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sabato 19 aprile 2014

Il mondo com'è (170)

astolfo

Eurasia – Va sull’asse Russia-Cina, che Pechino coltiva per bilanciare la dipendenza fino ad ora assoluta con la potenza economica occidentale, degli Usa e l’Unione Europea .
Lo smembramento dell’Ucraina, che l’Europa finirà per offrire in grazioso omaggio a Putin, non rientra tanto nella tradizionale politica russa, da Caterina II a Stalin, di avere Stati cuscinetto non avversi alla frontiera occidentale, quanto nella strategia dichiarata dei governanti russi di rientrare in gioco nello scacchiere delle potenze mondiali come fulcro ispiratore dell’Eurasia. Una zona  economica, a egemonia naturalmente russa, aperta alle ex repubbliche asiatiche dell’Urss, d’intesa con la Cina. È questo l’aspetto più importante dell’offensiva diplomatica di Putin, l’accordo Mosca-Pechino.    
Il nuovo sistema di trasporti transasiatico ne è paradigma, il sistema ferroviario veloce detto  Via della seta, che collegherà la Cina all’Europa. Riducendo i tempi del trasporto a un terzo dei sessanta giorni attuali e corrispondentemente il costo del trasporto, bulk o container. Un progetto russo-cinese, con l’obiettivo di cominciare a trasportare 1,7 milioni di container l’anno già dal 2020, per arrivare a trasportare a regime un quinto dell’import-export cinese, la metà della Cina interna, che ora beneficia poco del boom cinese, quasi tutto costiero. Riducendo i tempi del trasporto a un terzo dei sessanta giorni attuali e corrispondentemente il costo del trasporto, bulk o container.

Italia – Agli studenti della New York University, nel 1983, un Calvino già abbondantemente vaccinato dall’intrigo politico dava questa informazione:  “L’Italia è un paese dove accadono molte storie misteriose, che vengono ampiamente discusse e commentate ogni giorno ma di cui non si arriva mai a alla soluzione; un paese dove ogni avvenimento nasconde un complotto segreto, che segreto è, e segreto rimane; dove nessuna storia arriva alla fine perché non se ne conoscono gli inizi”.
L’Italia ha una tradizione costante di denigrazione per tutto il corso della Repubblica. Era la propaganda del Pci, l’Italia l’ha introiettata.

Repubblica – Un concetto e una storia italiani, fino agli stati Uniti d’America - che peraltro vi si ispiravano, riconoscendo il debito. Un’istituzione prima romana, poi cristiana, medievale e rinascimentale. Con le derivate del principato – gli ottimati.

Sovietismo – Perdura in alcune società (Italia), e in alcuni strati di esse (giornalismo, università, editoria). Per un motivo, anzi per tre , gli stessi che lo storico americano Hollander ipotizzava nell’introduzione all’edizione italiana, venticinque anni fa, dello studio “Pellegrini politici”, nell’Urss, a Cuba e in Cina.
Hollander partiva da un raffronto con gli intellettuali americani “pellegrini politici”. Che caratterizza per essere “particolarmente preoccupati di piacere”, e afflitti da “una straordinaria attitudine a provare dei sensi di colpa collettivi per questioni o per situazioni di cui non sono direttamente responsabili”, lo schiavismo  suo tempo, il Terzo mondo povero, e allora l’apartheid un Sud Africa. “Si può dire la stessa cosa per gli atteggiamenti degli italiani che hanno un retroterra socio-culturale simile?”, si chiedeva Hollander, e si rispondeva: “Ne dubito”. Gli italiani non possono avere sensi di colpa collettivi, non avendo “il peso della colpa di essere una superpotenza, né di aver impiegato per primi la bomba atomica, né del ricordo storco di aver trattato crudelmente gli indiani, schiavizzato i neri”, etc.. Dubito, insiste ancora Hollander:  “Forse che gli intellettuali italiani si sentono in colpa per il fascismo, o per l’alleanza con la Germania nazista, o per l’invasione dell’Etiopia?” Hollander dubita per una ragione precisa: “Ritengo infatti che gli italiani, non essendo il prodotto di una cultura protestante, siano in genere meno disposti a provare certi sentimenti di colpa di tipo socio-politico”.  Ma questo è vero forse al contrario: l’italiano ha un senso di colpa raddoppiato, la prima colpa essendo di non essere stato protestante.
Il secondo senso di colpa è, in contrasto col primo, di non essere (più) povero. C’è un senso di colpa nel dover essere cattolico, e contemporaneamente un cattolicissimo pauperismo – quello delle origini, quello francescano, quello di sacrestia, della buona coscienza. Ha qui le radici l’indiscriminata esterofilia. Coglie nel segno Loreto Di Nucci, che arricchisce “Pellegrini politici” nell’edizione italiana con una capitolo apposito. Che il pauperismo cattolico lega alla fascinazione esercitata sui viaggiatori politici “dalle visioni di una vita pre-industriale più pura, e più in generale dai valori rurali”, nell’Urss, a Cuba, in Cina.
Ma, alla fine, non si può fare a meno dell’ideologia – che è, poi, in larga parte colpa e senso di colpa. Hollander si riprende la parola con questo quesito: “Sarebbe interessante tentare di capire la ragioni per cui gli intellettuali italiani (e quelli francesi) siano stati relativamente poco influenzati dalla condotta sovietica in Europa orientale dopo la seconda guerra mondiale: si tratta di una questione non secondaria”. Già.
Perché molti erano stati fascisti prima di improvvisarsi comunisti? Gli intellettuali italiani non solo erano “poco influenzati dalla condotta sovietica” ma ci anelavano. Non si sono resoconti di viaggio così entusiastici come quelli degli intellettuali italiani, alcuni anche di grande capacità critica (Carlo Levi, Italo Calvino, Pasolini, perfino Moravia). Il germe comune non era, e non è, il comunismo ma il totalitarismo: il sovietismo è per questo persistente in Italia, ben oltre la sua implosione nel “paradiso russo”.

Tradimento – È il peccato peggiore per Dante, che lo punisce al nono e ultimo girone dell’ “Inferno”, “il venir meno alla fiducia della persona amata”. È il peccato per eccellenza anche del vangelo, quello di Giuda, e si può dire dell’Antico Testamento – il peccato originale non è se un tradimento. Ora è una virtù, non solo in politica, e anzi segno di libertà.

astolfo@antiit.eu

I sovietici erano buoni, e anche cattolici

Un tale cumulo di castronerie, di un liberale poi e non di un comunista, sembra impossibile da accumulare sull’Unione Sovetica nel 1955-1956, ma Carlo Levi c’è riuscito, e senza resipiscenze – molti intellettuali venivano invitati e trattati di lusso nell’Urss, ma di pochi si raccoglievano le impressioni in volume, e questo è uno dei pochi, più volte perfino ristampato.
Le impressioni di viaggio dell’ottobre-novembre 1955 escono quando i drammi del 1956 si sono tutti svolti all’Est, ma Levi li riduce a “notizie”. Lui è sempre sotto l’impressione di suites principesche, buffet da sogno, accudito da premurose governanti, affollatissime serate letterarie, incontri ravvicinati coi migliori scrittori del momento, a Mosca e a Leningrado, e il privilegio di saltare la fila per l’omaggio d’obbligo al mausoleo di Lenin. Di altro c’è poco. Giusto la teoria che la rivoluzione sovietica è contadina e ne mantiene i tratti. Anzi è cattolica: “Si potrebbe dire per un certo aspetto … una rivoluzione cattolica”. In quanto uomini e donne “hanno la virtù, la vita morale e, per averla, si sono fatti poveri in spirito”. Uomini e donne sono notevoli anche per “l’assoluta mancanza, volontaria e quasi ostentata, di ogni eroticità, sostituita con evidenza da altre volontà, da altri ideali”.
I sovietici sono gli ultimi “custodi  dei sentimenti e dei costumi dell’Europa”. Per “quella semplicità, quell’ingenuità, quell’onestà, quella pulizia morale, quella timidezza, quella volontà di bene: quell’insieme di ideali che raccolgono i miti del progresso, l’ottimismo ella ragione, il positivismo, la fede nella scienza, l gusto per l’arte verista e eteroclita, fiduciosa accostatrice di tutte le possibili tradizioni, di tute le epoche e di tutti i luoghi, la passione per le grandi idee internazionali, la passione per il potere dell’uomo sulla natura e sul mondo, la tecnica, la scoperta, la bontà, la virtù”. Gli elenchi delle virtù sono numerosi e tutti sterminati. .         Si vuole bene a Carlo Levi che ha amato il Sud, pur essendo molto torinese, anche se lo ha capito poco, ma questo sembra un monumento all’idiozia: la bontà ha dei limiti.
Carlo Levi, Il futuro ha un cuore antico

Un treno dalla Cina saltando la Russia

In alternativa, senza prendere posizione nel conflitto in corso tra Mosca e Kiev, il Kazakistan progetta una passaggio alternavo alla Via della Seta attraverso il Caspio, che consenta di collegare il Medio Oriente con l’Estremo Oriente senza passare per il territorio russo. Viene detto Via della Seta  il sistema di trasporto ferroviario veloce Est-Ovest in via di realizzazione.
Dubai World, la finanziaria dell’emiro, finanzierà un porto container nello scalo kazako di Almaty sul Caspio. Che servirà esportatori dal Giappone, la Corea del Sud e il Vietnam, oltre che dalla Cina continentale. Dal Caspio al Mar Nero e al sistema ferroviario turco, la derivazione potrebbe anche servire l’Europa balcanica, senza passare né per la Russia né per l’Ucraina.
Ma tutto il sistema dei trasporti mediorientali potrebbe venire rivoluzionato. Una derivazione è in progetto anche verso l’Iran, attraverso il Turkmenistan. 

venerdì 18 aprile 2014

Letture - 168

letterautore

Autore – È creatore più che cultore della materia. Come dice Calvino: “Sempre scriviamo di qualcosa che non sappiamo” – “Mondo scritto e mondo non scritto”, 114.

Avanguardie – Le ultime, nel secondo Novecento, sono state un gruppo di potere e una goliardata. La ricerca letteraria – ancora se ne parlava - si è esaurita nelle trovate della tarda latinità, grafiche per lo più – roba da decadenza? Con le “contrepéterie” e altri svaghi linguistici. I poeti si chiamarono Novissimi, che ripetevano i neoteroi padani che indignavano Cicerone, “poeti alla moda”.

Italo Calvino - Si è iscritto da ultimo ripetutamente alla letteratura “fantastica”, nel senso dell’immaginario e il meraviglioso. Da ultimo nei saggi ora ricompresi in “Mondo scritto e mondo non scritto”. Sull’esempio di “Pinocchio”, dice, che conosceva tutto ancora prima d’imparare a leggere. Con una forte dose di compiacimento: “Il fantastico, contrariamente a quel che si può credere, richiede mente lucida, controllo della ragione sull’ispirazione istintiva inconscia, disciplina stilistica; richiede di saper nello stesso tempo distinguere e mescolare finzione e verità, gioco e spavento, fascinazione e distacco,  cioè leggere il mondo su molteplici livelli e in molteplici linguaggi simultaneamente”.

Dante – È un rabbino? Anche, perché no. Molto ricorre alla numerologia, e qualche volta alla gematria, capitolo della Cabala. “La Gematria è”, nella sintesi di Vinassa de Regny, “Dante pitagorico”, “diciamo così, una scienza, che ricerca l’interpretazione simbolica numerica sia di singole lettere, sia di intere parole, sia delle prime tre lettere di ciascuna parola”, dilettazione di molti rabbini.
Vinassa de Regny, che studiò il “simobolismo pitagorico” in Dante, premette: “Si dice che vi fossero rabbini che conoscevano il valore gematrico di quasi tutte le parole della Bibbia”. Ma non solo loro, aggiunge: “Anche i greci indulgevano a questa moda”. E fa un esempio: “Stratone, in un epigramma che non occorre tradurre, dice che proctos  e chsisos si equivalgono geometricamente” – ano e spada?.

“Lo” Scartazzini, il principe del commento dantesco, Vinasse de Regny dice “frigido calvinista”. E lo era. In perpetua lite, per il rigorismo, con le tante autorità teologiche dei cantoni svizzeri tra i quali vagò, Graubünden, Berna, Coira, Aargau.

Editoria – Il libro digitale ne ha mutato i connotati. È un industria di servizi: redazione, grafica, impaginazione, promozione. Più i servizi tipografici, con la fondamentale innovazione del print-on-demand, sia pure una sola copia. Mentre vede scemare rapidamente il ruolo classico di scelta e proposta, di indirizzo. Non sarà presto grande industria, ma un pulviscolo di agenzie editoriali O allora una big business, ma a fini promozionali: come marketing da un lato e dall’altro la promozione delle vendite. L’editore che scopre e “fa” l’autore era appena nato e già scompare, avrà vissuto due o tre generazioni.

Epica – Si nutre delle sconfitte più che delle vittorie. A partire dall’“Iliade” e fino a Parsifal e ai Nibelunghi. Poi l’epica è scomparsa. Con il ciclo discendente dell’Europa nel Novecento. La sconfitta si celebra nelle fasi ascendenti della storia, di espansione o conquista: ricorda le sofferenze e agevola la magnanimità.

Esilio – Cicerone ne fa le lodi – “I paradossi degli Stoici”, II: “L’esilio è terribile agli occhi di colui che è come circoscritto in un luogo determinato, ma non può esserlo per chi guarda l’universo come una sola città”. Lui però ne approfittò per una manovra politica, per prepararsi un ritorno acclamato.

Galileo – Leopardi lo voleva filosofo: “filosofo e scienziato” lo disse nella “Storia dell’astronomia”, 1813: “Galilei era filosofo, era matematico”. Leopardi aveva allora quindici anni, ma aveva letto Galileo.
Nello “Zibaldone” lo dice ripetutamente, dandolo per scontato: Galileo è “il primo riformatore della filosofia e dello spirito umano” (1 dicembre 1828), oltre che “forse il più gran fisico e matematico del mondo” (1821) – e grande scrittore, per la sua «precisa efficacia e scolpitezza evidente» (1818) e per la «magnanimità e di pensare e di scrivere» (1827).

Lacrime – Vanno per sette? “Sette fiasche di lacrime ho colmate” è di Carducci, al ricordo della fiabe della nonna. Si piange molto in letteratura, più che non si rida – ride il lettore ma raramente il personaggio. Ma sette va bene con le fiabe e con le lacrime: John Dowland, “baccelliere in musica” e allora “liutista dell’altissimo principe Cristiano Quarto  re di Danimarca”, ne fece una composizione per liuto, viole e violini, di pavane, gagliarde e allemande: “Lachrimae or Seven Tears”. Forse di sconforto alla morte della regina Elisabetta, nello stesso anno 1603, il 24 marzo. In linea con una tradizione poetica, di cui era stato ultimo interprete Wiliam Hunnis, “Seven Sobs of a Sorrowful Soule for Sinne”, i sette singhiozzi di un’anima afflitta per i suoi peccati. Tre anni dopo Dowland, anche John  Coprario comporrà sette “Funeral Tears”.

Leopardi – Romanziere? Era un’idea di Giulio Bollati, dice Calvino. Poi Bollati non ne scrisse. Calvino invece, pur escludendo l’ipotesi, per rispetto all’amico, nella nota radiofonica “Mancata fortuna del romanzo italiano” (1953), ne sintetizza il romanzesco persuasivamente nella nota allo stesso testo per la pubblicazione (ora in “Mondo scritto e mondo non scritto”): Leopardi aveva le chiavi del romanzo, “le grandi componenti del romanzo moderno, quelle che mancavano a Manzoni”. E ne fa l’elenco: “la tensione avventurosa” (l’islandese in Africa, la notte dei cadaveri viventi nello studio Ruysch, la notte sulla tolda di Colombo), “l’assidui ricerca psicologica introspettiva, il bisogno di dare nomi e volti di personaggi a sentimenti e ai pensieri suoi e del secolo”. E la lingua: “La via ch’egli indicò fu quella dei massimi effetti coi minimi mezzi, che è sempre stato il gran segreto della prosa narrativa”..

Sarà stato un pre-positivista, ma di bocca buona. Le “Operette morali” registrano, al “Dialogo di un fisico e di un metafisico”, sulla necessità del pessimismo, questa conoscenza del Terzo Mondo: “Qualche buono antico (che Leopardi distingue dai favolisti antichi, n.d.r.) racconta che gli uomini di alcune parti dell’India e dell’Etiopia non campano oltre a quarant’anni; chi muore in quest’età, muore vecchissimo; e le fanciulle di sette anni sono in età di marito”. Questa dei sette anni “sappiamo che, a presso a poco, si verifica nella Guinea, nel Decan e in altri luoghi sottoposti alla zona torrida”. Quest’ultima informazione  Solmi dice che Leopardi indica a margine nella “Histoire naturelle” di Buffon, che però è di metà Settecento..

letterautore@antiit.eu

"Fuga” dantesca tra Firenze e Venezia

È lungo tre volte e mezzo Camilleri, si può leggere anche in otto o dieci ore, cinque volte Camilleri, non merita di saltare nulla, anche l’“Inferno” di Dante che tutti conosciamo, costa un terzo. Non è emozionante? Come no, la sovrappopolazione, l’eugenetica e il transumanismo, non se ne parla, ma sono in agguato: siamo troppi, troppi essere umani che consumato la terra, e una peste nera non ce la toglierà nessuno, tra non molto, forse anche indotta – come fa il genio cattivo di questo assaggio d’inferno.
E l’emozione della professionalità? Dell’industria che ancora vuole efficienza più che disinvoltura. Quella che porta Doubleday e Mondadori a curare un “Codice da Vinci”, o Mondadori “Gomorra”, libri da due milioni di copie, in Italia. Se non c’è il libro, che almeno ci sia un’industria del libro. Che magari è agli ultimi fuochi, l’editoria digitale cambia tutto, ma allora tanto più apprezzabile.
La cosa più consolante sono le pagine iniziale, dei ringraziamenti. È un sollievo sapere che tante persone, così distinte, stanno dietro a un libro. Oggi che non ci sono più critici, e in fondo neanche lettori, ma consumatori, tanta sollecitudine tiene aperta ancora la speranza.
Sul fatto, che dire? Dan Brown ne ha imbroccata una, con Leonardo al Louvre, ed è difficile ripetersi. Presentato peraltro come un giallo, chissà perché, anche “Inferno” ha invece una suspense di tipo diverso – l’esito si sa, non saremmo altrimenti qui a raccontarli: da action story, del genere fantasy, dove a ogni “incrocio”la storia può prendere strade diverse, che in Italia non ha molto mercato, anche se tiene ugualmente col fiato sospeso. “Da Vinci” aveva duecento pagine di fuga dentro il Louvre, “Inferno” ne ha 400 attraverso Boboli, Palazzo Pitti, il corridoio vasariano, Palazzo Vecchio e il Battistero di Firenze. non male.
L’interesse maggiore è che la storia si ambienta a Firenze , con una anti.itcoda a Venezia. Un omaggio all’Italia, anche se è come se Brown avesse voluto anticipare l’effetto Renzi - ma è una città popolata da Ombre, e da turisti senza volto. Il problema è che Dan Brown, didascalico, metodico e tutto,  racconta meglio che il novanta per cento della grande narrativa italiana, anche del novantacinque. E dunque i suoi ringraziamenti sono meritati.
“Inferno”Malgrado tanta cura, però, un errore c’è. A p.325, a mezzo della “fuga”, l’eroina Sienna Brooks si toglie la parrucca bionda e la “infila” in testa a Langdon, il deus ex machina. Una delle trovate sempre geniali che ha la dottoressa Sienna, qui per darsi entrambi un’aria punk skinhead, lei calva, lui con la treccia sulle spalle, e confondersi tra i turisti. Ma è così travestiti che vanno avanti, nella parte più angosciosa della storia? Il lettore è rassicurato solo a p.520, ritrovandoci, seppure dentro un tombino, “la bella ragazza bionda con  la coda di cavallo”.     
Dan Brown, Inferno, Mondadori, pp. 712 € 5

Ma chi è Gelli, Renzi o Grillo?

P 2 macht frei”, la trovata di Grillo, è triste perché specula su una tragedia inumana., ma è offensiva proprio come dice Grillo. Non alla memoria delle vittime di Hitler, ma a Renzi. Per questo il comico non la ritratta e non si scusa: con questa trovata si è rimesso in gioco sul fronte della riforma costituzionale, e anzi s’è preso la leadership di quelli che “la Costituzione non si tocca” – lui ce ne disprezza ogni aspetto.
Si può criticare Grillo, ma ripete l’accusa di Zagrebelsky: “Renzi? Gelli”. Si può criticare la leadership che Grillo s’è preso dei movimenti per la Costituzione intoccabile ma solo per la coerenza, per una questione etica. Politicamente ne è il leader più giusto.
Grillo disprezza il Parlamento, in parole e opere, e quindi la Costituzione, di cui il parlamentarismo è il fulcro. Senza il manganello, con la forza delle parole e delle sceneggiate. Ma i parlamentaristi Zagrebelsky e Rodotà, i loro followers, opportunamente convergono su Grillo, condividendone l’arma del dileggio. Della denuncia irresponsabile: chi tocca la Costituzione è un piduista e un golpista. Napolitano così lo è, Renzi lo è. Ma da che parte sta Gelli?

La repubblica delle spie

Il titolare d “Assunta Madre”, il ristorante in della lussuosa via Giulia a Roma, Gianni “Johnny” Micalusi, terracinese impunito, non se la prende: “In tutti i ristoranti dei vip a Roma ci sono microspie”, anzi, si consola. La Regione Emilia-Romagna ha aperto un canale riservato per le denunce. Dell’Utri è stato denunciato, a ogni buon conto, da un compagno di viaggio, business class, nel volo verso Beirut, il 24 marzo, quando non era soggetto alla carcerazione e nemmeno a divieto di espatrio. È la spiata che ha fatto venire l’idea al Procuratore Generale di Palermo Scarpinato, l’arcinemico di Dell’Utri, che l’11 aprile, dopo un paio abbondante di settimane, vincendo la naturale neghittosità, ne ha disposto l’arresto – dice: ma non lo sapevamo, e invece lo sapevano benissimo, l’albergo dove stava, il non anonimo Phoenicia, tanto più che pagava con le carte di credito, tracciabili con un clic.
Per coprire la “procedura”, si è fatto valere per Dell’Utri un’intercettazione dell’8 novembre 2013, all’“Assunta Madre” appunto. Il capo della Mobile di Roma Renato Cortese, poliziotto in carriera e quindi in cerca di visibilità, l’ha fatta valere come l’innesco della richiesta d’arresto. Giustificando l’intercettazione a carico di Dell’Utri come casuale, le microspie essendo state disposte per sospetti su Micalusi. Una doppia bugia, perché Micalusi era stato indagato una quindicina d’anni prima, e assolto definitivamente. Mentre la richiesta d’arresto viene dopo la delazione sul volo Parigi-Beirut. Un nodo di gagliofferie. Con un pizzico di ridicolo.
È vero che Cortese aveva mandato le sue intercettazioni a novembre alla Procura di Roma. Ma il Procuratore Pignatone gliele aveva restituite il 20 novembre con un richiamo alla legge: “Questa squadra mobile” non si allarghi, si limiti alle intercettazioni disposte dal giudice. Un rimprovero che, si dice, era motivato dal contenuto vero delle intercettazioni profferte da Cortese: a carico non di Dell’Utri ma di alcuni giudici della Procura di Roma, chiacchierati da alcuni commensali. Dunque, c’è una Polizia che ci intercetta comunque – Dell’Utri? “Johnny”? – e poi sceglie fior da fiore.
Delle delazioni, peraltro, l’uso è opportunistico – politico nel migliore dei casi. Per anni vent’anni fa il boss della camorra Carmine Alfieri, superricercato, con segnaletica aggiornata e somigliante, ha trafficato con la Romania, viaggiando con Alitalia. Riconosciuto dagli altri assidui del volo, molti trafficanti come lui, all’indomani della caduta del comunismo la Romania si comprava per pochi dollari, e dai servizi segreti rumeni. Che lo segnalarono ai servizi italiani, e ai giornalisti italiani che amabilmente essi sorvegliavano quando s trovavano a lavorare in Romania. Alfieri fu infine arrestato – era il boss che teneva pieni i muri di immagini sacre – ma dopo qualche tempo.
Il raffronto viene vergognoso con “Delatori”, la raccolta delle spiate che Mimmo Franzinelli ha fatto della stato dell’arte sotto il fascismo. Basti il raffronto tra il fotografo Francesco Scopece e Zappadu, i fotografi che fotografano per mettere in cattiva luce i propri nemici: quello condannato, Zappadu milionario benemerito della Resistenza, con residenza ai Caraibi. 

giovedì 17 aprile 2014

La passione della delazione

Omertosi? Siamo un popolo di denunciatori. Franzinelli ci vuole delatori, poiché la sua ricerca è sugli anni del fascismo, e dunque, sul presupposto che il fascismo è una cosa turpe, i denuncianti dell’epoca scadono a delatori. Ma il fascismo non era turpe al tempo del fascismo, si denunciava a buon diritto. La cosa, insomma, non è così semplice: ci sono mille e più nomi di denunciati in questo repertorio dell’ignominia, e quasi nessuno è prezzolato. "La denunzia come dovere politico" è il primo capitolo del libro.
È così che una raccolta scontata – le spiate non erano la cosa peggiore, nel fascismo succedeva ben di peggio – diventa inquietante. Quattrocento fittissime pagine d’ignominie – anche l’impaginazione è senza respiro, a corpo minuto, a interlinea uno: di denunce, esposti, lettere anonime, tutto protocollato, tutto visionato normalmente da Mussolini, che stabiliva le pene. Un repertorio opprimente di per sé, che è solo una selezione delle migliaia di casi che lo studioso ha trovato. La più parte non sono denunce di confidenti ma “dichiarazioni spontanee ai Carabinieri (debitamente verbalizzate)”. La denuncia come sport nazionale, da campioni imbattibili: “Migliaia di cittadini adempirono in modo spontaneo e intermittente alla medesima funzione referente svolta dai fiduciari dell’Ovra in forma mercenaria e continuativa”, dai fiduciari della polizia politica. I  portieri non solo, ma ogni altra categoria di persone: coinquilini, passanti, parenti,  clienti, operai, padroni, ambulanti, come da tradizione, sacerdoti, triestini in massa. I sacerdoti anche all’interno della Chiesa, contro i modernisti – o per la carica di cappellano militare.
Totalitarismo o democrazia?
Franzinelli dice che la Germania di Hitler e l’Urss erano peggio, e peggio di tutti la Francia di Vichy. La pratica liquidando come “tratto tipico dei regimi autoritari e totalitari a partito unico”. Ma questo non è vero, la cosa non è nata e non è morta col totalitarismo. L’Italia odierna, che vive di delazioni al coperto di indiscrezioni, ascolti, insinuazioni, induzioni, la delazione pratica al meglio – o è da definire un totalitarismo, sia pure dell’informazione democratica? interessante.
Un capitolo sorprendente – non se ne trovano nei repertori, ad esempio, della Germania nazista - è quello di chi fa ingiuriare Mussolini dai suoi nemici, o asserisce che lo hanno fatto, per denunciarli. Sorprendente perché la polizia di Mussolini indagava per prima cosa i diffamatori, che spesso scopriva e mandava al confino o a processo. “Diffamatori puniti” è un corposo capitoletto. “Quando la Polizia scovava l’estensore di una missiva diffamatoria, agiva con mano pesante”. Oggi diffamare è benemerito, purché per la buona causa. Delle proposte del “piano” anticorruzione, la regione Emilia-Romagna ha subito adottato la denuncia anonima: la figura del delatore ribattezza wistleblower, all’americana, per camuffarne la natura e ammodernarla – un segnalatore, un “palo” – e gli assicura la criptazione della provenienza email.
Anche le intercettazioni erano d’uso. Ma Mussolini dispose: “Una sola copia!”. Oggi se ne fa libero mercato. Una corposa categoria del libro sono peraltro i fascisti che accusano i fascisti, sempre documentati. Come oggi gli imprenditori e affaristi falliti denunziano i concorrenti più fortunati.
Se la spiata è virtuosa
Ci sono differenze, naturalmente. Ma la maggiore è che il denunciante allora, sotto Mussolini, era un infame. Oggi è un bello-e-buono della Repubblica, e la Repubblica lo premia – seppure secondo un vecchio canone borbonici, il “truglio”, che Franzinelli risuscita d’acchito (sulla scorta dell’omonima rievocazione di Nico Perrone). Succede, la storia ha fasi alterne. Ma allora il giudizio etico è relativo – e il pentimento, la colpa, etc. Franzinelli distingue: “In un sistema illiberale e antidemocratico «informare» l’autorità equivale a «denunziare»”, illecitamente cioè, secondo il giudizio morale. Ma, dopo, tutti sbirri’? Papa Ratzinger, se ancora fosse in cattedra, avrebbe di che preoccuparsi.
“Tra i moventi”, spiega Franzinelli senza più l’aggravante del fascismo, “figurano l’arrivismo, l’acredine, il gusto dell’intrigo, la vigliaccheria, la vendetta, il denaro, l’invidia, la sete di potere”.
Mimmo Franzinelli, Delatori, Universale Feltrinelli, pp. 462 € 15

La Cina arriva col treno

Procede il progetto che potrebbe mutare la geografia economica dell’Europa in un decennio - non estraneo alla quasi guerra tra la Russia e l’Ucraina: il sistema ferroviario veloce detto  Via della seta, che collegherà la Cina all’Europa. Riducendo i tempi del trasporto a un terzo dei sessanta giorni attuali e corrispondentemente il costo del trasporto, bulk o container.
Al progetto russo-cinese Mosca ha collegato la Bielorussia e il Kazakistan (nel cui territorio si svolgerà la parte più lunga del percorso) in una United Trasport and Logistics Company.  L’obiettivo è di cominciare a trasportare 1,7 milioni di container l’anno già dal 2020.
A regime, passerà sul sistema terrestre transasiatico solo un quinto dell’interscambio totale euro-asiatico, ma per la Cina e la Russia, oltre che per gli stati minori, Kazakistan, Bielorussia, sarà il perno di una sorta di area d libero mercato comune.
Il sistema ferroviario Est-Ovest viene modernizzato o costruito per una velocità che consenta ai convogli un percorso di 1.000 km. al giorno.


mercoledì 16 aprile 2014

Problemi di base - 178

spock

C’è un’infinità dunque, dei numeri primi?

E dei tempi?

E dei mondi? Sì, galassie di galassie, ma quanti mondi esattamente?

Che cosa sarebbe il mondo senza l’uomo, la natura?

E perché Dio non sarebbe un comico?

Dio onnipotente non ride: è un titolo di merito?

Tutto si chiarirebbe se Dio si fosse sbagliato?

Ci sono i diavoli ma non le diavolesse, e le quote rosa?

spock@antiit.eu

Chi tocca i giudici muore

La Bicamerale fallì nel 1998 sulla separazione delle carriera dei giudici, tra pubblici ministeri e giudicanti. Lo dice D’Alema, che era il presidente del consiglio e la Bicamerale aveva voluto, e nessuno lo smentisce. Tardi, dunque, ma è vero: i giudici sono intoccabili, in ogni privilegio. Anche a costo di impedire l’ammodernamento necessario delle istituzioni.
Nel 1998 c’era Scalfaro, il presidente dei giudici gaglioffi, e la cosa si può spiegare così. Ma né prima né dopo la cosa è stata possibile. Per la protervia minacciosa della categoria. Per l’acquiescenza dei presidenti successivi, Ciampi e Napolitano. Per il ricatto costante dei giudici alla vita associata in tutte le sue forme, attraverso il ricatto dei media. Si dice che i media siano di Berlusconi, ma quelli non contano, contano i media delle cui magagne proprietarie i giudici sono i protettori, di De Benedetti, Bazoli, Agnelli-Elkann, la Confindustria.
Assistiamo sbigottiti, mentre si tagliano d’imperio le retribuzioni dei manager, gente che produce, dopo aspre selezioni, a retribuzioni dei giudici che arrivano al doppio di quella del presidente della Repubblica, dopo carriere “a cieli aperti”, tutti promossi, comunque. Uno scandalo doppio, perché si produce nel silenzio più totale dei media. Triplice anzi: chi critica è un mafioso, un’associazione esterna i Carabinieri gliela troveranno.

La categoria si fa schermo dei giudici vittime delle mafie. Ma è altrettanto spregiudicata. Prima avversò, non si dimentichi, con asprezza la Procura antimafia ideata da Falcone, fino a metterlo nel mirino di Riina. Poi, assassinato Falcone, si appropriò dell’idea dissolvendola in 136 Procure antimafia distrettuali, ognuna con un Procuratore Capo e uno o più vice.

L’amarezza d’essere stato fascista

“Ricco” ha etimologia unica in tutte le lingue. “Una delle condizioni più misere delle epoche infelici non è di rimpiangere vanamente la felicità, ma di averla totalmente dimenticata”. “Il Risorgimento, nonostante i suoi miracoli, risentirà sempre dell’essersi compiuto con la totale assenza di ironia”. “Noi amiamo i romantici per quanto hanno di classico”, etc. Con il popolo di mezzanino (“quello che si guasta cercando di imitare i primi piani nei loro difetti”), “i semidei della tavola”, o “la feudalità della tavola”,  la “Moda della Tolleranza” e, in parallelo con Savinio, il “profondiamo”: uno scrittore sempre vivo. Malgrado tutto. Qui malgrado l’intempestività, e quasi una sordità: la leziosa raccolta – malgrado tutto è leziosa - uscì nell’ottobre 1943, il momento forse più fosco del Novecento, a Milano, capitale morale della repubblica in incubazione di Salò.
Vittima della sicilianità (l’immortale “Bell’Antonio” non lo è più, è caricaturale e perfino bozzettistico), Brancati è invece autore di altra sostanza. Soprattutto per gli anni suoi, tra la guerra e il dopoguerra. Nel teatro, nelle annotazioni diaristiche, nei racconti – i romanzi, è vero, sono “siciliani”, anzi catanesi: è a Catania che le ragazze non uscivano di casa ancora nel 1960 se non accompagnate. Moralista arguto, segna anche in questo “diario segreto” (il “corteggiamento di un «senso della vita»), la sofferenza forse più reale della guerra e del fascismo, fra i letterati che c’erano anche prima.
Il diario uscì in forma di libro nel 1943. “La sua fu una vera conversione,” dirà Moravia, che gli volle molto bene. Figlio di Rosario, funzionario di prefettura e fervente mussoliniano, che volle a stampa una sua conferenza al sindacato fascista, intitolandola “Il duce”, fu fascista egli stesso. A quindici anni, 1922, era già iscritto al partito Fascista. Nel 1931 andò a Roma, insegnante alle Magistrali, è cominciò a disamorarsi: troppa corruzione. Nel 1934 la conversione era compiuta: tornato a Catania, ebbe sequestrata “per immoralità” la pièce “Singolare avventura di viaggio”. Dopo la censura, se non a causa di esse, irrobustirà le vena ironica, fino al ridicolo e al sarcasmo. Nelle forme di Gogol’, oltre che del migliore Pirandello
Vitaliano Brancati, I piaceri

martedì 15 aprile 2014

La giustizia dei giudici

Matrimonio gay, fecondazione eterologa, utero in affitto, si moltiplicano le sentenze contro la legge. Si può convenire nel merito, ma bisogna prenderne atto: il giudice italiano agisce, può agire, di testa propria, anche contro la legge. Lo stesso arbitrio si rileva va nel caso di Berlusconi: condannato per evasione fiscale, che è reato non minore e anche odioso, ma poi a una pena per modo di dire, 160 ore si assistenza agli anziani – importante era toglierli i diritti politici.   
Si fantasticava il giudice, ai tempi ancora di Sciascia, pensoso sulle sentenze che doveva pronunciare, che sempre sono per qualche verso ingiuste. Poi è prevalso il sindacalismo giudiziario, per cui il giudice si vuole umile servitore della legge – un funzionario, un travet, anche se si paga come il presidente della Repubblica e più. La realtà vede dei diecimila giudici la stragrande maggioranza slegata da ogni freno, nonché dalla stessa legalità.
Il quadro è agli occhi di tutti, questa giustizia non si nasconde. I giudici comandati, negli enti locali, al governo, nel sottogoverno, in organismi che magari si creano ad hoc, per carriere e prebende. I giudici politici, di sacrestia o di cellula: Ii giudici in politica: sindaci, assessori, parlamentari, ministri. I giudici negli organismi rappresentativi, di categoria, istituzionali, costituzionali, di garanzia. Tutti insindacabili, e ora anche avulsi dalla legge. 

Nullatenenti nullafacenti, l’immoralità dell’antipolitica

51 parlamentari nullatenenti non è da ridere, è una volgarità. Tragica, come 50 altre ciccioline. O sono 100, con gli “incapienti”? Uno sconcio. Un parlamentare su dieci è un goliarda, uno che a venticinque anni e più non ha mai cercato un lavoro - i nullatenenti non sono nemmeno iscritti alla ricerca di un lavoro, non percepiscono la disoccupazione. Né partite Iva, per quanto velleitarie. Né licenziati, o perdenti posto, nessuno di loro.
È il limite della politica dell’antipolitica, finire in mano ai fresconi, la sua intrinseca immoralità. Sotto le forme dell’opportunismo, della beffa, della stupidità trionfante. Gente che ride di chi fatica, e se la gode alle sue spalle.
Non si può cacciarli, come loro in situazione rovesciate pretenderebbero, dalle Camere. Ma un requisito urge per le candidature. Oltre all’età minima anche un lavoro, un’attività, una professione. Un lavoro anche umile non qualificato, ma che sia stato cercato, previa attestazione di agenzia del lavoro o testimoni validi.
Le “giustificazioni” che molti di questi fannulloni spernacchianti portano, soprattutto i grillini, sarebbero anche facete. Se non fossero immorali, indegne.

La guerra umanitaria ultimo colonialismo

Hashem Thaci, il “Garibaldi del Kossovo”, per il quale abbiamo dichiarato guerra alla Serbia, era un notorio mafioso. Fu ed è sponsorizzato dalla Onu, cioè dagli Usa, ma la sua Uck, o esercito di liberazione del Kossovo, era una banda criminale. Ora sappiamo anche, da un breve commento che il Corriere della sera” ha concesso a Francesco Battistini, che non soltanto liquidava i serbi kossovari inermi delle campagne a centinaia, ma ne trafficava gli organi per la proficua industria internazionale dei trapianti. Senza che lOnu, nel caso l’indomita Del Ponte della altrimenti inflessibile Corte internazionale di Giustizia dell’Aja, ritenga di processarlo.
Il problema non è Del Ponte, una carrierista fra i tanti. Quando si farà la storia delle guerre umanitarie se ne scopriranno soprattutto magagne. Nell’ex Jugoslavia gli intrallazzi scoperti della nuova grande Germania. In Serbia, Afghanistan e Irak le insondabili strategie planetarie americane – coi tentativi in Siria e in Iran. In Libia gli intrighi anglo-francesi contro l’Italia.
La guerra umanitaria è novità complessa. Ribalta due millenni di diritto internazionale, il principio cardine del non intervento. Con la guerra preventiva, o risarcitoria. Ma attrae anche sicuri uomini di pace, come il defunto Giovanni Paolo II. Le ombre sono tuttavia più dense, molto più he non gli aspetti realmente umanitari. Molte guerre sono state e sono combattute col sostegno di regimi retrogradi in patria, quali l’Arabia saudita e gli Emirati del Golfo. Le guerre non si dichiarano dove i diritti civili e politici sono più conculcati. Non in Venezuela per esempio, o in Africa. Si fa guerra per finalità dichiarate che invece si dimostrano subito false. La guerra alla  Serbia, su cui Scalfaro e D’Alema pronti si allinearono, fu subito chiaramente una guerra alla Russia by proxy, una sorta di guerra per procura,  e non una guerra di liberazione. Tutto sommato, dovendola catalogare anche per capirne il senso, la guerra umanitaria ha tutte le caratteristiche della guerra coloniale: l’arbitrarietà, l’unilateralità, l’attacco cosiddetto preventivo. E le stesse buone ragioni: la fede, il progresso, la libertà.

La giustizia degli sbirri

A mano a mano che si precisa la vicenda Dell’Utri, si scopre il solito depistaggio delle nostre Polizie, di bugie su bugie fornite a cronisti giudiziari compiacenti. E una voglia incontenibile degli italiani di denunciare: tutta la vicenda, compresa la richiesta opportunamente reiterata del nemico di Dell’Utri, il giudice Scarpinato, il teorico del “Dio dei mafiosi”, è partita da uno o più italiani che hanno visto Dell’Utri in prima classe sul volo Parigi-Beirut due settimane fa. Un italiano, dunque, ricco, che denunia un altro ricco, non latitante, in viaggio con il figlio..
Altro che omertà, l’Italia muore dalla voglia di denunciare, sia pure ricca e indaffarata, manageriale, imprenditoriale, come s’immaginano i compagni, o il compagno, di viaggio di Dell’Utri. Una passione ch si pensava spenta col fascismo, poiché le storie e la dottrina politica, da ultimo il coroso “Delatori” di Mimmo Franzinelli, che Feltrinelli riedita in economica, la legano ai totalitarismi. E invece si lega anche alle democrazie, come virtù democratica. Ma non senza danni per l’etica.
Il rovescio della vicenda è infatti una giustizia fatta di sbirri. Scarpinato lo sapeva, che ha reiterato la richiesta di arresto preventivo per fare rumore. Nonché la Polizia, o i Carabinieri, o i servizi segreti, che hanno detto Dell’Utri scomparso, mentre lo sapevano all’hotel Phoenicia, niente di meno. Cioè, lo hanno fatto dire.   

Il nuovo manager è Dc, toscano, di sottogoverno

Riportare le aziende pubbliche al sottogoverno? È quello che Renzi ha fatto. Dicono le cronache che Renzi ha deciso le nomine nelle aziende pubbliche da solo. Si è consultato con questo e con quello, con i “cacciatori di teste”, con Napolitano, perfino con Alfano, poi ha deciso da solo. È possibile, non dev’essergli costato: sono nomine ovvie. Per lui, per il suo disegno: donne per la facciata, con uomini affidabili per  il business, e qualche fiorentino o toscano. Il tutto di fede Dc.
Di toscani ne sono stati individuati una mezza dozzina, ma altri ce ne saranno nelle pieghe. Nessuno segnalato dai cacciatori di teste, tutti politici di Renzi. Le donne servono ai media, per fare bella figura. Con presidenze pleonastiche, ma con 240 mila euro l’anno, oltre la segretari, l’ufficio, la scorta, e l’automobile di servizio. Tutte anche loro di sacrestia, Marcegaglia, Todini, etc.
I manager riportano saldamente a casa i vecchi feudi Dc, l’energia (Eni, Enel, Terna) e le telecomunicazioni. Le Poste in testa – che ora sono anche una banca. Le Poste sono, dopo la Pubblica istruzione, il primo daotre di lavoro in Italia, il più diffuso sul territorio, e l’unico che assume, sia pure solo postine e fattorni.
Di Moretti, “l’ingegnere comunista”, di dice che averlo passato dalle Fs a Finmeccanica è stato un atto di stima. Lui ci crede, a quel che sembra, o fa finta. Ma il passaggio è da un’azienda che fa gli appalti, oggi il maggiore appaltatore italiano, fra i tre e i cinque miliardi l’anno, e con Moretti è rimasta miracolosamente immune alla corruzione, a un’azienda che sta sul mercato e deve solo ridurre i costi e migliorare la qualità. Con un obiettivo immediato, “salvare” la Ansaldo Breda, treni e tram, che opera in Toscana.
Rinnovabili e mezzi elettrici sono l’altro settore su cui Renzi ha messo le mani. I nuovi manager provengono a maggioranza dalla “imprenditoria” ecologica. Cioè dal settore più sovvenzionato del dopoguerra, il sottogoverno di quest’epoca, fra contributi a fondo perduto, esenzioni fiscali, provvigioni, prezzi minimi supervalutati.

Leopardi rivoluzionario

“In verità l’aristocratico Leopardi non fu un liberale, ma un puro democratico e rimase fedele ai princïpi della democrazia rivoluzionaria, anche più avanzata”. Alla conclusione lo studioso si eccita, Leopardi fu un democratico e anzi un rivoluzionario. Ma è di sé che parla, di una concezione del mondo. Quando Leopardi dice “l’anarchia conduce direttamente al dispotismo”, Luporini commenta: è anti individualista - e questo gli basta. Tanto più che “l’individuo non è virtuoso”, ha detto anche il poeta, “la moltitudine sì e sempre”. In una delle sue migliaia di pagine.
Leopardi non è contro il progresso, assicura ancora Luporini, è contro la “perfettibilità”: sarà Nietzsche che rifarà a lui, non lui “all’ipocrita Schopenhauer”. E non è contro la ragione, se non in quanto essa produce “indifferenza”.
Il pensiero politico di Leopardi? È semplice, Luporini così lo riassume: “La corruzione moderna, prodotta dalla «ragione», ha distrutto il popolo perché ne ha distrutto la libertà”.
Cesare Luporini, Leopardi progressivo

lunedì 14 aprile 2014

Effetto Renzi

Siamo al 26 maggio, fra un mese. Renzi ha vinto le elezioni. È il primo capo del partito Democratico che vince le elezioni, dopo le tre sconfitte di seguito che hanno segnato la breve vita del partito. Il Pd è domato. Ma come in tutte le battaglie perdute, gli sconfitti tentano il colpo di coda. Renzi può sbaragliarli mandandoli casa con le elezioni. Gli sconfitti glielo impediranno impedendogli il varo della nuova legge elettorale. Renzi potrebbe  chiamare i comizi con la vecchia legge elettorale, ma allora è facile gridare al golpe, giacché quella legge è stata dichiarata incostituzionale.
Il braccio di ferro non avverrà subito. Prima Renzi vorrà godersi il semestre europeo, giocare all’uomo di Stato fra i 27 che vanno e vengono da Roma, farsi assegnare a Firenze il G 8 o G  7 libero, e presentare come sua la nuova politica europea tedesca, del duo Merkel-Draghi, contro la stagflazione e per lo sviluppo. Ma senza andare avanti di un passo con le riforme istituzionali. 
Renzi vincente rischia dunque il blocco. A meno che Berlusconi non tenga, contro tutte le previsioni. È il paradosso del Renzi vincente: non senza Berlusconi. Se glielo mettono dentro, o gli prende un colpo, per Renzi sarà durissima. Alfano non è un surrogato, poiché non è niente, alle elezioni sparirà. Renzi ha bisogno di Berlusconi, altrettanto determinato, che gli tenga il sacco e gli consenta di laurearsi riformatore. Quello che l’Italia, non c’è dubbio, attende dai referendum del 1991.
Renzi vittorioso alle elezioni sarà sfidato con durezza. E potrà tenere – il governo, il partito – solo se l’opposizione non si dissolverà. L’unica opposizione possibile, quella di Berlusconi, poiché Grillo si chiama fuori. 

Libertà di contrabbando a Strasburgo

La decisione si approssima sulla tracciabilità dei prodotti, specie quelli alimentari, e l’Italia si trova a Strasburgo a fare da cavaliere solitario a favore. Non decide la qualità della battaglia, anzi la giustezza. Che è giusto che si riconosca l’origine del prodotto, specie se agricoli, per almeno tre motivi: dare un orientamento al consumatore, garantire il marchio e i relativi investimenti, riconoscere la qualità. Non si può dare l’attributo di parmigiano, o similare, a un formaggio che non ha le stesse garanzie di qualità. Sembrerebbe una conclusione solo ovvia, e invece ‘Europa adotterà a Strasburgo l’opposto: la libertà di contrabbandare.
La decisione non sarà in questa forma esplicita. L’Ue riconoscerà il diritto al “made in”. Ma lo adulterà, non escludendo le contraffazioni. La Germania lo vuole, con l’Olanda, gli Scandinavi e i Baltici. Mentre la Spagna, il Portogallo e gli altri mediterranei, che condividono l’interesse dell’Italia, si adeguano perché questa è la loro politica, non contraddire la Germania – l’Est Europa non conta.
La libertà di contraffazione, specie nell’alimentare, è voluta dai colossi commerciali del Centro-Nord, francesi inclusi. 

Recessione – 18

Tutto quello che  dovreste sapere ma non si dice:

Il Misery index è al record di 22,1 punti.

Persi 2.400 euro a nucleo familiare tra il 2007 e il 2012. Il calo in Italia è più del doppio di quello dell’eurozona, dove la perdita media del reddito per effetto della crisi è stata calcolata in 1.100 euro,

La disoccupazione giovanile (15-34 anni) era al 44 per ceto a febbraio. Era al 39 dodici mesi prima

Il reddito medio è diminuito, il potere d’acquisto è diminuito, e i prezzi ora ne risentono. Oscillano al ribasso. Si vendono le scorte, e si termina la produzione, in molti settori.

L’ottimismo è d’obbligo col nuovo governo, attivista e baldanzoso. Che però taglia le previsione di un rientro dalla recessione: il pil non crescerà dell’1,4 per cento ma, forse, solo dello 0,7.


L’indice della produzione industriale a marzo è negativo su febbraio, - 0,8 per cento. Pari a un calo del 5,8 per cento su base annua.  

Morire di tasse, serviti

Cipolletta, che si vuole economista, lo è, lo è stato, se ne dev’essere stancato e tira allo scandalo. È per questo che racconta che eliminò la scala mobile nel 1992, col suo presidente della Confindustria, Abete, e con i tre sindacati? Quando tutti gli italiani l’avevano abolita otto anni prima con referendum.
Falso è il falso scopo del pamphlet, che gli italiani pagano per quello che hanno in cambio, per i servizi pubblici – che castroneria (e gli sperperi, la corruzione, gli appalti? e i disservizi?). Falsa è la provocazione, venendo da un ex direttore generale della Confindustria. Uno cioè che dovrebbe sapere che l’impresa in Italia paga in tasse e affini fino a due terzi del suo reddito, roba da regime sovietico. Troppo anche se avesse servizi di prima classe in cambio – ma non li ha, ha solo disservizi: lungaggini, nelle procedure e nei contenziosi, incertezze, vessazioni. Paga tanto da non riuscire più a investire, ormai da quasi un quarto di secolo, e perde in produttività (competitività).
L’economista qui si vuole polemista, si vede che quella è la vocazione massima dei bambini oggi, imitare Travaglio Ma il peggio di tutto non è questo, l’ambizione senile del manager di farsi opinionista e apparire in televisione nei talk-show. Dietro s’indovina il solito gioco dei quattro cantoni, lo scambio incrociato di affidamento politico: di vecchi liberali che fanno i comunisti, mentre i vecchi comunisti diventano liberisti, sena riserve. Come legare i servizi alle tasse? Nemmeno all’epoca del mito scandinavo si dicevano simili castronerie. L’Inghilterra, che tssa metà dell’Italia, ha sevizi buoni la metà?

Innocenzo Cipolletta, In Italia paghiamo troppe tasse. Falso!, Laterza, pp. 108 € 9

Effetto Renzi 2

Rinascimento, Cultura, Moda, il papa a Firenze, il G 8 a Firenze, “La Nazione”, “la Repubblica-Firenze”, il “Corriere della sera-Firenze” sono nel vortice dell’entusiasmo come non mai dalla Fiorentina di Trapattoni, l’ultimo guizzo. Sì, la città è triste e abbandonata, senza università, senza editoria, sena più nemmeno librerie, molte chiudono, le altre si fanno buffet per l’aperitivo e il lunch, i turisti la ingombrano più che omaggiarla, hanno portato 24 milioni di sola tassa ma i soldi non bastano al Comune, più vorace e assenteista che mai (record italiano), la fiera alla fortezza da Basso è fuorilegge, gli Uffizi non si sdoppiano né s’ingrandiscono, l’aeroporto neppure, i litigi sono continui con i democrat, e i forentini continuano a diminuire, caso unico fra le città italiane, sono ora la metà di quarant’anni fa. Ma il tifo dei giornali è assordante, la città della moda, la città della cultura, etc.
È un tifo senza fondamento ma non senza speranza. Renzi non è come la Fiorentina, che ha aumentato anche in questa stagione gli spettatori, di un buon terzo, ma non vince niente. E se Renzi riuscisse davvero a salvare, ribaltare, rispolverare l’Italia? In questo le aspettative non si possono dire false o utopiche: i fiorentini tifano come il resto degli italiani.     

Brutto è più bello

Icardi, benché vesta Dolce & Gabbana, e sia stato il modello di Style, è brutto, sovrappeso, e forse non molto brillante, ma segna due goal e quindi è un eroe. Maxi Lopez è bello e anche bravo, ma il portiere di Icardi, Handanovoic, fa di tutto per impedirgli il goal, e quindi è doppiamente cornuto. La gara tra Sampdoria e Inter era anche una sfida personale tra i due centravanti. In quanto entrambi argentini, e in quanto la donna o moglie di Maxi, una modella, è passata con Icardi – insomma, è passata da Genova, dove gioca Maxi, a Milano, dove gioca Icardi e dove ci sono “più opportunità”.
Che due centravanti litighino per una donna, seppure una modella in cerca di pubblicità, fa piacere. Ma Icardi  è insopportabile: è interista, che è già peccato originale, non solo, ma in due anni di Inter, ben pagato, ha fatto poco o niente. Mentre ieri a Genova, la città che lo ha allevato, come atleta e in cachet, il suo divertimento massimo è stato di sfottere i tifosi locali. Però ha segnato e quindi è un eroe? Dov’è la morale?
Lo stesso a Napoli. L’arbitro, con i suoi collaboratori, ha fatto di tutto per far vincere il Napoli, a spese della Lazio. Napoli celebra come se  avesse battuto il Real Madrid – o bisogna dire ora il Bayern? E i laziali se la prendono con la loro squadra, il loro allenatore e il loro presidente. Dov’è la morale? C’è solo la vittoria.
Era il diritto de barbari, e non c’è stato progresso.  

Reduci, trinariciut, tossici

 Il “riprendiamoci il PD” di D’Alema è da intendersi come rivolto agli (ex, mai stati, involontari) comunisti, al vecchio Pci. Vecchio perché si è fermato al 1989, dopo ha generato al più dei democrat. Ma non morto: è sempre qui e vive insieme a noi, anzi ci fa: tramite la Rai, l’università, l’editoria, i giornali. Ora in confusone per l’effetto Renzi, ma sempre trinariciuto. L’appello di D’Alema ne è la conferma.
D’Alema non si chiede “in che cosa sbagliamo?”, per cui il partito è ora in mano di giovani democristiani, ex o professi. Lui è sempre convinto che lui è il migliore e gli altri profittatori. Non si chiede se l’Italia ha dei problemi e delle urgenze a cui lui e i suoi vecchi compagni non sanno rispondere. Se il mercato non è quella panacea che i vecchi comunisti fingono che sia, dopo essere stati per mezzo secolo cacciatori di capitali. Che osannano il mercato, dal rinnegato Raoul Gardini agli avventurosi “capitani coraggiosi”, senza sapere di che si tratta. Osannano l’Europa e non vedono i mutamenti feroci, i limiti. Anche trinariciuto ora si può dire, che era interdetto: Guareschi, il coniatore, non è più scomunicato e anzi è un santo. E quando sono politicamente corretti, in fatto di donne, minoranze, corruzione, antimafia, hanno esaurito il suo compito – si vede dai loro comici e talk-show.
La cosa più buffa è che più trinariciuta è gente, per lo più intellettuale, che non è stata comunista al tempo del Pci. Qualcuno per fatto anagrafico, i molti perché libertariamente criticavano quel partito. Insomma, nel vecchio gergo, anticomunisti. Non Napolitano, per dire, che è stato comunista vero e di più lungo corso, oltre a essere quello assurto alla poiù alta magistratura dello Stato. È questa gente che ora pensa di poter guidare, illuminare, comandare, le truppe disordinate del vecchio partito, nel mentre che si serve del suo potere residuo di mobilitazione per le proprie carriere e come audience fedele ai talk-show cui presenzia.
La cosa sarebbe cioè da ridere se non fosse pericolosa. Perché il vecchio Pci, senza più bussola e come impazzito, ancora imperversa: nell’autoritarismo de giudici, a cui prospetta carriere e prebende, nell’insipienza delle università e del giornalismo, nell’avviilmento del sindacato – non c’è paese che ne abbia uno tanto inconsistente:, è come i sindacati nei regimi sovietici, cioè di apparato, non conta nulla. 

Tutti da Alfano, “in caso di”

 “In caso di” era la formula che la Ford imponeva alla Fiat se si voleva vendere: una società congiunta al 49 per cento l’uno, con un 2 per cento all’Avvocato Agnelli che passava alla Ford “in caso di” – l’Avvocato per scongiuro non ne fece nulla. La formula è alla basa della moltiplicazione delle adesioni ad Alfano. Che non h politica, non ha strategia e non ha i voti, ma raccoglie tanti ex berlusconiani che non sa più dove metterli. Di chi non vene più candidato da Berlusconi, o comunque si predispone una fine eroica – il modello è Montanelli: vivere una vita a spese di Berlusconi, e alla fine insolentirlo, non sia mai che Dio sia antiberlusconiano, anche lui. Tra l’altro, si evita l’obbligo di gratitudine.
Il problema però con Ncd è che è un partito. Non più il vecchio Pci, le cui masse hanno votato chiunque il partito proponesse, compreso Di Pietro, che si proclamava invece fascista, cioè no, missino. Ncd è un partito senza voti. Come Casini con cui si è fuso. Doveva prenderli in Lombardia con Formigoni, e in Sicilia con Alfano. Ma Formigoni se la passa peggio, se possibile, di Berlusconi. E anche la Sicilia è in qualche modo problematica: liberandosi degli ex Dc, quasi tutti indagati (casiniani, lombardiani, cuffariani), Berlusconi potrebbe riprendersi i suoi voti. Sugli alfaniani, ora alleati del partito, i giudici hanno finora chiuso un occhio. Ma non sempre Ncd sarà col Pd: Alfano dovrà rinunciare ai portatori di voti.
La sola soluzione per gli alfaniani, gli adepti cioè del nulla, è che Berlusconi in qualche modo finisca. N carcere, come vorrebbero le sue giudici. O per un colpo, come auspicano i democristiani,.Non da ora, da un ventennio e più, da buoni fedeli. . 

domenica 13 aprile 2014

Un presidente al di sopra di ogni sospetto

Nell’intervista seduti con Fabio Fazio, peraltro correttamente impostata dal conduttore su noi e l’Europa, il presidente Napolitano ha ridotto la crisi a un malinteso: “Eravamo abituati che ogni anno stavamo un po’ meglio”. Napolitano avrà dunque presieduto alla più grave crisi dell’economia della Repubblica, da cui l’Italia, ammesso che si riprenda, resterà segnata pe sempre, ridimensionata, ridotta a una qualsiasi provincia del mondo, senza accorgersene. Senza sua colpa, da politico che fa la politica giorno per giorno: debolmente.
Lui stesso lo riconosce, ma con lo spirito del galantuomo: “Abbiamo sfiorato la storia senza accorgercene", ricorda bonario delle due ore di discussioni tranquille a Bonn con i socialisti tedeschi. Sempre molto aperti al Pci, il partito Comunista italiano, per la paura allora dominante dei russi a Berlino. Salvo sentire, poco dopo in treno, che il Muro era caduto a Berlino.
La recessione fa il paio con l’altra sua disattenzione, l’irruzione sconfinata del giudiziario sulla politica, con modi e a fini polizieschi. Del giudiziario in tutti i suoi ordini, dalla Consulta in giù. Perfino l’assalto alla sua persona, nel tentativo di farlo reo di associazione mafiosa, non lo ha scosso.E così, debolmente, Napolitano si ritroverà fra un mese all’ultimo, probabilmente, suo appuntamento con la storia: un Renzi, sperando che vinca, contro Grillo. Uno che lo voleva processare per alto tradimento, e ora convince e vincerà a man bassa agitando la sua terrificante Europa. La politica non è fatta di buone intenzione, Napolitano sarà fino alla fine un’occasione perduta.

Ombre - 216

La Love Economy in Italia movimenta ogni anno 5,5 miliardi, calcola “Il Sole 24 Ore”. Spendiamo per ogni incontro, fra bar, ristorante, fiori, preservativi, mediamente 55 euro. L’economia è proprio una scienza triste.

Dell’Utri viaggiava col passaporto, il suo, il suo nome, la sua carta di credito, il suo telefonino. Ma che mafioso è?
Stava al “Phoenicia”, un albergo che è nella storia: per farsi vedere meglio?

Il persecutore di Dell’Utri è Scarpinato, quello del “Dio dei mafiosi”, la teologia politica di Cosa Nostra di cui si celebra il quindicennale. Buon credente, sicuramente, anche lui, ma chi dei due è più mafioso? 

“Tutti i ristoranti con una buona clientela hanno microspie”, ragiona semplice il titolare di “Assunta Madre”, il ristorante di via Giulia a Roma dove la Polizia avrebbe saputo che Dell’Utri era all’estero. In realtà l’ha saputo dai servizi italiani a Beirut, non da un’intercettazione di sette-otto mesi fa. Si capisce Dell’Utri, ma perché la Polizia c vuole imbrogliare?

Via Giulia è strada chic, ma il titolare di “Assunta Madre”, che viene da Terracina, è uomo semplice. Ha appena aperto con lo stesso successo un ristorante a Londra: “Fanno la fila in tanti che ci vogliono le transenne per arginare la folla”, dice. Per farsi intercettare?

“Se lei compra 100 euro di frutta e verdura, al contadino vanno soltanto 1,6 euro”, dice il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina. A chi lo dice?

“Oggi un prodotto italiano destinato all’export si ferma alla dogana in media per 19 giorni”, dice ancora il ministro Martina. Ma perché non lo dice all’Agenzia delle Entrate?

Un prodotto agricolo, deperibile. La media significa che qualche prodotto sta alla dogana trenta giorni o più. Ma, di nuovo, perché il ministro non lo dice ai doganieri.

“L’euro è l’unica moneta passiva: il cambio lo fanno le banche centrali di Usa e Cina: l’Europa lo subisce senza ragioni”. Elementare, Watson. Ma solo “La Nazione” di Firenze ascolta l’ex ministro Tremonti che lo dice.

“Un euro forte conviene alla Germania, ma danneggia tutti gli altri”, dice ancora Tremonti. Ma questo non è vero. Cioè non più: ora la Germania ha bisogno di esportare anche in Europa, dopo averla prostrata. Anche Draghi oggi lo dice – anche se l’euro quota oggi come quotava un anno fa, due anni fa, tre anni fa.

Pennetta e Fognini, i grandi del tennis italiano, risiedono a Barcellona. Non di Sicilia, di Catalogna. Francesco Molinari, grande del golf, a Londra. Dove anche Valentino Rossi ha provato a risiedere. Dolce e Gabbana al Lussemburgo – o nel Liechtenstein? E qualcuno già pensa alla Russia, come Depardieu. Ma perché tanta voglia di estero?

Una volta gli italiani andavano in Svizzera per non pagare le tasse. Ma in Spagna, in Inghilterra, paesi fiscalmente tanto virtuosi?

“Trecento teppisti infiltrati”  e “venti minuti nel caos”: il cuore dei cronisti è trepido per la mezza battaglia a Via Veneto e a Piazza di Spagna, con 35 feriti e un uomo sena una mano, un poveretto che vendeva panini. I trecento potevano essere anche il doppio, chi lo sa, non si vedeva per le bombe. Ma la manifestazione senza gli “infiltrati” non s’è vista: poche persone con gli striscioni alla testa del corteo.

Luciano Canfora fa Erasmo doppiogiochista: autore di un libello contro papa Giulio II, e poi denunciatore del libello stesso. Per questo ammirevole.
Lo fa anche “grande fiammingo”. Doppio quindi in tutto, olandese e fiammingo.

Una volta, al tempo di Erasmo, erano tutti fiamminghi quelli che poi sono diventati olandesi, anche questo è vero. Mentre i fiamminghi sono diventati altri, si sono fatti anche uno Stato a parte, il Belgio.

Pascal Bruckner ha avuto un padre fervente ecologisra, collaboratore dei tedeschi e antisemita. Nonché manesco in casa, a spese della moglie. Fino al 2012 – poi è morto.

Bruckner, che ha 65 anni, ricorda che a dieci anni pregava ogni sera, “inginocchiato vicino al letto, la testa inclinata, le mani giunte”, che suo padre morisse. Pregava? Preghiera?

“Report “ fa un lungo servizio sul caffè al bar, sui rischi che ci prendiamo di avvelenamenti etc. Mentre i responsabili dell’igiene assicurano che no, non è vero. A chi credere? Ma guardando il servizio il dubbio evapora: serve a dire che ci vorrebbe un master per fare il caffè. Ossia pagare alcune migliaia di euro. Magari “Report” l’ha fatto gratis, per qualche amico masterizzatore.

Si può fare una manifestazione di studenti che sono meno dei poliziotti di guardia? Sì, al ministero della Pubblica Istruzione a Roma. I pochi studenti stanno peraltro sula gradinata a prendere il sole.

Tranquillamente, ineluttabilmente, l’Ucraina si dissolve - com’era prevedibile anche da questo sito:

Dovunque l’Europa mette mano, in Libia, in Siria, ora in Ucraina, tutto si dissolve. L’Europa è dissolvente.