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sabato 10 maggio 2014

La festa delle mamme d’autore

Tutto sulle mamme degli scrittori. Francesi per lo più, Prosut, Baudelaire, Mme de Sévigné, Gary, Camus, Colette, Cohen, Duras, Barthes, ma si tengono da conto anche quelle di Pasolini, Bernhard, Doris Lessing, Toni Morrison, Gorkij.
“Mitizzazione, mistificazione e mistica” delle madri degli scrittori, così riassumono il dossier i curatori Alexis Bricos e Juliette Einhorn. Che le classificano in tre categorie: le adorate, le ambigue, le velenose. Ma senza matriarcati da rivendicare - a parte il tributo a Marija Gimbutas - giusto un gioco letterario: “Appropriandosi di sua madre, lo scrittore la uccide; scrivendone, la fa vivere?” Barthes ha scritto inconsolabile per un anno e più solo della madre, che però non sappiamo nemmeno come si chiamasse. Mentre la madre più adorata-divorante di tutte sarà stata quella di Pasolini, presente in ogni piego della sua sterminata produzione, anche se non risulta che Pasolini ne abbia mai scritto.
Il tema, come tutti, sarebbe sconfinato. Tra le velenose meriterebbe introdurre la madre di Irène Némirovsky, o quella di Simenon, o di Houellebecq, tra le adorate  la santa Monica, per esempio, la madre di sant’Agostino. Ma anche tra gli illuministi, benché le biografie tacciano, si sospettano a ragione dei fils de leur mère.
Il dossier si pubblica a maggio, in vista forse della Festa della Mamma. O perché le madri contano più dei padri in letteratura, molto - non si potrebbe fare un terzo del dossier del mensile, nemmeno un quarto, sui padri. Con un problema, però: viene la psicoanalisi prima della madre o la madre prima della psicoanalisi? Rousseau per esempio, altro escluso dal dossier, la cui madre morì mettendolo alla luce, la psicoanalisi lo vuole per tutta la vita ossessionato dalla colpevolezza del sopravvissuto: e se anche fosse?
Tout sur leur mère, “Le Magazine Littéraire”, maggio, pp. 98 € 6,80

Figli a perdere

“Asili h 24”, “Nidi 2.0 per bimbi con la valigia”, “in Svezia, Giappone e Stati Unti” già usa, lasciare il bambino all’asilo, anche al nido, 24 ore, tutto meravigliosamente up-to-date e trendy, le nuove tendenze nei paesi delle meraviglie. Milano si è già adeguata: “Per cena pollo e puré”, scrive Irena Maria Scalise su “la Repubblica”: “Quindi un’ora di Peppa Pig, poi una spazzolata ai denti e s’indossa il pigiamino”. Il pedagogista plaude, il prof. Vertecchi: “È un’opportunità educativa”. La “struttura” a Milano si chiama Dadà, “arredi e materiali bioecologici, Skype, ionizzazione dell’aria, haloterapia. Il menù è rigorosamente biologico”, il biologico si vuole rigoroso, “il servizio h 24 è per piccoli dai 12 mesi ai 6 anni”. Il costo è 90 euro, la mezza-pensione. Un’altra vittoria sull’oscurantismo, il bisogno, la povertà, la miseria, i genitori rendendo liberi di lavorare di notte.
Dal rifiuto del lavoro all’orgasmo del lavoro, a tutti i costi, un eccesso vale l’altro. I bambini? Non contano – anche il pedagogista si vuole utilitarista: produttivista.
Al doposcuola in parrocchia vengono i figli degli immigrati, da soli, alle 16,30, pochi minuti dopo l’uscita dalla Oberdan, la loro scuola di circondario. Vengono da soli. Sono stanchi, sono a scuola dalle 8 di mattina, svegli dalla 7, e non riescono a compitare, né le lettere né i numeri. Questa scuola gli servirà per esercitare l’intelligenza, che hanno vispa: essendo pochi, hanno un po’ attenzione per un pio d’ore, e rispondono con lampi, quasi sorrisi. E per tenerli, ancora un paio d’ore, fuori casa. Poi se ne vanno, sempre da soli, anche senza lora legale, quando è già buio. Troveranno a casa forse le mamme. Che non lavorano. Eccetto una , rumena, o forse moldava – forse non vuole dire da dove viene, professandosi rumena può stare liberamente in Italia, forse non lo sa. Alcune delle mamme le ritrovano, stanno chiuse in casa. Quelle che, se chiamate, mandano a parlare l’uomo. Altre s’incontrano fuori, con altre donne intabbarate di veli, che coprono la capigliatura più che altro per evitare la spesa del parrucchiere, o a flirtare coi negozianti.
Si fanno ancora figli, ma non si sa perché. Con gli immigrati perché vengono, e per gli altri? Non ci sono del resto più padri e madri, se non è ancora la vita artificiale i presupposti ci sono già. Già la premio Nobel Doris Lessing, morta due anni fa, una che vituperava nei romanzi la madre perché inaffettiva, pensava di aver liberato le figlie abbandonandole – si può pensare quello che si vuole.

venerdì 9 maggio 2014

Il colera a Amburgo

Gli antibiotici non hanno più presa su alcuni batteri. Uno di questi è il vibrione del colera, nella forma attenuata (ma mortale) dell’Escherichia Coli. Non è un germe extracomunitario, ultimamente ha colpito la Germania – un episodio di cui non si parla che “Gentile Germani” di Giuseppe Leuzzi ha ricostruito, al cap. “Il colera a Amburgo”:
Il Nord certo è migliore, ma in Germania più che altrove. Dove, se non altro, si può trattare. In Germania invece no, c’è una sola verità e non si può mercanteggiare. Soprattutto non in affari.
Mentre si svendevano i Btp italiani, un’epidemia di colera che aveva investito Amburgo, infettando numerose persone, fu scaricata anch’essa sui latini, nella fattispecie sui cetrioli spagnoli. Successe a fine maggio del fatale 2011: una dozzina di persone in vari paesi ne morirono, che avevano contratto la infezione a Amburgo, dov’erano stati per vacanza o lavoro, mangiando l’insalata. Impensabile – l’ultima epidemia di colera in Europa s’era avuta a Napoli nel 1973, ma con meno morti.
Il colera a Amburgo fu addebitato ai cetrioli di Almeria - che può venire di buono dalla Spagna? Senza neppure controllare se non erano stati lavati con acqua sporca dall’importatore, o trattati con sostanze infettive. Senza neppure urgenza d’accertare la verità, anche se le persone morivano, tutte passate per Amburgo – magari solo per andare a puttane a Sankt Pauli. Poi si tralasciarono i cetrioli, perché la Spagna è un suddito comodo. Ma senza scusarsi, col mondo se non con la Spagna: per uno di Amburgo già i bavaresi sono sospetti, figurarsi il resto del mondo – l’etica protestante è della superiorità: io e il mio Dio.
Fare affari è difficile ovunque, ma in Germania in modo particolare. Nessuno ha mai potuto rilevare nulla in Germania, neppure una drogheria. Un solo caso si ricorda, della Opel salvata dagli Usa, ma erano gli anni della guerra fredda, la Germania non poté opporsi. E Hypovereinsbank, la banca di Monaco, che però Unicredit si limita a gestire, per riportarla in bonis, evitandone il fallimento. Quando la Fiat volle rilevare la Opel di nuovo al collasso il muro fu alzato invalicabile. Pirelli, che ci aveva provato con la Continental, dopo esserci riuscita con l’inglese Dunlop, pagò caro il tentativo. Anche Olivetti ci ha provato, a fine anni 1980, con la mezzo fallita Triumph Adler: Franco Tatò, manager Olivetti tedescofilo, ne fu così scottato che ci scrisse su un libro, intitolato Autunno tedesco benché all’indomani della riunificazione, e le dita ancora gli bruciano. 
Il contrario invece è sempre stato ed è possibile: le porte sono aperte in Italia ai capitali tedeschi. Anche perché, va detto, gli italiani ammirano la Germania. Per tutto il fatidico 2012 i giornalisti Massimo Mucchetti e Oscar Giannino s’illustrarono con una campagna anti Fiat, colpevole di non voler cedere l’Alfa Romeo alla Volkswagen. La Fiat diceva di no, che l’Alfa non è in vendita, e i due insistevano che sì, l’Alfa andava venduta a Vw. Leoluca Orlando, il politico siciliano, allora potente democristiano, che il distretto minerario di Agrigento trent’anni fa sacrificò alla Salz u. Kali, dea germanica dei sali potassici marocchini, nel 2004 si ebbe in dono una laurea in Filosofia, anche se da un’università secondaria, pronuba la stessa divinità.
C’è bisogno della Germania e quindi siamo tutti germanofili. Ma poi non potremo dire che non c’eravamo, non vedevamo, non  sentivamo: la Germania non si nasconde.
Il colera di Amburgo si chiamava Escherichia Coli. Non si può dire ma questo fu: il Dizionario medico della Fondazione Veronesi l’ha spiegato in tempi non sospetti, una decina d’anni prima. L’Escherichia Coli diventa cattivo in vari modi, ma si limita a forme di dissenteria. Non gravi, eccetto una: “Alcuni ceppi di E.coli secernono una tossina che agisce in modo simile a quella prodotta dal vibrione del colera Vibrio cholerae”.

Stupidario hobbesiano

“Vedere un male altrui è piacevole. E piace non perché è un male ma perché è altrui. Da ciò proviene che gli uomini siano soliti accorrere allo spettacolo della morte e del pericolo altrui. Analogamente vedere un bene altrui è molesto, non tuttavia in quanto è un bene, ma in quanto è altrui” (Hobbes (“De Homine”, XI, 12)

“Ricevere un bene è meglio che non averlo perso. Quindi, essere convalescente è meglio che non essere stati ammalati” (Id.,  XI, 14).

“L’ozio affligge. La natura non sopporta né spazio né tempo vuoto” (Id., X, 15).

“Vado dunque a tentare di provare i seguenti principi:
Che il soggetto al quale il colore e l’immagine sono inerenti non è affatto l’oggetto visto.
Che non c’è realmente fuori di noi niente di ciò che chiamiamo immagine o colore” (Hobbes, “Della natura umana”, II, 4).

“Gli anziani sognano più spesso e più penosamente che i giovani” (Id., III, 2)

 “La passione del riso è un moto improvviso di vanità, prodotto dalla percezione improvvisa di qualche vantaggio personale, a fronte di una debolezza che rimarchiamo nello stesso tempo negli altri” (Id. IX, 13).

“Essere continuamente sorpassato, è disgrazia.
Sorpassare continuamente quello che precede, è felicità.
Abbandonare la corsa, è morire” (Id., IX,15)

giovedì 8 maggio 2014

Marchionne vs. Merkel

Le vendite Fiat in Borsa ieri sono venute dagli Usa ma non sono di soggetti americani – il mercato Usa crede a Fiat-Chrysler (non può non crederci, il produttore americano è risorto con Fiat dopo quasi mezzo secolo di crisi strisciante). Più di un operatore di Borsa “sa” che gli ordini di vendita sono tedeschi. Tanto più che non costano nulla: lo stesso titolo già oggi si ricompra più che venderlo, con un guadagno in poche ore del 7-8 per cento. Le vendite non sono un danno quindi per nessuno, eccetto il piccolo risparmiatore, cui compete sempre il conto. Sarebbero invece un avvertimento, la premessa di una guerra commerciale senza esclusione di colpi bassi.
Gli ordini di vendita sarebbero un monito a non entrare nei segmenti medio-alti del mercato, col piano annunciato di 5 miliardi per Alfa e Maserati. Il su di gamma è il segmento ricco del mercato. Le case tedesche lo monopolizzano, Audi-Volkswagen, Bmw e Mercedes, in tutti e tre i continenti, e non  vogliono concorrenti. La Francia se ne tiene fuori, l’Italia dovrà tenersene fuori. Alfa e Maserati possono vivacchiare come nomi storici, ma senza ambizioni di mercato.
È così che l’unico piano industriale sensato per un costruttore automobilistico, penetrare il mercato medio-alto, è stato attaccato in Borsa. 

Il giudice è à la carte

Al Csm che indaga sulla lite Robledo-Bruti Liberati, vice e capo della Procura di Milano, si conferma che l’azione penale è discrezionale e non obbligatoria, e che non c’è un giudice “naturale”, a garanzia della terzietà e dei diritti della difesa. Quando si è trattato di indagare Berlusconi che telefonava in questura per Ruby, Bruti Liberati ha deciso che se ne doveva occupare la giudice Boccassini e non un altro giudice del pool di Robledo, competente per i reati contro la Pubblica Amministrazione. Senza nemmeno derubricare l’ipotesi di reato (i giudici spesso “camuffano” i reati, per rendersene competenti in fatto di diritto): per atto d’imperio.
Questo succede a Milano, ma Milano non è probabilmente un’eccezione. Il fatto peraltro avviene senza scandalo, non di Milano né dei giornali, e nemmeno del Csm. Anzi, nella lite col suo vice, Bruti Liberati porta la discrezionalità a sua discolpa. Né si preoccupa di smentire la tesi berlusconiana che a Milano esiste un pool anti-Berlusconi.
Berlusconi non è il solo caso, le omissioni della Procura di Milano sono forse più gravi. Sempre senza conseguenze. Nella lite Robledo-Bruti Liberati si vede che ciò è possibile per la filiera: Procuratore Capo di nomina politica >>>>>> Sindacato (partito) di appartenenza  >>>>>> Csm >>>>>> presidente della Repubblica. Una camicia di forza più che una procedura giuridica.

L’arcitaliano antitaliano – o il Tartufo in noi

Sempre protagonista, seppure sempre dal lato sbagliato. Montanelli si può dire l’uomo delle sorprese. Anche perché non molto ne sappiamo. Lascia molti ritratti degli altri, gli altri non lasciano testimonianza di lui – solo i giornalisti che lui ha beneficiato al “Giornale” e alla “Voce”. Non ci sono Montanelli di Longanesi, Prezzolini, Buzzati, Montale. Uno che sempre inalbera un giornalismo “di serietà e rigore”. Ma grande, forse, come mistificatore. Professionista della denigrazione. Marciatore instancabile in surplace, sempre a rimestare il torrone. E Grande Opportunista, fino alla fine: uno che marciava con chi denigrava, i fascisti, i comunisti, i democristiani. Un Cagliostro dell’informazione, di cui è protagonista semmai per la spudoratezza, l’impunità.
Un depresso cronico, si vuole da ultimo, più volte al suicidio. E questa è forse la chiave. Ma c’è da credergli? Ha vissuto 92 anni pieni, fino all’ultimo istrione-regista di se stesso.
Letto tutto insieme è uno choc. Per il giornalista e il lettore. Via via fascista e antifascista, cattolico e mangiapreti, colonialista e anticolonialista, anticomunista e comunista, amico, estimatore, beneficiario di Berlusconi e antiberlusconiano. Paolo Di Paolo, che ha operato la scelta, antologizza gli attestati di amicizia e gratitudine per Berlusconi, compresa l’adulatoria incapacità di “doppiezza” e di “cinismo” dell’ex Cavaliere, ma quante cattiverie non gli ha risparmiato. Si è detto Cagliostro, ma è un piccolo Malaparte al meglio, quello minore di “Strapaese” e di “Maledetti toscani”, l’inguaribile bozzettismo toscano.
Scalfari lo celebra nel blurb “anarchico buono”, “guascone generoso” e “maestro”, ma non è anarchico né buono, né generoso, uno che da tutti prendeva, e neppure guascone. O “buono” quanto gli serviva per la cattiveria. Se fu imitatore di Malaparte – lo fu - è senza la strafottenza: è cattivo, e ingeneroso. E questo dentro la sua stessa prosa, senza scantonare nel vissuto: l’antifascista di una vita che invece fu fascistissimo, l’antirazzista volontario in Abissinia con schiava al seguito, l’italianissimo antitaliano, il peggior italiano, il comunista che trescava con Boothe Luce, al soldo dei francesi contro Mattei, e le buffonate recenziori, con Berlusconi e contro. Paladino costante, moraleggiante, magistrale, di “un giornalismo di serietà e rigore”, mentre inventava. Vessillifero in memoriam del giornalismo trombone (“letterario”) che sembra l’ambizione massima della professione, scrivere un romanzo. Perfino con le Br che gli spararono alle gambe vuole essere autoriale, quindi moralmente ambiguo. Ma maestro sì, ammirato, copiato. Di giornalismo e anche di vita, e questo toglie il fiato anche sul giornalismo.
Di Paolo ne ha tratto una scorrevolissima antologia. Ma che pena. Fosse stato un letterato di finzione, come si voleva e Di Paolo rimarca, c’è di meglio, Capote, Mailer, Tom Wolfe, Hemingway naturalmente, Orwell, di Down and out of Paris and London, o The Road to Wigan Pier, o Homage to Calatonia”, lo stesso Malaparte, e Buzzati, Montale, perché no, ma pazienza. Invece si vuole  giornalista – “al giornalismo devo tutto” (ma è più vero l’inverso, purtroppo – Di Paolo lo ha cercato da quando aveva quindici anni, scrivendogli, dice, “molte lettere”). E moralista. Una riedizione configurando del Tartufo, longilineo invece che paffuto, che non è personaggio grossolano ma insinuante, e non è datato o passato, presidia saldo questo perdurante secondo Novecento.
Sui ritratti, il suo pezzo forte, l’antologia evidenzia una indicativa ambivalenza. Spenti quelli delle maggiori personalità, Andreotti, Ben Gurion, Berlinguer, Golda Meir, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II, con la sola eccezione di De Gasperi, un ritratto scolpito - e un Togliatti senza più cautela, contropelo, sprezzante. Vivi quelli del letterati e artisti, Buzzati, Dalì (in scorcio un’incredibile “scultura” di Garcia Lorca), De Sica, Fellini, Gide, perfino Gassman. Un letterato che non sentiva la politica – questo può spiegare le giravolte? Uno scrittore d’invenzione che si è trovato a fare il giornalista, prigioniero del suo immediato successo, come se il giornalismo (il successo) l’avesse intrappolato? Un esteta – un giornalista che non guida (anche se tanti giornalisti, in effetti, non guidano)?
Ma con qualche malinconia, questa si vede - sia la depressione vera, sofferta, o simulata. E qualche lealtà. Ai morti in genere, ma anche a qualche vivente. Una è alla “traccia sarda”, ultima sorpresa, un paio d’anni fa, ricostruita dal sardista Massimo Pittau, in “Il Littorio a Nugoro e in Sardegna” - il capitolo è online, col titolo “Un Sardo di carattere: il nuorese Indro Montanelli”, sul sito rinabrundu.com
Montanelli fece gli ultimi due anni delle elementari e i primi tre del ginnasio a Nuoro, dove il padre Sestilio era preside della Normale, le magistrali, compagno di scuola e di strada, in violenti giochi-riti di passaggio, di Orazio Offeddu, padre di Luigi, e del maggiore dei fratelli Pittau. Lui che non amava il Sud e a Roma era a disagio mantenne invece il rispetto per la Sardegna, per una volta senza nulla in cambio, di cui seguì trepido la modernizzazione -  “Forse i Sardi, che sono tra i pochissimi Italiani ad avere un «carattere», lo stanno perdendo”. Il carattere, ecco, è quello che manca?
Indro Montanelli, La mia eredità sono io. Pagine da un  secolo, Bur, pp.644 € 12

mercoledì 7 maggio 2014

Letture - 171

letterautore

Autobio – Da quando, bambino, leggeva il giornale inventandoselo agli analfabeti di casa, “da allora niente mi ha divertito di più che spiegare agli altri ciò che io stesso non comprendo: è un piacere, che non mi ha più abbandonato”, scriveva ai trent’anni. È detto con la cifra migliore di Montanelli, l’ironia, seppure sempre in selfie. Ma fa giustizia della letteratura del ricordo. E più dei ricordi della prima età,  e del buon tempo antico.

Candido – Dovrebbe far ridere dall’inizio alla fine, ma Voltaire non fa ridere. Neanche in “Zadig”. I suoi scherzi hanno un fondo di cattiveria. Non di amarezza, di asprezza.

Intellettuale – Il Settecento ha creato il ruolo, da Parigi a Pietroburgo, la Rivoluzione presto l’ha cancellato. Ma ne è rimasto l’alone, per nostalgia e per convenienza, come di un buon re deposto.  Anzi, per questa ambivalenza sempre più se ne è rafforzata la fama, come di cosa viva e attiva. Nel Settecento si era modellato su Tartufo – grande intellettuale, quello di Molière.
Si può dire il Tartufo di Molière anticipatore diretto, se non modello, di vari Dostoevskij, di Naphta, o Adrian Leverkühn, come di Ulrich e gli altri alter ego di Musil.

Joyce – “Una trapunta di handicap: dell’uomo in primo luogo – viziato dal rapporto con la madre permissiva, con il padre «il più frivolo degli uomini», vezzo che avrebbe gravemente ereditato, nel rapporto con Nora, di squallore non comune..; dal non confronto con gli altri grandi della sua stagione, precauzione forse giustificata ma che lo penalizza, perché dimostra che non era cieco solo dagli occhi del corpo; dall’imbarazzante panache con cui sfruttava gli altri, tutti gli altri, ai propri fini; dell’epoca – postbellica, revanscista, micragnosa e via scadendo d’attributi; dell’ambiente – asfittico irlandese sì ma bloccato deliberatamente a quello stadio quanto basta, quanto occorre alle pretese dell’autoesiliato, l’esilio una categoria tagliata su misura, come gli abiti costosi e piuttosto pacchiani che faceva sempre pagare a qualcun altro”. Un “ex voto eroico che ci hanno propinato per decenni agiografi timorati, restii a mettere confronto vita e opere, testo e traduzione”. Ottavio Fatica, che in quanto traduttore esimio dall’inglese si può dire intimo di Joyce, s’imbizzarrisce costernato in “Giacomo Giacomo”, la nota che premette alla sua ultima fatica, la traduzione di “Finn’s Hotel”, di tanta mediocrità. Ma “il bello è che l’opera, malgrado tutto, se non proprio per quello, tiene”.
La costernazione è del vissuto e anche del vivente, il linguaggio. Inventivo, dice Fatica, ma per la tangente, cose a cui tutti siamo buoni - e più gli spensierati, si può aggiungere: i gigioni, i goliardi. Sì, al “ritmo di metronomo faubertiano da lui tanto pregiato e coltivato”, ma uno che raccoglie in superficie: Joyce non è “il «prodigioso lettore» che hanno voluto farci credere, bensì un piluccatore”. Uno “quanto mai avvertito”, ma “non fa che piluccare tutto il tempo, dappertutto”.
Questo Joyce di Fatica, sua ombra o nubendo obbligato, potrebbe essere un Dario Fo senza la mimica, un Petrolini senza la dizione. Senza offesa, né per U. Eco, né per Derrida.  

Lettore – È l’Incantato del presepio: le parole devono fluirgli davanti come le stelle mobili in cielo, inaccessibili e splendenti, benché in se fredde e aride.

Lettura – Si farà sul kindle o altro lettore ottico come fino a ora si è fatta sulla pagina stampata. È possibile, il kindle è più pratico, anche molto di più. Ma non sarebbe una rivoluzione, sempre sarebbe una lettura individuale, come quella che è invalsa del libro a stampa in numero illimitato di copie, silenziosa, anzi muta.
Anche la lettura silenziosa, peraltro, è novità recente. In sant’Agostino si trova registrata la sua meraviglia quando si recò a trovare sant’Ambrogio a Milano: il vescovo leggeva “silenziosamente, solo con gli occhi e con la mente, senza emettere alcun suono, senza neppure muovere le labbra”, e questo era una novità totale, leggere “senza pronunciare le parole”. Nel racconto più divertente di Montanelli, “Mi chiamo Indro” (ora in “La mia eredità sono io”), la nonna leggeva il giornale, nel 1913-1914 ad alta voce – tanto che il bambino Indro, memorizzando la lettura, poteva poi far finta di saper leggere, sempre ad alta voce. Dai salesiani, ancora cinquant’anni fa, la prima metà del pasto nel refettorio si svolgeva in silenzio, ascoltando quindici-venti minuti di lettura ad alta voce di un romanzo ameno, effettuata a turno su un piccolo pulpito.
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Metastasio – Vittima esemplare dell’italianità: deprezzamento, poca applicazione, disattenzione, Peggio per l’italiano emigrato, dell’esterno o dell’interno, che non fa camarilla?
Stendhal lo metteva con Shakespaere. Il “dilettante” al solito esagerava, ma non senza fondamento. Nell’appunto “Il comico di Shakespeare”, 24 novembre 1816, a proposito della gaiezza sventata delle ragazze, contagiosa (“lungi dal ridere di esse simpatizziamo con uno stato così delizioso), annota che Shakespeare, “per far nascere questa dolce illusione, impiega spesso l’artificio del Metastasio”.
L’accostamento è un errore cronologico, di chi viene prima e chi dopo, ma l’artificio è proprio metastasiano: “È del tutto naturale che un’anima tenera che non si lascia respingere dall’ignobile, preferisca il Re di Cuccagna al Misantropo”, lo svago alla cupezza.

Pasolini – All’inaugurazione della mostra di fotografie su e di Paolini, al Palazzo delle Esposizioni a Roma, c’era una folla sterminata e tumultuosa, come a una partita della Roma. Lo stesso i giorni successivi. È vero che gi organizzatori hanno puntato sui giorni festivi e di ponte – la mostra si inaugurava il 16 aprile Ma più perché Pasolini è un fenomeno di culto. 

Silone – Si vuole ultimamente un uomo dalla doppia vita, a opera degli storici Mauro Canali e Dario Biocca. I quali sostengono che Silone fu per un periodo informatore dell’Ovra, la polizia politica di Mussolini, a danno del Pcd’I, poi Pci, di cui era stato parte. Non è una cosa che gli sarebbe piaciuta: la doppia vita sarebbe anzi dispiaciuta a Silone, che in tutto rispondeva al suo nome anagrafico, Secondo Tranquilli, benché abbia sempre preso decisioni coraggiose. Ma soprattutto non va con i canoni della spia. Della spia interna, nella vita vissuta ogni giorno nell’abitudinarietà, non nell’“azione” progettata o eroica come un atto di guerra.
Questo è un tema, della spia interna, che la storiografia delle spie durante il regime (così come ora quella tedesca a proposito della Stasi nella Germania Est) affronta con un forte limite: fa dello spionaggio interno un atto deliberato e organizzato (amministrato) come il controspionaggio o spionaggio esterno. Mentre il rapporto del cittadino con la polizia è sempre bidirezionale, prima che ambiguo. C’è il delatore, la spia per carattere o prezzolata, e c’è l’informatore. Una figura non contrattualizzata, e molto vasta: dal denunciatore alla voce traudita, e fino alla vanteria dell’informatore immaginario, inesistente anche se “affidabile”. Il poliziotto politico deve avere contatti. Al limite se li inventa, ma ha sempre mille modi di procurarseli, perché ha in Italia possibilità illimitate di coartare il comune cittadino. Il quale o si difende dai soprusi con la prigione, i pochi, oppure simula l’amicizia. È una partita a bassa intensità, senza grandi soprusi o tradimenti, con benefici per entrambi i contendenti: il poliziotto, che è sempre un burocrate, fa valere le sue numerose frequentazioni come confidenze, e il cittadino con quattro chiacchiere si protegge, avrà  qualcuno che non può rifiutargli un favore. 

Traduzione L’incomunicabile è una miniera per la semiologia e la filologia, due scienze dell’inafferrabile. Ma nel traduttore, che è a suo modo autore, anche lui cioè padrone delle parole, può indurre nausea e sdegno.

letterautore@antiit.eu

La selva oscura di Bruxelles

“È deplorevole che la maggioranza degli etnologi preferisca recarsi in Papua-Nuova Guinea piuttosto che a Bruxelles”, Enzensberger deplora a metà della sua riflessione. Lui ha scelto Bruxelles e ha in mano un forte reperto antropologico, benché contemporaneo: l’Europa ottusa. Un mostro anzi, sotto gli occhi di tutti, anche se non lo si vuole vedere.
Enzensberger ha “scoperto” Bruxelles nel 2010, retribuito e stimolato dalla fondazione Sonning di Copenaghen e dal Prix de Littérature Européenne di Cognac, due organismi culturali interessati evidentemente a riprendersi l’Europa, a salvarla. Il referto è esilarante, seppure contro le intenzioni – le intenzioni di quella specie di selvaggi che sono i burocrati di Bruxelles. Detti così, burocrati, sembrano niente. Ma basta scorrerne le normative, sulla “forma ideale” dei cetrioli, o dei sedili di trattore, o della tazza del gabinetto, per preoccuparsi. O pensare al nome di cui si adornano, commissari:  i commissari sono politici, o di polizia, e sempre l’antitesi dell’eletto. O dare un’occhiata ai loro “esecutivi”. Per esempio a quello della Politica estera e di difesa, che in realtà l’Europa non fa – salvo pretendere di allargarsi fino ai confini con l’Afghanistan: con un presidente, una baronessa inglese, una vera, del tutto incapace, sedici o diciassette vice, varie commissioni e consulenze, e una serie di rappresentanze all’estero, costose come un’ambasciata, senza alcuna funzione.
Basterebbe riflettere al cieco “uniformismo”, che è il cuore, insensibile, delle burocrazie. Ed è all’origine della fine dell’Europa: “Bastano gli strumenti della teoria dei sistemi. Secondo la quale la riduzione della complessità, da perseguire con la Comunità economica, genera inevitabilmente nuove complessità”. Uno ghiommero. Svolto e riavvolto da quindicimila lobbisti. Il cui risultato è il mostro più mostro di tutti, l’Acquis communautaire, 150, forse 200 mila pagine di direttive e regolamenti. E non è tutto: l’Eur-Lex, la banca dati normativa, registra un milione e 400 mila testi di cui il cittadino comunitario deve tenere conto.
Sono testi obbligatori come una legge senza mai essere stati votati. È qui la radice della disaffezione, un potere avulso e remoto. Si spiega che solo il 40 per cento degli europei considerasse positiva l’appartenenza del suo paese all’Unione Europea, nel 2010 – e oggi? Alle precedenti Europee, peraltro, ha votato solo il 43 per cento degli aventi diritto.
Enzensberger si diverte anche a sovvertire la storia, riportando l’Unione Europea a Churchill. E a un Churchill già fuori dalla politica, trombato dagli elettori inglesi. Al discorso di Fulton (quello della “cortina di ferro”) il 5 marzo 1946, poi di Zurigo, sei mesi dopo, e nel 1948 al Congresso dell’Aja per l’Unificazione Europea, organizzato dal genero Duncan Sandys e da lui presieduto. Non senza ragione. A Zurigo Churchill disegnò anche l’“asse” franco-tedesco: “Dobbiamo costruire una specie di Stati Uniti d’Europa… Il primo passo pratico sarà l’istituzione di un Consiglio d’Europa. E in questo urgente compito la guida dev’essere assunta dalla Francia e dalla Germania” – per finire evangelico: “Europa risorgi!”, let Europe arise.
Ma, poi, si dice Bruxelles per non dire Europa, la Germania cioè, la Francia, l’Italia eccetera. Enzensberger avrebbe dovuto fare di più: una vera critica europea, non solo per ridere, sarebbe andata alla radice della disaffezione: il ritorno della vecchia politica degli interessi nazionali, di cui la Germania è alfiere.
Hans Magnus Enzensberger, Il mostro buono di Bruxelles, Einaudi, pp. 99 € 10

L’astensionismo può ribaltare i sondaggi

Renzi teme la disaffezione del Sud. Berlusconi pure. Alfano, che ci puntava, ora è perplesso – tanto più dopo aver perduto, con Formigoni, l’altro bacino confessionale in Lombardia. Faranno i meridionali il lungo viaggio al luogo d’origine per votare un deputato europeo?
Ma non c’è da deprimersi. Nel 2009 ha votato solo il 43 per cento degli europei. Per l’Italia fu il 66 per cento, ma col trucco di abbinare alle Europee molte elezioni locali, e comunque in calo di quasi sette punti rispetto al 2004 – e fu un voto di entusiasmo per Berlusconi, che superò il 35 per cento (è il motivo per cui se lo tengono caro nel Partito Popolare Europeo). In Francia votò il 40 per cento, in Germania il 43 – in Olanda il 37, in Polonia il 24.
Un calo è quindi inevitabile per il tipo di elezione – di cui i sondaggi non tengono conto nella ripartizione percentuale delle indicazioni di voto. Un miracolo sarebbe confermare la percentuale del 2009, ma sarà difficile. All’ultimo voto, le amministrative di giugno, che tradizionalmente mobilitano il “territorio”, prese arte solo il 62 per cento dell’elettorato.

Fisco, appalti, abusi (49)

L’Agenzia delle Entrate ha apprestato una modulistica online di cui i documenti allegabili devono essere in Pdf/ A - 2, che è in funzione solo negli Usa. E non superiori ai 5 mb, quando un semplice contratto standard di locazione va per i 6.500 kb.

L’Agenzia delle Entrate modifica il pin per le pratiche online pochi mesi. Senza alcuna esigenza di sicurezza. Anche l’Inps lo modifica. La Pubblica Amministrazione considera gli utenti degli impiccioni, li scoraggia online come allo sportello. .

Digitalizzare la P. A. è un programma annunciato più volte da quindici anni. Ma lo sportello elettronico è solo agibile per professionisti. La digitalizzazione ha comportato investimenti cospicui, in macchine, software e specialisti, senza risultati apprezzabili, tutti o quasi in perdita: meno dell’1 per cento delle pratiche passa online.

Va per i vent’anni il programma Porte Aperte introdotto dal ministro Treu del governo Dini: un giorno la settimana i cittadini avevano accesso ai ministeri per seguire le proprie pratiche. I sindacati dei dipendenti pubblici hanno ristretto l’accesso solo ai funzionari sindacali stessi, e il programma è morto sul nascere.

L’Agenzia delle Entrate ha apprestato un anno fa una complessa modulistica online per i contratti di locazione, Siria,.Iris, Locazioniweb, Locazione.exe. E dopo pochi mesi l’ha tutta cambiata, in una RL1. Che funziona per pochi smanettatori.

Rifare il manto stradale nelle strade urbane costa meno che rappezzarle. Ed evita i percorsi tutti buche – il rammendo fissa le buche invece di coprirle. Ma il rifacimento porta a una gara d’appalto, invece che a un affidamento diretto, e i Comuni non lo praticano.

Una lettera paga lo stesso francobollo, per l’Italia come per la Germania. Un libro paga € 1,15 per l’Italia, 9,40 per Rosenheim, appena dopo il Brennero. L’Europa è carissima – una prioritaria per l’Olanda costa 15 euro. 

martedì 6 maggio 2014

Il mondo com'è (172)

astolfo

Destra-Sinistra – Stefan Kornelius, capo-redattore di politica estera alla “Süddeutsche Zeitung” di Monaco, quotidiano di sinistra, ha scritto una biografia “autorizzata”, cioè benevola, di Angela Merrkel, “Die Kanzlerin und ihre Welt”, di cui sancisce che “è stata catapultata alla leadership dell’Europa”. Telefonando a Napolitano, il primo presidente (ex) comunista della Repubblica?

Kornelius dice che Angela Merkel subì “feroce pressione”, testuale, dagli Stati Uniti che volevano la Georgia e l’Ucraina nella Nato. C’è sempre uno più a destra di un altro.

Europa – È un mercato, a concorrenza spietata. Tanto più per essere agito da potenze indipendenti, e quindi con metodi mercantilistici, di protezionismo cioè, seppure non dichiarato, e a scapito dei concorrenti, cosa che non necessariamente nel mercato avviene, e comunque è regolato da norme uguali per tutti, il contrario che in Europa dove ogni membro fa pesare un peso specifico.
Questo è il punto che la differenza grandemente l’Ue dagli Usa, per esempio, dove il grande mercato interno è uguale per tutti, non ci sono protezioni statali a favore di un soggetto con un altro di un altro Stato, Google contro Windows, la California contro il Washington – tantomeno una crociata contro lo Stato italiano quella che la Germania di Merkel ha condotto negli anni 2011-2013.
È un mercato a concorrenza illimitata e illimitabile, se non a gradimento degli Stati più forti. È tutta qui l’egemonia tedesca, Che nasce però d’imperio, per una decisione, sia pure collettiva, che configura un’annessione, invece che per concrezione storica, lenta, per adattamenti, quale è degli Stati più robusti, la Francia, la Gran Bretagna e la Spagna, malgrado le divisioni etniche, e la stessa Germania, sotto il “giusto” Bismarck. È tutto qui anche lo squilibrio persistente dell’Italia, la cui unificazione fu un assoggettamente tosco-piemontese, con la cancellazione di ogni riserva meridionale. È tutta qui l’egemonia della Germania, anche se sancita dai Consigli europei, “naturale”, “spontanea”, “effettuale”: non c’è più limite possibile alla concorrenza spietata, che si fa “naturalmente” attorno al pivot più produttivo.

Gesuiti – In una  vertiginosa rievocazione del ruolo di Ignazio di Loyola, il fondatore dei gesuiti, e poi dei gesuiti stessi, nella Controriforma, papa Francesco ne fa la punta di lancia dell’anticalvinismo, nell’ultimo suo saggio tradotto, “Chi sono i gesuiti”. Non dell’antiluteranesimo, ma sì della Riforma di Calvino. Con orgoglio.
Papa Bergoglio inizia a dire che “Calvino li impensieriva più in quanto scismatico che in quanto eretico”. Questo per la verità sarebbe piuttosto Lutero, ma il papa non fa caso della contraddizione. Calvino, prosegue, provocava una ferita intollerabile all’umanità attraverso una duplice frattura, tra ragione ed emozione, tra ragione e cuore, e nella ragione “tra conoscenza speculativa e conoscenza positiva”, la scienza riducendo allo scientismo. “Qui ha origine lo squallore calvinista: una disciplina rigida con una grande sfiducia in ciò che è vitale, il cui fondamento è la fede nella totale corruzione della natura umana”. Che sembrerebbe una condanna. Lo stesso sul secondo punto: “Lo “scisma” dello scientismo spezza l’unità metafisica e provoca uno scisma nel processo intellettivo dell’uomo”.  Invece sono per il gesuita due motivi d’interesse, due sfide.
La ricostruzione del papa, benché non documentata, può essere una giusta interpretazione. I gesuiti hanno sempre avuto, dai tempi del fondatore, una passione per i borderline della religione. In particolare per gli atei. De Lalande, massone professo e ateo, viaggiatore in Italia nel 1768, ricavandone “otto o nove volumi” (Stendhal, “Du rire”, p. 166), era protetto dai gesuiti.

Imperialismo – La pax americana è in Santo Mazzarino, “Introduzione alle guerre puniche”, 68-69: molto simile cioè a quella cartaginese, che si limitava ad assoggettarsi le epicrazie locali, in Sardegna, in Sicilia, in Spagna, lasciando loro una coscienza “nazionale”: etnica, culturale, linguistica. In particolare della grecità delle città e colonie greche in esse comprese.

Media – “Il mezzo è il messaggio” di McLuhan é vero in realtà all’inverso: un “mezzo” senza un messaggio valido (utile, tempestivo, stimolante, solleticatore ) è inerte. I social network, facebook, twitter, etc., come già la email, la tv interattiva, la tv in diretta, la tv, che sembrano confermare McLuhan, invece lo contraddicono. Solleticano un bisogno di socialità che c’era e c’è, in maniera più convincente: non sono infatti le sole proposte di socialità-mercato online, ma solo le due o tre, di un numero molto  elevato, che hanno incontrato un bisogno.
Si può discutere se twitter non affini il gusto della concisione, e perfino dell’epigramma, ma è più certo che il programma ha una risposta perché incontra una domanda.

Provincialismo – È cresciuto mostruosamente, nei giornali, nell’editoria, nelle manifestazioni culturali, con l’internazionalizzazione, e con l’invasione della rete. Che non hanno portato alla sprovincializzazione ma al suo contrario. Non c’è informazione in realtà su cosa succede nel mondo, solo succubismo e gregarismo – in Italia nessuno ha un’opinione sull’Ucraina, la Libia, la stessa Germania con la quale pure convive, o su Lampedusa e le migliaia di immigrati quotidiani. Tutto scivola sui giornalisti, gli opinionisti, i politici, come un tempo sulla zimarra del prete, tutto più o meno un forma indifferente. Assumendo per la quotidianità, se proprio necessario, l’opinione degli altri. Non c’è opinione critica su nulla, nonché sulla guerra: su un libro, una moda, un delitto, un vizio o un vezzo. Giusto l’opinione degli altri, allora magnificata – è solo in Italia che l’ “Economist” è un tempio, con tanto di celebranti in polpe, o lo “Spiegel”.
Poiché la politica non vuole il vuoto, si può presumere che tanta sprovvedutezza non sia ingenua – non può essere ignoranza perché allora sarebbe stata tanto più invadente nel passato. In effetti in qualche modo così è, poiché poi il paese regge, e anzi continua a essere uno dei più ricchi al mondo (è la ricetta del successo di Berlsuconi: tratare l’Italia come paese affluente, invece che con l’ideologia Rai-Democrat del bisogno). Provinciale è, in ogni piano e in ogni risvolto, l’opinione: povera, sciocca.

Repubblica – Il primato italiano, anzi l’esclusiva dell’istituzione repubblicana, repubblicana, per molti secoli, era un fatto notorio, scontato, per Stendhal: “La repubblica, o gli interessi della città, hanno occupato l’Italia dall’anno 900 fino al quindicesimo secolo. Forse, prima ancora dei Romani, la forma repubblicana aveva già formato la mentalità di questo paese”.
Stendhal lo ricorda en passant in “Racine e Shakespeare”, al cap. “Del riso. Saggio filosofico su un soggetto difficile”, par. IV, “Degli ostacoli al ridere”: per lui si ride bene solo in regime monarchico, in quello repubblicano no.

Sinistra – È molto diversa da quella - che si ripropone - di Norberto Bobbio. De Blasio è stato eletto sindaco a New York con poco meno del 75 per cento dei consensi su una piattaforma dell’indifferenza razziale e sessuale. Ha toccato anche l’uguaglianza, ma dubitativamente: la sua immagine e il suo messaggio era la moglie, madre dei suoi figli, nera e già lesbica. A Seattle è stato eletto Ed Murray, che promette una tassa sulla ricchezza, e un salario minimo di 15 dollari l’ora, ma era ed è famoso come attivista gay, promotore del matrimonio monosessuale nel Parlamento statale, lui stesso gay sposato. Anche il Sud si orienta in questo senso: a Jackson, Mississippi, è stato eletto un “nazionalista nero” su una piattaforma socialista, ma molto esposto sui diritti civili.


astolfo@antiit.eu

Dalla geometria politica alla poliarchia selettiva

Un omaggio al maestro della Scienza politica - per i novant’anni tra una settimana. Il creatore della “ingegneria politica” come variante applicata della stessa. Un’ingegneria tripartita: costituzionale, elettorale, partitica. Nel quadro di un “perfezionismo democratico” purtroppo sterile, che la collettanea, molto elaborata, tecnica, mette involontariamente in risalto.
Sartori, ottimo didatta, vuole tutto “a posto”, incasellato - cominciava l’insegnamento un tempo imponendo un corso di metodologia, che non era altro che l’uso del vocabolario: “È necessario parlare la stessa lingua”. L’esito è sterile, al termine di un percorso che, partendo da una radicale cancellazione del pregiudizio e da un’apertura senza paraocchi sul mondo com’è, finisce imbucato in una sorta di macchinismo, di razionalità politica a basso voltaggio. Che tende a escludere bisogni e tormenti, anzi li vuole esclusi: passioni, forze in campo, idealità, interessi, la materia viva della politica. Una procedura via via più semplificata, schematica, fino all’ultima inconcludente analisi di Berlusconi – la mediocrazia intesa come proprietà dei mezzi e non dei loro linguaggi (che invece sono politica, eccome).
L’esito è anni luce dal liberalismo iniziale: la democrazia come “poliarchia selettiva”. L’eccesso di formalismo porta lo studioso nel vicolo cieco della sociologia del potere o delle élites da cui rifuggiva – e ritiene tuttora di rifuggire. La geometria sarà un metro utile a misurare la politica, la quale però ad essa non si conforma. Non può e probabilmente non deve. Anzi non deve, altrimenti non ne avremmo avuto bisogno, l’avremmo già messa “a posto”, in un paio di teoremi.
Gianfranco Pasquino (a cura di), La Repubblica di Sartori, “Paradoxa”, gennaio-marzo 2014, pp. 162 € 14

La manifestazzione

Scendendo al viale Trastevere, per attraversare poi i ponti e introdursi al Centro, si può incontrare al Ministero, come oggi, una manifestazione di Cobas della scola. Con le bandiere rosse, una dozzina di “operatori della scuola” e una classe di bambini, di terza o quarta. Della scuola - ma oggi si chiamano plesso o circolo - “Principe di Piemonte”, o Principessa. Quindi dell’Ostiense, non lontano, si saranno fatti una  passeggiata.
La giornata è pure tiepida, col sole, potrebbe essere una gita. Ma gli operatori megafonano truci. A se stessi, probabilmente, sei o sette. I Carabinieri hanno chiuso la strada al traffico e i bambini giocano, a campanon, a spingersi e rincorrersi, a fare il madonnaro coi gessetti sull’asfalto. La manifestazzione è “contro i test Invalsi”. 
Oggi più che mai gli adulti si mangiano i bambini, malgrado i telefoni azzurri, rosa e di altri colori.
I Carabinieri sorvegliano il ministero pure dall’alto, facendo roteare l’elicottero. Ma questo è per accumulare ore di volo, ai fini dell’indennità.

lunedì 5 maggio 2014

Ombre - 219

“Berlusconi, Grillo, Lega, la gara dei populisti”, titola “l’Unità”. Due elettori su tre? Una sagra.

“Popolari e socialisti a picco”, titola ancora “l’Unità”, “la Spagna guarda altrove”. Al populismo?

Uno, “il calcio non è uno sport”, è un business. Due, “c’erano le più autorità all’Olimpico”, a umiliare o Stato. Il commento giusto alla finale di Coppa Italia lo fa alla “Domenica Sportiva” Gene Gnocchi. Un comico.

Il vescovo episcopaliano Gene Robinson lascia il marito, Mark Andrew, al quale ha chiesto il divorzio. Lo aveva sposato nel 2010. In pensione dal 2012 – ora ha 66 anni – il vescovo Robinson aveva aperto la cerimonia del giuramento di Obama a gennaio del 2009. Nonse ne fa mancare nessuna.

“Si farà l’accorpamento degli enti di ricerca”, promette Delrio. È una minaccia - la ricerca non ha bisogno di essere accorpata. È la creazione di un carrozzone, da dominare politicante. Ma “Il Sole 24 Ore”, contrario ai carrozzoni, e Fabrizio Forquet non hanno animo di obiettarlo a Delrio, che pure è un mite.

Si gioca la Coppa Italia fra due squadre che hanno due soli giocatori italiani, Aquilani e Insigne, su ventidue. Nelle formazioni anticipate i due italiani non erano compresi, sono stati inseriti all’ultimo per il commissario tecnico della Nazionale, che era in tribuna.

Fa male vedere dieci, venti, trenta microfoni puntati a grappolo sotto Alfano. Che deve dire?

Alfano, che non ha nulla da dire, disquisisce dell’ordine del giorno alla Camera. La popolarità si fa con la durata dell’occupazione sul monitor? Ci credete?

Fa male sentire da Berlusconi che siamo spiati, ogni parola e ogni gesto, anche al ristorante, dagli amici e al bagno, e che ci imprigionano senza colpa e senza prove. Ma è vero.

Fa male sentire da Berlusconi che Napolitano presiede a tutto questo, e che nel 2011complottò con Angela Merkel contro l’Italia. Perché anche questo è vero.

C’è un traffico internazionale di medicinali contraffatti, delle specialità più costose. Il più delle volte trafugati con assalti ai furgoni della distribuzione, e poi diluiti per moltiplicarne il numero delle confezioni. Non è una novità. Ma Domenico Di Giorgio, dell’Agenzia del farmaco, diventa popolarissimo su facebook attribuendo il traffico alla camorra. Patriottismo?

Il Kenya introduce per legge la poligamia “africana”: ogni uomo può sposarsi quante volte vuole, anche tutte insieme. Non può sposare però un altro uomo, e questo è lo scandalo della legge.

La legge sulla poligamia “africana” è stata inventata da Uhuru Kenyatta. Due parole simbolo, fortemente emotive per ogni terzomondista: Uhuru, libertà, fu il grido dell’indipendenza, Jomo Kenyatta, padre di Uhuru, il primo Mandela negli anni 1950. La storia va ‘nnarreri?

Non c’è solo Berlusconi, anche Schröder, tedesco, ex cancelliere per otto anni, due legislature, socialista, va a festeggiarsi a Mosca con Putin. C’è da revisionare la storia?

Grillo fa campagna in giacca e cravatta. Camicia per lo più bianca. Classicissimo, anche per l’ottimo taglio delle giacche. Inaugura un nuovo ciclo?

Grillo si veste meglio di Berlusconi, pur avendo lo stesso fisico, basso e tarchiato: Grillo indubbiamente è elegante, Berlusconi, con tutti i suoi soldi, sempre goffo. Sarà un ciclo lungo?

Ruffini passa, via La 7, da Rai 3, di cui ha fatto un’emittente faziosa, da catechismo democrat, alla tv dei vescovi. È la Chiesa che vuole morire faziosa, o Ruffini catechista?

Fingendo di avere una politica estera, l’Ue spinge l’Ucraina alla guerra civile. Non una maggioranza contro una minoranza – o viceversa. Sarebbe cinica ma sarebbe una politica. No, metà paese contro l’altra metà. Politica? Diplomazia?

Il patron Hoeness va in prigione per reati fiscali e il Bayern comincia a perdere di brutto. C’è un legame? Sì, il mercato al Bayern è ora in uscita – i meglio (“chi ha mercato!”) si cercano un posto.


Il complotto permanente va come la provola

La storia d’Italia? Un complotto. Specie negli ultimi anni, da quando c’è Grillo – l’autore si definisce “un intellettuale che ha aderito al Movimento 5 Stelle”. Ma anche prima.
Si può convenire, c’è stato Monti, e c’è la macelleria dell’euro, ma anche no. Il libraio lo espone astuto accanto agli anti-complottisti Teodori e Bordin,
con copertine gemelle poiché l’editore è lo stesso. Il complotto è una provola (anche un prosciutto)? O una furbata d'editore.
Paolo Becchi, Colpo di Stato permanente, Marsilio, pp. 93 € 9 

Matriarcato

Prima e dopo le 13, a via Morosini angolo con viale Trastevere, il 75 può tardare anche di un’ora. Il 44, mezzo alternativo per un certo percorso, ritarda anch’esso, di venti, trenta e quaranta minuti. Ogni giorno è così, ma nessuno si agita: votiamo a sinistra, amministriamo il Comune e la Circoscrizione, e quindi non ci lamentiamo.
Alle 13.30 il 75 – o il 44 - infine passa, ma è già pieno dei ragazzi delle scuole. Ogni giorno.
In farmacia ogni cliente allunga la fila, peggio che al supermercato. Si comprano fino a venti medicinali diversi – conteggio reale. Servono? Sembra impossibile.
Dal medico di base la metà delle telefonate è di gente che vuole sapere gli orari di ricevimento. Che sono gli stessi da vent’anni. Cinque anni fa il dottore ha fatto stampare e distribuire dei biglietti  con gli orari, ma non è servito.
Dal medico di base, dove si va soprattutto per le ricette, una signora vuole passare per prima. Assolutamente. È giovane o giovanile, ma insiste ripetendo “c’ho altro da fare”. Non la lasciano passare ma non desiste. Ferma tutta l’attività, ma non desiste. Venti minuti buoni si perdono nel traccheggio, senza l’impaccio la coda sarebbe da tempo esaurita, ma lei può uscire con la sua impegnativa trionfante, lasciando mortificate per la giornata quattro o cinque persone.
Sono donne anche la persone pazienti in attesa del 75 che non passa, la cliente delle venti specialità, gli assistiti che non ricordano gli orari del medico. Senza colpa, in molti posti succede di aver a che fare solo con donne: in farmacia, al supermercato, alla scuola, alla posta – alla posta i due maschi li hanno messi in un canto, alle raccomandate.
La donna dell’impegnativa si ritrova al caffè sotto lo studio medico. Ha finito il cappuccino ma s’intrattiene amabile con i serventi. Finché altri clienti non li richiamano, e solo allora lei rimuove l’auto in doppia fila, incurante delle proteste del fattorino che era rimasto ingabbiato – molto forti per la verità.

domenica 4 maggio 2014

Problemi di base - 181

spock

Nella guerra umanitaria in Ucraina dobbiamo stare con i russi perseguitati o con gli ucraini persecutori?

La colpa di Berlusconi è dunque di non aver fatto la destra in Italia (quello che ora deve fare Renzi)?

Ma Picierno, è vera o inventata?

Il Santo Padre telefona a Pannella: c’è un Dio anche per chi non ci crede?

Si fa la festa della Mamma all’insegna del matriarcato: per moltiplicarne la fatica?

Se la storia cominciò materna, il patriarcato era una liberazione?

L’Europa vuole governare la metà russa dell’Ucraina con le baionette, per democratizzarla?

spock@antiit.eu

Da “joysuini” a “joysuiti”

L’abbozzo di un’epopea o leggenda irlandese. Più abbozzi, ma rifiniti, dieci racconti brevi. Stesi  nel 1923, alla pubblicazione dell’“Ulisse”, poi reinventati per esteso in “Finnegans Wake”. Una parodia: nel frammento la parodia è indissimulata, il gioco di parole incontenibile mette in burla l’epica, che è qui la storia patria dopo la Dublino dell’“Ulisse”. A date rovesciate, opera di quattro professori emeriti, ciascuno specialista dei quattro tempi della storia, “il passato, il presente, l’assente e il futuro”.
Tre saggi introducono e un illustratore accompagna le brevi prose. Per dire che non se ne può più dell’esegetica interminabile, asfissiante e autoritaria che irretisce lo scrittore irlandese. Ottavio Fatica, il bravo traduttore, avendo infine potuto tradurre un Joyce, ne è esacerbato – joycianamente anche lui: della tanta audacia che si trasforma in intolleranza (“possibilmente inalterabile, della conservazione a tutti i costi, come comprova ogni regime rivoluzionario”). Passaggio che sintetizza da “joysuini” a “joysuiti” - entrando a sua volta, joycianamente, nel pantheon joyciano. Il contagio è irreversibile?
Per il lettore il solito busillis: ridere o piangere? L’edizioncina è bella, la più bella che sia stata fatta di queste prose ritrovate, che anche altrove non hanno avuto molta fortuna. E la fortuna, va aggiunto, queste prose la meritano, perché, malgrado la follia del vocabolario, Joyce sa raccontare in poche righe: è un frammentista - sarà epico ma di frammenti.
James Joyce, Finn’s Hotel, Gallucci, pp. 125 € 13