astolfo
Concilio – Se ne celebrano
i cinquant’anni in gloria. Uno dei suoi protagonisti, Yves Congar, ne aveva
opinione diversa. “Mon Journal du Concile”, l’opera che volle postuma, da
pubblicarsi, prescrisse, “dopo il Duemila”, annota a maggio del 1964: “La
Congregazione degli Studi (al Vaticano), con l’imbecille Pizzardo, Staffa e
Romeo, è la concentrazione di cretini più caratterizzata”.
Il cardinale Pizzardo era contrario ai preti operai. Mons. Staffa,
che Paolo VI farà cardinale dopo la chiusura del concilio, si ricorda per aver
fatto erigere una cattedrale in nome di un nipote, e essersi fatto erigere un monumento
funebre al modo delle grandi famiglie del Rinascimento. Di Romeo c’è solo uno,
che sarà cardinale di Palermo, e non molto gradito allo stesso Giovanni Paolo
II che l’aveva ordinato – ma all’epoca di Congar, se era lui, era stato da poco
ordinato sacerdote.
Yves Congar era un cardinale francese, molto modernista, e molto
influente nei lavori del Concilio, come consultore anche di molti cardinali, e
redattore di molti testi (lui stesso ne fa l’elenco nel “Diario”). Redasse il diario
in forma molto faziosa, per nulla conciliare. Ma, a distanza, più veritiero che
polemico.
Eurasia
–
È la rivista di Claudio Mutti, anti-israeliano, ex gheddafiano. Propugna le
idee di un forte filone politico della cultura russa, che fa capo al filosofo
Aleksandr Dugin. Un’idea che è, o avrebbe dovuto essere, il pilastro della
terza presidenza Putin. Il quale, subito dopo l’elezione, aveva anche indicato
nel 2015 il decollo pratico dell’idea, con un’unione doganale con i paesi del
Centro-Asia. In armonia con la Cina da un lato, e l’Unione Europea dall’altro.
Dugin, già animatore venticinque anni
fa di un Fronte di Salvezza Nazionale contro il liberismo di Yeltsin, quindi collaboratore
di Zjuganov per il nuovo partito Comunista, e infine, nel 1994, fondatore di un
partito Nazional-Bolscevico con Limonov, ha posto la sede del suo movimento a
Astana, la capitale del Kazakistan, che il padre della patria Nazarbayev ha
proclamato la capitale dell’Eurasia.
Il fondo culturale è la comunanza
di destino delle popolazioni europee con la “grande madre” Asia. Per una sensibilità
umana e sociale che si vuole non mercantilistica – non americana, non
occidentale (non “semitica”?).
Il progetto politico è sempre
stato russo, poiché vede la Russia come perno della sua proiezione.
La teorizzazione geopolitica dell’Eurasia
è invece anglosassone. Opera di Halford Mackinder, studioso britannico (1861-1947)
e Nicholas John Spykman (1893-1943). Americano, sociologo studioso di Simmel, e
geopolitico, Spykman viene citato nelle storie della guerra fredda come il teorico
che consentì la politica di containment.
Aggiornò la teoria di Mackinder, dell’Eurasia come heartland
o “isola mondo”, ponendo in rilievo invece l’accesso allo heartland, e cioè il rimland,
o bordo esterno di confine, la fascia marittima che delimita l’“isola mondo”.
Come zona di scontro e insieme di mediazione. Forte della sua superiorità tecnico-culturale,
per una maggiore agilità e apertura mentale, e per maggiori contatti con l’esterno,
rispetto allo heartland continentale.
Al termine della guerra fredda
Spykman è stato riciclato a tutore di una diversa strategia mondiale. Che
avrebbe dovuto vedere ora gli Usa impegnati nel rimland per contenere le spinte egemoniche continentali, della
Germania, della Russia, della Cina. Quindi nel Mediterraneo, nel Golfo Persico
e nell’Oceano Indiano.
Resta da chiedersi chi è
Mackinder. Alla prossima.
Italiano
–
Un “tipo” molto ricercato, con innumerevoli esiti nell’“introvabile”. Mentre sarebbe
– è – ben caratterizzabile. Vittima, in parte, della pregiudiziale antilatina,
anticattolica, forte in Europa e in Occidente. Ma più della propria opinione,
la politica compresa, insieme ai media (le narrazioni, i commenti, e le stesse
cronache, che sempre sono scelte e “tagliate”). Introvabile, quando non
perverso, è l’italiano per se stesso – per coloro che gli fanno da specchio.
Un’opinione che non ha eguali in Europa per indigenza, nelle lingue e nei paesi
conosciuti. Nel bene (volemose bene) e nel male. Negli stereotipi e nelle frasi
fatte.
Commentando l’Oscar alla “Grande bellezza”,
Sorrentino ha notato che solo in Italia è stato visto come un film della
decadenza, dell’Italia, di Roma. Altrove dove è stato proiettato ha invece
colpito per la comune delusione delle situazioni e dei personaggi, tutti della
cultura o dello spettacolo, per la precarietà del successo, per il vuoto di un
certo modo di essere. In Italia forse ha toccato un nervo scoperto, ma più come
dato “caratteriale”, per la voglia di piangersi addosso, che per la situazione
di fatto. Per virulenza antinazionale l’opinione italiana se la batte con l’opinione tedesca. La quale però è un gioco, non
intacca il forte senso della nazionalità che i tedeschi mantengono, mentre in
Italia è insidiosissima – e vuole esserlo, dietro la faciloneria e la scarsa
applicazione. Di Bossi coe ora di Grillo.
Si vedano gli stereotipi e le
frasi fatte. L’italiano è statalista (il “posto”), maschilista, sessualmente
represso, evasore fiscale, prepotente, disobbediente. Mentre tutto il contrario
si repertoria. Molta iniziativa, molta più che altrove. Una condizione in tutti
i sensi dominante della donna, in casa e fuori casa. La concezione di fatto
meno repressa e deviata del sesso. Di pazienza infinita con gli infiniti
soprusi del fisco. Di pazienza infinita con gli infiniti soprusi sbirreschi
L’italiano ha uno Stato che non
esprime e che lo tormenta. Ma questo non è a lui imputabile, bensì a chi l’ha
fatto – l’ha costruito e lo impone, in buona misura per forza d’inerzia
(autopropulsione). L’italiano è vittima di uno Stato indigente, e di un’opinione
a esso conforme, piena di pregiudizi e idiozie. Il problema semmai è che l’italiano
è troppo mite per liberarsene, come dovrebbe.
Moneta
–
Quella virtuale subito riporta alla magia. Ora, nel caso di bitcoin, la moneta
virtuale divisata e lanciata da un nippoamericano di famiglia samurai,
riservato e devoto, Satoshi Nakamoto. Come già la moneta virtuale dell’“economista” del Credito Sociale, il maggiore Douglas,
e di Alfred Orage (che molto influì su Pound, il poeta). Col “bisogno” di lavorare meno, e il “salario di cittadinanza”,
la distribuzione del reddito disponibile in base ai bisogni e non al profitto.
Le teorie di base del Credito Sociale erano all’epoca, tra le due guerre, fulcro
anche di un pilastro della scienza economica, “L’economia del benessere” di
Pigou. Al maggiore Douglas si deve anche una disamina molto contemporanea della
finanziarizzazione.
La ricerca di
un’economia sostenibile non è di oggi, anche se velleitaria. Era un’utopia
esoterica, quella di Douglas e Orage, confinante con Uspensky e Gurdjieff,
anche se Keynes dovette occuparsene. Ne saranno influenzati Pound e l’economia
dei “Cantos”, estetica e scientifica. Orage anticipò anche di un secolo l’Età
dell’Acquario e il New Age, con la rivista ”The New Age”, che fondò nel 1909 e
diresse fino di 1922, potendo contare sulla collaborazione di Chesterston,
Hilaire Belloc, G.B.Shaw, Katherine Mansfield, H.G.Wells, Ezra Pound. Nel 1932
fondò un’altra rivista, “The New English Weekly”, che gli
sopravviverà di sei anni dopo la morte nel 1934, fino alla guerra, ricca
anch’essa di collaboratori di prim’ordine, T.S.Eliot, Dylan Thomas, Orwell,
Lawrence Durrell, e Pound, che vi pubblicò oltre 180 “pezzi”. Orage pagava
i collaboratori, anche bene, fu il primo traduttore di Nietzsche in inglese,
introdusse Freud nella pubblicistica inglese, nel 1912, fu teorico, prima di
aderire al Credito Sociale, del Guild Socialism, il socialismo corporativo –
“The New Age” fu finanziata per questo da Shaw.
Politica estera – “La discussione sull’Ucraina
è tutta sullo scontro. Ma sappiamo dove stiamo andando? Nella mia vita, ho
visto quattro guerre iniziate con grande entusiasmo e sostengo pubblico, le quali
tutte non sapevamo come finirle e da tre delle quali ci ritirammo
unilateralmente. La prova di una politica è come finisce, non come comincia”. Henry A. Kissinger, “How the Ukraine
Crisis ends”, “The Washington Post”, 5 marzo.
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