Chi
ha preso cosa, e chi ha preso di più? La Bundesbank non smette la polemica –
preventiva – contro l’Italia, ma sono state le banche tedesche finora le sole
salvate dall’Ue. Dalla Bce, ma a spese della Ue, cioè anche dell’Italia. È un
aspetto non noto dei primi anni della crisi, 2007-2010, che “Gentile Germania”
spiega, sulla base di dati tedeschi. Come in questo estratto:
“A ottobre 2011,
per riaccendere la crisi che si affievoliva dopo la vendita dei Btp, il capo
economista della Deutsche Bank, Thomas Mayer, pubblicamente aveva ammonito
contro ogni aiuto all’Italia. In una col presidente del Ces-Ifo di Monaco,
rinomato istituto di studi sulla congiuntura, Hans Werner Sinn, che aveva
redatto e pubblicizzato una serie di note contro l’Italia, sul debito e le
banche. Con l’effetto non casuale di
mettere nel mirino le banche italiane, meglio gestite e capitalizzate delle
tedesche, elevando una cortina di fumo su quest’ultime, che erano tutte un
colabrodo, Deutsche inclusa. “Offrire un’assicurazione di prima categoria sui
titoli contro il fallimento dell’Italia ci colpisce come offrire
un’assicurazione sulla cristalleria al padrone di una casa prossima a un
impianto nucleare che sta per collassare”, scrisse Mayer online nel bollettino
della banca. Neppure con la garanzia del Fondo europeo di stabilizzazione: “Né
il padrone di casa né il detentore di titoli italiani si sentirebbero molto
sollevati da questa assicurazione”. Con spreco di distinzioni fra germanici e
latini.
“Questi personaggi non sono isolati.
Sinn è pure più popolare dell’onorevole Dobrindt: quando sparla dell’Italia
ride. Nel 2013 ha avuto il premio Erhard per l’economia “sociale di mercato”.
Gliel’ha dato il dottor Mayer, per aver sfidato il Fondo europeo di
stabilizzazione e la stessa Bce alla Corte costituzionale tedesca. Mentre
periodicamente, per tutto il 2012, Jürgen Stark scandiva su Handelsblatt, il Sole 24 Ore tedesco, la fine della Bce. In odio a Draghi e
all’Italia. Nel 2013 ha persistito: il 25 luglio annunciava “il culmine dell’eurocrisi
nel tardo autunno”, dopo le elezioni tedesche e la pronuncia della Corte
costituzionale. Stark, ex Bundesbank, membro del direttivo Bce, s’era dimesso
nel settembre 2011, in polemica con Draghi, prima ancora che Draghi arrivasse.
Nel 2013 sotto accusa di Sinn, Stark & co. fu la Francia: un allargamento
del fronte latino che non significava un’assoluzione dell’Italia ma un
aggiramento per un migliore sfondamento.
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“A fine maggio
del 2012 Thomas Mayer è stato licenziato. Una tavola da lui costruita per
dimostrare che Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia erano stati i
beneficiari dei finanziamenti europei tramite la Bce dimostrava l’opposto.
“I
rifinanziamenti Bce sono andati per l’80-90 per cento ai paesi euro del Nord da
metà 2007 a metà 2009, e per il 60 per cento e oltre agli stessi paesi da metà
2009 a metà 2010. Quindi per tre anni, quando la stessa Deutsche Bank se la
vedeva brutta, e alcuni colossi olandesi, belgi, austriaci. Solo nei dodici mesi
successivi i Gip, Grecia, Irlanda, Portogallo, sono arrivati al 50 per cento –
Italia e Spagna ancora a ottobre 2011 non superavano il 5. Non era la sola
bizzarria del computo: i Gip erano arrivati al 50 per cento degli impegni Bce
quando questi erano stati ridotti, a 400-500 miliardi. Quando la Bce aiutava i
nordici l’impegno era sopra i 700 miliardi, in alcuni mesi sopra gli 800.
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“Il dottor Mayer dimostrava cioè che per tre anni la Bce ha finanziato la galassia bancaria tedesca. Forse per questo fu sostituito, dopo il supermanager Ackermann di cui era stato il consigliere. Ma non cessò di insistere. Allo Handelsblatt a fine maggio 2012 spiegava: “Vedo l’Italia molto peggio della Spagna”. La cui banche erano al fallimento in senso proprio, tecnico, con miliardi di metri cubi già costruiti invendibili, un negozio chiuso su due, i disoccupati al 20 per cento, un’economia senza più credito.
“Il dottor Mayer dimostrava cioè che per tre anni la Bce ha finanziato la galassia bancaria tedesca. Forse per questo fu sostituito, dopo il supermanager Ackermann di cui era stato il consigliere. Ma non cessò di insistere. Allo Handelsblatt a fine maggio 2012 spiegava: “Vedo l’Italia molto peggio della Spagna”. La cui banche erano al fallimento in senso proprio, tecnico, con miliardi di metri cubi già costruiti invendibili, un negozio chiuso su due, i disoccupati al 20 per cento, un’economia senza più credito.
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“Ufficialmente
la Germania sosteneva, guardando ai saldi della bilancia interna della Banca
centrale europea, che la Bundesbank sopporta i costi maggiori della crisi.
Trovandosi per questo sovraesposta nei confronti del Sud Europa, dei paesi col
debito più alto, e quindi essa stessa a rischio contraccolpi. Era la tesi del
presidente della Bundesbank, Weidmann, e più ancora del beffardo Sinn. Mentre i
conti dicevano il contrario: il Sud Europa paga l’austerità, la Germania
accumula attivi. Sono questi attivi fragili, a rischio cancellazione? Ma è la
Germania che ne blocca il bilanciamento, col no a una politica Bce espansiva e
il no agli stimoli alla sua domanda interna, che consentirebbero più esportazioni
– più lavoro, più reddito - ai partner euro.
“Non si tratta
di analisi contrapposte: la Germania è
stata la beneficiaria, unica, della crisi. È un fatto. Pure prima, va aggiunto,
la Germania ha usato l’euro a suo vantaggio, trasgredendo i vincoli di bilancio
quando le fece comodo. Nella crisi ne impose di severissimi nella stessa ottica,
del vantaggio nazionale. Né va trascurato che il debito greco e l’immobiliare
spagnolo sono opera in larga misura delle banche tedesche. Che in un tribunale
fallimentare sarebbero imputate di bancarotta fraudolenta, di aver sottratto
cespiti all’attivo. Nel mentre che il loro governo bloccava misure europee
comuni di contrasto all’evasione fiscale”.