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sabato 12 aprile 2014

Secondi pensieri - 172

zeulig

Esilio – È privazione o arricchimento? E più dell’una o dell’altro? Di Adorno, “Minima moralia”, che si può dire un’autobiografia scritta in esilio, il sottototitolo, “Reflexionen aud dem beschädigten Leben”, è tradotto “sulla vita offesa”, mentre sarebbe piuttosto “mutilata”: da una vita troppo ordinata – “amministrata” dice Adorno. La vita trascorre entro forme preordinate, entro “case” già costruite, argomenta. Anche il linguaggio – un gergo precotto. Erano gli anni, dopo la guerra, in cui si rifiutava l’“integrazione”, fosse essa un lavoro stabile, una residenza stabile, una famiglia immodificabile, una nazione, una cultura – forse perché le possibilità erano soverchianti di fruire di tutto, lavoro, casa, affetti, mondo. Compito dell’intellettuale Adorno vi dice il rifiuto dell’integrazione: “È compito etico non essere a casa in una casa”.

Eucosmia – Ricorre in Marc’Aurelio, “Ricordi” IV, 3,2, l’accordo dell’uomo con la natura, che sembrerebbe l’argomento nodale della filosofia, era ed è rimasto il più trascurato – il concetto e perfino la parole. Trascurata la parola e anche il concetto.

Misologia – C’è in Kant accidentalmente (“Fondamenti della metafisica dei costumi”,  ma persuasivamente. Rifacendosi alla ricerca del piacere, Kant constata che le delusioni spesso portano alla misologia, al disprezzo della ragione. Platone e Hegel la giustificano criticandola. Platone la addebita ai giovani smarriti agli argomenti e controargomenti che Socrate suscita nel “Fedone”, come se fosse una colpa loro e non dell’argomentare evidentemente non evidente. Hegel la pone a segno della pochezza dell’argomentare di chi rifiuta il pensiero dialettico – di coloro che si rinchiudono nel “pensiero immediato”.

Piacere – Spinoza lo vuole masochista: “I piaceri contengono il loro proprio castigo”. E così pure, alla fine, gli onori, per i quali “bisogna necessariamente regolare la propria vita secondo l’opinione pubblica”, e la ricchezza, vulnerabile. Per un meccanismo apparentemente incoerente. Tutta la felicità che i piaceri, gli onori, la ricchezza comportano, e i dispiaceri, “dipendono da una sola cosa,,  cioè dalla qualità dell’oggetto al quale ci leghiamo d’amore. Non nasceranno mai conflitti a causa di un oggetto che non è amato: nessuna tristezza se svanisce, nessuna invidia se lo si possiede, né timore né odio, in una parola nessuna emozione”.

Politicamente corretto – Reintroduce il razzismo biologico, per la “purezza” a cui pretende. La buona volontà non sempre esime da errori anche gravi: quanti delitti nel nome della eugenetica, la vita buona, dall’India alla Scandinavia.
In realtà è più scorretto che non: imponendo l’uniformità, alimenta la discriminazione. La separazione (distinzione, catalogazione) è un fatto ordinativo, la vita e il mondo sono per l’intercconnessione. La purezza sempre divide. O uniformità, che è la stessa cosa.
E i fatti. Il diritto delle minoranze diventa automaticamente protezione delle minoranze, anche di fronte al diritto. La sans papiers di Milano ha diritto a vivere di borseggi per venticinque anni: denunciata quaranta volte, può dirsi senza fissa dimora e essere rilasciata con una forma di protezione, che non le impedisce il borseggio.

Il fatto era già noto alla scienza politica e alla filosofia de diritto. A lungo si è discusso se mettere fuori legge il fascismo, il comunismo, l’antisemitismo. Lo si è fatto, ma sapendo che erano decisioni complesse. Oggi si procede spianando a bulldozer. Lo stalking come lo stupro, il complimento come lo stalking, la carezza come pedofilia - è successo a un padre siciliano in un resort controllato da vergini australiane. O si procede per opposti, sulla base di conveniente sistemiche, preconcette: il governo è fascismo, la polizia democratica.

Ragione – Quella illuminista finisce nel racconto filosofico, paradossale, burlesco, candido. Quella russoviana nel racconto fantastico. Tedesco, è vero, più che francese, ma contemporaneo dell’idealismo. È una ragione che fa il deserto attorno alla filosofia. A meno che non raccolga la sfida, e s’incorpori il fantastico e il ridicolo.

Realismo –  Si può dire Kafka realista? “Amo Kafka perché è realista”. È un Calvino scherzoso che lo dice (“amo Balzac perché è visionario”), ma lo scherzo è a monte. Il realismo letterario viene dal reale filosofico, e dunque? A  meno di non ridurlo al bisogno del povero – di soldi, di salute, di spirito.

Scienza – Scopre, sa, da “so, sapere” – mentre quando era greca, epistéme, s’intendeva fare fronte”. Ma questa età della scienza, la nostra, è singolarmente sterile – a parte reinventare lo spazio e il tempo, inavvertitamente, col protocollo internet. La fisica teorica deve ancora “scoprire” Einstein, con tutta la complessità, il caos etc. La fisica subatomica è il big business del niente – a parte le carriere dei “particellari”.

Stupidità – Seneca la vede una mancanza proiettata sul futuro - “Epistole”, 15: “La vita dello stolto è penosa e agitata, tutta si traspone sul futuro” (Stulti vita ingrata est, trepida est, tota in futurum fertur). O non piuttosto è lo stolto assiso placidamente su se stesso, sul passato?

Suicidio - Il suicida di Borges è molto peno di sé, che dice: “Lascio il nulla a nessuno”. Ovidio ha l’empio che si sbrana “con morsi spietati” - e “così lo sciagurato le sue membra smagrendo nutriva”. Ma fino a un certo punto evidentemente. È l’autofagocitazione, come modalità di suicidio, suggestiva e non reale? Non solo Erisittone, ogni uomo morde incontinente se stesso. Ma sui legami tra narcisismo e suicidio Paul Mathis ha potuto scrivere un libro, “I percorsi del suicidio”.

Wittgenstein, dei cui quattro fratelli tre si suicidarono e uno, il primogenito molto amato, pianista avviato, tornò dalla guerra senza un braccio, lo dice illecito: “Se è lecito il suicidio, allora tutto è lecito. Se esiste qualcosa che non è lecito, allora il suicidio non lo è”. Oppure no: “Oppure il suicidio in sé non è né buono né cattivo”.
Il fatto è oscuro per Wittgenstein in quanto “esso getta una luce sull’essenza dell’etica. Poiché il suicidio è, per così dire, il peccato fondamentale. E quando lo si interroga è come se si interrogasse il vapore di mercurio per capire l’essenza dei vapori”. Sfugge.
Il suicidio è problematico (per l’etica, il diritto, i rapporti umani), non è un “atto” isolato. Lo è testualmente, ma la vita non è un fatto isolato.


Gli stoici lo legano alla vita felice. Baudelaire dirà lo stoicismo una religione con un solo sacramento, il suicidio. Fra gli stoici suicidi merita speciale menzione Seneca, che filosofò l’etica austera ma accumulò ricchezze in Britannia col prestito a usura.

zeulig@antiit.eu

Il re dell’elusione

Non si salta nulla, Calvino è sempre lieve, quasi sempre. Ma alla fine con un gusto amaro: di che stiamo parlando? Di letteratura? Del romanzo, che sarebbe impossibile (per Calvino)? Dell’uso di “cosa” invece di “che cosa”? Del fantastico italiano che sarebbe il meraviglioso francese. Con dieci pagine sul Gruppo 63, un’avanguardia che era di signorini in cerca di visibilità e collaborazioni, forse cinque pagine, ma sembrano tante?
Calvino ci vedeva bene, ma se ne guardava anche bene, di dire le cose come stanno. Si può dire anche lui un re dell’elusione – di cui intrattenne un vecchio numero di “Granta”, 1996, tema il crimine, con a fronte una foto allusiva di Andreotti. Qui lo dice anche: l’Italia è un paese di “storie misteriose”, oscuro. Senza cause e senza colpe.
Italo Calvino, Mondo scritto e mondo non scritto

venerdì 11 aprile 2014

La Via della Seta bypassa l’Ucraina

C’è il nuovo sistema ferroviario transatlantico dietro le annessioni e le pressioni di Putin sull’Ucraina? È possibile: la Via della Seta, come il progetto è stato nominato, il perno della politica eurasiatica di Putin, che a sua volta è la sola iniziativa politica che Mosca ha in atto, doveva coinvolgere l’Ucraina. Come ultima tratta per lo sbocco del sistema nell’Europa occidentale.
Il sistema di trasporto ferroviario veloce doveva finire in Europa con una biforcazione, una a Nord attraverso la Bielorussa, verso la Polonia, gli Stati baltici e Londra, e una a Sud attraverso l’Ucraina. La Bielorussia ha già aderito all’Unione doganale euroasiatica di Putin, l’Ucraina a questo punto non più. Ma potrebbe ugualmente servire come via di attraversamento la sua fascia meridionale, da Donetzsk a Odessa, di popolazione a maggioranza russa. 
Il terminale a Est sarà a Lyangyungan, un nuovo hub container in via di completamento in Cina. A Ovest si dà come terminale Londra, dove il porto container sul Tamigi “London Gateway”, appena completato da Dubai World, il fondo sovrano dell’emirato, può accogliere i più grossi trasporti. Ma i veri terminali saranno sul continente: hub multimodali di distribuzione sono previsti a Duisburg, sul Reno, a Lodz, al centro della Polonia, e a Pardubice, nella Repubblica Ceca.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (203)

Giuseppe Leuzzi

“Da due secoli l’Irlanda è governata male, come la Sicilia”, rilevava Stendhal, “Dell’amore”, 1822: “Entrambe governate da pazzi a vantaggio di un’esigua minoranza”. Meglio la Sicilia, dice Stendhal, c’è il sole.

“Alla melanese” è, secondo Boccaccio, intendere male o non intendere, tipico della gente “grossa”. A loro contrapponeva la gente “sottile”, quella che capisce. Per migliorare ed estendere lo stesso commercio, del resto, Boccaccio andò a Napoli e non a Milano. Dal Trecento a oggi, quanti secoli sono passati?

Come già John Gotti a New York, la prima vittima del pentitismo, questo Riina che si fa straparlare in carcere è di nessuna “serietà”: continenza, consistenza, ingegno. I Riina come John Gotti sono terribili in scena, truculenti, smisurati, e ugualmente ridicoli fuori scena, abbandonati al trovarobato  delle cronache povere. La mafia è l’opera dei pupi della malvivenza.
La mafia è la Sicilia: un linguaggio scomposto, di marionette sfuggite al teatrino.

Sono due anni, di più, che la famiglia Bossi fu scoperta aver sottratto 40 milioni dalla cassa della Lega, e niente, nessuna incriminazione. Un cifra enorme. Di soldi dello Stato - erano rimborsi elettorali. Con fattispecie di reato abnormi, come la truffa ai danni dello Stato, e l’aggravante dell’associazione. Ma niente.  
Dice: la Procura di Milano va coi piedi di piombo. Con alcuni no e con altri sì?

E se Bossi fosse stato calabrese? Subito avevano tentato di addossare tutto a Rosy Mauro, che per colorito e nome prometteva, magari di seconda o terza generazione. Ed è l’unica, lì, che non ha rubato.

L’Europa salvata dal Mediterraneo
“Cosa potrebbe conciliare gli europei con l’Europa? Un  anticentralismo. L’ibernazione della nostalgia etnico-nazionale in tutte le sue forme. Un riavvicinamento e un ritorno alla bellezza delle regioni. Il sentimento mediterraneo. La capacità di affrontare in modo non sgradevole il caos della vita. Di rispettare la natura interna ed esterna. La coesistenza con l’altro, lo straniero, per cercare il proprio arricchimento”. Ulrich Beck, sociologo politico tedesco, forse il più prestigioso, in cattedra alla London School of Economics, da tempo analizza l’involuzione e la disarticolazione dell’Europa sotto il teorema dell’“egemonia”, il disegno a cui la nuova Germania riunificata impronta la sua azione in Europa. Ne  diffida. Mette a repentaglio l’Europa, e la Germania stessa, argomenta nell’ultimo libro, “Europa tedesca”. Ora, su “la Repubblica” di ieri, propone un antidoto. Sotto il titolo “Dante e Mozart, il futuro riparte da loro”, propone in realtà un “modello mediterraneo”, di modi di vivere, storia e istituzioni.
Beck si rifà a Camus: “Dalle coste dell’Africa, dove sono nato, si vede meglio il volto dell’Europa. E si sa che non è bello”. E ad altri nomi meno noti. Michael Chevalier, che ipotizza un “letto matrimoniale mediterraneo”, nel quale Est e Ovest, Nord e Sud si congiungerebbero. Iris Radisch, la giornalista culturale vedette della “Zeit”: “Il pensiero mediterraneo regionale e confederale è sopravvissuto alle grandi ideologie nazionali e politiche, e forse è la sola utopia sociale del XXI se colo che ancora abbia un futuro”. Gabriel Audisio: vivere bene e morire meglio. Ma è il “pensiero meridiano di Franco Cassano che cita senza saperlo.
I Gabriel Audisio sono due. Il primo, francese d’Algeria, figlio di italiani emigrati dal Piemonte, fu poeta, autore di “Jeunesse de la Méditerranée”. Il nipote è storico del Midi della Francia. Chevalier, Michel di fatto e non Michael, statista e economista della Francia di Luigi Fiippo, era teorico di un’Europa latina, estesa al Sud America, contro “l’Europa teutonica”, “l’America anglo-sassone” e l’“Europa slava”.

Calabria
“In Calabria il figlio intraprendente si fa prete, fa carriera, e fa sposare la ragazza da lui scelta a suo fratello”: lo assicura Stendhal in uno dei suo ta
nti tentativi di scrivere un “Napoéon”. Con finale a sorpresa: “Se questa donna fa poi una scelta fuori della famiglia, per il temerario c’è un colpo di fucile. Questo uso è costata a vita a duecento ufficiali francesi”.

Potrebbe essere la capitale mondiale dell’olio. Seconda, diciamo, dietro alla provincia andalusa di Jaen, che con i suoi 550 mila ettari produce da sola più olio d’oliva di tutta l’Italia. Però più spettacolare, con le selve circostanti di ulivi giganti secolari. Col mare. E col superporto. Piena di frantoi, magazzini, depositi, venditori, compratori, marchi, fiere, mostre, vettori, trasportatori…, Una miniera. Invece Gioia Tauro si vuole feudo dei Piromalli, o chi altro comanda adesso il fronte mafioso.

Anche le banche, gli uliveti secolari consigliano di abbatterli, per vendere il legname e rientrare. Quando si dice lo sviluppo: è come tagliarseli.

Prima delle cosche Piromalli, quaranta-cinquant’anni fa, facevano a Gioia Tauro il commercio dell’olio e dell’abbigliamento gli amalfitani. Piace pensarli arrivati coi normanni, quando gi agenti del papa nel 1139 abbatterono la Repubblica marinara. Da Mileto, qui vicino, la prima capitale del Regno del Sole, dove si erano accampati per guatare di fronte la ricca Sicilia che concupivano. Poi gli amalfitani sono comparsi, anche dall’elenco telefonico, eccetto un paio – qualcuno di cui si dice che in realtà si legge Piromalli.
Ci sarà allora un momento in cui scompariranno i Piromalli. Fra otto secoli?

Furti, rapine, grassazioni, “dispetti” o “avvertimenti” (incendi, bombe, tirassegno) sono normalmente impuniti. Anche se denunciati – denunciarli è inutile, bisognerebbe portare i malviventi per la collottola in caserma, e questo non si può  La forza del delitto è l’impunità.

Un discorso non è mai preciso, né compiuto: prevale la “fuga” adolescenziale. Piena di particolari inutili, e inconclusiva. Si parla come facendo un passo indietro, per ritrarsi o proteggersi da qualcosa.

Un catamarano costruito con mille cure sulla spiaggia di Bova, varato con una complessa operazione,  e portato a Reggio per le immatricolazioni, viene lasciato sei mesi al porto per le pratiche, che sempre ricominciano. Proprio dove, si scopre, butta a mare la fogna del popoloso rione Santa Caterina. Dopo due mesi, la bella imbarcazione era già sommersa dai rifiuti e dalle alghe. A Reggio che ha ora la “vocazione turistica”.

Reggio ebbe vent’anni fa 600 miliardi per rifarsi il fronte mare. Ma non si rifece prima le fognature.

Molto rumore a Verona sul fatto che il sindaco Tosi ha un amico calabrese, un imprenditore. E che almeno una volta è andato a trovarlo a casa sua in Calabria. C’è qualcosa di losco, si scrive e si fa scrivere, ma senza dire che.
L’unica cosa certa è che Tosi ha un amico calabrese, cioè mafioso. La riprova è che il Procuratore Capo di Catanzaro dice l’imprenditore “borderline”. Una volta che l’ha denunciato, è stato assolto.

L’ultimo Procuratore Capo che invece ripulì Verona dalla corruzione e da ogni altro crimine, compreso il mercato della droga, Guido Papalia, era calabrese. Succedeva vent’anni fa. Ora sarebbe stata una colpa. 

leuzzi@antiit.eu


Già Dante era francescano, e pitagorico

“Dante fu eminentemente «geometrico”, numerico, simmetrico, gematrico anche: “Egli ricordava che «sempre la divinità geometrizza» e tutto il poema compose secondo una mirabile geometria”.
Su questa premessa, l’autore procede su terreno solido. Senza scandalismi, con riferimenti sicuri.
Una ricerca anteguerra, insuperata. La bibliografia si ferma al 1940 – di nuovo c’è peraltro solo Patapievici. Il filone, aperto da Petrocchi, sembra essersi esaurito. Geologo e paleontologo, cultore dilettante di Dante, Vinassa de Regny ne fece la sintesi negli anni 1930. Sulla scia di Foscolo e di Pascoli, con Valli, col plauso di Papini (ce ne sono echi nel suo “Dante vivo”).
Il suo è il repertorio anche più vasto. Si parte dalle simmetrie della “Vita nova”. La costruzione è indubbiamente simmetrica: “Si hanno prima dieci sonetti e brevi ballate, poi una canzone, poi altri quattro sonetti, infine una canzone mediana di importantissimo argomento”; a specchio “seguono, simmetrici, altri quattro sonetti, poi ancora una canzone e finalmente, per terminare, un’altra serie di dieci sonetti o brevi componimenti”. La successione è “assolutamente simmetrica”: 10 + 4 + 1 + 4 + 10. È eminente “mistico numerista” san Bonaventura. Si vuole Dante tomista, osserva Vinassa de Regni di passaggio, il che è vero ma non del tutto: “Egli è anche tomista; ma quando occorre si distacca dall’Aquinate”. In particolare nel “Purgatorio”: “Tutto procede secondo la dottrina francescana e più specialmente bonaventuriana, che è in contrasto con quanto afferma l’Aquinate”.
Dante è “eclettico”, come sant’Agostino. Non si saprebbe però separarlo dalla tradizione religiosa: molte derivazioni sono possibili, ma questa, uno sradicamento, è impossibile. Carducci ebbe a dire Petrarca “un devoto” e Dante “un credente” con apprezzabile mira, da laico sapeva distinguere.
Vinassa de Regny  è anche singolarmente acuto per questo aspetto, la lettura “religiosa” di Dante. Prima e dopo avere spiegato, con ricorsi biblici e patristici, che il numerismo non ne faceva un eretico: “Adoperando il numero, non ebbe affatto l’idea di nascondere in esso qualcosa d meno che ortodosso”.
Semplice e precorritore invece, contemporaneo, il ragionamento sulle tante donne di Dante . Era un libertino? Un ipocrita? Un arcade? No, Beatrice è la Chiesa. Che a un certo punto Dante fa morire per innamorarsi della Filosofia - un’altra donna. Esercizio pericoloso (“Cecco d’Ascoli settantenne vien bruciato vivo non volendo rinnegare la sua misteriosa donna”) ma evidentemente comune. Con la più convincente (sobria) trattazione dei Fedeli d’Amore – Boccaccio compreso.
Una trattazione rispettosa. Perfino semplice, nell’inevitabile ripetitività – i numeri sono sempre quelli..
Paolo Vinassa de Regny, Dante & Pitagora. La rima segreta in Dante, Guaraldi, pp. 319 € 19,90.

giovedì 10 aprile 2014

Ma che ci raccontano?

Uno legge Bini Smaghi, che pure è stato e si vuole europeista, e ci resta male, malissimo. Forse per la deformazione del banchiere, dà una versione della crisi finanziaria dell’Italia che più antieuropeista non si può. Piena di pregiudizi e ultimatum. Che però lui non capisce.
O forse il difetto è nel suo “visto dall’estero”. Vista dall’estero, l’ex banchiere della Bce dice convinto, la crisi dell’Italia è tutta colpa dell’Italia – dopo aver descritto le incredibili manovre della Bce che scatenarono la speculazione contro il titoli del debito italiano. E Bini Saghi non è il peggiore. Insomma, è stato pur membro del direttivo della Bce, presidente della Sace, ora pare sia un boiardo di Stato, dovrebbe essere uno che se ne intende. Lui come gli altri italiani che ci guardano dall’estero. E invece.
Si prendano i corrispondenti in Germania. Non sappiamo mai nulla di quanto accade in Germania, che ogni giorno è piena di cose. Non abbiamo mai saputo che avesse tutte le banche in crisi, tre o quattro al fallimento, e le abbia salvate coi soldi della Bce e nostri. Cose su cui Francoforte e Berlino non hanno taciuto, al contrario, hanno fatto grande rumore, l’opinione è libera in Germania. Solo sappiamo che Merkel accusa l’Italia (non lei, naturalmente: Weidmann, Schaüble, Stark), e che Merkel ha ragione.
Per non parlare di quelli di Bruxelles, che ormai saranno alcune centinaia. Ma sembrano quegli espatriati che odiano il paese d’origine. Ogni giorno sbrodolate a questo o quel minuto funzionario dei trentamila di Bruxelles, purché dica male dell’Italia, la prima sciocchezza che gli viene in mente. A volte se li inventano, pur di dire che l’Italia è merda.
Adesso ci raccontano pure che la Grecia e la Spagna stanno meglio dell’Italia… Povera Grecia! Ma come si fa? Forse non sono piccoli quisling, forse hanno bisogno d’imparare la geografia.
La cosa peggiore è che ci fanno odiare l’Europa.
La Grecia ha una disoccupazione al 27 per cento, in aumento, e i consumi in calo. La folla alla prima asta è stata un omaggio del mercato alla fata benefica Angela Merkel, alla sua presa di possesso magnanima del Partenone – remunerandosi peraltro a un comodo 5 per cento. Se crescesse a un patto annuo del 4 per cento, la Grecia ci metterebbe vent’anni per tornare ai livelli pre-crisi - cioè non ci tornerà mai.

Il mondo com'è (169)

astolfo

Balcanizzazione – È storicamente la deflagrazione del’impero turco, dapprima con la guerra russo-turca, poi con l’Italia, infine nella grande guerra. Completata nel 1918 dallo sfaldamento dell’impero austro-ungarico. È ritornata dopo il crollo del Muro. In Jugoslavia. Nei contenziosi tra la Grecia e i suoi vicini al Nord. E ora in Ucraina. Con Moldova, Trasnistria etc. in lista d’attesa. Mentre la destra vincente in Ungheria vuole riaprire la questione della Transilvania rumena.
Si dice, sempre storicamente, espressione dell’immaturità politica delle popolazioni dell’area. Che sono in prevalenza slave. Mentre in realtà, in ogni crisi, fin dall’implosione dell’impero turco, e poi di quello austro-ungarico, è possibile tracciare pressioni interessate e forti dall’esterno. Nei trattati di Versailles ormai agli atti della storia. Nel post-Muro all’evidenza dei fatti. La spinta eversiva  stata dapprima europea, ora è congiunta Europa-Usa.
Essendo le popolazioni coinvolte in prevalenza slave, la balcanizzazione è da intendere più come un fattore di contenimento o aggressione a quella parte d’Europa che l’esito di un deficit di cultura politica e della convivenza. Giocata anche su fattori interslavi – la Polonia contro la Russia, per esempio. Ma sempre a fini imperialistici.

Compromesso storico – Scalfari, sostenitore del compromesso storico a partire dal 1978, tra i più espliciti , ne fa in “Racconto autobiografico”, pp.1111-112, questa analisi. Moro e Berlinguer erano d’accordo su una Grande Riforma, e sul fatto che essa “non si poteva fare senza lo sforzo congiunto dei due partiti popolari, la Dc e il Pci”. Moro, però, “rifiutò sempre la definizione di compromesso storico”, perché il suo progetto era all’opposto di quello di Berlinguer.
In effetti, al compromesso storico credettero soprattutto i neofiti – tra essi lo stesso Scalfari, che giunse, da leader laico, a celebrare come reali solo le due “subculure” confessionale e comunista. E dopo il 1989 il troncone principale, ma sbandato, del Pci. I democristiani, Moro come Andreotti (usò i governi della solidarietà nazionale, cioè i voti del Pci, per sconfiggere alle elezioni per la prima volta il Pci), e poi De Mita, e i postdemocristiani, fino a Renzi, non ci hanno mai creduto e non ci credono: niente compartecipazione.

Grande Riforma – Ne parla Scalfari in “Racconto autobiografico” come del disegno congiunto di Moro e Berlinguer. Che però, dice caratteristicamente, senza paura cioè della contraddizione, avevano idee opposte.
S’intende per Grande Riforma il progetto di riformare la costituzione per il rafforzamento dell’esecutivo e la semplificazione del legislativo. Che normalmente viene attribuito a Gelli, per squalificarlo. In questo senso Gustavo Zagrebelsky caratterizza su “Repubblica”, di cui è ora primo commentatore, la riforma che Renzi sta tentando. Come un disegno oscuro.
Questo era il progetto anche di Moro, dice Scalfari nelle memorie. Propendendo ora per Moro e non per Berlinguer. Ma è utile rileggerlo: “Moro pensava alla rifondazione dello Stato, Berlinguer alla costruzione di una società socialista”. Non era un divergenza da poco: “Moro rifiutò sempre la definizione di compromesso storico perché, al di là delle fumisterie con le quali gli esegeti berlingueriani cercavano di spiegarne il contenuto, aveva ben compreso di che cosa si trattasse”.  Impostare, invece della democrazia liberale, “una struttura organica nella quale il pluralismo degli interessi e delle opinioni fosse accolto e recepito orizzontalmente, dando luogo a sintesi via via successive che dal sociale arrivassero al politico, dalle associazioni e istituzioni di base a quelle di vertice”.
Può darsi che questa fosse l’opinione di Moro sulla Grande Riforma di Berlinguer. È infatti una fumisteria più di quelle degli “esegeti” – ammesso che non sia opera di Scalfari resipiscente invece che di Moro. Ma il seguito dell’analisi di Scalfari non è fumoso, delineando uno Stato corporativo, che in Italia vuole dire fascista – senza dirlo. Alla base  “istanze territoriali e istanze professionali”, che i partiti interpretano,  ma non più come forze contrapposte, incarnazioni di idee o ideologie, bensì come produttori di consenso:  organismi di canalizzazione dell’opinione “verso la nuova struttura compromissoria o consociativa che dir si voglia”. Senza più “la distinzione dei ruoli tra maggioranza e opposizione”. Uno Stato che è “una rete a maglie fitte di comitati  partecipati, idi istanze decisionali collettive all’interno delle quali i confini siano ricomposti, di sintesi in sintesi, fino a una generale programmazione dei bisogni e delle risorse”. Partecipati, non partecipanti. Scalfari lo vuole “un modello molto diverso da quello sovietico”. – cioè fascista?

Novecento – Si può dire il secolo della mobilitazione – della mobilitazione totale. Quindi le sue macerie sono quelle della mobilitazione: le due guerre mondiali, il fascismo, il nazismo, il comunismo, e la guerra fredda, anch’essa molto costrittiva - violenta anche se non cruenta.

Razzismo – Torna biologico col dna? Elaborato sulle classificazioni di Linneo nel 1735, utilizzato un secolo dopo a sostegno del colonialismo, e poi dell’antisemitismo, rafforzato con una lettura ristretta del darwinismo e dell’eugenetica, infine condannato dalla Chiesa romana, collassato col nazismo, e dopo la guerra dimostrato scientificamente inattendibile dal genetista Luigi Luca Cavalli Sforza. Il razzismo biologico torna oggi a essere avocato quale segno di distinzione. Di continuità genetica, e quindi razziale: nel segno della “purezza” e aristocrazia del sangue. Sottintendendo la superiorità, il secondo connotato del razzismo biologico
In Israele stesso, il razzismo biologico è ritenuto fondativo più della stessa religione. Una delle prime ricerche genetiche, una ventina d’anni fa, dell’Istituto Technion di Haifa, coordinata da Karl Skorecki, ha tracciato con la Bibbia e la genetica una continuità costante  e indelebile nei Coen (Cohen, Kahan, Khan, cioè “sacerdote”), sia all’Est (nel gruppo askenazita) che all’Ovest (nel gruppo sefardita o spagnolo). Una “scoperta” che venne portata a riprova della compattezza religiosa e sociale della “razza ebraica” nei millenni e nelle traversie della diaspora, ma di fondamento biologico.

Stalinismo – “Ha da venì vaffone” non è una battuta storica, alla Peppone:  è stata ed è una divisa. “Sono stato stalinista anch’io?” si chiedeva Italo Calvino al suo primo articolo su “la Repubblica”, 16-17 dicembre 1979 (ora in “Un eremita a Parigi”), e si rispondeva: sì, ma in certo modo. Che spiegava con un esempio: “Io ero amico di Franco Venturi, che di cose successe laggiù ne sapeva parecchie e me le raccontava con tutto il suo sarcasmo illuminista. Non gli credevo? Ma certo che gli credevo. Solo che pensavo che io essendo comunista dovevo vedere quei fatti in un’altra prospettiva dalla sua, in un altro bilancio del positivo e negativo”.
Stalin naturalmente era quello di Stalingrado, il liberatore. Mentre dei processi e le epurazioni si sapeva, ma nel quadro della propaganda politica antisovietica. Ma la stessa predisposizione resta ora che il sovietismo si è cancellato, insieme con la propaganda cotraria – “un’altra prospettiva”. Non in sede storica (ma anche in sede storica: Stalin non è più la “bestia” su cui Kruscev tentò di scaricare i fallimenti). Nell’atteggiamento mentale, del “popolo diverso. Benché sia ridotto a gruppo di potere, e solo intellettuale.

astolfo@antiit.eu

Quando la Bce lanciò la speculazione sull’Italia

Il problema è semplice: l’antieuropeismo galoppa. Non solo in Italia, ma Bini Smaghi non ne tiene conto e non si chiede perché. È un fatto pericolosissimo. Con una causa evidente: all’origine dell’antieuropeismo c’è l’Europa. L’Europa di Bruxelles e di Francoforte. Degli inqualificabili Barroso, Olli Rehn, Almunia. E dei Bini Smaghi. È cioè un circolo vizioso.
Questo libro ne è un’incredibile conferma: l’Europa è una vergine pura e chi non ci crede è un malfattore. Bini Smaghi, per intendersi, è uno per il quale la colpa della recessione è dell’Italia, “vista dall’esterno”. E dall’interno? Non lo dice, ma per “esterno” intende l’Europa, non l’Atlantico o il Medio Oriente. Come se l’Italia fosse chissà dove - avevano già abolito la geografia alla sua età? Ma Bini Smaghi non è l’ultimo arrivato: è stato presidente della Sace, membro del direttivo della Bce, e ora è boiardo di Stato.
Ci si avvicina a questo libro con un filo di speranza: un filoeuropeo dopo tanto antieuropeismo. Ma una postilla aggiunta all’ultimo momento, in particolare alle pagine 184-186, è agghiacciante. Soprattutto perché l’autore non se ne rende conto – lui è per la “ragione bancaria”. I 17 membri del consiglio della Bce, e i 6 del consiglio direttivo, insistono nei cinque giorni ferali da 4 all’8 agosto 2011, “a maggioranza”, di stritolare l’Italia. Non perché non fa le leggi (“riforme”) che loro richiedono, ma perché “in ogni caso” bisogna “essere rigorosi”. Possibile che Bini Smaghi non capisca? Evidentemente sì.
In obbedienza alla richiesta, il governo italiano aveva provveduto nelle 24 ore ad anticipare di un anno al 2013 il pareggio di bilancio, a fare del pareggio un obbligo di legge, e a predisporre  liberalizzazioni del lavoro e restrizioni alla previdenza. Tempo un’ora o due, senza leggere i provvedimenti di legge, i 17 e i 6 decidono, sempre a maggioranza, che l’Italia è insolvente e scrivono a Roma una letteraccia. Che viene resa pubblica. Questo, concede Bini Smaghi, è sleale: “La lettera avrebbe dovuto restare confidenziale, renderla nota ha incrinato la credibilità, soprattutto dell’Italia”. E scriverla no? Da quando la Bce scriveva ai governi? E chi l’ha divulgata?
In Italia la percezione è che l’Europa ci ha bidonati – Bini Smaghi non usa il participio, è banchiere forbito, ma il senso lo sappiamo. “Vista dall’estero” invece… Vista la crisi dall’estero non è tutta colpa dell’Italia come dice lui. Vista da lui semmai. Vista dall’estero, per esempio da Londra, per esempio dalle stesse Francoforte e Berlino, la crisi del debito italiano è stato un attacco proditorio della Bce. Magari col suo voto - lui dice sempre: ”la maggioranza”.
Ma anche la “ragione bancaria” esercita a vista corta. Perché fra le 33 “false verità” non mette la ricapitalizazione delle banche europee fallite? Costata alla Bce e all’Ue dieci-dodici volte gli acquisti di Btp italiani? A vantaggio delle banche tedesche in primo luogo, quasi tutte, e poi belgo-francesi, irlandesi, olandesi, finlandesi, austriache? Forse per distrazione. Forse perché questa è l’Europa antieuropeista: grattare il possibile – si chiama “mercantilismo”, significa grattare. Non è vero, ripete per 33 volte l’ex banchiere centrale, che i problemi dell’Italia siano da attribuire all’euro e all’Europa. Che è incontestabile: l’Italia è parte maggiore dell’euro e dell’Europa. Ma non convince: non smonterà gli slogan elettorali antieuro per il semplice fatto che non accetta le colpe dell’Europa.
Bini Smaghi aveva appena pubblicato “Morire di austerità”. Qui se ne fa paladino. Forse per smarcarsi da Tremonti, cui deve tutta la carriera. Che ha appena accusato con un libro argomentato la Bce di quando c’era Bini Smaghi di aver affossato l’Italia il 5 agosto 2011, dopo aver riconosciuto che tutti i conti erano in ordine. Nel “Postscriptum” Bini Smaghi non fa menzione di Draghi, cofirmatario della lettera di reprimenda della Bce dell’8 agosto, in qualità di successore nominato alla presidenza della stessa. Affari suoi. Ma dire che l’Italia “non ha fatto i compiti” per 33 capitoletti è un’assurdità, oltre che una sciocchezza politica – troveremo il libro sul blog di Grillo.
Lorenzo Bini Smaghi, 33 false verità sull’Europa, Il Mulino, pp. 150 € 14

mercoledì 9 aprile 2014

La Via della Seta passa da Mosca

Arriveranno le Ford made in China – e le Fiat, perché no. Col treno, via Mosca. In 12-15 giorni, meno di un terzo del tempo che ora ci vuole dall’Estremo Oriente, via mare. Ancora meno quando la Cina interna, a ridosso dell’Asia centrale, sarà industrializzata.
Il progetto della Via della Seta, come la nuova ferrovia transasiatica si vuole chiamare, lanciato a Astana, la capitale del Kazakistan, a novembre, si può dire decollato. Grosse compagnie europee di logistica saranno coinvolte, tra esse le ferrovie tedesche, DB Schenker, e specialisti del trasporto cargo, Swissport, FlughafenZurich. Il finanziamento dell’opera, mille miliardi di dollari in dieci anni, sarà assicurato dai fondi sovrani del Kazakistan e del Dubai, l’Asian Development Bank, la Bers (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo), e naturalmente le banche cinesi.
Il nuovo collegamento dovrebbe essere effettivo a partire dal 2020, seppure non completato. Con un trasporto iniziale di 1,7 milioni di container l’anno. Il progetto è una sorta di alta velocità Est-Ovest. Con l’ammodernamento delle infrastrutture esistenti e la loro integrazione, in modo da consentire un trasporto espresso prioritario di lungo percorso, accanto al cabotaggio tradizionale, di prodotti petroliferi, carbone, cereali e metalli.
È un progetto cinese. Non nuovo: in questa chiave la Cina già offre assistenza finanziaria e tecnica alle ferrovie del’Asia Centrale, e fino alla Bulgaria. Ma è patrocinato politicamente, e organizzativamente, dalla Russia: Putin ne ha fatto il perno del suo progetto di Eurasia, l’Unione Doganale Eurasiatica

Nuovo trainer per l’antiriforma?

Zagrebelsky chiede il time-out, dopo essere andato abbondantemente sotto. Il professore è spregiudicato, ma questa volta deve avere sbagliato (il post “Il Tartufo della riforma”, una settimana fa, di questo di questo modesto blog
è stato straordinariamente cliccato, e twittato. Uno che denunciava “la svolta autoritaria del governo”. Del “suo” governo, in teoria.
Il professore pensava di essere più furbo di Grillo. Non sapeva che i nomi significano - Grillo è grillo: è vispo e salta prima di tutti. Sandra Bonsanti dovrebbe licenziare l’allenatore. 

Tagliate andrebbero le Autorità, partendo da Rodotà

Rodotà, l’infaticabile cursore, ha governato l’Autorità per la Privacy dal 1997 al 2005. In pratica l’ha costituita e le ha dato forma. Una della tante costosissime e dannose Autorità di mercato, infaustamente varate da Prodi nel 1996, il cui taglio consentirebbe un risparmio di un paio di miliardi almeno. Senza danno per il mercato – era meglio il Cipe, autorità amministrativa: i funzionari della P.A. gestivano prezzi e  tariffe con più rispetto per gli utenti delle pletoriche Autorità, del Mercato, dell’Energia, delle Comunicazioni etc., che sono di garanzia soltanto per la finanza e per l’industria ma che si fanno pagare dai cittadini pagano, a caro prezzo.
L’Autorità di Rodotà si contraddistingue per l’inutilità universale, oltre che il danno ai cittadini. Senza proteggere minimamente la privacy, mai così esposta come in questi venti anni, ci obbliga a mettere dieci, diciotto e ventiquattro firme su ogni piccolo atto, anche per pagare l’assicurazione auto. Nonché a leggere, vorrebbe lui, venti pagine fitte a corpo 6 interlinea 1. Nonché a stamparla, con spreco di carta e inchiostri.

Marino presenta il conto della serva

È Pasqua, Roma sarà piena di turisti, tutto esaurito già da giorni. Il sindaco Marino non pensa a come accrescere e migliorare l’accoglienza (lui è uno che crede ai benefici del turismo), ma a tassare di più i turisti.
Dopo Pasqua c’è la festa per i “Natali” della città, e quella per due canonizzazioni attese e popolari nel mondo, di Giovanni XXIII e Giovanni paolo II. Marino non pensa a rilucidare l’immagine di Roma (ancora) capitale del mondo, ma presenta meticoloso il conto della serva. Tanto per gli straordinari dei vigili urbani, 4.400, metro no-stop, più corse Atac, con straordinari dei conducenti, 6.500, pulizie straordinari dei netturbini, 7.800 compresi i dirigenti, installazione di maxi-schermi, e 4 milioni di bottigliette d’acqua. Il totale fa 7,8 milioni di euro.
Dice che è buona amministrazione Ma, fatto il conto, non è nemmeno buon s ervo: non sa chi chiedere i soldi. Se ai santi, al Vaticano, a Dio, a Renzi. Per aiutarlo, dovremmo abolire la Pasqua, e i santi.
Nell’attesa, il sindaco Marino ha rinominato i nomadi, con apposita ordinanza. Nomadi, dice, è discriminante. Per esempio l’Opera Nomadi, che è tanto generosa? I nomadi vanno chiamati altrimenti, dice: Sinti, Rom, Camminatori. Ma tutti insieme, non è un po’ lungo? Poi, a loro non piacerebbe confondersi. E separatamente, per gruppo etnico, non sarebbe razzismo? 
E così, per averlo voluto e votato, il quesito per uno si pone: il nuovo dev’essere scimunito? Dice: è una questione di politicamente corretto. Corretto o corrotto? 

Kafka inventore del musical

A un certo punto Calasso evoca, al centro del “Castello”, un andamento da musical: “«Il Castello è tramato di conversazioni – esaltanti, sfibranti”, finché, eclissando le “esasperanti” sottigliezze dei dialoghi, non irrompe, con ritmo scenico, il comico. Il comico in Kafka non è una novità, lui stesso lo propone in annotazioni e con gli amici. Ma qui “trionfa il gesto”, il sorriso si materializza in in azione scenica musicata, “come in un musical di Busby Berkeley” – in realtà un pantomimo. Siamo nel 1914, Kafka scrive “Il processo” e stenta a concludere “Il disperso”, il musical è di là da venire, col sonoro: un precursore dunque.
Di più, verso la fine Kafka evoca “l’essenza più penetrante del musical”. Di cui sarebbe anzi il pioniere, perché “sembra citare se stesso, rimandando alla matrice di ogni musical, che è – nel «Disperso» - la scena del cambio di turno dei sottoportieri all’Hotel Occidental”. L’ascendenza del genere non è propriamente così lineare, le storie lo fanno ascendere a mezzo secolo prima, una forma di amalgama per etnie di varia origine non anglofone. Ma certo è suggestivo.
Calasso “rinfresca” il suo Kafka in questa riedizione, “riveduta e illustrata”, del “K.” del 2005. Il romanzo di un romanzo. Senza tradirlo, perché anche Kafka è stato giovane, e semmai è vittima della sua fine, che riverbera di malattia, disinganni, impotenza e angustie, perfino materiali, su tutta la sua storia, più divertita invece che triste. Ne riproduce i disegni, tutti del genere caricaturale, cioè allegro. E pone a sigillo in copertina una foto dello scrittore da gagà, con una Hansi Julie Szokoll da vedettariato. Riconfermando l’altra sua perspicace scoperta di Kafka, il sesso: sono Frieda, Pepi, Olga, Leni, “esseri femminili bisillabici, subalterni, erotici”, i ricorrenti unici interlocutori di K. E Josef K. Più le “barnabassiane”, l’intemerata e la svergognata, che prendono, calcola Calasso, “sei capitoli e centoquindici pagine del «Castello», come un romanzo nel romanzo”. Un aspetto di Kafka di cui Calasso resta esploratore isolato, benché di una prateria e non di una giungla – e può pure sghignazzare dei suoi interlocutori esemplari: “La natura erotica delle donne del «Processo» e del «Castello» produce un sommovimento psichico incontrollabile in Benjamin e Adorno” (Adorno per le note propensioni giunoniche, e forse correzionali, Benjamin notoriamente imbranato, essendo molto sentimentale).
Ma resta l’effetto dispersivo originario: “K.” È una rilettura quasi interlinea, dispersa per blocchi tematici, del “Castello” e del “Processo”. Ma non aiuta a leggere, nonché gustare, i due romanzi. Con rimandi vedici che si vogliono una dilatazione d egli spazi, “Kafka ovunque”, ma non per il lettore, se non è già iniziato. E con alcune pagine più problematiche che risolutive: il giudaismo (biblismo?) del “condannato” e dell’“eletto” (che Calasso dice “il prescelto”, mentre più caratteristicamente sarebbe il singled out, isolato), la “psicologia degli ebrei assimilati”, l’ “omaggio alle letterature occidentali” ridotto in tutto Kafka a Sancho Panza (12 righe) e Odisseo (50). Sottigliezze, che non aiutano.
Del personaggio Block Calasso fa “l’ebreo assimilato”, un punching ball su cui Kafka scarica la derisione. Ma c’è più assimilato di Kafka? O si vuole ridurre l’assimilazione al cristianesimo, alla religione? In questo caso sì, Kafka è anzi blasfemo, come lo stesso Calasso rimarca: Block che adora il suo avvocato è una parodia talmente empia del culto divino che al confronto “ogni vignetta antisemita appare timida”. E allora: Kafka antisemita? Anche il Dio-avvocato, Calasso avrebbe potuto aggiungere, è molto “ebraico”. Ma giusto per le barzellette.   
Ma riscrivere tutto quello che Calasso ci trova è impresa inutile. Anche perché non aiuta a leggere Kafka, semmai Calasso – si scrive K. ma si legge C. Geniale, faticoso e pretestuoso, come tutte le riletture d’autore, che vogliono rifare l’Autore – in cui lo “scrittore” si sovrappone allo “scritto”.Kafka sarebbe stato contento di questa ri-creazione?Lui come gli altri autori di culto, Proust, Joyce, Musil – tutti del Novecento, è il Novecento letterario che è cultuale (avviene nel Novecento come a ogni caduta d’impero, che la storia diventa ermeneutica). È la pratica dello sfinimento, per dirla alla Calasso. Kafka diventa interstiziale, colloso: frammentato in tante striscioline, che s’infilano ovunque, difficile da ricostruire o rammemorare.
Tanti i temi. L’insonnia, che sarebbe stato un filo anche più consistente del musical – Calasso avrebbe editato “Il processo” come “storia di un risveglio forzato”. Oltre che il padre castratore. O lo scrittore “capro espiatorio dell’umanità”. Le parole ricorrenti, “caccia”, “cabala”, trostlos (sconsolato). La dannazione dell’autoosservazione – lo sdoppiamento, lo specchio. La colpa, la colpa degli altri:  – nell’edizione critica dei “Diari”, quella che non ha espunto le ripetizioni, e nelle  lettere, “tema prediletto” è “elencare tutte le persone che hanno danneggiato in varia misura colui che scrive”.
C’è tutto ma alla fine nulla. Molto peraltro restando ancora da dire. Per esempio la misoginia di Kafka, homme à femmes – di Hansi, secondo Brod, avrebbe detto: “Sul suo corpo erano passati interi reggimenti di cavalleria”, con i cavali, cioè, inclusi. Calasso ci tiene, forse troppo, dandone una lettura immemorabile – non metabolizzabile. Se non di uno scrittore evanescente. Profondo forse, ma chissà – la metafisica è grata e ingrata.
Roberto Calasso, K., Adelphi, pp. 360 € 14

martedì 8 aprile 2014

Problemi di base - 177

spock

Grillo, i grillini, Rodotà, Marino, il web è dei Forrest Gump?

E Obama, concorre anche lui?

E il papa argentino che stramaledice gli inglesi, di nuovo?

O l’orto di Michelle Obama è migliore, benché abbandonato, di quello della regina?

E che fine ha fatto Fini?

E la fine del romanzo?

Non si finisce mai? Ci sarà una fine della fine

spock@antiit.eu

Fisco, appalti, abusi (48)

Il Comune di Roma vuole aumentare gli “investimenti” da 500 a 800 milioni, e cerca la differenza , scrive “la Repubblica;” “con un aumento esponenziale delle multe”. Le multe stradali. Il cui importo minimo è di 50 euro. Il Comune non conosce il valore dei soldi: la corruzione comincia da qui.

Per l’“aumento esponenziale” delle multe il Comune di Roma intende “mobilitare” i Vigili urbani. Che altrimenti non si vedono sulle strade – si vedono solo quando fanno le multe. E perché deve “mobilitarli”, nell’orario di lavoro che altro fanno? 

Roma è la città col più alto coefficiente al mondo di auto per abitante. Un mezzo privato è necessario per ogni spostamento, perché il trasporto pubico è insufficiente e erratico. Nel 2012 i romani hanno pagato 280 milioni in multe stradali. Ma ne avrebbero dovuto pagare un miliardo e dieci milioni. Il servizio pubblico non si migliora, come sarebbe semplice, per fare più multe? A Roma il trasporto pubblico difficilmente esiste, in alcune tratte, in alcuni giorni e ore. Il tram 8, che movimenta 200-300 mila persona al giorno, è stato fermo per due giorni perché la società del gas doveva scavare una buca sul percorso. Una buca di un metro q. circa. Attorno al quale si sono indaffarati una decina d’operai. Perlopiù in pausa sigaretta. L’allato è sacro. L’appalto deve durare a lungo perché deve costare di più.
 “Se dovessimo dare la simulazione delle pensioni dei parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”, ha lamentato Antonio Mastrapasqua prima delle dimissioni. Il presidente dell’Inps cioè: i pochi - ma sono sempre molti - soldi pagati in contributi dai precari finiscono nel nulla, l’Inps non è in grado di gestirli.

I pellegrini del conformismo

Viaggi a senso unico. A doppio senso unico. Dapprima tutti a Mosca, fino al 1956, poi tutti a Cuba e in Cina, senza chiedersi perché Mosca non vale più il viaggio. Sono i pellegrinaggi che scrittori, artisti, giornalisti occidentali hanno usato fino alla caduta del Muro. Di una tale povertà intellettuale, se non è disonestà, che non sembra possibile, ma è roba di ieri. E senza rimorsi. Questo libro, peraltro molto bello, è passato sotto silenzio alla traduzione venticinque anni fa, e tuttora è intonso nelle due  biblioteche romane che ne hanno copia: il pellegrino è un credente, impunito, anche quando abiura.
Hollander distingue il pellegrino dal turista culturale – categoria di Herberto Padilla, il poeta cubano poi ostracizzato, di quelli che vanno a “vedere” la rivoluzione. Il turista va in gruppo, il pellegrino viaggia con programma su misura e guida-interprete personale. Il turista sarà curioso ma può non essere simpatizzante, “il pellegrino è più fervente e più consciamente devoto agli ideali del paese che visita”. E può non essere curioso, andrebbe aggiunto. Anche se, essendo un intellettuale, si suppone analitico e critico.
È un libro del 1980, riedito nel 1987, con una sorpresa: nell’intervallo è intervenuto un pellegrinaggio politico di massa in Nicaragua: “Circa centomila americani hanno visitato il paese a partire dal 1979, insieme a un numero di europei occidentali calcolabili in decine di migliaia”.  Ma in questo caso, di potrebbe aggiungere, con  più di un’attrattiva: una “rivoluzione” marxista-leninista dei preti è comunque uno spettacolo, e il Nicaragua e l’esotismo alla porta di casa. Diverso è il caso di Mosca, e di Cuba. Di cui non restano che bugie, perfino incredibili, che lo storico americano ha collazionato.
L’edizione italiana dedica un capitolo, una lunga appendice di Loreto di Nucci, sui pellegrini italiani. Dei qual solo Corrado Alvaro viene salvato, che ne scrisse nel 1938 (“I maestri del diluvio”), per onestà e intelligenza politica. Tutti seguiti, nel dopoguerra, da “’l’Unità” e, fino al 1956, dall’ “Avanti!” (c’è anche Pertini). Dopo il 1956 i viaggi dei “compagni di strada” in Unione Sovietica “diventano rari”. Con l’eccezione di Pasolini e Moravia. Dopo si va a Cuba, e in Cina. Il viaggio in Cina sembra un pellegrinaggio libero, a fronte di quelli ammaestrati all’Avana (“qui non dorme nessuno”, Paolo Spriano) e a Mosca.
Paul Hollander, Pellegrini politici

lunedì 7 aprile 2014

Fu guerra all’Italia

L’Italia ha il governo più “espansivo” da sei anni a questa parte. Ma lo spread continua a diminuire. E dunque, quando Tremonti effettuava i “tagli lineari”, ingiusti ma effettivi, perché era tre volte tanto? Il mercato? No, c’è stato un violentissimo attacco all’Italia – non all’euro, all’Italia: molte banche, oltre i fondi speculativi, si sono arricchite ricomprandosi a termine Btp svalutati con rendimenti da capogiro. L’Italia è in recessione, la peggiore della sua storia, ma non importa.
È la riprova della gravità della crisi imposta all’Italia, dell’attacco speculativo contro l’Italia. Complici paesi europei come la Germania e la Francia. Si è detta la crisi dello spread la crisi dell’euro, e invece no, era un attacco al debito nazionale italiano. “Concertato” come lo è sempre la speculazione, cioè cumulativa: il mercato è una guerra per bande, addosso al debole.
Nel 2003, con lo stesso Tremonti, lo spread era a 40 punti base, niente.

Letture - 167

letterautore

Autore – All’autofction e ai selfie Piperno aggiunge, sulla “Lettura” domenica, l’ego-surfing, o il come parlano di me. Tutti siamo egotisti e egoisti ma l’autore di più. L’autore è come il santo, uno che si vuole (si coltiva, si promuove): non esiste scrittura che viva di per sé.

Italo Calvino – Si può dire retrospettivamente il letterato per eccellenza, pur avendo scritto tanto  di politica, e lavorato molto, fino al 1956, per il partito Comunista. Ha poi obliterato la politica come aveva rimosso la natura e la botanica con l’agronomia, scienze familiari che aveva coltivato in proprio fino all’università (due anni in due prestigiose università di Agraria, a Torino e Firenze, dal 1941 al 1943). Dopo il 1956 si sganciò dal Pci con lentezza ma radicalmente. Il rifiuto fu come una crisi di rigetto, subito nello stesso anno con “La gran bonaccia delle Antille”.
Il giudizio politico – quello espresso – mantiene discreto. E limitato: si allontana con una critica ma senza autocritica. Come se la realtà prima fosse diversa, e il 1956 l’avesse cambiata. Nelle postume “Lettere americane” ricorderà che, “essendo pieno di buona volontà”, s’era fatto un “dovere” di calarsi “nell’energia spietata che muove la storia del nostro secolo, nelle sue vicende collettive e individuali”. Per scoprire poi non l’errore di una scelta ma “la pesantezza, l’inerzia, l’opacità del mondo”.
Non aveva cercato, inoltre, un’altra politica, se n’era semplicemente chiamato fuori. Senza che si possa sospettarlo di opportunismo– ma prudente è, il visconte è dimezzato.Era l’impegno politico un atto della volontà, non un suo bisogno: una fatica.

Alla lettura di Asor Rosa, “Scrittori e popolo”, 1965, scriverà nel 1983 (ora in “Mondo scritto e mondo non scritto”, p. 86): “Complessivamente, devo dire, vedere la corazzata Potiomkin della letteratura italiana di sinistra colare a picco per autoaffondamento a bandiere spiegate, con ufficiali ed equipaggi schierati sopracoperta sull’attenti, fu un bello spettacolo. Me lo godetti senza rimpianto nuotando con tute le mie forze per allontanarmi dal gorgo”. 

Classicità – È umiltà? Meglio che in tanti trattati è in una lettera di Kafka a Max Brod, autore di un pretenzioso robusto “Paganesimo Cristianesimo Ebraismo”, di cui aveva sottoposto all’amico il dattiloscritto: “Non credo a un «paganesimo» come lo intendi tu. I Greci, per esempio, conoscevano benissimo un certo dualismo, altrimenti che senso avrebbero avuto la Moira e tante altre cose? Solo che erano esseri particolarmente umili - per quanto riguarda la religione. Una specie di setta luterana. Ciò che è decisamente divino non potevano pensarlo mai abbastanza lontano da loro,tutto il mondo degli dei era solo un mezzo per tenere distante dal corpo terreno tutto ciò che è decisivo, per dare aria al respiro umano”. L’Olimpo come una camera iperbarica, per la decompressione, per un bisogno costante di derealizzarsi.
L’Olimpo “era un grande mezzo di educazione nazionale, che incatenava gli sguardi degli uomini, ed era meno profondo della legge ebraica, ma forse più democratico (qui non c’erano guide e fondatori di religione), forse più libero (li incatenava, ma non so con che cosa), forse più umile (perché la visione del mondo degli dei faceva affiorare questo alla coscienza: allora non siamo neppure dei, e se fossimo dei cosa saremmo?)”. C’è una felicità possibile in terra, conclude Kafka, ed è “credere decisamente al divino e non aspirare a raggiungerlo”. È qui l’umiltà dei Greci: “Questa possibilità di felicità è tanto blasfema quanto irraggiungibile, ma ad essa  Greci sono stati forse più vicini di molti altri”.

Dante – Non c’è a teatro. Se non in forma di dizione – famose e molto popolari quelle di Sermonti, in parafrasi, e di Benigni (ma meglio ancora, in forma più propriamente teatrale, con maschere efficaci dei personaggi, quella messa in scena per anni da Rocco Militano nei teatrini off di Trastevere in “Infernal Comedia”, con Maria Teresa De Clementi). Peter Weiss ha scritto in “Inferni” di avere progettato a lungo una “Divina Commedia”. Un dramma in tre parti ovviamente, ma con un Dante contemporaneizzato – il teatro dopo Auschwitz: il poeta vi doveva mostrare i supplizi dei perseguitati per la loro razza. Ma non trovò la chiave. Polverizzando i corpi, a Wiess si polverizzava anche la parola, non ne trovava di adatte a descrivere e mostrare: “Non era più possibile dir niente, e tutte le parole, di qualsiasi lingua, non avevano più senso”. Ma il “dopo Auschwitz” l’’aveva concepito per dare un’immagine alla parola, che trovava – e forse è - soverchiante, incalzante.

È martellante. Nel “Ricordo autobiografico” Scalfari rimemora “lo stile martellante di Dante”. Il ritmo, che la traduzione francese di Jacqueline Risset esalta. Martellante è l’aggettivo giusto.

Dickinson – La sua è la poesia attualmente più tradotta. Almeno una ventina di traduzioni sono disponibili in libreria. Quella completa, dei Meridiani, sostituisce dal 1995 la vecchia e pregiata edizione dello Specchio, 1956, a cura e con traduzioni di Guido Errante. Il Meridiano, a cura di m
Marisa Bulgheroni, alla quale si devono un paio di altre edizioni meno impegnative per gli Oscar, comprende 1.775 componimenti, tradotti da Silvio Raffo (1.174), Margherita Guidacci (392), Nadia Canfora (27). Massimo Bacigalupo (127) ha revisionato tutte le traduzioni. Con l’aggiunta di traduzioni d’autore di Cristina Campo, Annalisa Cima e Montale, Montale, Giudici, Luzi e Amalia Rosselli.
Feltrinelli e Bur propongono le traduzioni di Barbara Lanati. Garzanti di S. Giorgi. Bompiani di Massimo Bacigalupo. Passigli di Adriana Sassi. Newton Compton di Gabriella Sobrino. Einaudi di Silvia Bre. Giunti di Alessandro Quattrone. Marsilio di Bianca Tarozzi. Se di Nadia Campana, Editori Intenazionali Riniti di Francesco Fava. Numerose edizioni tematiche si aggiungono di Acquaviva (quattro), ancora Giunti (tre), Crocetti, Mursia, Ancora, Via del Vento, Finisterre.Varie edizioni .
Ma la lettura è monocorde: l’idea prevalente è che prosodia, temi e lingua discendono dalla Bibbia e dagli inni sacri. Anche se la biografia è complessa.

Esilio – È il luogo del romanzo europeo, secondo la “Teoria del romanzo” di Lukáks. L’epica classica, argomenta Lukáks, esprime culture formate, con valori chiari, identità forti, modi di vita stabili. Mentre il romanzo europeo si fonda sull’esatto opposto: su un società in mutamento, in cui l’eroe di una classe media mobile e senza obblighi, o l’eroina, si costruisce un nuovo mondo – anche se spesso è un modo vecchio da tempo e validamente abbandonato.
Ma forse non è (più) vero: più che un mondo nuovo il romanziere si costruisce un suo mondo.

V.S.Naipaul, nato e cresciuto a Trinidad, da famiglia indiana, Nobel per la letteratura nel 2001 in quanto autore britannico, si gloria di non avere radici. Anche se deve il successo all’humour caraibico dei primi romanzi. Ma i Caraibi ceto non sono una patria. A ridosso e dopo il Nobel Naipaul ha viaggiato in India, che non gli è piaciuta e ne ha scritto da estraneo.
Ma non solo V.S. Naipaul, tutti gli anglo-indiani vivono a Londra meglio che in India. Gli anglo-fiorentini erano inglesi anche alla terza o quarta generazione, gli anglo-indiani sono inglesi subito, al primo libro.

Kafka – Il “problema” Kafka è il problema dell’insonnia? Più della tubercolosi certamente. L’insonnia non è la cosa semplice che non si considera, come il raffreddore o l’influenza. È una privazione, sotto forma di coscienza sveglia, perenne, acuminata, e alla fine una vertigine. Calasso, “K.”, ne ha la percezione quando dice, delle ultime settimane di Kafka: “Il tempo interno si è strappato dal tempo esterno e corre una corsa folle, la veglia è perenne, angustiante”.
L’insonnia impone e acumina l’autocoscienza, fino al circolo vizioso o vicolo cieco: l’ “altra veduta” del mondo, del mondo esterno, uno scavo incessante di verità, sempre più vere, sottili, sfuggenti. Fino all’impazzimento, per assottigliamento. Che il bisogno creativo traduce in spasmo, anche allucinato.

Pound - Il maggior innovatore formale, della poesia e anche della prosa, del Novecento era soffocato dalla politica. Come il suo Dante, ma senza la sua capacità di padroneggiarla. Ne è stato vittima per la seconda metà della sua vita, e lo è rimasto.

“L’economia è al più grande frode che si sia consumata in questo mondo”, è la conclusione di Robert Skidelski dopo lunghi studi dell’economia stessa, per questo nominato baronetto dalla regina: “L’economia non ha mai fatto nessuno felice”. È sempre la “scienza triste” di Carlyle. “Dovrebbe essere una scienza morale ma non lo è”, conclude Skidelski. Finisce che ha ragione Pound, o comunque non è solo.

letterautore@antiit.eu

La politica dei mugwump

Il vaffa era sul tavolo già vent’anni fa, quando Berlusconi vinse a sorpresa le elezioni:
“Ha vinto la tv, dicono “l’Unità” e “la Repubblica”. Intendendo il padrone delle tv. Mentre la cosa è vera ma in altro senso. I telepredicatori tanto sono stati molciti, da “l’Unità” e “la Repubblica”, che hanno sfondato. Ma invece che allo schieramento da loro caldeggiato, nuovo e trasversale, gli elettori hanno dato il voto all’altro schieramento. Senza tradirli: hanno interpretato l’essenza del loro linguaggio. Il qualunquismo: i buoni sentimenti, cosiddetti, i candidati cosiddetti nuovi e qualunque, e il “tutti ladri (incapaci, imbroglioni,) meno io”, io Santoro, io Costanzo, io elettore. Hanno votato a destra continuando giustamente ad applaudirli, i telepredicatori, non pensando affatto di averli traditi, anche se questi si atteggiano a sinistra.
“Il solonismo dei mugwump porta al Capo, all’ordine, al vaffanculo”. 

Subito la Rai celebrò il fascismo

Vent’anni domani, a poche ore dalla vittoria elettorale della destra, la Rai riproponeva il fascismo:
“Fini non ha ancora finito di brindare con Berlusconi che la Rai fa l’apologia del fascismo, proietttando “Combat Film”, e commentandolo adeguatamente. Proprio la Rai, non uno che si trovava lì per caso: il capostruttura, insieme con Vittorio Zucconi, che è di ogni partita. Seppure con una variazione di palinsesto.
“Disattenzione? Errore? La Rai naturalmente si giustifica – anche questo è Rai. Ma troppo smaccata è l’apologia”. 

L’arte era viva un mondo fa

Un asteroide. Un “E.T.” consolatorio venuto da altre epoche e altri mondi. Un museo animato, di una settantina di ritratti vividi, seppure di morti.
Un libro di nomi con una personalità, amici e non, attivi e creativi, cattivi a volte, mai lagnosi, neppure nella disgrazia, quello che si dice geniali. Di un mondo circoscritto, quello dell’arte, che l’autore ha più frequentato, dopo avere senza volerlo abbandonato Cuba, ma non chiuso e anzi arioso e aggiornato.
Un altro Novecento che quello delle macerie che abbiamo chiuso, politiche e letterarie. Ma con la patina già del remoto.
Alvar González-Palacios, Persona e maschera, Archinto, pp. 265 ill., € 20

domenica 6 aprile 2014

Ombre - 215

 “La legge n. 94 del 2009 punisce chi si avvale di un minore di 14 anni per chiedere l’elemosina: è una legge decisamente contro la cultura”, lamenta su “La Lettura” l’etnografo Adriano Favole. E non può essere errore di stampa.

Nei cinque anni ormai di blocco delle retribuzioni del pubblico impiego, quelle della magistratura, informa Sergio Rizzo sul “Corriere della sera”, hanno continuato “a lievitare, recuperando largamente il costo della vita grazie a una scala mobile che risulta piuttosto generosa”. Ma senza scandalo – lo scandalo è dei dirigenti pubblici agganciati agli stipendi dei giudici.

Il trattamento economico annuale del primo presidente della Corte di Cassazione è cresciuto nei cinque anni, informa Rizzo, da 274 mila euro a 311.658,53.
È una volta e mezza l’appannaggio del presidente della Repubblica. Sul quale, peraltro, lo Stato non versa contributi.

Moratti lamenta che l’Inter in 33 partire non ha avuto un rigore. E, oh, sabato, alla prima partita utile, l’ha avuto.

È “guerra” a Roma tra il sindaco Marino, che vuole i rifiuti della città commissariati, “come a Napoli”, e il presidente della Regione Lazio Zingaretti, che la situazione dice sotto controllo. Entrambi del Pd. Saranno di correnti opposte? Dei rifiuti?

A Trastevere invece, sempre a Roma, l’ex minisindaco del municipio Corsetti, sempre Pd, chiede l’esercito. Contro gli ubriachi.
Mussolini i “ladroni” di Trastevere li aveva deportati. Murandone magazzini e rifugi per impedirne il ritorno. Ma gli aveva costruito alloggi popolari d’autore, oggi complessi modello a Monteverde e Donna Olimpia.  

Grillo vuole Renzi al 41 bis, in quanto “figlioccio di Gelli”. Ma non è il solito Grillo scandaloso: Renzi era figlio di Gelli anche per Zagrebelsky.

Le due più importanti società di cacciatori di teste e nessun candidato per le aziende pubbliche? Questa è una rivoluzione – questo, sì, che fa tremare il potere. In tempi poi di crisi. Roberto Mania ne è sicuro, su “Repubblica” venerdì: Colao (Vodafone), Guerra (Luxottica), Simonelli (General Electric) hanno rifiutato l’Eni o l’Enel. In lizza solo gli eterni riciclati della politica, Caio, Gubitosi, Arcuri, Bernabè.

A metà dicembre i vigili di Roma, per non dover lavorare, chiedono ai cittadini di segnalare via twitter le infrazioni da multare. In due mesi, a metà febbraio, ne hanno ricevute 3.688, e hanno spiccato poco meno di 5600 multe. Una città di sbirri?

I denuncianti sono cittadini a passeggio, anche senza cane: bisogna colpire chi lavora.

Trionfano sul “Corriere della sera” Veltroni e Berlinguer al cinema: “Quando c’era Berlinguer”, Renato Franco lo dice “il film più visto del week-end dopo il blockbuster americano «Captain America»”. Lo hanno visto 20 mila spettatori, forse 25 mila spettatori – “Captain America”  400 mila.

Dice Franco: “Quando c’era Berlinguer” si proiettava in 74 sale, “Captain America” in 783. Cioè: “Quando  c’era Berlinguer” ha avuto 42 spettatori in media a proiezione.

“Multano le auto in seconda fila e non toccano gli spacciatori”, lamenta il regista Daniele Lucchetti dei vigili urbani romani a Trastevere. Vero. Non multano nemmeno le macchine in prima fila, in divieto di sosta: sono degli esercenti, di cui i vigili sono clienti, gratis.

La “gestione separata” dell’Inps, quella che raccoglie i contributi dei lavoratori atipici, ha un attivo di 8 miliardi, non eroga niente, ed erogherà poco e niente ai parasubordinati a 67 anni. Il fondo dei dipendenti pubblici registra un passivo di 8 miliardi. Un “contratto di solidarietà”? Di chi non a chi ha: bisogna finirla coi privilegi dei precari.

A chi vuole somigliare Tel Aviv, città di mare, mediterranea? A Berlino. Poi dice che gli ebrei non sono tedeschi.

Il giudice Grasso, già capo dell’Antimafia, ora presidente del Senato, lancia un avvertimento a Renzi, il capo del suo partito: “non si sa” se avrai abbastanza voti al Senato sul Senato. Esplicito e breve, come fa un capomafia. L’antimafia è contagiosa.