagnare” quanto un commesso. Scandalo. “la Repubblica-Palermo” si strappa
le vesti che l’assessore, con 5.800 euro al mese, si lamenti. Non che un usciere
(a Palermo ce ne sono un migliaio) guadagni 5.800 euro.
Gratteri
ministro? Una provocazione, dice Sabelli, il segretario del sindacato dei
giudici. Questa ci mancava.
Sfacelo
all’Opera di Roma, terremotata dai consigliori del sindaco Marino – che ancora
non ‘è ripreso dallo shock dell’elezione, dieci mesi fa. Per un paio di posti.
Contro una gestione che aveva portato a Roma Netrebko e Muti. Ma non un cenno
nella grande stampa romana. Centralismo democratico?
Gotor,
lo storico delle lettere di Moro che si è subito fatto senatore, trova contro il
governo Renzi che “non a caso Berlusconi avrebbe detto: «Abbiamo un ministro»”.
“Avrebbe” detto che vuol dire? A caso o non a caso, il doppio interrogativo
affermativo che storia è?
Alfano,
retrocesso da vice-presidente del consiglio a ministro, è sempre gaio. Non sa
di che si tratta?
L’ultimo partito, quello di Passera,
nasce all’insegna “né destra né sinistra”. Basta questo? Destra e sinistra
attirano ancora tanto?
“La cosa più complicata è stata spiegare
al segretario generale della Farnesina che davvero volevamo Michelle Obama”, ha
detto Giancarlo Leone per giustificare il flop: il direttore di Rai 1 voleva
Michelle Obama al festival – a
Sanremo. Rai insuperabile, come il tonno. Nel provincialismo.
Giovanni Bazoli fa un’intervista al “Financial
Times” per difendere il “mercato relazionale”, gli affari tra amici. Meravigliando
lo stesso giornale: “Giovanni Bazoli difende la banca di relazioni vecchio
stile in Italia. Nell’ora più buia del sistema bancario italiano”.
Polizie, crimini e vendette
Una polizia
invece di sei sarebbe un gran risparmio, e anche una riforma utile – è strano
che Renzi se la sia fatta sfuggire nel suo crozziano “catalogo”. Nella vulgata
ci sono due polizie, i Carabinieri e l’ex Pubblica Sicurezza, la Polizia
propriamente detta. Che si fanno sgambetti e si rifilano bufale. Invece, già
all’epoca della vulgata erano in tre: c’era, non detta ma vigile, vigilantissima
col suo Ufficio I, la Guardia di finanza. Che in alcuni casi controlla i
bilanci e gli scontrini, e nel molto tempo libero intercetta e si tiene
informata, del più e del meno.
Ma questa è preistoria.
Da un paio di decenni ne abbiamo sei, di polizie. Perché ognuna si è sdoppiata: con lo Sco la Polizia, col Ros i Cc, e con lo Scico la Gdf. In guerra tra di loro, cioè con le rispettive armi. O meglio: sfidate in guerra dalle rispettive armi, i cui generali non digeriscono la concorrenza dei generali dei servivi operativi, di carriera più svelta. Sei polizie in guerra tra di loro invece che contro il crimine, se ne potrebbe fare un primato.Ne abbiamo più di un caso. In Polizia meno. Ma qualcosa c’è stato a Napoli da parte dello Sco contro il capo della Criminalpol, che prendeva troppi camorristi – non perché li prendesse, ma perché li prendeva lui e non lo Sco. I casi più eclatanti sono quelli dei CC contro il Ros. Prima quello di Mori poi quello di Ganzer. Meno scoperti (più coperti dai cronisti) ma ancora più gravi quelli della Guardia di Finanza. A Milano contro il generale Pollari per il “sequestro” di Abu Omar. E ora a Bari contro il generale Bardi e il maggiore Sportelli.
Ma questa è preistoria.
Da un paio di decenni ne abbiamo sei, di polizie. Perché ognuna si è sdoppiata: con lo Sco la Polizia, col Ros i Cc, e con lo Scico la Gdf. In guerra tra di loro, cioè con le rispettive armi. O meglio: sfidate in guerra dalle rispettive armi, i cui generali non digeriscono la concorrenza dei generali dei servivi operativi, di carriera più svelta. Sei polizie in guerra tra di loro invece che contro il crimine, se ne potrebbe fare un primato.Ne abbiamo più di un caso. In Polizia meno. Ma qualcosa c’è stato a Napoli da parte dello Sco contro il capo della Criminalpol, che prendeva troppi camorristi – non perché li prendesse, ma perché li prendeva lui e non lo Sco. I casi più eclatanti sono quelli dei CC contro il Ros. Prima quello di Mori poi quello di Ganzer. Meno scoperti (più coperti dai cronisti) ma ancora più gravi quelli della Guardia di Finanza. A Milano contro il generale Pollari per il “sequestro” di Abu Omar. E ora a Bari contro il generale Bardi e il maggiore Sportelli.
L’edizione vecchia è la più nuova
Due diverse
antologie dello stesso testo, i “Diari” che Hebbel tenne per tutta la vita
attiva, due diversi criteri di scelta, due opere diverse. Le antologie fanno
molti scherzi agli autori. Sentenziosa, e quindi poca cosa al confronto con
altri massimari, studiati, la scelta del pianista Brendel (proposta da
Adelphi), significativa e ancora viva quella di Scipio Slataper nel 1931, riproposta
quindici anni fa da Antonio Castronuovo per l’editrice La Mandragora, e ora risuscitata
insieme col logo editoriale originale. Due diverse traduzioni anche, quella di
Slataper meno filologica ma più “aderente”. E così in italiano, dove lo Hebbel
tragico è quasi sconosciuto, malgrado gli studi di Farinelli, Borgese, Lukáks,
Mittner, il suo diario ha tre edizioni in contemporanea.
Lo Hebbel
diaristico non è stimato, nell’interessante disamina che ne fa Castronuovo: se
piace ai lettori, da questi bisogna escludere i critici, con poche eccezioni. “Riposo serale”, Benjamin perfido annota
nel 1928, “sta critto a grandi lettere sul pensiero di Hebbel”. Più radicale
Emilio Cecchi, che l’aveva letto in francese nel 1911: “i pensieri di Hebbel
nei Diari” dice “assai più voluti pensare che pensati”. Castronuovo vuole
Nietzsche “positivamente” impressionato da Hebbel, ma dai drammi, “Giuditta” e
“I Nibelunghi” – anche se in Nietzsche il nome non ricorre mai. Thomas Mann scrisse
dei “Diari” nel 1904, impressionato dalla mole, duemila pagine, impressionato
negativamente. Mentre ne fu entusiasta Kafka, che li lesse nello stesso anno,
come più tardi lo sarà Canetti – benché Hebbel abbia più di un cenno
antisemita.
Castronuovo
si segnala soprattutto per la sintesi del nodo nevralgico di Hebbel diarista e
tragediografo: salvare l’individuo nella piattezza della modernità con
l’affermazione del “contadino” come “spirito del mondo” - in anticipo quindi di
un secolo sull’autenticità di Heidegger (e di Pasolini). Hebbel assume la polemica
romantica sul filisteismo: antiborghese, antimercantile. E antimodernista, a
volte voluttuosamente reazionaria.
Estratti di
saggezza? “I figli devono essere partoriti perché le madri non muoiano”. “La
fede non è un’attività oscura dello spirito, ma sì chiarissima: abbraccia con
sicurezza l’affine che sta fuori della cerchia dell’intelletto”. “Il veramente
soggettivo è nient’altro che una specie di oggettivo. Allarga il mondo,
esprimendo i fenomeni che possono accadere solo nel cerchio di una data
personalità”. “La donna nell’uomo lo tira alla donna, l’uomo nella donna tiene
testa all’uomo”.
Friedrich
Hebbel, Diario, Carabba, pp. 134 €
15
giovedì 27 febbraio 2014
Il mondo com'è (164)
astolfo
Analfabetismo – Si discute se col maestro Manzi,
“Non è mai troppo tardi”, un milione e mezzo di italiani presero la licenza
elementare, come dice la Rai, oppure solo 35 mila. Il numero è importante,
perché un milione e mezzo di italiani analfabeti tra il 1960 e il 1968 fa senso
– ma non c’è bisogno del dato Rai: probabilmente erano di più, l’Italia è nata
da poco. La diversità dei numeri è invece indifferente al fatto, che è rilevante comunque: la voglia di imparare. Se anche furono solo 35 mila, oltre
mille classi dovettero essere organizzate negli otto anni, e fornite di
televisori e cancelleria – la super scuola media di Fanfani verrà istituita nel
1962 e entrerà in funzione nel 1963. Quasi tutte persone anziane e anzianissime,
anche ultraottantenni, questo il punto, che prendevano la licenza per orgoglio.
La
cultura era allora una piramide, cui tutti ambivano accedere, anche se solo al
livello minimo. Oggi sarebbe una piramide rovesciata, con la testa ingombra, ma
senza piedi, o altrimenti fragili, non interessati.
Confessione
–
È tornata “sociale”? Come tra le carmelitane e in alcune sette, anche
cristiane, ora sui social media. La confessione impazza, spesso in senso
proprio, dei delitti commessi o annunciati. Il caso di Breivik in Norvegia non è
isolato, molti delitti vengono annunciati o vantati sui social media. Allo stesso livello di
indifferenza che connota tutta l’informazione in rete – indifferenza etica,
sotto la facciata della trasgressività, e qui di giudizio, ma anche cognitiva.
Delitti ovviamente minori rispetto alla strage perpetrata da Breivik, ma pur
sempre delitti, perfino assassinii. E viceversa, molti social media vengono
analizzati dalla polizia, a fini di prevenzione, o anche per fare luce in certe
indagini o sostenere le accuse.
Il rapporto 2013 della International
Association of Chiefs of Police, che raggruppa circa 500 polizie, afferma che
l’80 per cento dei membri usa i social media per le indagini. Una delle
attività emergenti è il software per ricerche digitali, a uso delle polizie e
degli studi legali (negli Usa). Certi di trovare nei social media elementi di
colpevolezza\innocenza.
Destra-sinistra – Renzi
dichiara la contrapposizione perenta nella forma del merito-con-uguaglianza.
Che è in realtà la società liberale. Cioè la destra - una delle destre, ma l’unica
in realtà con dignità politica, le altre essendo manifestazioni di
totalitarismo, razzismo, intolleranza. Mentre la distinzione vige nei fatti, se
non nella politica che non sa governare i fatti. E negli animi. Ne è riprova
l’opportunismo, che della distinzione – e quindi della sua negazione – si
nutre.
La negazione stessa della
polarizzazione è liberale: una società ben governata, si dice, non può che
essere libera. E si citano in proposito i casi di indifferenza, del fascista
che diventa comunista, e viceversa, come indicativi di una polarizzazione
infetta dal virus antiliberale – che oggi si direbbe antidemocratico. Anche
questo è vero.
La pratica di quello che in
Italia si chiama “trasformismo” essendo corrente, i casi recenti sono poco
significativi. Ma alcune storie, ancorché ignote, sono significative, della
differenza e dell’opportunismo.
Arnolt Bronnen, nato Bronner,
nome d’arte A.H.Schelle-Noetzel, viennese, scrittore, drammaturgo, l’autore del
“Parricidio” (suo padre era ebreo), amico austriaco di Brecht, diventò l’amico
di Goebbels, fece il “voto della più sincera fedeltà” a Hitler nel 1933, per
finire a guerra perduta sindaco comunista al paesello, a Bad Goisem – e poi
onorato drammaturgo a Berlino Est.
Ernst Niekisch fu socialista, e
presidente del parlamentino della Repubblica dei Consigli degli operai e soldati
di Monaco nel 1919. Dalla quale fu però condannato subito dopo a due anni e
mezzo di prigione senza nessun capo d’accusa. Fu ciò malgrado sempre
antinazista, autore nel 1932 di “Hitler, una disgrazia tedesca”, e poi di
libelli che gli valsero l’ergastolo per “alto tradimento letterario” dal
Tribunale del popolo, presieduto da un ex comunista, Roland Freisler. Ma fu
anche antisemita.
Roland Freisler, il presidente e
procuratore del Tribunale Speciale di Hitler, sicuro nazista dal 1925, fu perseguitato
fino alla morte nel 1945, sotto le bombe a Berlino, dalla fama di essere stato
comunista durante il servizio militare nella grande guerra, e nel campo di prigionia
bolscevico.
Jacques Doriot, giovane
socialista in guerra, decorato al valore, subito comunista, e per questo anche carcerato,
quindi espulso dal Pcf con tipica procedura stalinista (per aver prospettato l’alleanza
elettorale con i socialisti nel 1934 - cioè il Fronte Popolare che si farà due
anni dopo perché Stalin l’aveva deciso), divenne filofascista e fu infine
collaborazionista.
Occidente
–
È un ricordo, una forma storica. Non c’è più come organizzazione politica,
nemmeno in forma di petizione – nessuno ne parla, nessuno lo propone, la Nato
non si sa nemmeno se (che) esiste.
A lungo si è detto Occidente la
forma culturale dominante, dopo la perdita delle colonie e le sconfitte
dell’imperialismo, a Dien-Bien-Phu, a Suez, in Algeria, nel Vietnam, in Sud
Africa. La società dell’abbondanza dei
consumi come modello culturale “universale” imposto dall’Occidente, inteso come
area transatlantica, Europa Occidentale-Usa. Ma l’Europa da un quarto di secolo
non è più la stessa, tra la Germania e il niente - 28 stati, forse 30. Mentre gli
Usa da un quarto di secolo sono proiettati sull’area transpacifica.
Il modello economico del libero
mercato, teorizzato a Occidente, è ora imposto ad esso. Non c’è un modello
politico occidentale: i regimi pluralistici, elettorali, sono deboli nella
stessa Europa. Non c’è – ma da tempo non c’era – un modello estetico
(letterario, filosofico, artistico), se non per alcune escrescenze
statunitensi, comunque non dominanti nella cultura mondiale, per quanto
informe. Resta nella forma immagine: il selfie,
la tv, il cinema. Ma allora nell’indistinto: l’Asia ne è padrona e succube
quanto l’Occidente.
Riforma
– Si carica, avvicinandosi il sesto centenario, di messianismo. Curioso: a opera
di non credenti. Ma più per misinterpretare il fatto politico o storico: la Riforma
avrebbe potuto aversi nel tredicesimo secolo, anche nel dodicesimo, “da sinistra”,
attorno ai catari, albigesi etc. Oppure, “da destra”, all’interno della chiesa,
nel quindicesimo secolo, attorno ai concili di Costanza e Firenze-Ferrara.
Quella di Lutero fu una ribellione politica. Non meno di quella anglicana,
politica dichiarata. Una secessione.
Sonnambulismo
–
È scomparso. Dopo essere stato”normale”, per più generazioni, fino almeno agli
anni 1950 – “’A sonnambula” è del 1957. Simenon nelle memorie, in particolare
in “Lettera a mia madre”, ricorda di essere stato sonnambulo e di avere “ancora
crisi di sonnambulsimo alla mia età”, a
72 anni - “che è molto raro”. E testimonia: “Due dei miei figli almeno sono
sonnambuli, benché non concepiti dalla stessa madre. Infine, mio nipote è
anch’egli sonnambulo”.
Si potrebbe argomentare che è
diventato una condizione normale in senso improprio: non di veglia nel sonno ma
di sonno nella veglia.
Turismo
–
È una forma d’impregnazione? D’impregnazione di massa: milioni di persone che decidono di vedere
tutta Firenze in un giorno, tutta Roma in due, di ogni immagine, e ne prendono
centinaia di memorabili ogni giorno, fissando il ricordo nella fotocamera. Che
viaggino da soli o in gruppo. Si direbbe che mettono da parte alcuni giorni della
loro vita lavorativa per accumulare impressioni. Dopodiché, nel tempo libero a
casa, nelle lunghe tediose stagioni buie o inclementi, le ripasseranno e gusteranno,
al computer, sullo schermo tv, a una a una. Da soli o con i familiari e amici. Che
ricordino cosa quelle immagini rappresentano (cosa hanno “visto”) oppure no:
restano comunque impregnati di un flair,
un gusto, un sapore, un modo di essere altro, e quindi desiderabile.
Oppure non vedranno nulla, non
rivedranno niente di ciò che hanno fotografato. E allora il turismo sarebbe
soltanto un’occupazione del tempo come un’altra. Un passatempo, nevrotico: fotografare
tutto sarebbe un riflesso condizionato come un altro. Forse perché ora non costa più.
È vera l’una o l’altra ipotesi?
Tertium non datur. O i giapponesi, e ora i cinesi, passano le serate al ritorno
a godersi in dettaglio le tante immagini accumulate, o non si può che
considerarli istupiditi – un tempo si diceva colonizzati - dai modelli
culturali stranieri, occidentali, che adottavano, e ora non è più possibile,
non ci sono modelli. Se non capiscono è perché il (relativo) benessere
instupidisce - la vecchia polemica sulla piccola borghesia.
astolfo@antiit.eu
Cortigiane noiose
L’autore
e i dialoghi di Savinio (e già di Settembrini, altro scrittore “saturnino”)
ritornano riproposti da Francesco Chiossone. Con un curioso effetto: non hanno
la stessa levità. Forse perché la lascivia è svanita – tra pornografia libera e
proibizionismo (politicamente coretto) siamo anni luce dal mondo ancora sapido
di Savinio, negli anni di guerra, riproposto con successo nel 1983. Le ragazze
in cerca di marito, le mezzane, il saffismo sono soprattutto noiosi.
Luciano,
Dialoghi delle cortigiane, il melangolo, pp. 112 € 8mercoledì 26 febbraio 2014
Letture - 163
letterautore
Camilleri - Una vecchia saggezza poneva la felicità del
narratore al meglio su un arco di quindici anni, a partire dalla prima
maturità. Poi cessava: l’ispirazione, l’inventiva, la disposizione felice – la
voglia cioè di fare, la fede in se stessi. Camilleri, narratore tardivo, è
prolifico invece in ragione inversa degli anni – più creativo a mano a mano che
cresce, ora verso i novanta.
Comico – È sadico. Aggressivo, ostinato. Da Hobbes a
Freud, essendo la ridicolizzazione dell’altro, e una forma di derisione. Non
nello scherzo, nello humour, nel Witz, dove è invenzione linguistica.
Un’estensione
dalla fantasia creativa dell’infanzia, prima delle regole e della grammatica
del linguaggio. Lo rimarca W.Benjamin a proposito di Jean Paul (nel saggio ora
in “Avanguardia e rivoluzione. Saggi sulla letteratura”: “La sua essenza è
quella della fantasia, che porta la forma alla metamorfosi. Un accadere che
disfa le forme”.
È il
privilegio dello spettatore-lettore.
Conrad -
Orwell lo vuole scrittore al meglio “terragno” invece che “di mare”. Meno
esotico, miglior narratore. In effetti, i romanzi politici, “L’agente segreto”,
“Con gli occhi dell’Occidente”, lo stesso eccessivo “Cuore di tenebra”, e i racconti,
sono meglio strutturati, più contenuti e memorabili.
Dante – Tedesco lo voleva
l’italianista Emil Ruth un secolo e mezzo fa
(ma già Michelet nella “Storia di Francia”, che
il ghibellino dice uomo del legame feudale, del giuramento di sangue, della
devozione affettuosa: “il Tedesco”, Dante compreso, aggiunge, come opposto
all’uomo della legge e della ragione, “il Francese” – era la storia dei “primati”).
E perché
non ebreo, se suo padre era un usuraio? Magari ebreo tedesco.
Si vuole Dante arabo e islamico anche per il simbolismo della
scala. Ma questo simbolismo René Guénon ricorda bene che è biblico, di origine
caldeica e mithraica (“L’esoterismo di Dante”, cap. III)..
Poteva mancare un Dante
“indiano”? Angelo De Gubernatis ne ha ipotizzato uno sul “Giornale della
società asiatica italiana” nel 1889, che la complicata costruzione dell’esistenza
celeste sotto forma di cieli e inferni gerarchicamente organizzati sia stata
mediata dal brahmanesimo o forse dal buddismo (“Dante e l’India”).
Anche Frèderic Ozanam, lo studioso dell’Ottocento oggi beato, aveva
intravisto un’influenza indiana, in aggiunta a quella islamica, su Dante – “Dante e la filosofia
cattolica nel tredicesimo secolo”.
Dialetto – Heidegger lo lega
al “poetare” e all’“abitare”, al radicamento
cioè e all’espressività. “Poetare e abitare sono in connessione
inscindibile, si richiedono reciprocamente”. E questo è possibile attraverso il
dialetto: “Il linguaggio, secondo la sua origine essenziale, è dialetto”. In
questa forma lo riafferma, pochi anni dopo “L’amico di Casa” (Hebel), in
“Linguaggio e terra natìa,”, 1962, il saggio conferito al volume celebrativo di
Carl Burckhardt nel 1961: “Ed esso rimane tale perfino quando giunge ad essere linguaggio
planetario. Infatti anch’esso ha la sua elezione e la sua particolarità”. E
subito dopo in altra forma: “Nel dialetto si radica l’essenza del linguaggio.
Si radica in esso anche se il dialetto è la lingua della madre”, la lingua cioè
che circonda l’infante, “il proprio della casa, la terra natia. Il dialetto non è solo la lingua della
madre, ma al tempo stesso è anzitutto la madre della lingua”.
Cases, recensendo nel 1988 la prima traduzione del “Tesoretto” di
Hebel, sembra prendere le distanze: “Non voglio insistere con Heidegger… sulle
profondità abissali della “Heimat” (patria) da cui emerge il linguaggio
hebeliano. A parte Heidegger, siamo tutti illuministi (Hebel per primo) e non
crediamo in questo fondo oscuro dell’anima contadina che si rivela solo nel
dialetto”. Ma, esaurita la punta polemica, di fatto concorda: “Il profumo
intraducibile del linguaggio di Hebel sta nel fatto che esso realizza l’antico
sogno della fusione della lingua e del dialetto, del particolare e
dell’universale; il protendersi del linguaggio “naturale” verso la
comunicazione razionale, il trapassare della spontaneità in cultura senza che
il primo elemento sia mai rinnegato”.
Mundart, la parola tedesca per “dialetto” non piaceva a Heidegger (“Linguaggio e terra natia”), perché dice
solo “la comunicazione verbale, il carattere sonoro del linguaggio”. Gli
piaceva di più “la parola straniera Dialekt”,
perché di senso originario “eletto”, il greco dialégein, “il parlare l’uno con l’altro che è la matrice del
linguaggio – “un parlare reciproco di tipo eletto, sì, particolare, e cioè un
ascoltare l’uno dopo l’altro”. Ma Mundart
ha un senso pratico più suggestivo, un parlare al modo della bocca – l’arte
vocale come una sorta di natura.
Gran Lombardo – Ricorre in
Dante – Purgatorio, XVIII, 121. Ma riferito a un veronese: Bartolomeo della
Scala, primogenito e erede di Alberto I, signore di Verona dal 1301 al 1304.
Anche questo riferimento è ritenuto forzato. Bartolomeo è detto il
“gran lombardo” in ricordo dell’accoglienza che Dante ne avrebbe avuto
nell’esilio, quando si era distaccato dagli altri ghibelini come lui esiliati.
Mentre non fu così. Non almeno nel primo soggiorno veronese di Dante. Che fu invece
ottimamente trattato a Verona nel suo secondo soggiorno, da Cangrande della Scala.
Traduzione – La poesia (il
senso), anche della prosa, è il come e non la cosa. Ciò non impedisce ottime
traduzioni, per esempio di Dante in francese, e anche in inglese – mentre non è
faustiano né goethiano il “Faust” di Franco Fortini. Il problema è quando la
cosa si lega al come, per esempio nel Belli. Anche in molte prose di Gadda. Che
per questo diventano “intraducibili”. E invece vengono tradotti. Non a metà:
rileggendoli in traduzione non perdono
sapore.
Il come è legato alla cosa, naturalmente. Ma non è tutto. La
creazione non avviene probabilmente in privativa. Non del tutto. La
comunicazione ha più armi dell’incomunicabile.
letterautore@antiit.eu
L’amore mancato, a buon mercato
“Gli uomini,
in generale, hanno un vantaggio sulle donne. Dimenticano facilmente i momenti difficili
della loro esistenza”. Mentre “la più parte della donne ha la tendenza a
conservare, inscritta profondamente in sé, la memoria delle ore tristi”.
Simenon se lo dice qui dopo aver vissuto, e mostrato di averlo vissuto, il
contrario. Qui nella sua prima prova dopo aver cessato, due anni prima, la prolifica
attività di narratore, per dedicarsi a “dettare” le memorie. Nella settimana trascorsa
accanto alla madre morente.
Simenon
“fa i conti” con la madre. Con la
mancanza d’amore della sposa e madre – così crede. Fino a che, arzigogolando
con se stesso, nella lunga veglia al capezzale della donna, come sempre vigile
ma muta, un’altra figura si erge, poco
affettuosa ma non senza ragione, e solo devota al figlio, ai figli. Anche le
madri hanno un corpo, una vita, una storia.
È una
storia anche di un’altra civiltà, che Simenon sbalza ma di cui non ha
coscienza. Di un modo di essere o vivere teutonico – la madre è fiammingo-olandese.
Dello spirito del thrift, della
rinuncia austera o dell’accumulo, che è convenuto chiamare lo spirito
protestante del capitalismo. In realtà anche cattolico, per esempio in questo caso.
Ma teutonico, per esempio a fronte dei latini Simenon, che invece si vogliono
bene, se lo dicono - sprecano le parole.
La
riedizione francese del 1976 collaziona anche una trentina di pagine del
dettato successivo di Simenon, “Vento del Nord, vento del Sud”, che situano e spiegano
la “Lettera”. Con la ricerca affannosa, tutta la vita, di un affetto. In due
matrimoni lunghissimi, di oltre vent’anni, e costosissimi, finiti in liti
oltraggiose tra avvocati e esperti patrimoniali. O anche “altrove, spesso
presso quelle che si chiamano prostitute (una parola di cui ho orrore)” -
sempre alla caccia ossessiva di “un po’ della tenerezza di cui sentivo il
bisogno”. E rapporti in vario modo difficili con i figli delle due madri,
benché accuditi e seguiti. E un affetto infine ritrovato in Teresa, l’ultima
compagna. A sentire lui, basterebbe poco: un po’ d’attenzione, da una parte e
dall’altra.
Georges
Simenon, Lettera a mia madre
martedì 25 febbraio 2014
La Repubblica nacque sulla guerra civile
Ci fu
la guerra civile, eccome. Anche perché la Resistenza era sovrastata da un
“esercito” ben organizzato, equipaggiato,
armato, finanziato, quello del Pci, con un comando unitario e deciso, di
Secchia e Longo. E durò anche troppo dopo la pace.
Non se
ne parla, ma la Repubblica nata dalla Resistenza è piuttosto nata dalla guerra
civile – non per nulla il terrorismo di trent’anni dopo fece migliaia di
vittime, tra cui quattro o cinquecento
morti. Un radicamento che spiegherebbe l’impossibilità persistente di fare
politica, del famoso “paese normale”.
Pansa
non è storico ma contestualizza. A differenza degli storici, quasi tutti, della
Resistenza – con l’eccezione di Pavone, Crainz e pochi altri. Con spirito
polemico, ma senza fare polemica. Documentando pure il terrorismo di Graziani (uno
che si ebbe gli onori di Andreotti qualche mese prima del compromesso storico,
come dimenticarlo?), il collaborazionismo, specie contro gi ebrei, la tortura,
e naturalmente l’occupazione tedesca, con le innumerevoli stragi di qua e di là
dell’Appennino, da Arezzo e Massa in su..
Pansa,
spirito indipendente e grande giornalista, ha anche i titoli, storico di
formazione. Qui, come nel suo giornalismo, appassionato e competente,
grandissimo lavoratore sempre sul campo. Senza partito preso, questo è vero – e
per questo mai direttore, solo tollerato in tutti i giornali in cui ha
lavorato, “La Stampa”, “Corriere della sera”, “la Repubblica”, “L’Espresso”, in
virtù dei suoi lettori?
Giampaolo
Pansa, Bella ciao. Controstoria della Resistenza, Rizzoli pp. 430 €
19,90Problemi di base - 170
spock
Bravi
ragazzi, quelli di Berlusconi, goodfellas?
Ridono
gli ex Alfano, Lupi, Lorenzin, o digrignano i denti?
Perché i
delfini, che sono solitamente giocosi, con Berlusconi sono cattivi?
Poiché
genera così tanti delfini, non sarà Berlusconi un mammifero?
I delfini sono accreditati di grande
intelligenza, quelli di Berlusconi no: c’è un motivo?
Dov’è che Berlusconi concepisce così tanti
delfini, nelle piscine delle sue ville?
E come li genera, come Zeus dalla testa?
spock@antiit.eu
lunedì 24 febbraio 2014
Secondi pensieri - 166
zeulig
Hume, il cui libello Sul suicidio si editò postumo di secoli,
la chiesa anglicana non si fidava, annota che si suicidano i Catoni: l’Uticense,
la figlia Porcia, il genero Bruto, il killer di Cesare. E opina che suicidarsi
è come “costruire una casa, coltivare la terra, navigare gli oceani”, tutte
attività dalle quali si teneva alla larga – per Hume, si sa, “il caso è una
parola senza significato”, anche se non specifica se una sola parola è casuale,
o tutte. La risposta è forse questa, della Logica
della ricerca che Popper lascia tradurre Logica della scoperta scientifica, che la soluzione più semplice è
la migliore: si può morire per non avere ragioni.
Divinità – È un concetto – con quelli correlati dell’ascesa,
la freccia, lo sviluppo.
È anche
una “misura” della storia, in senso etico o solo eulogico. Senza, la storia di
disanima.
Eternità – Vive del
brivido dell’effimero.
È inimmaginabile perché se ne presuppone un
inizio – di dice: “per l’eternità”. Tutte le
dottrine dell’immortalità hanno un inizio - sono dottrine dell’inizio.
È un auspicio,
e una promessa. Parte della speranza.
Materia - È
figlia dello spirito. E consustanziale: se lo spirito per ipotesi morisse,
anche la materia.
La natura
ha bisogno dell’uomo, altrimenti inerte.
Nulla - Kant
lo rinchiude in una breve nota alla breve appendice, “Dell’anfibolìa dei
concetti di riflessione”, alla “Critica della ragione pura”. Ma questa nota
articola in quattro concetti, che organizza in una tavola:
Nulla 1. Concetto privo di oggetto,
ens
rationis – “un
concetto senza oggetto, alla stessa stregua dei noùmeni, che non
possono esser posti tra le possibilità, benché non debbano per questo venir
fatti passare per impossibili...”.
Nulla 2. Concetto privo di concetto, intuizione senza oggetto, nihil privativum - “la realtà è qualcosa, la negazione è nulla”.
Nulla 2. Concetto privo di concetto, intuizione senza oggetto, nihil privativum - “la realtà è qualcosa, la negazione è nulla”.
Nulla 3. “La
pura forma dell'intuizione, priva di sostanza…. lo spazio puro o il tempo puro”,
ens
imaginarium.
Nulla 4. Oggetto vuoto senza
concetto, nihil negativum – “l'oggetto di un
concetto in contraddizione con se stesso è nulla, poiché il concetto è nullo, è
l'impossibile, come si ha nel caso di una figura rettilinea di due lati”.
Dev’essere
come dice Pascal, al famoso “pensiero n. 72: “Per arrivare fino al niente ci
vuole una capacità non minore di quella che si richiede per arrivare fino al
tutto”. Sottinteso: “La capacità dev’essere infinita per l’uno e per l’altro”.
Oggettivo -
È anche soggettivo , e viceversa. Hebbel dice il “veramente soggettivo” un ‘altra
forma di “oggettivo”, abbracciando i fenomeni dell’esperienza personale. Ma il
contrario è più vero.
Un
terremoto può essere soggettivo? In parte sì. In senso figurato, per l’apprensione
che può indurre, sia che si produca sia che non si produca, diversamente
graduata a prescindere dalle distruzioni che ha comportato o comporterà, o non
comporterà. E in senso proprio: un terremoto a Osaka forza 6 può essere meno
distruttivo di uno a Ferrara forza 4.
Psicologia – Da scienza cognitiva di liberazione è slittata a una forma di deriva.
Di decomposizione, e quindi di subordinazione. Ciò fa moltiplicando le vie
d’uscite Dopo l’abolizione della norma.
A essa è seguita l’abolizione del ruolo, del tipo, della funzionalità. Aprendo
a ogni adattamento, quindi a un massimo di libertà, che però sono vie di fuga,
nell’incertezza crescente – l’indistinto è incertezza. Aprendo sì alla libertà
totale, nei rapporti individuali, sociali e familiari, nel tessuto mondano e
nell’esame di coscienza. Lo stesso psicologo, da demiurgo è passato a guardiano
di un gregge brado.
Ragione
- Si può muovere da Dilthey e la fine della metafisica: “Il senso e il
significato non appaiono che con l’uomo e la sua storia”. Il senso, dirà
Heidegger, è il senso dell’essere. A differenza di ogni altro ente, l’uomo
intrattiene un rapporto col suo essere, che è l’esistenza. Ma già il Medio Evo
l’aveva pensato, nell’haecceitas, la
singolarità dell’esistenza: Individuum
est ineffabile. Dio anche è ineffabile, come la verità. Dio non esiste in
realtà se non filosoficamente – gli altri sanno che esiste. È la filosofia che
la fede separa dalla ragione, la scienza dalla fede. Ma Heidegger, arrivato al
bordo del nulla, riporta il mistero nella ragione – come Popper nella scienza.
Rovesciano la prova di Locke, “non ne sapremo mai abbastanza per affermare che
Dio non può infondere il sentimento e il pensiero nell’essere chiamato Dio”,
avendo perduto la “fede nella ragione” – noi non sappiamo abbastanza nemmeno
della ragione.
Santità
– “Grande
idea”, dice Hebbel nel “Diario”, “della religione cattolica che gli uomini importanti siano qualcosa agi occhi della
divinità, e possano influirvi con la mediazione”. Di più: è santo chi lo vuole.
La santità è un esercizio di volontà costante, senza debolezze. Dei forti, san
Paolo, sant’Ignazio, come degli umili.
Scienza -
È il
moto perpetuo – una forma di. Il sapere è creazione di altro sapere. Lo
moltiplica. Perché il sapere dovrebbe essere risolutivo (compreso il sapere di
non sapere)?. La soluzione sarebbe la fine – lo stato fisico della quiete (una
morte, la morte).
Speranza
– È del
tutto irragionevole.
Niente di più irragionevole, ed ineliminabile.
Suicidio - In antico la colpa portava al
suicidio. Poi, con metodo cristiano, al pentimento e alla penitenza.
Ovidio
ha l’empio che si sbrana “con morsi spietati” - e “così lo sciagurato le sue
membra smagrendo nutriva”. Ma fino a un certo punto evidentemente.
È l’autofagocitazione,
come modalità di suicidio, suggestiva e non reale? Non solo Erisittone, ogni
uomo morde incontinente se stesso.
I manuali repertoriano il
suicidio per protesta, quello conformista, e quello da malinconia.
Fiorì a Cirene di Libia, in
tempi remoti, una scuola di filosofia il cui titolare, Egesìa detto Peisithànatos,
l’imbonitore di morte, un edonista, era tanto bravo a esporre la bellezza del
“darsi vinti” che i suoi allievi, uscendo, andavano a uccidersi - la scuola
dovette finire presto. È la rivincita, argomentava Plinio, o Seneca, dell’uomo
su Dio, che nella sua onnipotenza resta immobile. Ma Dio non c’entra, spiega
Boris Vian: “Dio non ha interesse che per i preti e chi ha paura di morire, non
per quelli che hanno paura di vivere” - e del resto “Dio non serve a niente
quando è degli uomini che si ha paura”.
zeulig@antiit.eu
La stupidità è una lingua
Marrone,
studioso a Palermo di Montalbano, il commissario, come Eco lo fu di Mike
Bongiorno, non ha paura di essere intelligente con la stupidità. Ma si guarda
le spalle. Il suo tema è “Stupidità e scrittura”, così si intitolava in origine
il libro, vent’anni fa. Lo ripubblica sopraffatto dalla stupidità che ci ha
invaso coi new media, la
stupidità, si sa, è “relazionale”. Ma, poi, vi si avventura poco. È indeciso, la novità in realtà lo affascina.
Il grosso
del lavoro è la riproposta degli scrittori rinomati che si sono esercitati in
argomento: il filone di Giufà, Flaubert, Musil, Adorno, Barthes, Deleuze, Eco,
Sciascia – manca Jean Paul, che è il più divertente. Un’ossessione per Sciascia
- il terrorismo liquidò in tv dopo il rapimento di Moro, sbuffando per
l’indignazione, con due parole: “Sono stupidi!”. Uno spasso per Eco, dal
“Pendolo di Foucault”, qui trattato a lungo, al “Cimitero di Praga”.
Alla fine la stupidità è assolta: è un fatto linguistico. Lo è
Giufà, lo sono i luoghi comuni di Flaubert, il totalitarismo di Adorno, il
signor Chance di Kosinsky (“Oltre il giardino”), il complottismo di Eco e
Sciascia. Notevole Deleuze: la bestia, bête in francese, non è soggetta alla
stupidità, bêtise.
Il capitolo più promettente è rimasto nella penna: la “Ricerca” di
Proust come “un’interminabile galleria di stupidi” (p.46). Anche il
“transpolitico” di Baudrillard prometteva bene – che sa di “trans”, senz’altro:
la stupidità è “l’anomalia, ossia una difformità senza conseguenze, senza più
alcun carattere di sfida o di trasgressione” (siamo tutti trans-stupidi?).
Gianfranco Marrone, Stupidità,
Bompiani, pp. 166 € 12
domenica 23 febbraio 2014
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (198)
Giuseppe Leuzzi
“Amici” e “amici
degli amici” fanno molto Sud, e anzi mafioso. Ma ricorrono la prima volta in un
dramma della letteratura arcaica tedesca, opera di Roswita, che era una monaca.
“Society of Amici” si chiamava in Inghilterra un secolo fa, nel prestigioso Marlborough College, il club degli studenti più esclusivo
– di cui fu parte il famoso iconologo Sir Antohny Blunt, che fu anche spia di Mosca
durante la guerra e nella “guerra fredda”. È vero che l’italiano usava, fino a
qualche decennio fa, per i rapporti informali, una sorta di latinorum
semi-goliardico. Lo stesso Blunt fu membro a Cambridge, con altre spie, dei
Cambridge Apostles, o “Conversazione Society”.
A
Casalnuovo di Napoli, 50 mila abitanti, due terzi dei quali arrivati negli
ultimi trent’anni con la camorra e le costruzioni abusive, un consiglio
comunale sciolto per camorra, un pizzaiolo si uccide disperato per una multa di
dodicimila euro degli ispettori del lavoro. Da pagare entro il mese, pena la
chiusura e una denuncia penale. Non aveva fatto il contratto alla moglie, che
gli ispettori hanno trovato dietro il bancone della pizzeria. Poi dice che le
mafie prosperano per l’assenza di giustizia.
Spatuzza,
supertestimone al processo romano sulle mafie di Ostia, non convince. Parla di
cose di vent’anni fa, e poi l’uomo è quello: ha fatto tutto lui. Per
riaccreditarlo, il pm Ilaria Calò deposita il suo curriculum. Il cv del
pentito, questo mancava.
La Calabria al governo
La
Calabria ha rischiato di avere ben due ministri nel governo (quasi) più
ristretto della Repubblica. Due ministeri importanti. Come la Lombardia. Forse
per non averne avuto nessuno da ormai una trentina d’anni?
La
Calabria ha rischiato di avere due ministri perché Renzi sapeva cosa faceva? O
perché non se ne curava? Ha telefonato a Gratteri fra i tanti, e poi a Anna
Maria Lanzetta?
Mafie
Quanti
processi ha fatto Nicola Gratteri, e quanti libri? Libri invece di processi?
Dopo
il primo assassinio non c’è rimedio. Intervenendo
prima si può invece bloccare la devianza. I Carabinieri lo sanno, che tengono
d’occhio gli adolescenti – lo sapevano, quando uscivano dalla caserma. E disponevano
il carcere subito, invece della tolleranza, nell’attesa del ravvedimento. Molti
che sono andati in carcere giovani ne sono usciti rigenerati, tutti quelli che
s’incontrano. Sono artigiani, imprenditori, qualcuno anche artista. Benché obbligati,
prima di stringere un patto, a dichiarare: “Sapete, non ho il casellario
pulito”.
Temevano
i Carabinieri. E il carcere. Ora non più. Col carcere finiva tutto – quello che
non finiva con le guerre di mafie. Ora non più. Non c’erano mafie di
seconda generazione, ora sì. In Calabria anche di terza, Alvaro, Piromalli,
Pesce, De Stefano.
“Sciascia, della mafia, ci ha raccontato tutto
e niente: e la sua bravura è consistita più nel raccontare niente che nel raccontare
tutto”, Sebastiano Vassalli sul “Corriere della sera” oggi. Come dirlo meglio?
Sciascia
“non era un eroe, ma se qualcuno ha voluto credere che lo fosse glielo ha
lasciato credere”. Non essere un eroe non è una colpa, ma le cose bisogna
dirle.
Sciascia
“ha fatto il politico”. Questo è vero, anche questo.
L’odio-di-sé
Theodor
Lessing era un filosofo ottimista della storia. “La storia come conferimento di
senso a ciò che non ha senso” è il titolo della sua opera più famosa, 1919, appena
dopo la guerra orrenda – “Geschichte als Sinngebung des Sinnlosen. “Per Lessing
la narrazione storica trasforma l’accadere degli eventi, in sé totalmente
arbitrario, in un processo evolutivo di carattere razionale, nel tentativo di rendere
sopportabili le lacune e le sofferenze
del mondo reale attraverso la rappresentazione di processi tanto reali
quanto fittizi e illusori”, Andrea Tagliapietra.
Si
deve a Th. Lessing pure la categoria del Selbsthass,
l’odio-di-sé. Il filosofo la elaborò nel 1930 in riferimento agli ebrei, lui
ebreo. Agli intellettuali ebrei che si volevano antisemiti, imputando alla
religione, e in particolare all’ebraismo, che la religione lega alla razza,
l’origine dei mali nel mondo. Tre anni
più tardi, all’avvento di Hitler, Th. Lessing si rifugiò in Cecoslovacchia, a
Marienbad. Ma tre tedeschi di Cecoslovacchia lo uccisero, il 30 agosto, e poi
tranquillamente emigrarono al sicuro in Germania.
Non c’è un Nord al Sud
Il
Sud è stato ed è molto vissuto al Nord, l’Italia tutta, e il Sud in special modo
- a partire dalla Campagna Romana, che in Italia non si sa nemmeno cosa sia.
Come la Provenza e la Francia tutta, o la Spagna. Mentre non c’è un Nord visto
dal Sud. Non con la stessa intensità, e comunque poco anche superficialmente –
il Sud è sbadato. Niente Germania in Francia, niente di paragonabile alla
Parigi di Walter Benjamin. Così come non c’è stato e non c’è in Italia niente sulla
Germania di lontanamente paragonabile al “Viaggio in Italia” di Goethe”. Ai
viaggi degli artisti, i pittori specialmente, e gli scultori. Ma anche a quelli
dei letterati: i fratelli Mann si formarono a Palestrina – anche se a Thomas il
ricordo restò indigesto. Negli studi storici, niente di paragonabile a Gregorovius,
a Bachofen, a Burckhardt: che ne sappiamo noi della storia tedesca? Tardi ancora nel Novecento letterati e artisti
del Nord hanno cercato ispirazione e “aria respirabile” a Sud, Böcklin, Norman
Douglas, Escher.
Il
disprezzo del Sud da parte del Nord è opera del Sud probabilmente. Neghittoso, vendicativo,
pulcioso. Dopo l’emigrazione – che è per i soggetti un evento fausto, ma per la
sociologia infausto. E – in Italia – dopo l’unità: la focalizzazione Nord –Sud
si è creata con l’unità, impregnando poi dei suoi veleni ogni Weltanschauung, ogni stereotipo di gazzettiere,
anche la predica del parroco.
leuzzi@antiit.eu
La terra bruciata dall’indignazione
Don Patriciello, l’autore del libro
documentario, è come se volesse fare della sua parrocchia a Caivano, tra Napoli
e Caserta, un luogo maledetto. Non uno di speranza, come si penserebbe di un
vangelo. Doppiamente anzi maledetto: il “luogo dei Casalesi” ha ribattezzato “Terra
dei Fuochi” e vuole che sia appestata, da rifiuti tossici e quant’altro.
Non si può criticare uno che lotta contro
la camorra, e dunque non lo si critica. Un prete, per giunta. Ma perché non
dire la verità sulla “terra dei fuochi”? Sulle discariche abusive. Il prete che
si effigia in copertina con la croce non fa invece che avallare le bufale di un
pentito, Schiavone. Un pentito “vecchio” per giunta di vent’anni. Cha danna una
terra, la sua terra, di don Patriciello, dicendola ricettacolo di veleni. Per
trovare i quali milioni si spendono che avrebbero potuto essere altrimenti
impiegati, per ricerche fantasmatiche coi droni dell’esercito (o dell’aviazione),
le autoblindo in missione spesata, gli innumerevoli appalti a ditte che (non)
scavano, comunque non trovano, e il rifiuto di sé, delle mamme e i loro figli,
nell’isteria. Contro ogni evidenza. Contro la speranza - don Patriciello, che ha
avuto l’altro ieri due morti per strada, sparati e bruciati, ieri ha celebrato
Rocco Hunt, il vincitore giovane di Sanremo, per la canzone “Nu jurno buono”, che
dice : “Noi siamo la terra del sole\ non la terra dei fuochi”, ma basta? E alla
fine senza colpevoli.
La camorra è camorra, don Patriciello, che
vive a Caivano, dove i boss si uccidono e si bruciano per strada, dovrebbe
conoscerla. Gli agricoltori sono invece agricoltori. Spesso sono poveri, ma l’agricoltore
che avvelena la sua terra è del tutto inedito.
Maurizio
Patriciello, Vangelo della Terra dei fuochi, Imprimatur, pp. 136 € 14