Perché un paese
mezzo russo deve diventare antirusso? L’Ucraina dopo la Libia e la Jugoslavia:
dove si mette l’Europa è per generare guerre civili.L’Europa ha promosso
l’integrazione, e quindi la stabilità, dell’Europa Orientale. Ma questo a opera
della burocrazia di Bruxelles, e soprattutto di Romano Prodi. I suoi governi,
invece, hanno promosso le guerre civili dove hanno potuto. I suoi governi attivi,
a Londra e Berlino, nell’assenteismo o l’incapacità degli altri, primo fra
tutti quello italiano, perciò più colpevole.Queste guerre
europee sono responsabilità dirette dei governi inglese e tedesco. È il governo
Cameron, che oggi rimprovera a Obama la “debolezza” in Libia e in Siria, ad
aver preparato, innescato e armato le
due guerre civili in quei paesi, che non sono Europa, ma ne sono bene la
frontiera meridionale e sud-orientale. A favore di gruppi cosiddetti
democratici che in realtà sono terroristi islamici. È il governo tedesco ad
aver voluto la deflagrazione della Jugoslavia, via Slovenia e Croazia, e ora si
costruisce in Ucraina posizioni contrattuali con l’amico-avversario Putin. Un
gioco forse furbo, ma con molto sangue sparso.
I settant’anni dalla
fine della guerra mondiale sono stati un’eccezione nella storia dell’Europa:
per la prima volta tre-quattro generazioni sono crescite senza guerre da
combattere. Ma solo come cittadini, per l’incolumità personale. L’Europa non ha
perso il vizio della violenza.
sabato 3 maggio 2014
Il complotto che non c’è è un complotto
Da Astolfo, “La
morte è giovane”, romanzo “storico” in via di pubblicazione, un breve excursus
sul 1974-1975, quando Andreotti denunciava complotti a ripetizione, a carico dell’onorevole
Moro, a opera ora del generale Miceli, dopo quello di De Lorenzo:
“L’onorevole Andreotti non è solo,
la vigilanza è massima. Su L’Espresso
e Panorama i golpe si rincorrono.
Prima a settimane alterne, ora in contemporanea. L’ingegner Francia vuole
avvelenare l’acqua. Delle Chiaie rapire ventitré notabili. Il principe Borghese
prendere Roma coi forestali di Gualdo Tadino – un’altra volta? Gheddafi
bombardare gli aeroporti. La massoneria voleva rapire il presidente Saragat. Un
golpe preparano i militari. Un altro i capi della Resistenza Sogno e Pacciardi.
E un Fumagalli Carlo, eponimo lombardo. Carlo Cassola invece organizza un
gruppo anticomplotto – lui è pacifista e complotta contro le Forze Armate.
“I golpe contati tra gennaio e Pasqua
sono venti o ventuno. Candelotti di dinamite si scoprono in tempo in posti
impervi delle ferrovie, in galleria, sotto i ponti, altri deflagrano talvolta
senza vittime. Borghese è il Principe Nero, personaggio di Conan Doyle venuto
utile in Libia prima che in Italia, nonché figlio di Edoardo III, il re
d’Inghilterra che si disse re di Francia, e per lui scatenò la guerra dei
Cent’Anni, vincendo a Poitiers. I reduci del Principe si sono persi per strada.
Il commando che doveva rapire il capo
della polizia Vicari ha prima sbagliato numero civico, poi è rimasto bloccato
in ascensore tutta la notte, avendolo sovraccaricato. Ma non si può ridere del
complotto, i bolscevichi presero il Palazzo d’Inverno entrando alla spicciolata
da una porta secondaria rimasta aperta.
È
una sofferenza. Non per l’Italia, che forse ci gioca – oppure no? È un vezzo
terzomondista di segnalare golpe annunciati a ogni passo. Non che il Terzo
mondo ne difetti, ma il golpe annunciato sa di classico, della disinformazione:
“Ti butto un golpe tra i piedi”, si potrebbe dire. Per primi gli ateniesi
dormivano “fuori la notte in armi”, narra Tucidide, quando uno spione s’inventò
il golpe di Alcibiade. Liquidato il quale fallirono la conquista della Sicilia,
che li avrebbe resi padroni del Mediterraneo, e duemila anni di storia, e
persero la stessa Atene. E sempre c’è il sospetto dell’ignoranza consapevole,
il metodo socratico della verità simulata, far credere che si sa pure ciò che
s’ignora. È il vizio di chi, sapendo quello che non sa, pensa di doverlo
denunciare come complotto - ciò che fa il piccolo borghese, nel fascismo e
dopo, il soggetto politico contemporaneo, delle democrazie. Bacone per questo
spregia la Fama, l’opinione pubblica: la natura del popolo essendo “malvagia e
triste, e propensa alle novità”, i turbolenti se ne giovano con “pettegolezzi,
malignità, denigrazioni, ricatti”, per muovere alla “femminea invidia verso
coloro che governano” – il complotto è femmina per il barone di Verulamio, la
ribellione maschio. Il popolo sospetta di tutto, la democrazia ateniese è una
serie di complotti, democratica solo perché spesso sovvertita. Ma sempre ci
vuole un giudice per un complotto.
“E
se le cose occulte poi avvengono? Si veda negli Usa, dove sono teatro a scena
aperta, e “Tania” si reincarna, ultima compagna del Che in Bolivia, per
svaligiare banche. Rapita dai Simbionesi, tra un colpo e l’altro ci fa l’amore,
scrivendolo ai suoi genitori, gli editori Hearst. Dev’essere novità eccitante,
per chi è stata virginea fidanzata d’America. Per quanto, se si dicono
simbionesi devono sapere il greco.
“Congiura
avrebbe più senso che complotto, filologico e storico, più onorevole. È anzi
per alcuni, Francesco Patrizi, la
storia. Oppure è la rivoluzione: “Fra tutte le imprese degli uomini nessuna è
grande come la Congiura”, scrive l’abate di Saint-Réa, lo stesso della Congiura degli Spagnoli contro Venezia,
allievo dei gesuiti: “(Sono) questi i luoghi della storia più morali e
istruttivi”. Ma la retorica è politica, così com’è storia e giustizia, là dove modella
la storia e la giustizia. E molta politica è retorica, un bel dire: Marx lo
scoprì di Machiavelli, che riscriveva Sallustio, La congiura di Catilina, o Tacito, che aveva rifatto Sallustio. E
dunque il complotto è progetto politico, non rivoluzionario.
“L’ingegner
Francia non è ingegnoso, chiunque può
avvelenare l’acquedotto - è il complotto classico, il ruolo che si dava agli
ebrei nella preparazione dei pogrom,
di avvelenatori dei pozzi. Di Gheddafi si danno i campi per terroristi, con
liste dei partecipanti, nomi arabi incerti, in articoli anonimi. Che il Pazzo
potrebbe scriversi da sé, è vanitoso, senza scomodare il Mossad. Roscioni
individua nell’Esploratore Turco
Paolo Marana un mitomane che prosperava nel Seicento inventando complotti. Il
sospetto è un bisogno umano, non solo di preti e prefetti. Ma l’Imitazione di Cristo contesta la “magna
cavillatio de occultis et obscuris rebus”.
“I
complotti hanno il difetto, o pregio, che sono già successi. In 1984 è scritto pure il tempo che farà. E
Kant lo spiega: non si può dimostrare un fatto attraverso una deduzione.
Chiunque può mettere una bomba nella
metropolitana, le stazioni in ogni città sono centinaia. Il terrore è il
pesce nell’acqua, insegna il Vecchio della Montagna, penetra ogni protezione,
non c’è filtro che tenga. Ma è anche vero che dedurre fa bene, non soltanto a
Bacone e Sherlock Holmes. Il terrorismo è organizzazione, le bombe non si
mettono da sole.”
Italia sovietica – 20
Berlusconi – impomatato, ingessato,
gesti e inquadrature da manichino, pubblico immutabile
Il pubblico di Floris, Fazio,
Santoro, Annunziata – ma sono venti milioni, o sempre gli stessi cinque?
Il pubblico pagato di Fazio,
Floris, Santoro
La cancellazione del partito
Socialista
La cancellazione dei partiti laici
La cancellazione della storia
politica
La cancellazione della storia
Gli spregiatori degli 80 euro, al
mese
Luciano Canfora
Salvini (ma chi è?)Secondi pensieri - 174
zeulig
Eguaglianza – È liberale prima che socialista. Il
“fondamentalismo” egualitario è liberale, è la contemporanea cultura dei diritti – i diritti
per tutti. È diminutivo ma sconfinato (sradicato). L’egualitarismo socialista
si vuole ancorato, alle cose e alla storia: lavoro, reddito, affetti,
psicologia, antropologia.
Mercato – Lo Stato ne è il presupposto. Non c’è mercato senza regole – il
mercato non realizza le eque opportunità senza regole. E dunque senza un’autorità
a esso esterna, normalmente lo Stato, oggi più Stati concorrenti. È l’equivoco
di fondo del liberalismo, che presume una continua legiferazione nel senso
dell’eguaglianza, delle opportunità, degli accessi, della competizione, con
contrappesi da rinegoziare e riequilibrare in continuazione.
Populismo – Concetto equivoco e non innocente. Poiché
disinnesca (squalifica, marginalizza, deride) situazioni di forte ingiustizia,
nel nome di non si sa che modernità o progresso. Elaborato peraltro da
un’ideologia che si nega. Si può dire il segno della confusione, se non dell’ipocrisia, del moderno delle idee e
della parola. Oggi come in tutte le epoche di depressione – che storicamente va
col declino, lo smembramento, la sconfitta di un impero, una civiltà, una
società. Bisogni reali sono appiattiti e denunciati – ridicolizzati – non da
una superiore intellettualità, ma da mezzi forti e quindi “superiori”,
finanziari, sociali (established) e mediatici, di comunicazione.
Dequalifica
una situazione dì ingiustizia, ma non la depotenzia. Naturalmente non la risolve, anzi serve a evitare d
risolverla, labellandosi diminutivamente. Marginalizzando il mondo degli
esclusi, dei non protetti, anche se numerosi e perfino maggioranza, in una
società che si vuole protettiva e garantista. Un fisioterapista in organico alla
Asl ha diritto allo stipendio mensile, alla tredicesima e agli straordinari, e
anche al tempo libero per esercitare la libera professione, quasi sempre esentasse,
in nero, mentre il bracciante e il
precario pagano anche per lui, a fronte di poco o niente.
Procreazione – Nel momento in cui da fatto naturale si trasforma
in diritto, se ne apre un mercato, . scombinando l’ordine naturale e morale.
Giacché la coppia sterile desiderosa di figli ha il diritto di ordinarne uno o
più nel mercato mondale dell’adozione, una bambina asiatica, un bambino
africano o dell’Est Europa, dove è anche possibile farsene fabbricare uno con
ventre in affitto e la procreazione assistita, a costi perfino minori che in
ospedale a casa propria e senza sofferenze, lo stesso diritto ha la coppia
omosessuale. Ma non senza disordine: si elimina dalla genitorialità la sofferenza
prodroma all’accudimento, e dalla procreazione la dipendenza. Il diritto del
bambino appena enucleato vene soppresso, in una generazione o due una famiglia
unicamente contrattualizzata si può prospettare. E a quel punto senza alcuna
ragione d’essere: il passo è breve per fare un figlio con chi più al momento
piace, magari secondo i canoni estetici dell’anno o della decade, e perfino
concepire un mercato del seme o dell’ovulo da parte di soggetti che più
piacciono, invece dell’autografo per dire, gratuitamente o per un fee – magari per un fine benefico, perché
no, come ora è l’uso.
La società
dei diritti sconvolge l’ordine naturale e morale. Va, lecitamente, oltre i
limiti posti dalla natura, ma implica, anche se non se le prospetta, una serie
di esiti etici nuovi. Tutte le forme sociali umane sono considerate sotto la
sola visuale del Diritto. Una prospettica che, contrariamente al senso comune,
non sfocia nel libertinaggio, ma nella costrizione totale, a una sorta di
monadismo semplificato imposto: l’individuo vi è sempre più assottigliato, in
una società atomizzata. Avulsa da ogni altra radice, etnica, antropologica, linguistica,
psicologica, filosofica, morale, religiosa anche, ancorata su un unico fittone, del Diritto,
egualitario per tutti. Per questo anche, per il diritto all’eguaglianza, vieppiù
spogliato di ogni residua carica emotiva.
Psicanalisi – O dell’“io impoverito”, con analogia
militaresca: a bassa intensità, disinvolto e disimpegnato, una forma di
mitridatizzazione. Come filosofia e anche come terapia – è come il sivastin per
il colesterolo..
Rete – Realizza con lo smartphone - in attesa dello smarteye, di un sensore
virtuale, di un deposito emotivo – la sovranità (“virtuale indipendenza”)
dell’individuo, la libertà totale nella connessione totale. In una forma di
spossessamento subliminale. Solo lievemente aggressivo, per aver impiantato
prima l’esigenza dell’uniformizzazione, come dell’eliminazione totale della riservatezza
e del tempo proprio.
La
realizza nell’atomizzazione, e quindi nella elusione (dispossessamento) della
socialità, che riformula in modelli: conforma una socialità di sintesi,
modulare – a differenza delle relazioni
individuali. Appellandosi all’ampliamento dell’area individuale, ma questo è un
altro discorso, di marketing, qual è tutta la filosofia utilitaristica
dell’individuo. Suscita emozioni ma non rapporti personali, che anzi rarifica ,
disintensifica, e tende a escludere -
“lo spettacolo” di Debord, che “riunisce il separato, ma lo riunisce in quanto
separato”. Una relazione non interattiva, contrariamente all’etichetta che
esibisce. Che però ha un fondamento già consolidato, nella psicanalisi::nell’
“io impoverito”, o la società insocievole, la vita di relazione a senso unico.
Notevole
anche la perdita che implica in questa fase di trapasso. Nella sottrazione del
tempo e della riflessione. Nel controllo passivo a cui si sottostà. Nella
gestione impoverita dei riflessi e delle emozioni.
Suicidio – Dan Brown ha l’agathusia, il “sacrificio altruistico”,,sacrificarsi
per il bene altrui. Il suicida per l’assicurazione alla famiglia, o per
liberare la famiglia del proprio peso (malattia, invalidità, handicap), e
perfino il caso dell’assassino seriale che si
toglie la vita per non compiere altri delitti, o meglio ancora quelli della
“Fuga di Logan”, il racconto e il film dove tutti si suicidano, per non aggravare il mondo della
sovrappopolazione, all’entrata nel ventunesimo anno – ma una giovinezza spensierata col senso della fine
imminente (nel film l’“età dell’aliminazione” era innalzata a trent’anni, per
attrarre al cinema i giovani, che allora ci andavano)?
In
antico la colpa portava al suicidio. Poi, con metodo cristiano, al pentimento e
alla penitenza. Sant’Agostino naturalmente è contro. Ma non
senza ragioni. “Dov’è la forza di quest’uomo tanto vantato?”, si chiede di
Catone, “non è stato piuttosto per impazienza che per coraggio che questo
famoso Catone s’è data la morte, e per non aver potuto ammettere la vittoria di
Cesare?” E dei peripatetici, che dicono, “con ragione, che è il primo grido
della natura che l’uomo ami se stesso, e pertanto che abbia un’avversione
istintiva per la morte”, per poi soccombere ai mali uccidendosi, che dirne, “se
gli stessi credono alla verità come credono alla morte?”
Il
motivo conta, ma basta poco a volte. Caroline von Günderode si buttò a ventisei
anni nel Reno quando l’amante filologo Creuzer tornò dalla moglie. L’acqua è un
buon motivo, non solo quella del Reno: Vienna ha un cimitero apposito, dei
Senza Nome, per i tanti che non resistono al Danubio. I cosacchi di Hitler, che
pensavano di prendersi il Friuli, traditi dagli inglesi che volevano
consegnarli a Stalin, trovarono comoda la Drava, dove si buttarono chi legando
a sé la famiglia, chi legandosi al cavallo, zavorrato con un sacco di pietre.
Nel Reno si buttò anche Robert Schumann, “Eusebius”, che i barcaioli però
salvarono. Dopo averlo annunciato alla moglie Clara, con la quale aveva fatto
otto figli, in una lettera che Clara custodirà in cassaforte: “Cara Clara,
getterò la mia fede nuziale nel Reno. Fa’ lo stesso anche tu e le nostre fedi
saranno unite”. Il musicista se l’era sognato a diciannove anni: “Ho sognato di
affogare nel Reno”, pur essendo egli nato e cresciuto a Zwickau, a mille
chilometri.
zeulig@antiit.eu
Il matriarcato è stanco
Si
ripropone per la Festa della mamma, bizzarramente, non per quella della Donna.
Le librerie lo accostano ad un’altra riproposta matriarcale, la Grande Dea di Greaves,
nella versione femminista di Marija Gimbutas, “Il linguaggio della Dea” -
peraltro costosa. Che Siusy Blady va proponendo in tour, dopo la serie tv
“Misteri per caso”, sul tema “Dio nacque
donna”, poi gli cambiarono sesso.
Gimbutas
dimostra, con duemila manufatti, che dal neolitico all’età del bronzo l’Europa
era femminile – ma non pretende, si classifica nell’archeomitologia. Del
resto il matriarcato, con connessa superiorità, era rivendicato all’Africa, di
cui l’Europa era considerata un’appendice, da Cheikh Anta Diop cinquant’anni
prima di Gimbutas, e poi da Senghor.
La storia di
Bachofen resta insuperata dopo due secoli, e ciò pone qualche problema: non c’è
più altro da dire. È anch’essa storia problematica, seppure innovativa – il
patriarcato è biblico ma non è rozzo. È forse il motivo per cui la riedizione
si ripropone ormai stancamente da dieci anni, benché ridotta a un quarto delle
complicate ottocento pagine originali.
Johann
J. Bachofen, Il matriarcato. Storia e mito tra Oriente e Occidente,
Marinotti, pp. 244 € 16,50venerdì 2 maggio 2014
Sonno d’autore
I
lettori non leggono
Gli
editori non editano
Il
giornale si fa bello del nulla
La
rendita non basta più
E
bisogna intaccare il capitale
Ma
anche l’appetito viene meno
E
il ventre d’aria si riempie
La
cosa migliore da fare
È
allora spegnere la luce
E
andarsene a dormire
Anche
sul divano scomodo
Nel
sonno augurandosi
Il ritorno del sogno Il complotto del complotto
Una rassegna quasi
esilarante delle bufale che ci sono state ammannite nella storia della
Repubblica: la mafia al potere con la Liberazione, ora Stato-mafia, Gelli e la
P2, Cossiga e Gladio, Moretti e Moro, l’euro, Mani Pulite, Berlusconi.
Aggiungeremmo i golpe bisettimanali, che alternativamente si facevano denunciare
da “L’Espresso” e “Panorama” nel 1974-1975 (di cui in Astolfo, “La morte è
giovane”, in via di pubblicazione).
Ma Teodori e
Bordin commettono anche loro un errore: non si chiedono come mai l’opinione
pubblica sia così infettabile e infetta in Italia. I grandi partiti, cioè, e i
giornali importanti, non i mestatori e gli scandalistici. La logica del complotto è deprimente, (ma) bisogna guardasi le spalle.
Massimo Teodori,
Massimo Bordin, Complotto! Come i
politici ci ingannano, Marsilio, pp. 222 € 14,50
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (205)
Giuseppe Leuzzi
“La
gente del Nord nell’arte di tacere eccelle, e tutti tacevano”, garantisce
Montanelli degli estoni, ai quali insegnò un anno l’italiano. La virtù è
latitudinale.
.“I
bons mots, i calembours, le barzellette sul governo di Milano, quando esso esisteva,
erano ripetuti e tenuti in conto da me come cosa spiritosa e un quadro della
nazione, ma senza piacere. Al contrario, erano presi sul serio, e anche con dolore
da parte mia. Le conseguenze delle verità di cui i milanesi ridevano erano
troppo vivacemente risentite da me. Ero repubblicano”. Questo è “il milanese”
Stendhal, al cap. XVII del suo abortito “Trattato sull’arte di fare le
commedie”, 1813.
La
repubblica non s’addiceva ai milanesi.
Il
vizio di sparare sulla Croce Rossa a Milano è vecchio
Furoreggia
in Belgio il film sulla vita di Rocco Granata, immigrato ragazzo dalla Calabria
al seguito del padre bracciante improvvisatosi minatore. In Belgio Rocco
proseguì lo studio della musica avviato al paese, si comprò una fisarmonica,
non potendosi comprare il piano, e improvvisando divenne famoso giovanissimo,
nel 1959, con la canzone “Marina”. Dopodiché, per una vita, è rimasto onorato e richiesto in Belgio,
ma senza echi in Italia.
È
vero però, come dice a “Io Donna” Lo Cascio, che nel film interpreta il padre,
che “il padre di Matteo Simoni, il
ragazzo che interpreta Rocco, è un architetto e in famiglia parlano fiammingo”
- nipote di un nonno anche lui minatore improvvisato.
I
camorristi Rito Calzone e Carmine Amato si sono fatti fotografare con Mourinho.
Un Mourinho giovane: era il 2006, a Barcellona. E ora vanno mostrando la foto
in giro: se erano a Barcellona non potevano fare i killer a Napoli. Quello della
malavita organizzata sembra sempre più un film.
La scomparsa di
Napoli
Napoli
più di Pompei è diventata la città del silenzio. Non canta, non grida, non urla
più, non fa notizia. I napoletani si possono anche ammazzare in pieno centro,
non gliene frega nulla a nessuno. Che poi i delinquenti non sono “napoletani”
naturalmente ma casertani, giuglianesi o, quasi tutti ora di Casal di Principe,
che dev’essere un vesuvio ribollente d’infamie, ne ributta in continuazione da
venti o trent’anni, come una volta erano di Scampia. Perché anche Napoli non
scherza in fatto di cancellazioni, più che altro ora inventa frasi fatte, di
rito e scontate.
Non
c’è più nemmeno il Vesuvio, a proposito, latita pure il vulcano. E il santo: san Gennaro,
declassato a santo locale, se la dev’essere presa. Non si sono
canzoni napoletane a Sanremo, e nelle interminabili serate Rai. Non ci sono comici
napoletani a Zelig, a Colorado e al cinema – Salemme si deve camuffare con
qualcosa di nordico. E anche i dintorni
sono spopolati. Nonché il Vesuvio, non ci sono più spiagge né isole attorno, sirene,
limoni, città romane.
È
curioso ma è un fatto. Di cui la città non ha colpa naturalmente, la città fa
del suo meglio, cioè del suo peggio, per farsi notare: un sindaco incapace e
nepotista, una giustizia ancien régime,
corriva alla corruzione, spente la musica e la poesia per cui la città
eccelleva, la sartoria maschile, quella
femminile, e la cucina, già così appetitosa. Perfino il tifo della
squadra sembra contagioso, dovunque si reca fa chiudere gli stati locali. Ma un
po’ di colpa è anche sua, della città, come un piacere maligno di cancellarsi.
Raccomandazioni
Le
“visite” sono un classico della burocrazia francese, coltivare le amicizie, anche
tra i letterati, anzi specialmente tra di loro: tuttora si fanno per candidarsi
all’Accademia. La “visite” al prefetto o al ministro, anche ala moglie del
prefetto o del ministro, non sono cose del romanzo dell’Ottocento, ma di routine. Per un appalto, un posto, una
promozione. Con la promessa sottintesa di un contraccambio se l’occasione si
presenta.
In
Francia le “visite” fanno letteratura. Amabile. Anche a Milano la farebbero, se
se ne parlasse. Al Sud invece sono corruzione. Anche se si evitano, per
l’occhio della gente, non si sa mai, dei carabinieri, dei loro informatori.
L’antimafia
(anti)fascista
Carmelo
Marzano, il questore di Reggio che prese tutti i latitanti dell’Aspromonte, 400
e passa, nell’estate di sessant’anni fa, con squadre in assetto di guerra,
imponendo il coprifuoco, spopolando le piazze con ceffoni e calci di fucile,
era “individuo bieco e crudele” in una denuncia a Mussolini nel 1943. Di anonimo
che però non inventava, probabile funzionario di Polizia secondo Mimmo
Franzinelli, lo storico che ha analizzato gli archivi della delazione negli
anni del fascismo, e dettagliava il comportamento dei vertici della Polizia
stessa il 25 luglio.
Fu
di Marzano l’idea di arrestare Mussolini, secondo l’anonimo bene informato: “Il
Dott. Marzano suggerì e preparò l’autoambulanza della Polizia per rinchiudervi
il Duce quando usciva da Casa Reale”. Per un guadagno: “Senise (il capo della Polizia,
n.d.r.) dette generosi premi in denaro per la «brillante operazione»”.
leuzzi@antiit.eu
giovedì 1 maggio 2014
Azzeramento
Zorro si tolse la maschera
Incitato da Zeta Jones
E sotto comparve Renzi
Ma si voleva Crozza
Salgari, Pratt, l’avventura italiana è coloniale
L’Italia
ha fatto tre guerre coloniali, molto avventurose, anche dispendiose. Due all’Etiopia,
una perduta e una, soverchiante di mezzi (“Mussolini ha messo a disposizione
dieci volte i mezzi richiesti da Badoglio”, scriveva il volontario Montanelli)),
vittoriosa, l’impero durato quattro anni, un record nella storia degli imperi.
E una, nientemeno, all’impero totomano per la Libia e il Dodecaneso..Non se ne parla
più ma è la guerra che caratterizzato l’Italia unita, prima della Repubblica,
alle tre guerre coloniali sommandosi le tre europee. Una storia, dunque, caratterizzata
dalle guerre.
La
mostra fotografica, organizzata dal dipartimento di italianistica di Harvard,
recupera materiali tanto ricchi quanto trascurati, con interi album, molto “organizzati”
esteticamente, divisi suddividendoli per quattro temii: la spedizione della
nave idrografica “La Staffetta”, tra il 1907 e il 1909, da Porto Said a Zanzibar,
la propaganda nella Guerra Italo-Turca, l’impero architettonico, vecchio e nuovo,
a Tripoli, e le foto-ricordo della ragazze a tette nude.
Il primo
percorso è il più suggestivo, e più per le didascalie. C’è la violenza
coloniale dietro il mondo letterario dell’avventura made in Italy. Salgari fu,
da giornalista, uno dei primi supporter della guerra di Libia – salvo suicidarsi
cinque mesi prima. Hugo Pratt fu un bambino-soldato, “arrulolato” quattordicenne
dal padre militare nela polizia coloniale a Addis Abeba.
In
Africa it is Another Story: Looking back at Italian Colonialism, mostra alla Pulsey Library, Harvard, 4 aprile-2
maggio
Recessione – 19
Tutto
quello che dovreste sapere ma non si dice:
Quaranta fallimenti al giorno nei
primi tre mesi, due ogni ora. Un quarto in più che nei primi tre mesi 2013.
Due aziende su cinque devono
prestarsi i soldi in banca per pagare le tasse.
La disoccupazione è ad aprile al
12,8 per cento, forse al 12,9. Con la cassa integrazione senza ritorno supera
il 13 per cento.
Un milione di famiglie non ha (più)
un reddito. In età lavorativa, cioè prima della pensione sociale. Coppie con
uno-due figli, tre-quattro milioni di persone.
Un quarto della potenza elettrica
installata è fermo per il calo della domanda, industriale e residenziale. Il
consumo 2013, previsto in 400 miliardi d kWh,
è stato invece di 317 miliardi. Il calo si accentua nel 2014.
La città spagnola di Valencia ha
attivato e mantiene in vita una scuole di prostituzione come rimedio alla disoccupazione – un’Accademia del piacere.
Era forse Sagunto, e la cosa si può
spiegare così. È anche la città che si è appropriata l’arancia navel, facendone
una indistruttibile, seppure senza odore né sapore. Nel 2012, quando aprì la
scuola, un negozio su due aveva chiuso.Gli speculatori del sovietismo
Uno
dei pochi libri veritieri, se non il solo, che ancora si leggono con profitto
sul sistema sovietico, benché di professi solo una “raccolta di osservazioni”,
o forse per questo. Di giudizio acuto e scrittura sobria. Onesto anche, senza il
facile antisovietismo dell’Italia fascista. Di un’intelligenza indipendente.
Alvaro
girò l’Unione Sovietica tra la primavera e l’estate del 1934. Era inviato della
“Stampa”, ma il viaggio fu comunque organizzato e controllato, soggetto alle
premure degli ospiti. C’erano le collettivizzazioni forzate, e ci fu l’assassinio
di Kirov, preludio ai processi all’interno del Pcus. L’albergo di Mosca gli
appare subito “un’istituzione della Ghepeù”, la polizia politica. Tanto più per
le “premure” che lo assediano, al punto da farlo sentire in colpa, inadeguato o
irriconoscente.
La sua
prima impressione è quella che caratterizzerà storicamente l’epoca sovietica: la
provvisorietà, l’incertezza. Senza l’entusiasmo o la consapevolezza che sempre
accompagna una vittoria, una presa del potere. Mentre il passato sopravvive
polveroso e cadente. La rivoluzione è un fatto remoto, solo testimoniata dall’“ingente
numero di storpi, mutilati, stroncati, vittime di quell’errare esaltato”. C’è
la febbre per la “tecnica”, con associazioni di Atei, Materialisti Militanti, Senza
Dio, e una consistente mancanza di sentimento. Del socialismo liberatore e comunitario
non c’è niente. Con sgomento Alvaro scopre che “i loro stessi libri ci
raccontano che i contadini recalcitranti nel primo tempo della socializzazione furono
matati come buoi a colpi di clava, e che i giustizieri più efferati furono le
donne”.
Si
obbedisce. La parola d’ordine peraltro non è rifiutata e anzi entusiasma, seppure
freddamente: “Raggiungere e superare l’Occidente”. Ma la denuncia del vicino, e
perfino del familiare, è pratica corrente. E il controllo totalitario – Alvaro non
si fa illusione sulla sbrigativa autorevolezza delle sue “guide”. Non si faceva
illusioni neanche sui “transfughi intellettuali” che proliferavano in Occidente
inneggiando a un bolscevismo di maniera, di cui non avevano conoscenza. Più che
altro sacerdoti del “culto estetizzante di un’apocalisse moderna”. La sua
solitudine intellettuale affrontava con fermezza, di molti individuando l’inconsistenza:
“Di questi personaggi ne ho venduto alcuni a Mosca, sono più o meno speculatori
del sovietismo: profittatori mantenuti nei grandi alberghi, e che su questa
povera pelle proletaria fanno i loro affarucci in valuta estera”.
Corrado
Alvaro, I maestri del diluvio
mercoledì 30 aprile 2014
La peste è rossa per il 60 per cento
Non c’è solo Berlusconi, anche
Grillo capitalizza elettoralmente con “la peste rossa” e “l’Italia è una
dittatura, la gestisce Napolitano”. Copia Berlusconi ma con più credibilità:
Grillo può denunciare il pericolo “comunista”, senza contestazioni, in
roccaforti “rosse” come Piombino, Siena e Modena, non c’è verso di appioppargli
lo stigma di Berlusconi. Lo si vorrebbe ora fascista ma è tardi.
La metà abbondante dunque
dell’elettorato, forse il 60 per cento, con i leghisti e i casiniani, crede alla “peste rossa”. Magari a
torto, ma è una sindrome di cui soffre. Al punto di votarle contro, anche
ripetutamente, cioè con convinzione.
Di più si capisce, in questo
contesto, la novità di Renzi. Il tentativo reciso di scrollarsi questo stigma,
ben più duro, e produttivo, che il fascista o l’affarista appioppato a Berlusconi.
La cosa è vera anche all’opposto: la sindrome è confermata dalla contestazione
a Renzi, muta ma inflessibile, cattiva.Anche i romani, dunque, erano tedeschi
La professoressa Cristina Wis, che
insegna all’università “L’Orientale” di Napoli, studia la mitologia germanica
nell’“Inferno” di Dante. Nel presupposto che Dante sia tedesco e non italiano,
probabilmente. In questo quadro dell’alles
deutsch, tutto il meglio naturalmente, chiede a Sergio Romano se è vero che
“un ufficiale tedesco” decise di non bombardare Roma nel 1943 “poiché negli
archivi della Capitale erano conservati dei documenti che provavano l’origine
germanica delle genti romane”.
L’ex ambasciatore si dice scettico,
ma chiede lumi a Lutz Klinkhammer, responsabile delle ricerche di Storia
contemporanea all’Istituto storico tedesco di Roma. Klinkhammer, che è
storico di prim’ordine, con all’attivo tra l’altro “L’occupazione tedesca in Italia
1943-1935”, di cui è il miglior specialista, dice improbabile che un ufficiale
qualsiasi possa avere ordinato alcunché, ma aggiunge: qualche documento
d’archivio fu distrutto inconsapevolmente. Specifica che si trattava di “carte
della cancelleria angioina”, roba francese dunque, non hohentaufeniana,
tedesca. Però, non si sa mai.
Sembra una storia di “Gentile
Germania”, del vostro Leuzzi. Dei tedeschi che non sanno chi sono ma vogliono –
volevano - essere greci, tibetani, e ariani. E cioè al contrario, dire,
provare, da veri storici e filologi quali sono, che gli ariani, i tibetani e i
greci erano tedeschi. Così ora i romani?Vero o falso - 11
Pina Picierno fa la spesa per due
settimane con 80 euro. Vero.
Pina Picierno è una single molto
elegante, a 32 anni capolista Pd per il Sud alle Europee. Vero.
Renzi ha tolto il segreto di Stato sulle stragi che era stato già tolto nel 1977, da Andreotti. Vero.
De Benedetti ha detto di Berlusconi:
“Non è un imprenditore”. Vero.
De Benedetti è l’imprenditore più
fallimentare della Repubblica. Vero.
De Benedetti ha tratto profitto da
ogni fallimento, dal Banco Ambrosiano a Olivetti. Vero.
Berlusconi è l’imprenditore più
ricco d’Italia, non ha mai licenziato nessuno, ha sempre pagato il dividendo. Strano,
ma vero.
Monti ha aumentato il prelievo fiscale
sulle partite Iva dal 23 al 33 per cento. Vero.
I filorussi che occupano gli edifici
pubblici in Ucraina sono terroristi per Obama, gli antirussi che occupano gli
altri edifici pubblici li hanno invece in affitto, o in comodato gratuito.
Vero.
Mezzo Benfica, mezzo stadio, ha
passato la serata a tormentare coi laser Pirlo. Vero.
Passando a Unipol, Fonsai ha perso
clienti per motivi ideologici. Vero.
Ne ha persi molti. Vero.
De Benedetti ha detto di Berlusconi: “Non è un imprenditore”. Vero.
Il suicidio della politica arriva alla P.A.
La Rai, che ha 1.300 giornalisti,
ne assume altri cento. Una spa che è in realtà un ente pubblico. Mentre
l’università e tutta la Pubblica
Funzione hanno il blocco del turnover. Di fatto da un quindicennio ormai. Con
il blocco della contrattazione e degli aumenti di anzianità, formalmente da sei
anni, ora sette, di fatto da un decennio. Una condizione che per altro soggetto si direbbe di depressione - specialmente letale nella didattica e la ricerca.
C’è il declino funzionale e qualitativo
alla base della disfunzione della Pubblica Amministrazione. Oltre che delle
regole farraginose, ritardate, incomplete, di origine parlamentare e quindi
politica. È un harakiri che la politica impone all’Italia, attraverso la Funzione
Pubblica – forse l’ultimo del suo lento suicidio.
Cavalcare l’abbrutimento della Funzione
Pubblica è ora tema di Renzi. Può essere segno d’improntitudine, oppure un
disegno. Se è un disegno, potrebbe sbatterci contro: lo Stato, la Funzione
Pubblica, è con lui e non contro di lui; lui, il presidente del consiglio, non
è nulla senza lo Stato.
Segare l’università
Tutto quello che si fa all’università
è contro l’università, ormai da un quindicennio. Un attacco reiterato su tutto
il fronte, di cui tutto quello che si legge dà la spiega: l’università, che in
Italia è pubblica, deve morire perché cento fiori sboccino, sulle ali del
mercato. L’università, piccolo grande business, dev’essere privata. Succede da
un quindicennio all’università quello che successe trent’anni fa al Sistema
Sanitario nazionale: deve sbriciolarsi perché tutti ci guadagnino, tutti
eccetto gli utenti.
Nella sindrome di colpa che attornia
la Funzione Pubblica l’università è l’obiettivo più mirato. Almeno il 50 per
cento dell’organico (i pensionati) non è stato ricostituito per il blocco del
turn-over. L’insegnamento è demandato ai pensionati, a titolo gratuito, e a
varie forme di precariato (assegnisti, contrattisti, cultori, etc,.), con
retribuzioni che possono essere perfino di 300 € al mese, un pro-forma che
esima da contenziosi. Con esiti a questo punto deleteri, perché le funzioni universitarie, la didattira superiore e la ricerca, si deprimono in un quadr de-repressivo.
Il crcolo vizioso è stato a questo punto avviato con successo. Ma si vede che ancora non basta - l'università, direbbe Renzi, è resilient. Non si ricostituiscono più i ruoli
un po’ per il blocco del turn-over e un po’ perché ogni ministro, quindi ogni
dieci-dodici mesi, afferma di voler fare una sua riforma dell’università, cioè
di cambiare le regole. Tutto insomma concorre allo
smantellamento dell’università, l’assedio è determinato.
La campagna di stampa è in questo senso convergente e incessante. Valanghe di pagine si leggono per questo sui disservizi dei policlinici (che sono tra gli ospedali migliori), sugli abbandoni e le poche lauree, sull’emigrazione dei ricercatori, sugli edifici non a norma. E sulla piccola inevitabile corruzione: il primario nepotista, l’esame comprato, il test d’ammissione (forse) aperto. Tanto scandalo non è senza un fine, né un mandante: bisogna che tutto sia privatizzato.
La campagna di stampa è in questo senso convergente e incessante. Valanghe di pagine si leggono per questo sui disservizi dei policlinici (che sono tra gli ospedali migliori), sugli abbandoni e le poche lauree, sull’emigrazione dei ricercatori, sugli edifici non a norma. E sulla piccola inevitabile corruzione: il primario nepotista, l’esame comprato, il test d’ammissione (forse) aperto. Tanto scandalo non è senza un fine, né un mandante: bisogna che tutto sia privatizzato.
L’intellettuale a Mosca non sa che pensare
Si traduceva vent’anni fa questo Derrida di
ripiego, sessanta pagine non piene rinforzate da prolissi commentari di Ferraris,
Resta, Rovatti, Sini, Vattimo, Vitiello. Sono tanti forse per promuovere il
libro nei corsi universitari, ma il testo è singolarmente povero, anche delle
concettosità che Derrida impreziosiscono.
Non reducistico né critico, un testo asettico. Non un ritorno da Mosca,
propriamente, dove Derrida era stato nel febbraio 1990, a ridosso della caduta
del Muro, un anno prima la caduta dell’Urss, ma un “ritorno”: una riflessione sul genere.
Con molti riferimenti a due “classici” del genere, il ritorno di Gide, quello
di Étiemble e quello di Benjamin – che, bisogna ricordarlo, era stato a Mosca come
innamorato sfortunato della temibile Asja Lacis. Conditi dall’illustrazione di
“Back in Urss”, canzone dei Beatles. Un ritorno mesto, di uno che pure non era
stato fervente sovietizzante: s’interroga sulla “testimonianza
dell’intellettuale”, non sa che rispondere, sconsolato, sconsolante.
Jacques
Derrida, Ritorno da Mosca
Letture - 170
letterautore
Wilgal – Massimo
Bucciantini propone sotto questa sigla “un grande esperimento didattico
europeo”, sul “Sole 24 Ore” del 6 aprile che celebra Shakespeare. Di celebrarlo
insieme con Galileo. Perché entrambi ci hanno “fatti”, in qualche modo sono
nostri genitori. Ma per nessun’altra ragione che celebrano insieme il
centenario, 450 anni quest’anno della nascita. E l’esperimento didattico
propone “a Londra come a Roma, a Parigi come a Berlino”. È per questo che
l’Europa è insapore e insulsa: quando è buona non sa di niente?
Céline – Ha fatto brutta
le guerra, tutte le guerre. Da Omero a Tolstòj la guerra ha innescato ottima
letteratura, che la guerra ha in qualche modo imbellito. Céline, che è anche
l’unico ad averla fatto la guerra, ne ha derivato buona letteratura, ottima, e
anche il disgusto – il suo lettore ne è sovraccarico.
Dante – Curvato all’eugenetica e al
“transumanesimo”, come nell’“Inferno” di Dan Brown, certamente questo non ci
sta. Ma il plot dipanato sulle
terzina della “Commedia” non è male: ce n’è per tutti.
Chateaubriand,
“Genio del cristianesimo”, non lo menziona nel pur minuzioso ritracciamento iniziale
del cristianesimo nelle lettere e le arti – anche se rapsodico: “Il Tasso,
Milton, Corneille, Racine, Voltaire vi ritracciano i suoi miracoli”, suoi del
cristianesimo (Voltaire?), “nella letteratura,
l’eloquenza, la storia, la filosofia, che cosa non hanno fatto, per sua
ispirazione, Bossuet, Fénelon, Massillon, Bourdaloue, Bacon, Pascal, Euler,
Newton, Liebniz!” Nemmeno sul tre, il numero perfetto, la Trinità, etc, Chateaubriand
trova modo di nominare Dante.
Lo ricorda
nella Parte Seconda, “Poetica del cristianesimo”, Libro Primo, Cap. II, “Veduta
generale dei poemi in cui il meraviglioso del cristianesimo rimpiazza la
mitologia. «L’Inferno» di Dante, la «Gerusalemme liberata»”. La “Divina Commedia”
liquidando come “una produzione bizzarra” – mentre Tasso, pur giovandosi di uno
“dei due bei soggetti di poema epico dell’età moderna, le Crociate” (l’altro
soggetto è la scoperta del nuovo mondo), si compara infelicemente a Virgilio.
Se qualche merito la “Divina Commedia” ha, le viene dal cristianesimo. “I suoi
difetti”, invece, “tengono del secolo e del cattivo gusto dell’autore. Nel
patetico e nel terribile” tuttavia “il Dante ha forse eguagliato i più grandi
poeti”. Ci torneremo su “nei dettagli”, promette Chateaubriand, ma nel migliaio
di pagine restanti non lo fa.
Lo
ricorderà nell’introduzione a una raccolta di Shakespeare, per il solito
parallelo Dante e\o Shakespeare: lo ricorda con simpatia, ma facendone un
isolato, in un’età minore e sbandata, alla mercé di una lingua povera, dice,
come il volgare. Poche righe in tutto, sia qui che nel “Genio”.
La
Francia ha sempre fatto poco o niente conto di Dante. Denis de Rougemont lo
ricorda in “L’amore e l’Occidente” ma perché gli serve a rivalutare i “fedeli
d’amore”, facendone un seguace.
Giustizia – “Prima l’esecuzione poi la sentenza” – sentenzia
la Regina alla penultima pagina di “Alice nel paese delle meravigie”. Alice obietta
a questa strana forma di giustizia, e allora la Regina ordina: “Mozzatele la
testa”. Ma qui finisce: “Chi se ne frega”, risponde Alice, che è intanto cresciuta
alla sua statura, “non siete che un mazzo di carte!”. E si risveglia, senza nemmeno
lo hangover degli incubi.
Proust – Chiara Gamberale può estrarne sul settimanale
femminile “Io Donna”, una serie di citazioni da baci Perugina sull’amore.
Dodici, quanti sono i segni dell’oroscopo. Senza controindicazioni: si presta.
Sono tutte massime sull’amore “femminile”.,
Reazione – Ha improntato il romanzo, che ha senso dell’ordine.
Decade oggi appunto col disordine, mentale se non sociale – oggi tutto è
romanzo, dal biscottino della nonna al viaggio in calesse, e quindi non lo è. Si
penserebbe il romanzo (la realtà alternativa, la vita inventata) uno schema
idealistico sovversivo, rivoluzionario. Invece è passatista e – nei casi
migliori: Stendhal, Proust – reazionario. Anche gli altri grandi romanzieri,
Dostoevskij, Tolstòj, Thomas Mann, Musil, per non dire Joseph Roth, sono
nostalgici. Si colma con la grandezza (genio) il fossato passatista, facendone
un innesco se non un incendio, ma il senso è ben definito – né Stendhal,
Proust, Tolstòj, Musil, J.Roth si trovano personalmente a loro agio nel loro
vissuto, nel tempo. Il buon tempo antico può essere dolce e utile, un aiuto
contro la depressione (il vuoto) o la collera, ma, antistorico, è tossico.
Riso – È molto esplorato, da Aristofane e Menandro
in poi, contrariamente all’opinione corrente. Anche in trattati, o tentativi
di, di Hobbes, Stendhal, Baudelaire, e fino a Pirandello (debole) e Dario Fo. Marginali
tutti, però, è vero, rispetto al fenomeno: riduttivi, incerti, e inutili. Il
riso è gaiezza e animo lieve.
Rivoluzione – Gli unici scrittori eversivi sono stati nel
Novecento di destra: Kipling, Céline, Pound, Hamsun. Anche in senso
politicamente corretto, del lato giusto delle cose: contro la guerra, l’usura,
il dominio, per la natura, gli indiani e gli afghani. Si sono schierati a un certo punto per il lato
brutto della storia, personalmente dunque colpevoli, ma creativi nel senso
giusto.
Shakespeare – È una tragedia greca: vittima della
monumentalità. Di suo è ben secentesco, forbito e un tantino prolisso. Ma si
rappresenta, ed è, vittima di se stesso, della genialità, rimettendoci. Ci rimette
soprattutto a essere fatto monumentale, comunque: declamato, scolpito,
polito, solenne. Anche quando lo
modernizzano – il Lear gigante, nero, baritonale, l’Amleto gay, lo Shylock già
vittima di Hitler - lo fanno solenne. Per metà è commediografo, e anzi autore
comico, ma non si ride con Falstaff, Gratiano, le comari, non più.
Stendhal – “Naturale” si vuole, e si costruisce con
l’esercizio, “come de Brosses”. Metà Settecento. Nel “Diario” lo dice a più
riprese. Con più convinzione a Milano nel 1813: “Il gusto di Dominique
(Stendhal, n.d.r.) per lo stile naturale, piacevole, o tragico nel caso, di de
Brosses non è meno certo. Dopo essersi ben tastato per due mesi, è dunque
questo lo stile che deve prendere, se vuole essere
se stesso”.
Insegue
il riso fin dall’adolescenza e la prima formazione, per dieci anni, fino ai 28,
tentò di scrivere una commedia, “Letellier”, e sul riso indagò con più costanza
fino all’ultimo. Ma non si ride in Stendhal – meno che mai nelle sue
riflessioni in tema. Anche se la colpa lui la dà al “sistema”, il Terzo stato, la
borghesia, la repubblica, gli affari – “La commedia è impossibile nel 1836” è
la sua ultima riflessione. C’è però un riflesso ironico sotto le sue narrazioni
che più si vogliono appassionate.
Traduzione – “Il sistema
più assoluto di lettura”, la dice Calvino. Non molto. Ma in traduzione, nelle
lingue che padroneggia, l’autore vede gli “errori” che ha commesso, aggiunge.
letterautore@antiit.eu
martedì 29 aprile 2014
Merkel fu la prima a visitare un lager, nel 2013
“Per i tedeschi l’Olocausto non esiste”. Berlusconi
eccede, fa le gaffe, si butta la zappa sui piedi, etc., i commenti si sprecano,
e del resto di Berlusconi non si dice mai male abbastanza, etc., il nostro
complesso di superiorità verso quest’uomo è sempre traballante, dopo vent’anni
siamo ancora lì a (tentare di) ricoprirlo di melma, e non ci basta mai. Però.
Però, la cosa è messa nei suoi giusti termini
in “Gentile Germania”, le lettere non spedite alla – e dalla – Germania che
compongono il libro appena pubblicato di Giuseppe Leuzzi, di cui trovate le coordinate
nella navbar di questo sito, alle pp. 364-366, ultimo capitolo, “La Resistenza
fu tedesca”:
“Ma la Resistenza in Germania,
dove fu la più vasta, non si celebra: non ha padri né figli. Non c’è un giorno
della Memoria né uno della Liberazione. Quando Frau Merkel andò infine a
visitare un lager, a Ferragosto del
2013, rompendo un tabù di quasi settant’anni, fu sulla strada per un comizio, senza emozione.
“Sarà giusto, chissà, la libertà
è per tutti. Per Thomas Mann, per dire, cui Croce dedicò la Storia d’Europa, storia di libertà, che la democrazia voleva
ostile, rea di “estirpare lo spirito tedesco in Germania”. Fatto è che, a democrazia infine accettata, i tedeschi non hanno cuore di
ricordare quei morti, che poi sarebbe un giorno di ferie pagato.
“Sulle congiure, non solo quella del 20
luglio, sicuri best-seller se ne
trarrebbero, e film d’azione, ma la Germania li evita. Di von Trott non
sa neppure il nome, se fa zu Solz o zu Stoltz. E le pensioni riversibili ai
nazisti ha liquidato più volentieri che alle vedove dei caduti per la Resistenza.
Quasi se ne vergognasse. Claus Schenk von Stauffenberg, nobile
svevo, letterato, liberale, si riduce a sciocco colonnello prussiano, che vile
mette la bomba quando Hitler ha perduto, per pulirsi la coscienza. Come se
organizzare la sovversione contro Hitler fosse un gioco. Questo non s’è detto
neppure dei gerarchi che tradirono Mussolini.
“«Vogliamo un nuovo ordinamento che renda
tutti i tedeschi responsabili dello Stato, e che garantisca loro diritto e giustizia»:
Stauffenberg pensava invece profondo. Tanto che i suoi due fondamenti semplici la
Germania Federale ancora non li ha realizzati, benché jugulata dagli americani…
Che altro dire di un paese che ha diffamato l’emigrazione politica e non ha onorato
i ribelli, ribelli al nazismo? Solo Brandt ricordava la Resistenza, anzi si faceva
chiamare col nome di battaglia che assunse nel 1933, entrando in clandestinità
e quindi emigrando, e lo hanno licenziato presto - anche per essere nato da
madre nubile. Fu odiato perfino Thomas Mann a Pasadena – lo sopportano perché
dà lustro.
“Ma
forse, come al solito, la ragione l’ha trovata Heidegger.
“Tutti parlano di tramonto”, lamentò alla liberazione nel 1945, “la verità è
che noi tedeschi non possiamo sparire perché non siamo ancora apparsi. Dobbiamo
marciare attraverso la notte”. E lottare: “La possibilità di indietreggiare non
esiste più”. La verità è che la Germania è ancora in guerra.
“L’antifascismo
dev’essere vissuto. E deve vivere, spargersi, riprodursi. Non c’è tedesco che
non sia antinazista - per forza. Ma non c’è lo spirito della Resistenza in Germania.
Per un senso di colpa, si spera. E invece no, ci si vergogna della Resistenza:
chi scarta è malvisto. Per la storia della pugnalata alla schiena, ma è
l’incapacità di essere se stessi. L’Inquisitore alcuni lo temevano, altri fra
gli stessi credenti lo disprezzavano e, se potevano, lo uccidevano, per andare
in paradiso”.
I
lager, prima che per lo sterminio, servivano
come campo di prigionia per i nemici politici, ebrei compresi, erano sul
territorio nazionale, e di essi non si può sostenere che i tedeschi non sapessero:
furono quasi un migliaio - due nel solo paese di Heidegger (erano nelle frazioni, ma si vedevano).
Stupidario - la mucca a emissioni zero
L’Italia è ultima per laureati: ne ha
appena più della metà della media europea. Ne ha di più la Romania. I francesi
sono laureati il doppio rispetto agli italiani. Gli irlandesi sono i più
laureati di tutti, più di uno su due. È uno studio di Eurostat, il servizio
statistico della Ue.
“La mucca del futuro a emissioni zero” annuncia Federico Rampini su “la Repubblica” il 10 aprile: “Il piano della Casa Bianca per salvare il pianeta passa dalla «mucca del futuro». Meno flatulenta e più controllata nell’emissione di gas”. Le vacche “inquinano come milioni di autovetture”. Come tutte quelle di Roma? Più di un pozzo di shale gas, uno delle migliaia che Obama ha autorizzato?
“La mucca del futuro a emissioni zero” annuncia Federico Rampini su “la Repubblica” il 10 aprile: “Il piano della Casa Bianca per salvare il pianeta passa dalla «mucca del futuro». Meno flatulenta e più controllata nell’emissione di gas”. Le vacche “inquinano come milioni di autovetture”. Come tutte quelle di Roma? Più di un pozzo di shale gas, uno delle migliaia che Obama ha autorizzato?
“La burocrazia frena l’Italia. Ecco
il rapporto Ue”, è l’apertura del “Corriere della sera”, a caratteri evidenti.
È il “Corriere” che scopre la Ue, o la Ue ha scoperto l’Italia? Così tardi.
“Segnalo l’inchiesta di Der Spiegel
su Roma disastrata: mi vergogno”, titola Paolo Conti la lettera di Germana
Corrado. Si vergogneranno dello “Spiegel”?
“Dobbiamo compiere azioni eclatanti
per farci ascoltare?”, scrive la “cittadina onesta” Corrado: “Dobbiamo
continuare a permettere che tutti i migranti che arrivano dall’Africa ci
invadano? Perché quelli vengono a nascondersi nella metropoli per poi mettersi
a lavorare per la criminalità organizzata”. “È sempre un privilegio poter
contare su interlocutori come lei”, risponde il sorridente Conti: “attenti,
cosmopoliti, non provinciali”. Non provinciali.
Il riso fa male al potere, e al borghese
Stendhal
fu ossessionato dal riso, dal fenomeno. Il saggio
sul riso, per lo scrittore più ironico dell’Ottocento, fu una sorta di
ossessione: è il tema sul quale più accumulò materiali. Considerava il riso il
rivelatore e anche il motore della storia. Il calendario dei tentativi, le annotazioni, e i saggetti vede il tema accompagnarlo tutta la vita attiva: in Germania, a Milano, a Parigi. Con esiti, sempre precari, molto stendhaliani: “Perché l’Italia è la patria delle arti? perché l’italiano è malinconico”, “La vera commedia è un frutto che non può crescere che nelle monarchie”, “Il riso è incompatibile con l’indignazione”.
Per dieci anni, fin da quando ne aveva
19, tentò di scrivere una commedia, “Letellier”. Fallì, ma per concludere, giustamente,
che la commedia, Molière, Marivaux, Beaumarchais, aveva ceduto il passo al
romanzo. Non solo: che l’Ottocento era troppo serio per ridere. Di più: l’Ottocento
non rideva perché era il secolo degli affari, si poteva ridere ancora a metà
Settecento quando l’Ancien Régime ancora prosperava: “C’era gaiezza attorno al
1739”, il tempo del presidente de Brosses,
“la nobiltà non aveva paura, il terzo stato non aveva ancora deciso d’indignarsi
dei suoi ceppi, o piuttosto dei suoi svantaggi, la vita scorreva dolcemente in
Francia. L’ambizione, l’invidia, l’atroce povertà che ci bruciano, erano
impossibili allora”. Una veduta non ortodossa, anzi reazionaria – ma il romanticismo
non lo è? Stendhal stesso lo dice: l’ancien régime era l’“età del riso”, perché beneficiava dl privilegio, che
è “la risorsa del riso alla francese”, dell’ironia.
Antoine
De Baecque ha raccolto una decina di testi, tutti in vario modo pregnanti: quattro
dal “Diario letterario”, cinque dal
saggio “Racine e Shakespeare”, e da ultimo “La commedia è impossibile nel 1836”.
Qui, oltre che la nostalgia per i tempi del presidente de Brosses, Stendhal fa
valere un interdetto sull’Ottantanove, pur non nominandolo: “L’abate Sieyès ha introdotto
un disordine abominevole nei piaceri dello spirito, e avviato un’epoca di decadenza”.
E di quale delitto s’è macchiato? “Abbassando l’aristocrazia dello spirito, ha
creato l’aristocrazia letteraria”. Con effetti nefasti, ogni centro di potere,
anche letterario, divenendo geloso del riso – “lo scherzo, la sola cosa al
mondo di cui Napoleone avesse paura”.
Stendhal,
Du rire. Essai philosophique sur un sujet difficile, Payot, pp. 181 €
7,50Germania-Italia, la partita del degrado
Il settimanale tedesco “Spiegel” pubblica un
articolo lungo su “Roma degradata”, “invasa da abusivi e immondizia”. E perché
non vada perso lo traduce in inglese e lo mette online nel suo sito
internazionale. Non è vero. Cioè, si può dire vero, ma Roma non ha più barboni,
abusivi e immondizia che Berlino, per esempio. La differenza è semmai che a “L’Espresso”
o “Panorama” non verrebbe mai in mente di ordinare, lavorare e pubblicare un
ampio servizio su “Berlino degradata”, preda di immigrati straccioni e di rifiuti.
A chi interesserebbe – ammesso che fosse vero, che Berlino fosse specialmente
degradata?
Sono due diversi modi di concepire l’essere
Europa. Interessato in Germania, sempre vigile, remoto in Italia. Ma sono anche
due diversi modi di vivere l’Italia-Germania, o meglio il Germania-Italia - il
match è rovesciato, benché l’Italia sul campo vinca sempre. Molto tutoriale in
Germania, molto colpevolizzante in Italia. Su temi spesso rovesciati:
Napolitano è popolare in Germania dal tempo in cui, ministro dell’Interno, autorizzava
e praticava i “respingimenti” degli “immigrati straccioni”.
La guerra alla Libia per le braccia a buon mercato
Non c’è sdegno che possa esprimere
l’orrore degli sbarchi quotidiani di clandestini. Di un mercato delle braccia
patrocinato dal resto miserabile dell’Occidente, Obama in testa. Che l’ignobile
Europa, ministro Alfano in testa, pretende
di ridurre al contributo all’accoglienza, se bastano trenta o non devono essere
cinquanta euro al giorno. Mentre tacciono i preti e papi, solo attenti a
gestire i soldi dell’accoglienza.
È una disgrazia troppo
organizzata per pensare che accada per caso. Nei lunghi percorsi transafricani
di questa povera gente. Di cui si lascia favoleggiare a giornalisti incapaci
che paghino migliaia di euro, mentre è un mercato della disperazione. Né si
attraversa su piedi maldestri il Mediterraneo, Lampedusa dista da Tripoli di
Libia 185 miglia marine, 287 km. E per caso non si fanno le guerre - di cui
quella alla Libia è un caso mostruoso, capitanata da fanfaroni del calibro di
Sarkozy e Bernard-Henri Lévy.Abbiamo voluto un presidente ingenuo o incapace come Obama per infilarci in tutte le cause squallide? Abbiamo chi? Gli stessi che ora ci vogliono in guerra per liberare la Russia? Di nuovo?
lunedì 28 aprile 2014
Problemi di base - 180
spock
Ma
perché la passa franca: gli dei non sono responsabili?
Dio
è – era – progressista?
Non
sarà stato migliorista?
E
sbadiglia(va) nei momenti di noia?
È
l’ateismo un atto di superbia?
Perché
non c’è altra verità che la religione?
E
Di Pietro, scomparso: la divinità può cancellarsi?
O
è a Beirut, pure Lui?
spock@antiit.eu
Sinistra e destra in marcia verso la spettralità
Socialismo
o barbarie, “la formula non è mai stata di tanto bruciante attualità” è l’esordio.
Una professione di fede, dunque. Contro la sinistra della crescita esasperata, la
competitività e la mondializzazione.
Senza
la coperta di Berlinguer, la cose sono chiare. Non è un exploit isolato, Michéa
paga i suoi debiti. Si scopre così che il fatto era noto già nel 1986, otto
anni prima che Bobbio si gingillasse col suo “Destra e sinistra” di scuola,
Castoriadis su “Le Monde”scriveva il 12 luglio: “È da tempo che la divisione
sinistra-destra, in Francia come altrove, non corrisponde più né ai grandi
problemi del tempo né a scelte politiche radicalmente opposte”. Che era un rimprovero,
o una constatazione di decesso, a valere unicamente per la sinistra.
L’impasse
è – era già da tempo – nella pretesa di “superare a sinistra” il capitalismo – “Il
vicolo cieco dell’economia sull’impossibilità di superare a sinistra il
capitalismo” è la precedente riflessione di Michéa, tradotta da Elèuthera due
anni fa. Non c’è gara possibile: le ragioni del capitalismo Milton Friedman
dice “cupidità” e Ayn Rand “egoismo razionale”: il capitalismo non si nasconde.
Perché allora camuffarlo? Nel mentre che per darsi tono, si svicola sul fumo
libero, il mercato della procreazione e, contro la disoccupazione, le scuole di
prostituzione, oppure coi divieti, per esempio il divieto agli uomini di
mingere in piedi – “il relativismo morale costituisce la chiave di volta
ideologica del liberalismo culturale” (117). Michéa, studioso di Orwell,
solitamente di buonumore (questo “Mystères” è di gennaio, questo mese ha
pubblicato una memoria del fu calcio, quando era un gioco, “Le plus beau but était une passe”, il gol migliore era l’assist), è disperato,
questo pamphlet è densissimo di lucidità. Ha il vezzo di scrivere lungo,
frasi anche di una pagina, con note alla seconda potenza, rinvii di rinvii. Ma
tutto procede chiaro – insolitamente in filosofia, eccezionalmente a sinistra.
Il
termine è equivoco, insiste Michéa: ha designato per un secolo la borghesia. La
sinistra politica s’impone in Francia attorno ai responsabili delle più dure repressioni
popolari, Cavaignac e Thiers. Dapprima per il patto tra liberali e “repubblicani”.
Poi, con l’affare Dreyfus, come patto tra il movimento operaio e socialista e
il liberalismo “repubblicano”. Un’allenza difensiva, contro “la reazione in
agguato”, che si cementata come un modo d’essere e una fine in sé, all’insegna
del Progresso e del Senso della Storia, i cascami dell’illuminismo – Michéa parla
della Francia, ma lo schema fu quasi contemporaneamente riprodotto anche in Italia
e in Germania. I partiti Comunisti se ne tennero lontani. E ora, di nuovo, la
sinistra è quella che un tempo erano gli high tories, i conservatori
liberali britannici un secolo e mezzo fa. Liberalismo e globalizzazione sono
anch’essi vecchi: sono i temi, anni 1820-1830 di Say e Bastiat, “entrambi
rappresentanti della sinistra dell’epoca” (“liberale
di sinistra” Bastiat è stato ultimamente riqualificato da Luciano Priori Friggi,
dopo essere stato a lungo considerato l’ispiratore della Scuola austriaca del
liberismo – Einaudi amava ricordarne la “Petizione dei produttori di candele”, una
satira del protezionismo: i produttori di candele e gli altri industriali francesi dell’illuminazione
chiedono alla Camera dei Deputati leggi restrittive contro l’ingiusta competizione di una potenza straniera, il sole).
Un’opera
cattivissima, che smantella ogni piega del politicamente corretto, questa
maschera del nulla, della piccola astratta ragione salvifica. La sua migliore “filosofia”,
si può aggiungere, è quella semplice dell’Avvocato Agnelli, che “ci vuole un
governo di sinistra per fare le cose di destra”. L’esito migliore è una società
spettrale (97): “Il diritto liberale «ideologicamente neutro»… viene a poco a
oco a non avere più altra finalità pratica che di preparare… l’avvento di un
mondo mimetico e indifferenziato”. Senza più “esistenza personale e autentica, responsabilità
morale effettiva, buonsenso elementare, o generosità vera (non quella
mediaticamente esibita)”. Si dice della sinistra ma, poi, s’intende dell’umanità.
Jean-Claude
Michéa, Les Mystères de la gauche, Flammarion, pp. 133 € 6domenica 27 aprile 2014
Ombre - 218
Sergio Romano fa di Kesselring, sul ”Corriere della
sera”, il protettore di Napoli e di Roma. Di Kesselring, anzi,
insieme con Hitler. Le città furono danneggiate dagli angloamericani, “a cui si
debbono alcune delle maggiori distruzioni mai subite da un patrimonio artistico
europeo”. La revisione è già cominciata? Il giorno dopo la festa della
Liberazione.
Adesso che lo spread si riduce, spremuto dai bilanci restrittivi, si dice che la
grande paura è la deflazione. Che moltiplicherebbe il rapporto fra debito e
pil, altro che ridurlo. Ma senza dire che la deflazione è figlia dei bilanci.
Ma in che mani è caduta l’Europa - meglio i bombardieri americani?
L’olio spagnolo in realtà si fa forte di
marchi italiani, di cui ha fatto incetta, sotto i quali si contrabbanda, per
vendere nei succulenti mercati americani, del Nord e del Sud. E questa non è
colpa della Spagna.
Il giudice Guariniello chiede
l’intervento del capo del governo contro la giustizia lenta – vuole affrettare
una condanna. La giustizia della Provvidenza? Ma non è fascismo.
Dirige l’attacco, retrospettivo, a
Vannoni e Stamina il giudice Guariniello, che sempre fa le cause perse, a babbo
morto. Noi con chi dobbiamo stare?
Sono stati 1621 nel 2013 i procedimenti
discipllinari al Csm a carico di giudici, scrive al “Corriere della sera”
Gianfranco Ciani, Procuratore generale della Cassazione. Le azioni disciplinari
hanno quindi riguardato, spiega Ciani, il 2 per cento degli 8.229 giudici in
servizio. Quattro volte la percentuale della Francia o della Germania, due
volte quella della Spagna. Dobbiamo rallegrarcene, o preoccuparcene?
Il Csm assegna le cariche, a capo delle
Procure e dei tribunali,per ragioni politiche, assicura serafico Ciani, il primo magistrato d’Italia. Bisogna
accontentarsi, c’è di peggio?
Fabrizio Roncone dà, inavvertitamente?,
la parola al senatore abruzzese Razzi, che Crozza sbeffeggia ogni settimana da
due o tre anni, e a sua moglie. Due persone finalmente dignitose, perfino a
posto con i congiuntivi. Due ex emigrati alla Lampedusa – a Chiasso li
spogliavano. I cui figli vivono in Svizzera con attività da poco, ma rifiutano
l’Italia. Si può dare loro torto?
L’Italia migliore è quella dei Crozza?
Il senatore Razzi è assurto al “Corriere della sera” per giustificarsi della
foto di matrimonio in cui inalberava una capigliatura alla black panther. Normale per i giovani allora, anche se emigrati
poveri, ma scandalosa per i politicamente corretti – se la mostrano a dito su
internet.
Saranno i servizi segreti a desecretare
i documenti segreti. Cioè a metterli in bella copia. Anche con qualche buona consulenza
in fato di archivistica.
Firenze è diventata, negli anni di Renzi,
la capitale dell’abusivismo. Con un centinaio di case occupate, e bancarelle
ovunque. Per distrazione?
Si chiude a Piombino l’acciaieria, dopo un
secolo, davanti a un porto da tempo vuoto, di traffici e di servizi. Mentre a
Firenze celebra “evento dell’anno” l’apertura del Mercato Centrale rinnovato, piccolo
centro commerciale e un piccolo Eataly. È il modello Toscana, tutti camerieri?
“Stragi, pignoriamo la Germania”: l’avvocato
Conti scrive a Renzi, e a Schulz, per chiedere infine i risarcimenti per le
vittime innocenti di San Terenzo Monti in Lunigiana. Non chiede molto, 150 euro
per un familiare di cinque vittime – in tutto furono un centinaio, di cui 26
infanti, 69 donne - ma insiste:
“Pignoriamo i beni della Germania in Italia”. Così semplice – dirsi dispiaciuti
non basta.