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sabato 3 maggio 2014

L’Europa genera guerre civili

Perché un paese mezzo russo deve diventare antirusso? L’Ucraina dopo la Libia e la Jugoslavia: dove si mette l’Europa è per generare guerre civili.L’Europa ha promosso l’integrazione, e quindi la stabilità, dell’Europa Orientale. Ma questo a opera della burocrazia di Bruxelles, e soprattutto di Romano Prodi. I suoi governi, invece, hanno promosso le guerre civili dove hanno potuto. I suoi governi attivi, a Londra e Berlino, nell’assenteismo o l’incapacità degli altri, primo fra tutti quello italiano, perciò più colpevole.Queste guerre europee sono responsabilità dirette dei governi inglese e tedesco. È il governo Cameron, che oggi rimprovera a Obama la “debolezza” in Libia e in Siria, ad aver preparato, innescato e  armato le due guerre civili in quei paesi, che non sono Europa, ma ne sono bene la frontiera meridionale e sud-orientale. A favore di gruppi cosiddetti democratici che in realtà sono terroristi islamici. È il governo tedesco ad aver voluto la deflagrazione della Jugoslavia, via Slovenia e Croazia, e ora si costruisce in Ucraina posizioni contrattuali con l’amico-avversario Putin. Un gioco forse furbo, ma con molto sangue sparso.
I settant’anni dalla fine della guerra mondiale sono stati un’eccezione nella storia dell’Europa: per la prima volta tre-quattro generazioni sono crescite senza guerre da combattere. Ma solo come cittadini, per l’incolumità personale. L’Europa non ha perso il vizio della violenza.  

Il complotto che non c’è è un complotto

Da Astolfo, “La morte è giovane”, romanzo “storico” in via di pubblicazione, un breve excursus sul 1974-1975, quando Andreotti denunciava complotti a ripetizione, a carico dell’onorevole Moro, a opera ora del generale Miceli, dopo quello di De Lorenzo:
L’onorevole Andreotti non è solo, la vigilanza è massima. Su L’Espresso e Panorama i golpe si rincorrono. Prima a settimane alterne, ora in contemporanea. L’ingegner Francia vuole avvelenare l’acqua. Delle Chiaie rapire ventitré notabili. Il principe Borghese prendere Roma coi forestali di Gualdo Tadino – un’altra volta? Gheddafi bombardare gli aeroporti. La massoneria voleva rapire il presidente Saragat. Un golpe preparano i militari. Un altro i capi della Resistenza Sogno e Pacciardi. E un Fumagalli Carlo, eponimo lombardo. Carlo Cassola invece organizza un gruppo anticomplotto – lui è pacifista e complotta contro le Forze Armate.
“I golpe contati tra gennaio e Pasqua sono venti o ventuno. Candelotti di dinamite si scoprono in tempo in posti impervi delle ferrovie, in galleria, sotto i ponti, altri deflagrano talvolta senza vittime. Borghese è il Principe Nero, personaggio di Conan Doyle venuto utile in Libia prima che in Italia, nonché figlio di Edoardo III, il re d’Inghilterra che si disse re di Francia, e per lui scatenò la guerra dei Cent’Anni, vincendo a Poitiers. I reduci del Principe si sono persi per strada. Il commando che doveva rapire il capo della polizia Vicari ha prima sbagliato numero civico, poi è rimasto bloccato in ascensore tutta la notte, avendolo sovraccaricato. Ma non si può ridere del complotto, i bolscevichi presero il Palazzo d’Inverno entrando alla spicciolata da una porta secondaria rimasta aperta.
È una sofferenza. Non per l’Italia, che forse ci gioca – oppure no? È un vezzo terzomondista di segnalare golpe annunciati a ogni passo. Non che il Terzo mondo ne difetti, ma il golpe annunciato sa di classico, della disinformazione: “Ti butto un golpe tra i piedi”, si potrebbe dire. Per primi gli ateniesi dormivano “fuori la notte in armi”, narra Tucidide, quando uno spione s’inventò il golpe di Alcibiade. Liquidato il quale fallirono la conquista della Sicilia, che li avrebbe resi padroni del Mediterraneo, e duemila anni di storia, e persero la stessa Atene. E sempre c’è il sospetto dell’ignoranza consapevole, il metodo socratico della verità simulata, far credere che si sa pure ciò che s’ignora. È il vizio di chi, sapendo quello che non sa, pensa di doverlo denunciare come complotto - ciò che fa il piccolo borghese, nel fascismo e dopo, il soggetto politico contemporaneo, delle democrazie. Bacone per questo spregia la Fama, l’opinione pubblica: la natura del popolo essendo “malvagia e triste, e propensa alle novità”, i turbolenti se ne giovano con “pettegolezzi, malignità, denigrazioni, ricatti”, per muovere alla “femminea invidia verso coloro che governano” – il complotto è femmina per il barone di Verulamio, la ribellione maschio. Il popolo sospetta di tutto, la democrazia ateniese è una serie di complotti, democratica solo perché spesso sovvertita. Ma sempre ci vuole un giudice per un complotto.
“E se le cose occulte poi avvengono? Si veda negli Usa, dove sono teatro a scena aperta, e “Tania” si reincarna, ultima compagna del Che in Bolivia, per svaligiare banche. Rapita dai Simbionesi, tra un colpo e l’altro ci fa l’amore, scrivendolo ai suoi genitori, gli editori Hearst. Dev’essere novità eccitante, per chi è stata virginea fidanzata d’America. Per quanto, se si dicono simbionesi devono sapere il greco.
“Congiura avrebbe più senso che complotto, filologico e storico, più onorevole. È anzi per alcuni,  Francesco Patrizi, la storia. Oppure è la rivoluzione: “Fra tutte le imprese degli uomini nessuna è grande come la Congiura”, scrive l’abate di Saint-Réa, lo stesso della Congiura degli Spagnoli contro Venezia, allievo dei gesuiti: “(Sono) questi i luoghi della storia più morali e istruttivi”. Ma la retorica è politica, così com’è storia e giustizia, là dove modella la storia e la giustizia. E molta politica è retorica, un bel dire: Marx lo scoprì di Machiavelli, che riscriveva Sallustio, La congiura di Catilina, o Tacito, che aveva rifatto Sallustio. E dunque il complotto è progetto politico, non rivoluzionario.
“L’ingegner Francia non è ingegnoso, chiunque può avvelenare l’acquedotto - è il complotto classico, il ruolo che si dava agli ebrei nella preparazione dei pogrom, di avvelenatori dei pozzi. Di Gheddafi si danno i campi per terroristi, con liste dei partecipanti, nomi arabi incerti, in articoli anonimi. Che il Pazzo potrebbe scriversi da sé, è vanitoso, senza scomodare il Mossad. Roscioni individua nell’Esploratore Turco Paolo Marana un mitomane che prosperava nel Seicento inventando complotti. Il sospetto è un bisogno umano, non solo di preti e prefetti. Ma l’Imitazione di Cristo contesta la “magna cavillatio de occultis et obscuris rebus”.
“I complotti hanno il difetto, o pregio, che sono già successi. In 1984 è scritto pure il tempo che farà. E Kant lo spiega: non si può dimostrare un fatto attraverso una deduzione. Chiunque può mettere una bomba nella metropolitana, le stazioni in ogni città sono centinaia. Il terrore è il pesce nell’acqua, insegna il Vecchio della Montagna, penetra ogni protezione, non c’è filtro che tenga. Ma è anche vero che dedurre fa bene, non soltanto a Bacone e Sherlock Holmes. Il terrorismo è organizzazione, le bombe non si mettono da sole.”

Italia sovietica – 20

Berlusconi – impomatato, ingessato, gesti e inquadrature da manichino, pubblico immutabile
Il pubblico di Floris, Fazio, Santoro, Annunziata – ma sono venti milioni, o sempre gli stessi cinque?
Il pubblico pagato di Fazio, Floris, Santoro
La cancellazione del partito Socialista
La cancellazione dei partiti laici
La cancellazione della storia politica
La cancellazione della storia
Gli spregiatori degli 80 euro, al mese
Luciano Canfora
Salvini (ma chi è?)

Secondi pensieri - 174

zeulig

Eguaglianza – È liberale prima che socialista. Il “fondamentalismo” egualitario è liberale, è la contemporanea cultura dei diritti – i diritti per tutti. È diminutivo ma sconfinato (sradicato). L’egualitarismo socialista si vuole ancorato,  alle cose e alla storia: lavoro, reddito, affetti, psicologia, antropologia.

Mercato – Lo Stato ne è il presupposto. Non c’è mercato senza regole – il mercato non realizza le eque opportunità senza regole. E dunque senza un’autorità a esso esterna, normalmente lo Stato, oggi più Stati concorrenti. È l’equivoco di fondo del liberalismo, che presume una continua legiferazione nel senso dell’eguaglianza, delle opportunità, degli accessi, della competizione, con contrappesi da rinegoziare e riequilibrare in continuazione.

Populismo – Concetto equivoco e non innocente. Poiché disinnesca (squalifica, marginalizza, deride) situazioni di forte ingiustizia, nel nome di non si sa che modernità o progresso. Elaborato peraltro da un’ideologia che si nega. Si può dire il segno della confusione, se non  dell’ipocrisia, del moderno delle idee e della parola. Oggi come in tutte le epoche di depressione – che storicamente va col declino, lo smembramento, la sconfitta di un impero, una civiltà, una società. Bisogni reali sono appiattiti e denunciati – ridicolizzati – non da una superiore intellettualità, ma da mezzi forti e quindi “superiori”, finanziari, sociali (established) e mediatici, di comunicazione.
Dequalifica una situazione dì ingiustizia, ma non la depotenzia. Naturalmente non  la risolve, anzi serve a evitare d risolverla, labellandosi diminutivamente. Marginalizzando il mondo degli esclusi, dei non protetti, anche se numerosi e perfino maggioranza, in una società che si vuole protettiva e garantista. Un fisioterapista in organico alla Asl ha diritto allo stipendio mensile, alla tredicesima e agli straordinari, e anche al tempo libero per esercitare la libera professione, quasi sempre esentasse, in nero,  mentre il bracciante e il precario pagano anche per lui, a fronte di poco o niente.    

Procreazione – Nel momento in cui da fatto naturale si trasforma in diritto, se ne apre un mercato, . scombinando l’ordine naturale e morale. Giacché la coppia sterile desiderosa di figli ha il diritto di ordinarne uno o più nel mercato mondale dell’adozione, una bambina asiatica, un bambino africano o dell’Est Europa, dove è anche possibile farsene fabbricare uno con ventre in affitto e la procreazione assistita, a costi perfino minori che in ospedale a casa propria e senza sofferenze, lo stesso diritto ha la coppia omosessuale. Ma non senza disordine: si elimina dalla genitorialità la sofferenza prodroma all’accudimento, e dalla procreazione la dipendenza. Il diritto del bambino appena enucleato vene soppresso, in una generazione o due una famiglia unicamente contrattualizzata si può prospettare. E a quel punto senza alcuna ragione d’essere: il passo è breve per fare un figlio con chi più al momento piace, magari secondo i canoni estetici dell’anno o della decade, e perfino concepire un mercato del seme o dell’ovulo da parte di soggetti che più piacciono, invece dell’autografo per dire, gratuitamente o per un fee – magari per un fine benefico, perché no, come ora è l’uso.
La società dei diritti sconvolge l’ordine naturale e morale. Va, lecitamente, oltre i limiti posti dalla natura, ma implica, anche se non se le prospetta, una serie di esiti etici nuovi. Tutte le forme sociali umane sono considerate sotto la sola visuale del Diritto. Una prospettica che, contrariamente al senso comune, non sfocia nel libertinaggio, ma nella costrizione totale, a una sorta di monadismo semplificato imposto: l’individuo vi è sempre più assottigliato, in una società atomizzata. Avulsa da ogni altra radice, etnica, antropologica, linguistica, psicologica, filosofica, morale, religiosa anche,  ancorata su un unico fittone, del Diritto, egualitario per tutti. Per questo anche, per il diritto all’eguaglianza, vieppiù spogliato di ogni residua carica emotiva.

Psicanalisi – O dell’“io impoverito”, con analogia militaresca: a bassa intensità, disinvolto e disimpegnato, una forma di mitridatizzazione. Come filosofia e anche come terapia – è come il sivastin per il colesterolo..

Rete – Realizza con lo smartphone  - in attesa dello smarteye, di un sensore virtuale, di un deposito emotivo – la sovranità (“virtuale indipendenza”) dell’individuo, la libertà totale nella connessione totale. In una forma di spossessamento subliminale. Solo lievemente aggressivo, per aver impiantato prima l’esigenza dell’uniformizzazione, come dell’eliminazione totale della riservatezza e del tempo proprio.
La realizza nell’atomizzazione, e quindi nella elusione (dispossessamento) della socialità, che riformula in modelli: conforma una socialità di sintesi, modulare – a differenza  delle relazioni individuali. Appellandosi all’ampliamento dell’area individuale, ma questo è un altro discorso, di marketing, qual è tutta la filosofia utilitaristica dell’individuo. Suscita emozioni ma non rapporti personali, che anzi rarifica , disintensifica, e tende a escludere  - “lo spettacolo” di Debord, che “riunisce il separato, ma lo riunisce in quanto separato”. Una relazione non interattiva, contrariamente all’etichetta che esibisce. Che però ha un fondamento già consolidato, nella psicanalisi::nell’ “io impoverito”, o la società insocievole, la vita di relazione a senso unico.
Notevole anche la perdita che implica in questa fase di trapasso. Nella sottrazione del tempo e della riflessione. Nel controllo passivo a cui si sottostà. Nella gestione impoverita dei riflessi e delle emozioni.

Suicidio – Dan Brown ha l’agathusia, il “sacrificio altruistico”,,sacrificarsi per il bene altrui. Il suicida per l’assicurazione alla famiglia, o per liberare la famiglia del proprio peso (malattia, invalidità, handicap), e perfino il caso dell’assassino seriale che si  toglie la vita per non compiere altri delitti, o meglio ancora quelli della “Fuga di Logan”, il racconto e il film dove tutti si suicidano,  per non aggravare il mondo della sovrappopolazione, all’entrata nel ventunesimo anno – ma una  giovinezza spensierata col senso della fine imminente (nel film l’“età dell’aliminazione” era innalzata a trent’anni, per attrarre al cinema i giovani, che allora ci andavano)?

In antico la colpa portava al suicidio. Poi, con metodo cristiano, al pentimento e alla penitenza. Sant’Agostino naturalmente è contro. Ma non senza ragioni. “Dov’è la forza di quest’uomo tanto vantato?”, si chiede di Catone, “non è stato piuttosto per impazienza che per coraggio che questo famoso Catone s’è data la morte, e per non aver potuto ammettere la vittoria di Cesare?” E dei peripatetici, che dicono, “con ragione, che è il primo grido della natura che l’uomo ami se stesso, e pertanto che abbia un’avversione istintiva per la morte”, per poi soccombere ai mali uccidendosi, che dirne, “se gli stessi credono alla verità come credono alla morte?” 

Il motivo conta, ma basta poco a volte. Caroline von Günderode si buttò a ventisei anni nel Reno quando l’amante filologo Creuzer tornò dalla moglie. L’acqua è un buon motivo, non solo quella del Reno: Vienna ha un cimitero apposito, dei Senza Nome, per i tanti che non resistono al Danubio. I cosacchi di Hitler, che pensavano di prendersi il Friuli, traditi dagli inglesi che volevano consegnarli a Stalin, trovarono comoda la Drava, dove si buttarono chi legando a sé la famiglia, chi legandosi al cavallo, zavorrato con un sacco di pietre. Nel Reno si buttò anche Robert Schumann, “Eusebius”, che i barcaioli però salvarono. Dopo averlo annunciato alla moglie Clara, con la quale aveva fatto otto figli, in una lettera che Clara custodirà in cassaforte: “Cara Clara, getterò la mia fede nuziale nel Reno. Fa’ lo stesso anche tu e le nostre fedi saranno unite”. Il musicista se l’era sognato a diciannove anni: “Ho sognato di affogare nel Reno”, pur essendo egli nato e cresciuto a Zwickau, a mille chilometri. 

zeulig@antiit.eu

Il matriarcato è stanco

Si ripropone per la Festa della mamma, bizzarramente, non per quella della Donna. Le librerie lo accostano ad un’altra riproposta matriarcale, la Grande Dea di Greaves, nella versione femminista di Marija Gimbutas, “Il linguaggio della Dea” - peraltro costosa. Che Siusy Blady va proponendo in tour, dopo la serie tv “Misteri per caso”,  sul tema “Dio nacque donna”, poi gli cambiarono sesso.
Gimbutas dimostra, con duemila manufatti, che dal neolitico all’età del bronzo l’Europa era femminile – ma non pretende, si classifica nell’archeomitologia. Del resto il matriarcato, con connessa superiorità, era rivendicato all’Africa, di cui l’Europa era considerata un’appendice, da Cheikh Anta Diop cinquant’anni prima di Gimbutas, e poi da Senghor.
La storia di Bachofen resta insuperata dopo due secoli, e ciò pone qualche problema: non c’è più altro da dire. È anch’essa storia problematica, seppure innovativa – il patriarcato è biblico ma non è rozzo. È forse il motivo per cui la riedizione si ripropone ormai stancamente da dieci anni, benché ridotta a un quarto delle complicate ottocento pagine originali.
Johann J. Bachofen, Il matriarcato. Storia e mito tra Oriente e Occidente, Marinotti, pp. 244 € 16,50

venerdì 2 maggio 2014

Sonno d’autore

I lettori non leggono
Gli editori non editano
Il giornale si fa bello del nulla
La rendita non basta più
E bisogna intaccare il capitale
Ma anche l’appetito viene meno
E il ventre d’aria si riempie
La cosa migliore da fare
È allora spegnere la luce
E andarsene a dormire
Anche sul divano scomodo
Nel sonno augurandosi
Il ritorno del sogno 

Il complotto del complotto

Una rassegna quasi esilarante delle bufale che ci sono state ammannite nella storia della Repubblica: la mafia al potere con la Liberazione, ora Stato-mafia, Gelli e la P2, Cossiga e Gladio, Moretti e Moro, l’euro, Mani Pulite, Berlusconi. Aggiungeremmo i golpe bisettimanali, che alternativamente si facevano denunciare da “L’Espresso” e “Panorama” nel 1974-1975 (di cui in Astolfo, “La morte è giovane”, in via di pubblicazione). 
Ma Teodori e Bordin commettono anche loro un errore: non si chiedono come mai l’opinione pubblica sia così infettabile e infetta in Italia. I grandi partiti, cioè, e i giornali importanti, non i mestatori e gli scandalistici. La logica del complotto è deprimente, (ma) bisogna guardasi le spalle.
Massimo Teodori, Massimo Bordin, Complotto! Come i politici ci ingannano, Marsilio, pp. 222 € 14,50

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (205)

Giuseppe Leuzzi

“La gente del Nord nell’arte di tacere eccelle, e tutti tacevano”, garantisce Montanelli degli estoni, ai quali insegnò un anno l’italiano. La virtù è latitudinale.

.“I bons mots, i calembours, le barzellette sul governo di Milano, quando esso esisteva, erano ripetuti e tenuti in conto da me come cosa spiritosa e un quadro della nazione, ma senza piacere. Al contrario, erano presi sul serio, e anche con dolore da parte mia. Le conseguenze delle verità di cui i milanesi ridevano erano troppo vivacemente risentite da me. Ero repubblicano”. Questo è “il milanese” Stendhal, al cap. XVII del suo abortito “Trattato sull’arte di fare le commedie”, 1813.
La repubblica non s’addiceva ai milanesi.
Il vizio di sparare sulla Croce Rossa a Milano è vecchio

Furoreggia in Belgio il film sulla vita di Rocco Granata, immigrato ragazzo dalla Calabria al seguito del padre bracciante improvvisatosi minatore. In Belgio Rocco proseguì lo studio della musica avviato al paese, si comprò una fisarmonica, non potendosi comprare il piano, e improvvisando divenne famoso giovanissimo, nel 1959, con la canzone “Marina”. Dopodiché, per una  vita, è rimasto onorato e richiesto in Belgio, ma senza echi in Italia.
È vero però, come dice a “Io Donna” Lo Cascio, che nel film interpreta il padre, che “il padre di Matteo Simoni, il ragazzo che interpreta Rocco, è un architetto e in famiglia parlano fiammingo” - nipote di un nonno anche lui minatore improvvisato. 

I camorristi Rito Calzone e Carmine Amato si sono fatti fotografare con Mourinho. Un Mourinho giovane: era il 2006, a Barcellona. E ora vanno mostrando la foto in giro: se erano a Barcellona non potevano fare i killer a Napoli. Quello della malavita organizzata sembra sempre più un film.

La scomparsa di Napoli
Napoli più di Pompei è diventata la città del silenzio. Non canta, non grida, non urla più, non fa notizia. I napoletani si possono anche ammazzare in pieno centro, non gliene frega nulla a nessuno. Che poi i delinquenti non sono “napoletani” naturalmente ma casertani, giuglianesi o, quasi tutti ora di Casal di Principe, che dev’essere un vesuvio ribollente d’infamie, ne ributta in continuazione da venti o trent’anni, come una volta erano di Scampia. Perché anche Napoli non scherza in fatto di cancellazioni, più che altro ora inventa frasi fatte, di rito e scontate.
Non c’è più nemmeno il Vesuvio, a proposito, latita pure il vulcano. E il santo: san Gennaro, declassato a santo locale, se la dev’essere presa. Non si sono canzoni napoletane a Sanremo, e nelle interminabili serate Rai. Non ci sono comici napoletani a Zelig, a Colorado e al cinema – Salemme si deve camuffare con qualcosa di nordico.  E anche i dintorni sono spopolati. Nonché il Vesuvio, non ci sono più spiagge né isole attorno, sirene, limoni, città romane.
È curioso ma è un fatto. Di cui la città non ha colpa naturalmente, la città fa del suo meglio, cioè del suo peggio, per farsi notare: un sindaco incapace e nepotista, una giustizia ancien régime, corriva alla corruzione, spente la musica e la poesia per cui la città eccelleva, la sartoria maschile, quella  femminile, e la cucina, già così appetitosa. Perfino il tifo della squadra sembra contagioso, dovunque si reca fa chiudere gli stati locali. Ma un po’ di colpa è anche sua, della città, come un piacere maligno di cancellarsi.

Raccomandazioni
Le “visite” sono un classico della burocrazia francese, coltivare le amicizie, anche tra i letterati, anzi specialmente tra di loro: tuttora si fanno per candidarsi all’Accademia. La “visite” al prefetto o al ministro, anche ala moglie del prefetto o del ministro, non sono cose del romanzo dell’Ottocento, ma di routine. Per un appalto, un posto, una promozione. Con la promessa sottintesa di un contraccambio se l’occasione si presenta.
In Francia le “visite” fanno letteratura. Amabile. Anche a Milano la farebbero, se se ne parlasse. Al Sud invece sono corruzione. Anche se si evitano, per l’occhio della gente, non si sa mai, dei carabinieri, dei loro informatori.

L’antimafia (anti)fascista
Carmelo Marzano, il questore di Reggio che prese tutti i latitanti dell’Aspromonte, 400 e passa, nell’estate di sessant’anni fa, con squadre in assetto di guerra, imponendo il coprifuoco, spopolando le piazze con ceffoni e calci di fucile, era “individuo bieco e crudele” in una denuncia a Mussolini nel 1943. Di anonimo che però non inventava, probabile funzionario di Polizia secondo Mimmo Franzinelli, lo storico che ha analizzato gli archivi della delazione negli anni del fascismo, e dettagliava il comportamento dei vertici della Polizia stessa il 25 luglio.
Fu di Marzano l’idea di arrestare Mussolini, secondo l’anonimo bene informato: “Il Dott. Marzano suggerì e preparò l’autoambulanza della Polizia per rinchiudervi il Duce quando usciva da Casa Reale”. Per un guadagno: “Senise (il capo della Polizia, n.d.r.) dette generosi premi in denaro per la «brillante operazione»”.

leuzzi@antiit.eu

giovedì 1 maggio 2014

Azzeramento

Zorro si tolse la maschera
Incitato da Zeta Jones
E sotto comparve Renzi
Ma si voleva Crozza

Salgari, Pratt, l’avventura italiana è coloniale

L’Italia ha fatto tre guerre coloniali, molto avventurose, anche dispendiose. Due all’Etiopia, una perduta e una, soverchiante di mezzi (“Mussolini ha messo a disposizione dieci volte i mezzi richiesti da Badoglio”, scriveva il volontario Montanelli)), vittoriosa, l’impero durato quattro anni, un record nella storia degli imperi. E una, nientemeno, all’impero totomano per la Libia e il Dodecaneso..Non se ne parla più ma è la guerra che caratterizzato l’Italia unita, prima della Repubblica, alle tre guerre coloniali sommandosi le tre europee. Una storia, dunque, caratterizzata dalle guerre.
La mostra fotografica, organizzata dal dipartimento di italianistica di Harvard, recupera materiali tanto ricchi quanto trascurati, con interi album, molto “organizzati” esteticamente, divisi suddividendoli per quattro temii: la spedizione della nave idrografica “La Staffetta”, tra il 1907 e il 1909, da Porto Said a Zanzibar, la propaganda nella Guerra Italo-Turca, l’impero architettonico, vecchio e nuovo, a Tripoli, e le foto-ricordo della ragazze a tette nude.
Il primo percorso è il più suggestivo, e più per le didascalie. C’è la violenza coloniale dietro il mondo letterario dell’avventura made in Italy. Salgari fu, da giornalista, uno dei primi supporter della guerra di Libia – salvo suicidarsi cinque mesi prima. Hugo Pratt fu un bambino-soldato, “arrulolato” quattordicenne dal padre militare nela polizia coloniale a Addis Abeba.
In Africa it is Another Story: Looking back at Italian Colonialism, mostra alla Pulsey Library, Harvard, 4 aprile-2 maggio

Recessione – 19

Tutto quello che dovreste sapere ma non si dice:
Quaranta fallimenti al giorno nei primi tre mesi, due ogni ora. Un quarto in più che nei primi tre mesi 2013.

Due aziende su cinque devono prestarsi i soldi in banca per pagare le tasse.

La disoccupazione è ad aprile al 12,8 per cento, forse al 12,9. Con la cassa integrazione senza ritorno supera il 13 per cento.

Un milione di famiglie non ha (più) un reddito. In età lavorativa, cioè prima della pensione sociale. Coppie con uno-due figli, tre-quattro milioni di persone.

Un quarto della potenza elettrica installata è fermo per il calo della domanda, industriale e residenziale. Il consumo 2013, previsto in 400 miliardi d kWh,  è stato invece di 317 miliardi. Il calo si accentua nel 2014.

La città spagnola di Valencia ha attivato e mantiene in vita una scuole di prostituzione come rimedio alla disoccupazione – un’Accademia del piacere.
Era forse Sagunto, e la cosa si può spiegare così. È anche la città che si è appropriata l’arancia navel, facendone una indistruttibile, seppure senza odore né sapore. Nel 2012, quando aprì la scuola, un negozio su due aveva chiuso.

Gli speculatori del sovietismo

Uno dei pochi libri veritieri, se non il solo, che ancora si leggono con profitto sul sistema sovietico, benché di professi solo una “raccolta di osservazioni”, o forse per questo. Di giudizio acuto e scrittura sobria. Onesto anche, senza il facile antisovietismo dell’Italia fascista. Di un’intelligenza  indipendente.
Alvaro girò l’Unione Sovietica tra la primavera e l’estate del 1934. Era inviato della “Stampa”, ma il viaggio fu comunque organizzato e controllato, soggetto alle premure degli ospiti. C’erano le collettivizzazioni forzate, e ci fu l’assassinio di Kirov, preludio ai processi all’interno del Pcus. L’albergo di Mosca gli appare subito “un’istituzione della Ghepeù”, la polizia politica. Tanto più per le “premure” che lo assediano, al punto da farlo sentire in colpa, inadeguato o irriconoscente.
La sua prima impressione è quella che caratterizzerà storicamente l’epoca sovietica: la provvisorietà, l’incertezza. Senza l’entusiasmo o la consapevolezza che sempre accompagna una vittoria, una presa del potere. Mentre il passato sopravvive polveroso e cadente. La rivoluzione è un fatto remoto, solo testimoniata dall’“ingente numero di storpi, mutilati, stroncati, vittime di quell’errare esaltato”. C’è la febbre per la “tecnica”, con associazioni di Atei, Materialisti Militanti, Senza Dio, e una consistente mancanza di sentimento. Del socialismo liberatore e comunitario non c’è niente. Con sgomento Alvaro scopre che “i loro stessi libri ci raccontano che i contadini recalcitranti nel primo tempo della socializzazione furono matati come buoi a colpi di clava, e che i giustizieri più efferati furono le donne”.
Si obbedisce. La parola d’ordine peraltro non è rifiutata e anzi entusiasma, seppure freddamente: “Raggiungere e superare l’Occidente”. Ma la denuncia del vicino, e perfino del familiare, è pratica corrente. E il controllo totalitario – Alvaro non si fa illusione sulla sbrigativa autorevolezza delle sue “guide”. Non si faceva illusioni neanche sui “transfughi intellettuali” che proliferavano in Occidente inneggiando a un bolscevismo di maniera, di cui non avevano conoscenza. Più che altro sacerdoti del “culto estetizzante di un’apocalisse moderna”. La sua solitudine intellettuale affrontava con fermezza, di molti individuando l’inconsistenza: “Di questi personaggi ne ho venduto alcuni a Mosca, sono più o meno speculatori del sovietismo: profittatori mantenuti nei grandi alberghi, e che su questa povera pelle proletaria fanno i loro affarucci in valuta estera”.
Corrado Alvaro, I maestri del diluvio

mercoledì 30 aprile 2014

La peste è rossa per il 60 per cento

Non c’è solo Berlusconi, anche Grillo capitalizza elettoralmente con “la peste rossa” e “l’Italia è una dittatura, la gestisce Napolitano”. Copia Berlusconi ma con più credibilità: Grillo può denunciare il pericolo “comunista”, senza contestazioni, in roccaforti “rosse” come Piombino, Siena e Modena, non c’è verso di appioppargli lo stigma di Berlusconi. Lo si vorrebbe ora fascista ma è tardi.
La metà abbondante dunque dell’elettorato, forse il 60 per cento, con i leghisti e i casiniani, crede alla “peste rossa”. Magari a torto, ma è una sindrome di cui soffre. Al punto di votarle contro, anche ripetutamente, cioè con convinzione.
Di più si capisce, in questo contesto, la novità di Renzi. Il tentativo reciso di scrollarsi questo stigma, ben più duro, e produttivo, che il fascista o l’affarista appioppato a Berlusconi. La cosa è vera anche all’opposto: la sindrome è confermata dalla contestazione a Renzi, muta ma inflessibile, cattiva.

Anche i romani, dunque, erano tedeschi

La professoressa Cristina Wis, che insegna all’università “L’Orientale” di Napoli, studia la mitologia germanica nell’“Inferno” di Dante. Nel presupposto che Dante sia tedesco e non italiano, probabilmente. In questo quadro dell’alles deutsch, tutto il meglio naturalmente, chiede a Sergio Romano se è vero che “un ufficiale tedesco” decise di non bombardare Roma nel 1943 “poiché negli archivi della Capitale erano conservati dei documenti che provavano l’origine germanica delle genti romane”.
L’ex ambasciatore si dice scettico, ma chiede lumi a Lutz Klinkhammer, responsabile delle ricerche di Storia contemporanea all’Istituto storico tedesco di Roma. Klinkhammer, che è storico di prim’ordine, con all’attivo tra l’altro “L’occupazione tedesca in Italia 1943-1935”, di cui è il miglior specialista, dice improbabile che un ufficiale qualsiasi possa avere ordinato alcunché, ma aggiunge: qualche documento d’archivio fu distrutto inconsapevolmente. Specifica che si trattava di “carte della cancelleria angioina”, roba francese dunque, non hohentaufeniana, tedesca. Però, non si sa mai.
Sembra una storia di “Gentile Germania”, del vostro Leuzzi. Dei tedeschi che non sanno chi sono ma vogliono – volevano - essere greci, tibetani, e ariani. E cioè al contrario, dire, provare, da veri storici e filologi quali sono, che gli ariani, i tibetani e i greci erano tedeschi. Così ora i romani?

Vero o falso - 11

Pina Picierno fa la spesa per due settimane con 80 euro. Vero.

Pina Picierno è una single molto elegante, a 32 anni capolista Pd per il Sud alle Europee. Vero.

Renzi ha tolto il segreto di Stato sulle stragi che era stato già tolto nel 1977, da Andreotti. Vero. 

De Benedetti ha detto di Berlusconi: “Non è un imprenditore”. Vero.

De Benedetti è l’imprenditore più fallimentare della Repubblica. Vero.

De Benedetti ha tratto profitto da ogni fallimento, dal Banco Ambrosiano a Olivetti. Vero.

Berlusconi è l’imprenditore più ricco d’Italia, non ha mai licenziato nessuno, ha sempre pagato il dividendo. Strano, ma vero. 

Monti ha aumentato il prelievo fiscale sulle partite Iva dal 23 al 33 per cento. Vero.

I filorussi che occupano gli edifici pubblici in Ucraina sono terroristi per Obama, gli antirussi che occupano gli altri edifici pubblici li hanno invece in affitto, o in comodato gratuito. Vero.

Mezzo Benfica, mezzo stadio, ha passato la serata a tormentare coi laser Pirlo. Vero.

Passando a Unipol, Fonsai ha perso clienti per motivi ideologici. Vero.

Ne ha persi molti. Vero.

Il suicidio della politica arriva alla P.A.

La Rai, che ha 1.300 giornalisti, ne assume altri cento. Una spa che è in realtà un ente pubblico. Mentre l’università e tutta  la Pubblica Funzione hanno il blocco del turnover. Di fatto da un quindicennio ormai. Con il blocco della contrattazione e degli aumenti di anzianità, formalmente da sei anni, ora sette, di fatto da un decennio. Una condizione che per altro soggetto si direbbe di depressione - specialmente letale nella didattica e la ricerca.
C’è il declino funzionale e qualitativo alla base della disfunzione della Pubblica Amministrazione. Oltre che delle regole farraginose, ritardate, incomplete, di origine parlamentare e quindi politica. È un harakiri che la politica impone all’Italia, attraverso la Funzione Pubblica – forse l’ultimo del suo lento suicidio.
Cavalcare l’abbrutimento della Funzione Pubblica è ora tema di Renzi. Può essere segno d’improntitudine, oppure un disegno. Se è un disegno, potrebbe sbatterci contro: lo Stato, la Funzione Pubblica, è con lui e non contro di lui; lui, il presidente del consiglio, non è nulla senza lo Stato. 

Segare l’università

Tutto quello che si fa all’università è contro l’università, ormai da un quindicennio. Un attacco reiterato su tutto il fronte, di cui tutto quello che si legge dà la spiega: l’università, che in Italia è pubblica, deve morire perché cento fiori sboccino, sulle ali del mercato. L’università, piccolo grande business, dev’essere privata. Succede da un quindicennio all’università quello che successe trent’anni fa al Sistema Sanitario nazionale: deve sbriciolarsi perché tutti ci guadagnino, tutti eccetto gli utenti.
Nella sindrome di colpa che attornia la Funzione Pubblica l’università è l’obiettivo più mirato. Almeno il 50 per cento dell’organico (i pensionati) non è stato ricostituito per il blocco del turn-over. L’insegnamento è demandato ai pensionati, a titolo gratuito, e a varie forme di precariato (assegnisti, contrattisti, cultori, etc,.), con retribuzioni che possono essere perfino di 300 € al mese, un pro-forma che esima da contenziosi. Con esiti a questo punto deleteri, perché le funzioni universitarie, la didattira superiore e la ricerca, si deprimono in un quadr de-repressivo.
Il crcolo vizioso è stato a questo punto avviato con successo. Ma si vede che ancora non basta - l'università, direbbe Renzi, è resilient. Non si ricostituiscono più i ruoli un po’ per il blocco del turn-over e un po’ perché ogni ministro, quindi ogni dieci-dodici mesi, afferma di voler fare una sua riforma dell’università, cioè di cambiare le regole. Tutto insomma concorre allo smantellamento dell’università, l’assedio è determinato.
La campagna di stampa è in questo senso convergente e incessante. Valanghe di pagine si leggono per questo sui disservizi dei policlinici (che sono tra gli ospedali migliori), sugli abbandoni e le poche lauree, sull’emigrazione dei ricercatori, sugli edifici non a norma. E sulla piccola inevitabile corruzione: il primario nepotista, l’esame comprato, il test d’ammissione (forse) aperto. Tanto scandalo non è senza un fine, né un mandante: bisogna che tutto sia privatizzato.

L’intellettuale a Mosca non sa che pensare

Si traduceva vent’anni fa questo Derrida di ripiego, sessanta pagine non piene rinforzate da prolissi commentari di Ferraris, Resta, Rovatti, Sini, Vattimo, Vitiello. Sono tanti forse per promuovere il libro nei corsi universitari, ma il testo è singolarmente povero, anche delle concettosità che Derrida  impreziosiscono. Non reducistico né critico, un testo asettico. Non un ritorno da Mosca, propriamente, dove Derrida era stato nel febbraio 1990, a ridosso della caduta del Muro, un anno prima la caduta dell’Urss,  ma un “ritorno”: una riflessione sul genere. Con molti riferimenti a due “classici” del genere, il ritorno di Gide, quello di Étiemble e quello di Benjamin – che, bisogna ricordarlo, era stato a Mosca come innamorato sfortunato della temibile Asja Lacis. Conditi dall’illustrazione di “Back in Urss”, canzone dei Beatles. Un ritorno mesto, di uno che pure non era stato fervente sovietizzante: s’interroga sulla “testimonianza dell’intellettuale”, non sa che rispondere, sconsolato, sconsolante.
Jacques Derrida, Ritorno da Mosca

Letture - 170

letterautore

Céline – Ha fatto brutta le guerra, tutte le guerre. Da Omero a Tolstòj la guerra ha innescato ottima letteratura, che la guerra ha in qualche modo imbellito. Céline, che è anche l’unico ad averla fatto la guerra, ne ha derivato buona letteratura, ottima, e anche il disgusto – il suo lettore ne è sovraccarico.

DanteCurvato all’eugenetica e al “transumanesimo”, come nell’“Inferno” di Dan Brown, certamente questo non ci sta. Ma il plot dipanato sulle terzina della “Commedia” non è male: ce n’è per tutti.

Chateaubriand, “Genio del cristianesimo”, non lo menziona nel pur minuzioso ritracciamento iniziale del cristianesimo nelle lettere e le arti – anche se rapsodico: “Il Tasso, Milton, Corneille, Racine, Voltaire vi ritracciano i suoi miracoli”, suoi del cristianesimo (Voltaire?), “nella letteratura,  l’eloquenza, la storia, la filosofia, che cosa non hanno fatto, per sua ispirazione, Bossuet, Fénelon, Massillon, Bourdaloue, Bacon, Pascal, Euler, Newton, Liebniz!” Nemmeno sul tre, il numero perfetto, la Trinità, etc, Chateaubriand trova modo di nominare Dante.
Lo ricorda nella Parte Seconda, “Poetica del cristianesimo”, Libro Primo, Cap. II, “Veduta generale dei poemi in cui il meraviglioso del cristianesimo rimpiazza la mitologia. «L’Inferno» di Dante, la «Gerusalemme liberata»”. La “Divina Commedia” liquidando come “una produzione bizzarra” – mentre Tasso, pur giovandosi di uno “dei due bei soggetti di poema epico dell’età moderna, le Crociate” (l’altro soggetto è la scoperta del nuovo mondo), si compara infelicemente a Virgilio. Se qualche merito la “Divina Commedia” ha, le viene dal cristianesimo. “I suoi difetti”, invece, “tengono del secolo e del cattivo gusto dell’autore. Nel patetico e nel terribile” tuttavia “il Dante ha forse eguagliato i più grandi poeti”. Ci torneremo su “nei dettagli”, promette Chateaubriand, ma nel migliaio di pagine restanti non lo fa.
Lo ricorderà nell’introduzione a una raccolta di Shakespeare, per il solito parallelo Dante e\o Shakespeare: lo ricorda con simpatia, ma facendone un isolato, in un’età minore e sbandata, alla mercé di una lingua povera, dice, come il volgare. Poche righe in tutto, sia qui che nel “Genio”.

La Francia ha sempre fatto poco o niente conto di Dante. Denis de Rougemont lo ricorda in “L’amore e l’Occidente” ma perché gli serve a rivalutare i “fedeli d’amore”, facendone un seguace.

Giustizia – “Prima l’esecuzione poi la sentenza” – sentenzia la Regina alla penultima pagina di “Alice nel paese delle meravigie”. Alice obietta a questa strana forma di giustizia, e allora la Regina ordina: “Mozzatele la testa”. Ma qui finisce: “Chi se ne frega”, risponde Alice, che è intanto cresciuta alla sua statura, “non siete che un mazzo di carte!”. E si risveglia, senza nemmeno lo hangover degli incubi.

Proust – Chiara Gamberale può estrarne sul settimanale femminile “Io Donna”, una serie di citazioni da baci Perugina sull’amore. Dodici, quanti sono i segni dell’oroscopo. Senza controindicazioni: si presta. Sono tutte massime sull’amore “femminile”.,

Reazione – Ha improntato il romanzo, che ha senso dell’ordine. Decade oggi appunto col disordine, mentale se non sociale – oggi tutto è romanzo, dal biscottino della nonna al viaggio in calesse, e quindi non lo è. Si penserebbe il romanzo (la realtà alternativa, la vita inventata) uno schema idealistico sovversivo, rivoluzionario. Invece è passatista e – nei casi migliori: Stendhal, Proust – reazionario. Anche gli altri grandi romanzieri, Dostoevskij, Tolstòj, Thomas Mann, Musil, per non dire Joseph Roth, sono nostalgici. Si colma con la grandezza (genio) il fossato passatista, facendone un innesco se non un incendio, ma il senso è ben definito – né Stendhal, Proust, Tolstòj, Musil, J.Roth si trovano personalmente a loro agio nel loro vissuto, nel tempo. Il buon tempo antico può essere dolce e utile, un aiuto contro la depressione (il vuoto) o la collera, ma, antistorico, è tossico.

Riso – È molto esplorato, da Aristofane e Menandro in poi, contrariamente all’opinione corrente. Anche in trattati, o tentativi di, di Hobbes, Stendhal, Baudelaire, e fino a Pirandello (debole) e Dario Fo. Marginali tutti, però, è vero, rispetto al fenomeno: riduttivi, incerti, e inutili. Il riso è gaiezza e animo lieve.

Rivoluzione – Gli unici scrittori eversivi sono stati nel Novecento di destra: Kipling, Céline, Pound, Hamsun. Anche in senso politicamente corretto, del lato giusto delle cose: contro la guerra, l’usura, il dominio, per la natura, gli indiani e gli afghani.  Si sono schierati a un certo punto per il lato brutto della storia, personalmente dunque colpevoli, ma creativi nel senso giusto.

Shakespeare – È una tragedia greca: vittima della monumentalità. Di suo è ben secentesco, forbito e un tantino prolisso. Ma si rappresenta, ed è, vittima di se stesso, della genialità, rimettendoci. Ci rimette soprattutto a essere fatto monumentale, comunque: declamato, scolpito, polito,  solenne. Anche quando lo modernizzano – il Lear gigante, nero, baritonale, l’Amleto gay, lo Shylock già vittima di Hitler - lo fanno solenne. Per metà è commediografo, e anzi autore comico, ma non si ride con Falstaff, Gratiano, le comari, non più.

Stendhal – “Naturale” si vuole, e si costruisce con l’esercizio, “come de Brosses”. Metà Settecento. Nel “Diario” lo dice a più riprese. Con più convinzione a Milano nel 1813: “Il gusto di Dominique (Stendhal, n.d.r.) per lo stile naturale, piacevole, o tragico nel caso, di de Brosses non è meno certo. Dopo essersi ben tastato per due mesi, è dunque questo lo stile che deve prendere, se vuole essere se stesso”. 

Insegue il riso fin dall’adolescenza e la prima formazione, per dieci anni, fino ai 28, tentò di scrivere una commedia, “Letellier”, e sul riso indagò con più costanza fino all’ultimo. Ma non si ride in Stendhal – meno che mai nelle sue riflessioni in tema. Anche se la colpa lui la dà al “sistema”, il Terzo stato, la borghesia, la repubblica, gli affari – “La commedia è impossibile nel 1836” è la sua ultima riflessione. C’è però un riflesso ironico sotto le sue narrazioni che più si vogliono appassionate.  

Traduzione – “Il sistema più assoluto di lettura”, la dice Calvino. Non molto. Ma in traduzione, nelle lingue che padroneggia, l’autore vede gli “errori” che ha commesso, aggiunge.

Wilgal – Massimo Bucciantini propone sotto questa sigla “un grande esperimento didattico europeo”, sul “Sole 24 Ore” del 6 aprile che celebra Shakespeare. Di celebrarlo insieme con Galileo. Perché entrambi ci hanno “fatti”, in qualche modo sono nostri genitori. Ma per nessun’altra ragione che celebrano insieme il centenario, 450 anni quest’anno della nascita. E l’esperimento didattico propone “a Londra come a Roma, a Parigi come a Berlino”. È per questo che l’Europa è insapore e insulsa: quando è buona non sa di niente?

letterautore@antiit.eu

martedì 29 aprile 2014

Merkel fu la prima a visitare un lager, nel 2013

“Per i tedeschi l’Olocausto non esiste”. Berlusconi eccede, fa le gaffe, si butta la zappa sui piedi, etc., i commenti si sprecano, e del resto di Berlusconi non si dice mai male abbastanza, etc., il nostro complesso di superiorità verso quest’uomo è sempre traballante, dopo vent’anni siamo ancora lì a (tentare di) ricoprirlo di melma, e non ci basta mai. Però.
Però, la cosa è messa nei suoi giusti termini in “Gentile Germania”, le lettere non spedite alla – e dalla – Germania che compongono il libro appena pubblicato di Giuseppe Leuzzi, di cui trovate le coordinate nella navbar di questo sito, alle pp. 364-366, ultimo capitolo, “La Resistenza fu tedesca”:
“Ma la Resistenza in Germania, dove fu la più vasta, non si celebra: non ha padri né figli. Non c’è un giorno della Memoria né uno della Liberazione. Quando Frau Merkel andò infine a visitare un lager, a Ferragosto del 2013, rompendo un tabù di quasi settantanni, fu sulla strada per un comizio, senza emozione.
“Sarà giusto, chissà, la libertà è per tutti. Per Thomas Mann, per dire, cui Croce dedicò la Storia d’Europa,  storia di libertà, che la democrazia voleva ostile, rea di “estirpare lo spirito tedesco in Germania”. Fatto è che, a democrazia infine accettata, i tedeschi non hanno cuore di ricordare quei morti, che poi sarebbe un giorno di ferie pagato.
“Sulle congiure, non solo quella del 20 luglio, sicuri best-seller se ne trarrebbero, e film d’azione, ma la Germania li evita. Di von Trott non sa neppure il nome, se fa zu Solz o zu Stoltz. E le pensioni riversibili ai nazisti ha liquidato più volentieri che alle vedove dei caduti per la Resistenza. Quasi se ne vergognasse. Claus Schenk von Stauffenberg, nobile svevo, letterato, liberale, si riduce a sciocco colonnello prussiano, che vile mette la bomba quando Hitler ha perduto, per pulirsi la coscienza. Come se organizzare la sovversione contro Hitler fosse un gioco. Questo non s’è detto neppure dei gerarchi che tradirono Mussolini.
“«Vogliamo un nuovo ordinamento che renda tutti i tedeschi responsabili dello Stato, e che garantisca loro diritto e giustizia»: Stauffenberg pensava invece profondo. Tanto che i suoi due fondamenti semplici la Germania Federale ancora non li ha realizzati, benché jugulata dagli americani… Che altro dire di un paese che ha diffamato l’emigrazione politica e non ha onorato i ribelli, ribelli al nazismo? Solo Brandt ricordava la Resistenza, anzi si faceva chiamare col nome di battaglia che assunse nel 1933, entrando in clandestinità e quindi emigrando, e lo hanno licenziato presto - anche per essere nato da madre nubile. Fu odiato perfino Thomas Mann a Pasadena – lo sopportano perché dà lustro.
“Ma forse, come al solito, la ragione l’ha trovata Heidegger. “Tutti parlano di tramonto”, lamentò alla liberazione nel 1945, “la verità è che noi tedeschi non possiamo sparire perché non siamo ancora apparsi. Dobbiamo marciare attraverso la notte”. E lottare: “La possibilità di indietreggiare non esiste più”. La verità è che la Germania è ancora in guerra.
“L’antifascismo dev’essere vissuto. E deve vivere, spargersi, riprodursi. Non c’è tedesco che non sia antinazista - per forza. Ma non c’è lo spirito della Resistenza in Germania. Per un senso di colpa, si spera. E invece no, ci si vergogna della Resistenza: chi scarta è malvisto. Per la storia della pugnalata alla schiena, ma è l’incapacità di essere se stessi. L’Inquisitore alcuni lo temevano, altri fra gli stessi credenti lo disprezzavano e, se potevano, lo uccidevano, per andare in paradiso”.
I lager, prima che per lo sterminio, servivano come campo di prigionia per i nemici politici, ebrei compresi, erano sul territorio nazionale, e di essi non si può sostenere che i tedeschi non sapessero: furono quasi un migliaio - due nel solo paese di Heidegger (erano nelle frazioni, ma si vedevano).

Stupidario - la mucca a emissioni zero

L’Italia è ultima per laureati: ne ha appena più della metà della media europea. Ne ha di più la Romania. I francesi sono laureati il doppio rispetto agli italiani. Gli irlandesi sono i più laureati di tutti, più di uno su due. È uno studio di Eurostat, il servizio statistico della Ue.

“La mucca del futuro a emissioni zero” annuncia Federico Rampini su “la Repubblica” il 10 aprile: “Il piano della Casa Bianca per salvare il pianeta passa dalla «mucca del futuro». Meno flatulenta e più controllata nell’emissione di gas”. Le vacche “inquinano come milioni di autovetture”. Come tutte quelle di Roma? Più di un pozzo di shale gas, uno delle migliaia che Obama ha autorizzato?

“La burocrazia frena l’Italia. Ecco il rapporto Ue”, è l’apertura del “Corriere della sera”, a caratteri evidenti. È il “Corriere” che scopre la Ue, o la Ue ha scoperto l’Italia? Così tardi.

“Segnalo l’inchiesta di Der Spiegel su Roma disastrata: mi vergogno”, titola Paolo Conti la lettera di Germana Corrado. Si vergogneranno dello “Spiegel”?

“Dobbiamo compiere azioni eclatanti per farci ascoltare?”, scrive la “cittadina onesta” Corrado: “Dobbiamo continuare a permettere che tutti i migranti che arrivano dall’Africa ci invadano? Perché quelli vengono a nascondersi nella metropoli per poi mettersi a lavorare per la criminalità organizzata”. “È sempre un privilegio poter contare su interlocutori come lei”, risponde il sorridente Conti: “attenti, cosmopoliti, non provinciali”. Non provinciali.

Il riso fa male al potere, e al borghese

Stendhal fu ossessionato dal riso, dal fenomeno. Il saggio sul riso, per lo scrittore più ironico dell’Ottocento, fu una sorta di ossessione: è il tema sul quale più accumulò materiali. Considerava il riso il rivelatore e anche il motore della storia. Il calendario dei tentativi, le annotazioni, e i saggetti vede il tema accompagnarlo tutta la vita attiva: in Germania, a Milano, a Parigi. Con esiti, sempre precari, molto stendhaliani: “Perché l’Italia è la patria delle arti? perché l’italiano è malinconico”, “La vera commedia è un frutto che non può crescere che nelle monarchie”, “Il riso è incompatibile con l’indignazione”.
Per dieci anni, fin da quando ne aveva 19, tentò di scrivere una commedia, “Letellier”. Fallì, ma per concludere, giustamente, che la commedia, Molière, Marivaux, Beaumarchais, aveva ceduto il passo al romanzo. Non solo: che l’Ottocento era troppo serio per ridere. Di più: l’Ottocento non rideva perché era il secolo degli affari, si poteva ridere ancora a metà Settecento quando l’Ancien Régime ancora prosperava: “C’era gaiezza attorno al 1739”, il tempo del presidente de Brosses,  “la nobiltà non aveva paura, il terzo stato non aveva ancora deciso d’indignarsi dei suoi ceppi, o piuttosto dei suoi svantaggi, la vita scorreva dolcemente in Francia. L’ambizione, l’invidia, l’atroce povertà che ci bruciano, erano impossibili allora”. Una veduta non ortodossa, anzi reazionaria – ma il romanticismo non lo è? Stendhal stesso lo dice: lancien régime era l’“età del riso”, perché beneficiava dl privilegio, che è “la risorsa del riso alla francese”, dell’ironia.
Antoine De Baecque ha raccolto una decina di testi, tutti in vario modo pregnanti: quattro dal  “Diario letterario”, cinque dal saggio “Racine e Shakespeare”, e da ultimo “La commedia è impossibile nel 1836”. Qui, oltre che la nostalgia per i tempi del presidente de Brosses, Stendhal fa valere un interdetto sull’Ottantanove, pur non nominandolo: “L’abate Sieyès ha introdotto un disordine abominevole nei piaceri dello spirito, e avviato un’epoca di decadenza”. E di quale delitto s’è macchiato? “Abbassando l’aristocrazia dello spirito, ha creato l’aristocrazia letteraria”. Con effetti nefasti, ogni centro di potere, anche letterario, divenendo geloso del riso – “lo scherzo, la sola cosa al mondo di cui Napoleone avesse paura”.
Stendhal, Du rire. Essai philosophique sur un sujet difficile, Payot, pp. 181 € 7,50

Germania-Italia, la partita del degrado

Il settimanale tedesco “Spiegel” pubblica un articolo lungo su “Roma degradata”, “invasa da abusivi e immondizia”. E perché non vada perso lo traduce in inglese e lo mette online nel suo sito internazionale. Non è vero. Cioè, si può dire vero, ma Roma non ha più barboni, abusivi e immondizia che Berlino, per esempio. La differenza è semmai che a “L’Espresso” o “Panorama” non verrebbe mai in mente di ordinare, lavorare e pubblicare un ampio servizio su “Berlino degradata”, preda di immigrati straccioni e di rifiuti. A chi interesserebbe – ammesso che fosse vero, che Berlino fosse specialmente degradata?
Sono due diversi modi di concepire l’essere Europa. Interessato in Germania, sempre vigile, remoto in Italia. Ma sono anche due diversi modi di vivere l’Italia-Germania, o meglio il Germania-Italia - il match è rovesciato, benché l’Italia sul campo vinca sempre. Molto tutoriale in Germania, molto colpevolizzante in Italia. Su temi spesso rovesciati: Napolitano è popolare in Germania dal tempo in cui, ministro dell’Interno, autorizzava e praticava i “respingimenti” degli “immigrati straccioni”.

La guerra alla Libia per le braccia a buon mercato

Non c’è sdegno che possa esprimere l’orrore degli sbarchi quotidiani di clandestini. Di un mercato delle braccia patrocinato dal resto miserabile dell’Occidente, Obama in testa. Che l’ignobile Europa, ministro Alfano in testa,  pretende di ridurre al contributo all’accoglienza, se bastano trenta o non devono essere cinquanta euro al giorno. Mentre tacciono i preti e papi, solo attenti a gestire i soldi dell’accoglienza.
È una disgrazia troppo organizzata per pensare che accada per caso. Nei lunghi percorsi transafricani di questa povera gente. Di cui si lascia favoleggiare a giornalisti incapaci che paghino migliaia di euro, mentre è un mercato della disperazione. Né si attraversa su piedi maldestri il Mediterraneo, Lampedusa dista da Tripoli di Libia 185 miglia marine, 287 km. E per caso non si fanno le guerre - di cui quella alla Libia è un caso mostruoso, capitanata da fanfaroni del calibro di Sarkozy e Bernard-Henri Lévy.
Abbiamo voluto un presidente ingenuo o incapace come Obama per infilarci in tutte le cause squallide? Abbiamo chi? Gli stessi che ora ci vogliono in guerra per liberare la Russia? Di nuovo?

lunedì 28 aprile 2014

Problemi di base - 180

spock

Dio è – era – progressista?

Non sarà stato migliorista?

E sbadiglia(va) nei momenti di noia?

È l’ateismo un atto di superbia?

Perché non c’è altra verità che la religione?

E Di Pietro, scomparso: la divinità può cancellarsi?

O è a Beirut, pure Lui?

Ma perché la passa franca: gli dei non sono responsabili?

spock@antiit.eu

Sinistra e destra in marcia verso la spettralità

Socialismo o barbarie, “la formula non è mai stata di tanto bruciante attualità” è l’esordio. Una professione di fede, dunque. Contro la sinistra della crescita esasperata, la competitività e la mondializzazione.
Senza la coperta di Berlinguer, la cose sono chiare. Non è un exploit isolato, Michéa paga i suoi debiti. Si scopre così che il fatto era noto già nel 1986, otto anni prima che Bobbio si gingillasse col suo “Destra e sinistra” di scuola, Castoriadis su “Le Monde”scriveva il 12 luglio: “È da tempo che la divisione sinistra-destra, in Francia come altrove, non corrisponde più né ai grandi problemi del tempo né a scelte politiche radicalmente opposte”. Che era un rimprovero, o una constatazione di decesso, a valere unicamente per la sinistra.
L’impasse è – era già da tempo – nella pretesa di “superare a sinistra” il capitalismo – “Il vicolo cieco dell’economia sull’impossibilità di superare a sinistra il capitalismo” è la precedente riflessione di Michéa, tradotta da Elèuthera due anni fa. Non c’è gara possibile: le ragioni del capitalismo Milton Friedman dice “cupidità” e Ayn Rand “egoismo razionale”: il capitalismo non si nasconde. Perché allora camuffarlo? Nel mentre che per darsi tono, si svicola sul fumo libero, il mercato della procreazione e, contro la disoccupazione, le scuole di prostituzione, oppure coi divieti, per esempio il divieto agli uomini di mingere in piedi – “il relativismo morale costituisce la chiave di volta ideologica del liberalismo culturale” (117). Michéa, studioso di Orwell, solitamente di buonumore (questo “Mystères” è di gennaio, questo mese ha pubblicato una memoria del fu calcio, quando era un gioco, “Le plus beau but était une passe”, il gol migliore era l’assist), è disperato, questo pamphlet è densissimo di lucidità. Ha il vezzo di scrivere lungo, frasi anche di una pagina, con note alla seconda potenza, rinvii di rinvii. Ma tutto procede chiaro – insolitamente in filosofia, eccezionalmente a sinistra.
Il termine è equivoco, insiste Michéa: ha designato per un secolo la borghesia. La sinistra politica s’impone in Francia attorno ai responsabili delle più dure repressioni popolari, Cavaignac e Thiers. Dapprima per il patto tra liberali e “repubblicani”. Poi, con l’affare Dreyfus, come patto tra il movimento operaio e socialista e il liberalismo “repubblicano”. Un’allenza difensiva, contro “la reazione in agguato”, che si cementata come un modo d’essere e una fine in sé, all’insegna del Progresso e del Senso della Storia, i cascami dell’illuminismo – Michéa parla della Francia, ma lo schema fu quasi contemporaneamente riprodotto anche in Italia e in Germania. I partiti Comunisti se ne tennero lontani. E ora, di nuovo, la sinistra è quella che un tempo erano gli high tories, i conservatori liberali britannici un secolo e mezzo fa. Liberalismo e globalizzazione sono anch’essi vecchi: sono i temi, anni 1820-1830 di Say e Bastiat, “entrambi rappresentanti della sinistra dell’epoca” (“liberale di sinistra” Bastiat è stato ultimamente riqualificato da Luciano Priori Friggi, dopo essere stato a lungo considerato l’ispiratore della Scuola austriaca del liberismo – Einaudi amava ricordarne la “Petizione dei produttori di candele”, una satira del protezionismo: i produttori di candele e gli altri industriali francesi dell’illuminazione chiedono alla Camera dei Deputati leggi restrittive contro lingiusta competizione di una potenza straniera, il sole).
Un’opera cattivissima, che smantella ogni piega del politicamente corretto, questa maschera del nulla, della piccola astratta ragione salvifica. La sua migliore “filosofia”, si può aggiungere, è quella semplice dell’Avvocato Agnelli, che “ci vuole un governo di sinistra per fare le cose di destra”. L’esito migliore è una società spettrale (97): “Il diritto liberale «ideologicamente neutro»… viene a poco a oco a non avere più altra finalità pratica che di preparare… l’avvento di un mondo mimetico e indifferenziato”. Senza più “esistenza personale e autentica, responsabilità morale effettiva, buonsenso elementare, o generosità vera (non quella mediaticamente esibita)”. Si dice della sinistra ma, poi, s’intende dell’umanità.
Jean-Claude Michéa, Les Mystères de la gauche, Flammarion, pp. 133 € 6

domenica 27 aprile 2014

Ombre - 218

Sergio Romano fa di Kesselring, sul ”Corriere della sera”, il protettore di Napoli e di Roma. Di Kesselring, anzi, insieme con Hitler. Le città furono danneggiate dagli angloamericani, “a cui si debbono alcune delle maggiori distruzioni mai subite da un patrimonio artistico europeo”. La revisione è già cominciata? Il giorno dopo la festa della Liberazione. 


Adesso che lo spread si riduce, spremuto dai bilanci restrittivi, si dice che la grande paura è la deflazione. Che moltiplicherebbe il rapporto fra debito e pil, altro che ridurlo. Ma senza dire che la deflazione è figlia dei bilanci. Ma in che mani è caduta l’Europa - meglio i bombardieri americani?

“L’olio spagnolo in mani italiane? Mai”. È stato tassativo il premier spagnolo Rajoy.Ora l’olio spagnolo è in mani inglesi, di una finanziaria inglese, cioè di nessuno, e a Rajoy va bene. Solo ragioni di loggia?

L’olio spagnolo in realtà si fa forte di marchi italiani, di cui ha fatto incetta, sotto i quali si contrabbanda, per vendere nei succulenti mercati americani, del Nord e del Sud. E questa non è colpa della Spagna.

Il giudice Guariniello chiede l’intervento del capo del governo contro la giustizia lenta – vuole affrettare una condanna. La giustizia della Provvidenza? Ma non è fascismo.

Dirige l’attacco, retrospettivo, a Vannoni e Stamina il giudice Guariniello, che sempre fa le cause perse, a babbo morto. Noi con chi dobbiamo stare?

Sono stati 1621 nel 2013 i procedimenti discipllinari al Csm a carico di giudici, scrive al “Corriere della sera” Gianfranco Ciani, Procuratore generale della Cassazione. Le azioni disciplinari hanno quindi riguardato, spiega Ciani, il 2 per cento degli 8.229 giudici in servizio. Quattro volte la percentuale della Francia o della Germania, due volte quella della Spagna. Dobbiamo rallegrarcene, o preoccuparcene?

Il Csm assegna le cariche, a capo delle Procure e dei tribunali,per ragioni politiche, assicura serafico  Ciani, il primo magistrato d’Italia. Bisogna accontentarsi, c’è di peggio?  

Fabrizio Roncone dà, inavvertitamente?, la parola al senatore abruzzese Razzi, che Crozza sbeffeggia ogni settimana da due o tre anni, e a sua moglie. Due persone finalmente dignitose, perfino a posto con i congiuntivi. Due ex emigrati alla Lampedusa – a Chiasso li spogliavano. I cui figli vivono in Svizzera con attività da poco, ma rifiutano l’Italia. Si può dare loro torto?

L’Italia migliore è quella dei Crozza? Il senatore Razzi è assurto al “Corriere della sera” per giustificarsi della foto di matrimonio in cui inalberava una capigliatura alla black panther. Normale per i giovani allora, anche se emigrati poveri, ma scandalosa per i politicamente corretti – se la mostrano a dito su internet.

Saranno i servizi segreti a desecretare i documenti segreti. Cioè a metterli in bella copia. Anche con qualche buona consulenza in fato di archivistica.

Firenze è diventata, negli anni di Renzi, la capitale dell’abusivismo. Con un centinaio di case occupate, e bancarelle ovunque. Per distrazione?

Si chiude a Piombino l’acciaieria, dopo un secolo, davanti a un porto da tempo vuoto, di traffici e di servizi. Mentre a Firenze celebra “evento dell’anno” l’apertura del Mercato Centrale rinnovato, piccolo centro commerciale e un piccolo Eataly. È il modello Toscana, tutti camerieri?

“Stragi, pignoriamo la Germania”: l’avvocato Conti scrive a Renzi, e a Schulz, per chiedere infine i risarcimenti per le vittime innocenti di San Terenzo Monti in Lunigiana. Non chiede molto, 150 euro per un familiare di cinque vittime – in tutto furono un centinaio, di cui 26 infanti, 69 donne -  ma insiste: “Pignoriamo i beni della Germania in Italia”. Così semplice – dirsi dispiaciuti non basta.

Romano Montroni, neo delegato alla lettura del ministro della Cultura Franceschini, lamenta sul “Quotidiano Nazionale” che in Francia, Germania, etc., si legge molto di più che in Italia, e gli sconti sui libri sono proibiti alle librerie. Ma non dice che i prezzi dei libri sono la metà che in Italia, in Francia anche un terzo.