sabato 2 agosto 2014

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (214)

Giuseppe Leuzzi

Ma un italiano non ha vinto il Tour? Dall’inizio alla fine? Sulle Alpi e anche sui Pirenei. Roba ciclopica, da imprese storiche. O ciclopica in senso stretto, Nibali essendo siciliano? Per questo l’impresa è minore, e quasi una vergogna – se ne parla sui giornali, ma in Francia.

L’ “astuzia nordica” è il leitmotiv del romanzo di Lion Feuchtwanger “I fratelli Oppermann”, sull’avvento di Hitler. L’ipocrisia piena di sé.

Lo storico tedesco poi nazista Seeck sosteneva un secolo fa che il diritto pubblico (romano) fosse contrario all’onore individuale, sul quale i tedeschi regolavano la convivenza, e solo su di esso - il diritto del più forte.

“In arrivo 700 migranti. Aprite chiese e caserme”, è l’appello disperato della Toscana: prefetti, Regione, Province e Comuni tutti insieme. A tutela del decoro. Perché Lampedusa non è in Toscana?

La “gallina calabrese” di Malerba (“Le galline pensierose”), è una che impara presto a essere mafiosa. Va in giro domandando della mafia, e tutti le rispondono che la mafia non esiste. Allora comincia a dirlo anche lei, e tutti capiscono che è diventata mafiosa.

Un’altra gallina calabrese invece, sempre di Malerba, sa tutti i filosofi in doppio V: Wittgenstein, Whitehead, Wolff, Weisse, Wundt, Wahl - fino a Wodehouse, che l’acquieta di più. Ma è calabrese solo per essere di Vibo Valentia, doppia v anch’essa, sebbene staccata.

Notte e nebbia
Il Teofilo della leggenda di Teofilo, una delle prime versioni di Faust, Heine dice ne “Gli dei in esilio” “siniscalco del vescovo di Adama in Sicilia”. Mentre è Adana in Cilicia.
Adama è anche il maestro di Hyperion nel romanzo-tragedia omonimo di Hölderlin. Che anche lui fa confusione in Turchia. Anche in Germania, poiché a confidente di Hyperion e aedo di libertà elegge Bellarmino, nome di inquisitore. Ma più in Turchia: chiama Alabanda il combattente della libertà a Smirne. Il nome di una bisca. Antica città della Caria, a Sud della confluenza del Marsia col Meandro, oggi Arabhisar, a quaranta chilometri da Aydin, Alabanda era nota a Strabone per essere luogo di libertinaggio, una Las Vegas turca.
Sotto Napoli è nebbia. Lo pensava anche Stendhal.

Sudismi\sadismi
Nei primi quattro mesi solo 57.405 visitatori per i Bronzi di Riace. Di cui solo 21.407 paganti. La direttrice del Museo archeologico di Reggio è contenta, perché i visitatori sono raddoppiati con la riapertura.  Paolo Conti e il “Corriere della sera” vogliono invece il Museo chiuso, non fattura abbastanza: “Il Museo dei Bronzi è costato 32 milioni ma incassa 840 euro al giorno”.
Un miglioramento forse c’è: nei primi sei mesi i visitatori sono saliti a “quota 98.672”. Sopra la “quota 90”.
E a Brera? Noi ci siamo stati un paio di volte da soli. Merita.

Dell’omertà e della Legge
Chiude a Roma il giornalaio nella piazza al centro del quartiere. Tutti sanno perché ma nessuno lo dice – lo sussurra, malvolentieri, e come ipotesi. Ha chiuso nella stessa piazza, alla ferrata dell’autobus, il caffè con le panchine e i tavolini. Tutti sanno perché ma non lo dicono – lo sussurrano etc. Hanno chiuso i due maggiori concessionari di auto, prospicienti – tutti sanno (troppi anticipi senza consegna) etc. A Roma, in un quartiere di intellettuali e borghesi, senza mafie. Non è omertà, poiché nessun delitto è stato commesso, insomma, non di sangue, ma è una forma di riserbo, in un certo senso di rispetto. In Calabria invece tutto sarebbe stato detto, esibito, imputato. In Calabria dove secondo la Legge c’è invece l’omertà. In città e nei paesi.
L’omertà è un concetto ambiguo, e per questo si penserebbe tanto più da studiare, anche sociologicamente, e invece niente. È una barzelletta: il siciliano muto, la faccetta che non vede, non sente, non parla, eccetera. È un concetto giornalistico, cioè ripetitivo e potenzialmente sciocco, approssimato. Ma che perciò ha funzione di realtà. Al Sud c’è la mafia perché c’è l’omertà.
Avendone vissuto un caso di persona, si può portare testimonianza diretta di un’omertà che è invece la Legge. Niente di meno.
La Legge è omertosa perché si sussurra tutto, se lo dice, se lo trascrive, nelle Note di servizio di ogni sottufficiale dei Carabinieri comandante di stazione, se lo archivia. Con resoconti, diagrammi e organigrammi dettagliatissimi, fino alle estreme propaggini del concorso esterno – il caffè preso al bar. Anche questo lo possiamo testimoniare per esperienza diretta, avendo visto la documentazione in più casi come giornalista. Ma interviene a reprimere “a babbo morto” – nel nostro caso in senso letterale. Non quando il mafioso nasce: minaccia, mette le bombe, fa una rapina, un rapimento, la grassazione quotidiana (pizzo, dispetti, soprusi, e accumula. No, interviene a distanza di venti e anche trenta anni, in qualche caso addirittura alla seconda generazione, quando l’accumulazione è ormai diversificata e difficilmente rintracciabile – Ciancimino jr, che beneficia ancora dei lasciti paterni, è un esempio tra i moltissimi. Per cui si stabilisce che il crimine paga. Malgrado i digrammi.
Siate voi uno che ha subito un sopruso. E lo denunciate. Dovete portare le prove. Dopo aver subito un interrogatorio infamante su chi siete, cosa volete, e se non millantate. Poniamo che al sopruso sia succeduto un delitto, e che quindi la Legge sia obbligata a intervenire. Vi chiederà se avete dei sospetti, voi li direte, li spiegherete e li proverete. Ma se non avete trovato il criminale in flagrante, non l’avete bloccato e non avete testimoni, non succede nulla. Poniamo che, quando il giudice vi chiamerà prima dell’archiviazione, e vi chiederà anche lui se avete dei sospetti, e voi fate nomi e cognomi, lui li condanni, magari solo a pochi mesi. Prepotenze e delitti si aggraveranno subito contro di voi – tutti i danni patrimoniali che l’assicurazione non copre. Voi li denuncerete, sarete sottoposti al solito interrogatorio se gli incendi e le bombe non sono opera vostra, e nient’altro succederà.
A voi viene il sospetto che i criminali siano informati in qualche modo di tutto quello che raccontate alla Legge.  Attraverso quelle che ora si chiamano talpe, una volta confidenti. Ma non potete farci nulla. Ed è meglio non dirlo, potreste subirne le ire, le ire della Legge.  Tutto ciò che voi dichiarate viene infatti registrato, e confluisce nei dossier, i diagrammi, gli organigrammi etc., che a distanza di trenta e quarant’anni sarà portato a danno vostro o dei vostri familiari, e qualche volta dei criminali.
Il vero tema sarebbe: la mafia cresce perché è impunita. Lo svolgimento legale è: non parlare, il nemico ti ascolta.  
 “Parlare” era estremamente rischioso nei paesi del socialismo reale. Era anzi una colpa. In regime democratico, di libertà di parola, dovrebbe essere protetto. Ma non è così. Non in Italia. Non al Sud. Bisogna dimostrare di aver diritto a parlare. E dimostrarlo agli stessi che lo vorrebbero impedire. A meno di non essere pentiti, cioè mafiosi, meglio se pluriassassini, con diecine e (Spatuzza) anche centinaia di morti.
È un groviglio? No, è una politica.
È vero che questa politica si fonda sulla subordinazione del Sud. Per comodo e, ormai, anche per mentalità. Ma questo è un altro discorso, la Legge è nazionale.

leuzzi@antiit.eu

Borges guerriero del Nord

Una riedizione in linea con la voga commerciale, al cinema e in tv, per le saghe eroiche, dal Graal alla spada nella roccia, ai troni di spade, e alle epopee del ghiaccio, da “Frozen” al “Ragnarök” di A.S.Byatt e alle “Cronache” G.R.R.Martin. Ma è curioso il destino dello scrittore che, benché sempre innamorato, si volle singolo e libero: finire tra gli autori che “erano la loro moglie” – qui in chiave ereditaria e non femminista ma è la stessa cosa. Si riedita a nome congiunto con la compagna-erede un libro molto borgesiano, nella concezione, nel puntiglio, nelle agudezas. Benché “in collaborazione”, la prima edizione, 1951, con Delia Ingenieros, le revisione del 1964 (qui tradotta) con la nuova ninfa María Esther Vazquez.
Una storia e anche un’antologia delle antiche letterature sassoni: inglese, tedesca, scandinava. Per le radici comuni, che Tacito chiamò “Germania” – non tanto una regione geografica quanto un insieme di tribù dai linguaggi (lingue, miti, tradizioni) affini. Un fatto non nuovo. Il punto di nota è la volontà di Borges – oltre che di guadagnarsi lo stipendio come insegnante di inglese all’università – di recuperare e unificare due della sue passioni giovanili, l’Inghilterra e la Germania, divise dal nazismo e dalla guerra. Cioè di recuperare la Germania, si direbbe in termini politici, al concerto occidentale che rifiuta. Antonio Melis stringato titola il breve commento “Il fascino guerriero del Nord”.
Jorge Luis Borges, María Esther Vazquez, Letterature germaniche medievali, Adelphi, pp. 228 € 16

Stupidario informativo

Si inchinano tutti dopo Schettino. Anche i mafiosi e i piloti militari.

“Avvocata di Milano trovata decapitata in un bosco”. I colleghi: uccisa” - “Corriere della sera”, 2 agosto

“Positivo al doping il cavallo della regina”

“La Versilia resiste, boom di messicani” – “Qn” 15 luglio.

“Non più di dieci figli per donatore”, intima la ministra Lorenzin per l’inseminazione artificiale. Ne tiene il conto? Crede che a ogni inseminazione corrisponda un figlio?

Gli estremi della punizione. Lo specchio della porta (riflettente?) – redazione sportiva Rai,

Il Kalahari “Sette” trasforma in deserto. In parole e foto. Che però mostrano leoni, elefanti, laghetti, erbe alte,  alberi? È stata abolita la savana?

“Impressionante, emozionante duello tra le Mercedes sul filo dei decimi di secondo, anzi dei centesimi” – Sky Sport. Due centesimi di secondo in un giro di 87 secondi, anzi no, forse 88. In un circuito, Montecarlo, dove lo spettatore non ved e niente, solo quello che la tv inquadra. È l’emozione di fronte a un cronometro elettronico.

Gli jihadisti. I struffoli

I buoni piuttosto che  i cattivi, la mattina piuttosto che la sera – passim.

I ragazzi italiani non sanno niente di finanza. Sono i peggiori fra tredici paesi Ocse presi in considerazione. Quasi i peggiori: fanno peggio i quindicenni della Colombia. L’ignoranza è totale per le ragazze. E profondissima in Calabria. È l’ultimo test di “financial literacy” targato Pisa. Che non si sa cosa sia, ma sforna test. In nessuno dei quali l’Italia si qualifica. A parte il fatto che la Colombia non è nell’Ocse.

venerdì 1 agosto 2014

Angela la Padrina

È passata a Berlino Ovest per caso, portata dalla folla, uscendo dalla palestra, col borsone a tracolla. E questo è tutto quello che se ne dice, anche se alla caduta del Muro aveva 34 anni, e quindi un passato. Con lei è così: indistinzione e grigiore. Mentre è solida. Della Ddr, per esempio, la Repubblica Democratica Tedesca, ha preso il realismo del potere, che è mediocre: “Anziché costituire un handicap, la sua resistenza a impegnarsi sulle questioni di principio superiori si è convertita in un’arma”. A tratti anche l’Angela Merkel di questo libro critico è semplice.
I pugni in tasca
Un libro curioso. Un quadro più che la promessa stroncatura. Il più del lungo testo è inafferrabile. Anche come antipatia: Gertrud Höhler gira attorno alla inamovibile cancelliera con le banderillas ma non sa mai dare la stoccata. Portare a fondo il suo proposito di demolirla.
Non è una vita ma un’analisi politica, limitata agli ultimi venticinque anni dei quasi sessanta di Angela Merkel. Dettagliata, fin troppo, per 280 pagine grandi, piene, e già per questo rispettosa. Agrodolce, concettosa, è più problematica che esplicativa o risolta, malgrado l’impianto aggressivo. L’unico punto debole che le trova è, in definitiva, indimostrato: che il partito la subisce, dice Höhler ogni paio di pagine, coi “pugni in tasca”.Di Schäuble compreso, che resta in carriera, il solo della vecchia guardia,  perché ha accettato un ruolo gregario.
Si arriva al nocciolo per tracce: la “gelida prosa”, il sorriso di ghiaccio, l’imperscrutabilità, la spietatezza nel partito, da cui ha eliminato tutte le teste pensanti, le alleanze opportuniste, l’omertà (“chi parla rischia di tradirsi” è, secondo Höhler, la sua divisa e anzi il suo schema mentale), gli slogan senza vita e presto dimenticati – “il secolo cristianodemocratico”, “il partito di massa più moderno d’Europa”, “una visione, una speranza, una direzione”. Ma, poi, è vero che quindici dei primi venti anni del secolo saranno stati suoi, e cristiano-democratici. E che la Cdu-Csu è l’unico partito moderno del Ppe, il raggruppamento popolare europeo, cioè funzionante, attivo.
La Cancelliera ha sbagliato due elezioni presidenziali (Köhler e Wulff) e ha fallito la terza (Gauck), e tuttavia è rimasta salda in sella. Ma poi Gauck è stato eletto, benché contro di lei, e cosa è successo? A metà del mandato niente. Molto sopravvalutato è anche, nella trattazione, il partito Liberale, in quanto vittima della Cancelliera.
È pure vero che Angela Merkel resta una sfinge. Una ventina di libri sono stati scritti da e su di lei, senza enuclearne una personalità. Ha all’attivo due governi di centro-sinistra e uno di centro-destra: basta questo per consacrarla politica di prim’ordine. Ma resta inafferrabile, agli stessi che la conoscono meglio. “La rispetto, ma non riesco a discernerla”, dice il presidente Gauck, che viene anche lui dall’Est e, in quanto pastore protestante, dovrebbe condividere gli umori e i valori della famiglia nella quale Merkel è cresciuta.
L’unica traccia riconoscibile che Höhler abbozza del modus operandi merkeliano è il “troppo poco troppo tardi” che le viene rimproverato in ambito europeo, nei diversi scacchieri, il debito, le banche, le guerre, etc., e anche in ambito nazionale. Troppo tardi per risolvere alcunché, ma abbastanza per acquisire prestigio e forza contrattuale, quel poco e tardi avendo un prezzo, di riconoscenza, di illuminata - prudente - leadership.
Il titolo italiano, col sottotiolo “Come la cancelliera mette in pericolo la Germania e l’Europa”, è in effetti diverso da quello originale, “Die Patin” – che tra l’altro si sarebbe ottimamente tradotto “La Padrina”. Il sottotitolo tedesco è ancora più chiaro, seppure in chiave di Scienza della Letteratura, di cui Höhler è stata a lungo accademica, prima di diventare imprenditrice della comunicazione, apprezzata consulente di grandi kombinat – debuttò nella consulenza con Deutsche Bank venticinque anni fa per mezzo milione di euro, così vanta la sua biopedia – nonché confidente, dice qui in una piega, di Kohl al momento della caduta. “Wie Angela Merkel Deutschland umbaut” si può tradurre “come Merkel decostruisce la Germania” – la Costituzione, la democrazia, i valori umani e sociali (ma della Germania tutta  o non della vecchia repubblica di Bonn, tutt’altro animale?).
Dopo Me(rkel) il diluvio
Al peggio Höhler la fa cinica: “Peggio andava l’Europa, meglio andava la Germania”. Ma non tanto. La fa anzi “responsabile” di avere accettato di aiutare le economie europee deboli. Cioè colpevole, a giudizio di Höhler. La quale è di quelli che giudicano “illegali” gli impegni presi da Angela Merkel, ancorché riluttanti, limitati e tardivi, a sostegno dell’euro, e quindi delle economie troppo indebitate. La federazione europea è incostituzionale, né più né meno, ribadisce più volte, sia pure limitatamente ai bilanci.
La critica sembra ricalcare quella dei filosofi e sociologi politici grandi europeisti, Habermas, Beck, Offe, Streeck, e dello scrittore Enezensberger: “L’obiettivo del Fiscal Compact è il controllo. I forti puniscono i deboli – oppure no, come mostra il più recente episodio riguardante la Spagna. Il patto è soprattutto una manovra per ingannare l’opinione pubblica: serve a garantire il dominio tedesco sull’Europa”. Ma è una critica in una prospettiva tedesca, di piccola Germania se si può dire: Angela Merkel travalica i suoi poteri imponendo l’Europa alla Germania. Mentre – è il leitmotiv della trattazione – “i trattati europei escludono che uno Stato debba essere responsabile per altri”, la politica dell’euro è incostituzionale.
Una posizione non isolata né intellettualistica, come si sa, poiché ha dietro schiere di giuristi ed economisti, la Bundesbank, la Corte Costituzionale. Oltre alla stampa., dalla “Bild” allo “Spiegel”. Höhler è anche della tesi che “l’euro non ha incoraggiato ma impedito la stabilizzazione delle condizioni di vita degli europei”. Che può essere assunto interessante. Ma lo liquida in tre righe. Come per sgravio di coscienza: l’Europa non c’è in questa trattazione se non come aggravio.
La crisi ha avuto due fasi e due diverse nature: una bancaria e una del debito. Risolta fortunosamente, con enormi fondi europei, la crisi bancaria, nella quale la Germania era la più esposta, l’ottica è stata stravolta. La Germania per il solito vittimismo, o Angela Merkel per imperizia, hanno aggravato senza necessità quella del debito. Che in buona misura è dovuta alla prima. Gli Stati si sono indebitati, anche molto, per evitare fallimenti in banca. Höhler lo riconosce, indirettamente: “Nella crisi del debito sovrano europeo Angela Merkel possiede un vantaggio tattico: è tanto poco europeista quanto conservatrice”.
La forza
Che altro? Una donna a capo della Cdu? “I forti se ne vanno, i deboli restano”. Ma questa donna non è anche a capo della Germania? E i forti dove sono, tutti nella riserva della Repubblica, allo zoo? O: la crisi è sempre “la crisi degli altri”. E sarà pure questo il pensiero di Merkel, ma la Germania cos’altro pensa? Lei lo dice sempre ai suoi colleghi europei: “Senza di me il diluvio”, e nessuno sa che obiettare.
La forza politica di Angela Merkel è l’ottima uscita della Germania dalla crisi bancaria. Non sarà stata una strategia, ma il fatto c’è. Merkel è anche una che “ha vinto due elezioni perse”, Höhler stessa lo ricorda più volte. Che non è da poco: ha mantenuto il controllo della Cdu, anzi l’ha rafforzato, pur perdendo le elezioni, dopo aver liquidato il suo maestro e patrono Kohl. È una leader di apparati, se non di idee. Ma anche d’immagine, perfino fisica. Che ora ha tutti uomini suoi, e donne, nel partito, nello Stato (Bundesbank, Corte Costituzionale, la stessa presidenza della Repubblica dell’antipatizzante Gauck), e nei Länder.
In Germania, inoltre, i dieci anni ultimi hanno visto un incrocio scoperto tra sinistra e destra, una serie di innesti. Ma con una differenza: il socialista Schröder ha fatto le “cose” della Cdu-Csu, e ha perso, Merkel ha fatto molte “cose” della Spd, il partito socialdemocratico, e ha vinto. In quanto ex Ddr troverà pure naturale, come dice Höhler, ampliare “l’immagine tradizionale della Cdu… in direzioni tipiche della Spd”. Ma l’ha fatto con successo. I diritti della donna e la parità nella coppia, per esempio. Le politiche ambientali, a partire dalla chiusura del nucleare. L’attenzione agli equilibri internazionali: la solidarietà incondizionata a Israele, il contatto costante con Mosca, il ruolo in Europa, con la Francia in liquidazione politica da troppe presidenze, il viaggio annuale in Cina.
La solidarietà con Israele, che Höhler critica, fu un atto eroico della grigia cancelliera: andare alla Knesseth, dove molti lasciarono la sala al suo ingresso, per i sessant’anni di Israele, cioè di uno Stato che  fino a pochi anni prima rilasciava passaporti con l’esplicita menzione: “Valido per tutti i paesi eccetto la Germania”. Che ricorda (freddamente? semplicemente?): “Ci sono voluti quarant’anni  prima che la Germania nel suo insieme riconoscesse e abbracciasse insieme la sua responsabilità storica e lo stato di Israele” (la Germania Est non riconosceva Israele). E non parla di “ragione di Stato”, come Höhler le rimprovera, ma di “ragione d’essere”. In questa formulazione, dopo aver richiamato la necessità di due Stati in Palestina: “Qui soprattutto voglio esplicitamente sottolineare che ogni governo tedesco e ogni cancelliere tedesco prima di me si è assunto una responsabilità storica speciale per la sicurezza di Israele. Questa responsabilità storica è parte della raison d’être del mio paese”..
La formazione tedesco-orientale è risolutiva soprattutto nel governo del partito.  È il miglior contributo che Höhler dà al lettore, al paragrafo “La nascita del sistema M.”, ed è quello che spiega il “fenomeno Merkel”: la conquista del potere attraverso la rimodellazione della Cdu, le persone, le politiche e la comunicazione. Non annunciando, né promettendo o minacciando, ma facendo – l’opposto, si potrebbe dire, del “sistema R.”, o Renzi: “È una filosofia totalmente priva di pathos, quella che Merkel ha sviluppato nel suo bozzolo orientale”.
Lo storico potrebbe dire, con buone ragioni, che Angela Merkel si è bene posta al Centro, lo spazio politico dominante nel dopo-Muro. Forse ci era portata, nella sua apparente spassionatezza, e si è trovata al posto giusto al momento giusto. A capo di un partito che aveva concluso con Kohl un ciclo storico, quello del containment vittorioso, del muro contro il Muro, e non aveva leadership né politica di ricambio. Angela Merkel, politica per caso, ha interpretato i nuovi umori per la sua estraneità al ciclo che si è chiuso, e per una caratteriale propensione all’accomodamento senza pregiudiziali. Non ideologiche, e nemmeno politiche. La Germania riunificata voleva vivere in pace con se stessa, senza “estremismi” (scelte definite) come ama dire, cioè senza politica. Che subliminalmente intendeva un’estensione del senza colpa. E la Cancelliera venuta dal nulla era la persona giusta per reggere questo intervallo. Conservatrice, progressista? Europeista, nazionalista? Equilibrata, cinica? Queste dicotomie non hanno senso per la Germania, e quindi non sono un problema per lei. “E…e”, “Sia… sia”, può non essere nel suo caso un’opportunistica indifferenza, ma la politica più consona alla Germania del dopo-Muro e della coeva globalizzazione, della ristrutturazione feroce, la delocalizzazione, la libertificazione del lavoro – il diplomato a un euro l’ora.

Questa come tutte le altre riflessioni sull’era Merkel non tengono conto che la sua è un’altra Germania. Un’altra da quella stessa di Kohl, che pure promosse e per un decennio gestì la riunificazione, ma era di altre radici, geografiche e storiche. La Germania riunificata è tutt’altro animale politico. Sta a Berlino e non sul Reno. Era un paese più intraprendente ma non più grande degli altri paesi maggiori d’Europa, Francia, Gran Bretagna: c’era un equilibrio. E non ha più i russi a Berlino. Era un paese a metà cattolico e della cultura del vino. Ora la cattolicità - se non il vino, che è trendy e a premio – è una minoranza e una nuisance. Ancora ci si meraviglia dell’estraneità della Germania al “suo” papa, Benedetto XVI. Avendo scritto un libro per dire questa diversità, ed avendone ricevuto sdegnati silenzi e inimicizie, questo è il suggello che il mutamento è radicale: non si argomenta più.      
Gertrud Höhler, Sistema Merkel, Castelvecchi, pp. 287 € 15

È sempre Fortezza Europa, ma in declino

È sempre “Fortezza Europa” nelle classifiche internazionali del prodotto lordo – di cui fanno fede le statiche del Fondo Monetario Internazionale. Il prodotto intero lordo dei Paesi europei membri dell’Ocse (con l’esclusione quindi di Lituania, Lettonia, Romania, Bulgaria, Malta, Cipro, Croazia – e di quelli extra Ue: Serbia, Albania, Kossovo, Bosia, Macedonia) supera quello Usa. E continuerà a superarlo nelle proiezioni al 2030 – facendosi superare attorno al 2025 dalla Cina. Ma il divario con gli Usa si restringe: l’Europa cresce dal 2009 meno degli Stati Uniti. E all’interno della Ue le situazioni sono disparate. L’Italia, per esempio, vede il suo peso scemare.
Il pil non è un misuratore di grande affidabilità. Non vuole dire niente che l’Arabia Saudita abbia “sorpassato” la Svizzera o la Svezia, e il Belgio, l’Austria, la Danimarca – un paese di cu non si conosce nemmeno la popolazione, che per lo più vive ancora sotto le tende, ed è ricco grazie al petrolio a 100 dollari, che non ha nessuna ragione economica. Lo stesso, quando sarà, della Cina più ricca dell’Europa o degli Usa. Ma le sue variazioni sì, sono significative: misurano le dinamiche, e quella europea è in costante rallentamento.

Fisco, appalti, abusi (55)

Rossella Orlandi, che dirige l’Agenzia delle Entrate, lamenta di aver passato “un intero pomeriggio per capire come dovevo pagare l’Imu”. E non ha pagato la Tasi.

Ma non c’è solo l’Agenzia delle Entrate. Le banche, che hanno voluto il monopolio dei pagamenti al fisco, introducono sempre nell’F 24 uno o due codici che nessuno sa cosa siano e niente spiega. Perché essere inefficienti invece che efficienti?

L’Acea, azienda disastrata anche amministrativamente, manda bollette anche se non si è clienti. All’ennesima bolletta, si pensa di dover segnalare il caso all’Autorità per l’Energia. L’Autorità per l’Energia risponde che, in ottemperanza alle leggi X e Y, regolamenti A e C, decreti presidenziali, etc., non può assumere il caso prima che l’Acea non abbia risposto alla contestazione. Il tutto con un lettera lunga due fitte pagine, a spazio 1. Il lavoro di una persona, più il capo reparto, e il capo ufficio. Di un solo giorno?

L’Acea non risponde, e quindi il caso non si tratta: l’Acea può continuare a  mandare le sue bollette. Forse non paga il francobollo.

E il tempo perso sulle false fatture Acea? E le energie nervose? E le attese alle Poste per fare la raccomandata? E i 5 euro di raccomandata? Più le tante fotocopie di “necessaria” documentazione? Questo è il mercato libero. Questa è la parte nobile dell’Italia, quella privata. Di cui le pubbliche Autorità restano in attesa.

Caprotti (Esselunga) fa vedere a Dino Messina, “Corriere della sera”, una multa da 6.000 euro, per “incompleta tracciabilità di una partita di acciughe”. Benché “l’origine sia provata”, e sia italiana come dichiarato, occorre che il prodotto sia stato comprato sul peschereccio, èl a motivazione, senza intermediari.

La lotta all’evasione è la vecchia lotta al capitale? “Tutte queste norme, e le tasse che arrivano al 60 per cento, ci soffocano”, lamenta lo stesso Caprotti con Messina. Con un’aggravante: “Così nasce la delocalizzazione. Squinzi di Confindustria è fuori con l’80 per cento, Bombassei con il 90, Pirelli con il 94. La famiglia Fontana, grandi produttori di bulloni, hanno 22 stabilimenti sparsi per il mondo e uno a Veduggio, tanto per dire di essere brianzoli”.

giovedì 31 luglio 2014

Dei delitti della stampa

Lion Feuchtwanger cita ne “I fratelli Oppermann”, il romanzo anticipatore del nazismo, un “classico francese”: “Se mi accusano di aver rubato e di essermi messo in tasca Notre Dame, taglio la corda a volta di corriere”. La citazione è imprecisa. L’originale è di un “Romanzo-Fogliettone”, senza titolo, che gallica, il sito online della Bibliothéque Nationale de France, censisce anonimo, come “Le Petit Roman-feuilleuton”, un settimanale uscito a Lione tra il 1874 e il 1883, e la battuta è: “Se mi accusano di aver rubato le torri di Notre Dame, la risposta è no. E la prova è che si vedono ancora da qui”.
Ora, non sempre la verità è visibile, e il giornalismo in agonia si dibatte nel grigiore. La lettura quotidiana è diventata deprimente, il giornale si sfoglia e si butta, ed è anche per questo che sempre più si evita. Per la scelta dei fatti, prevalentemete camarille di potere di cui non frega nulla a nessuno. E per la presentazione degli stessi: un redattore per Napolitano, due per Renzi, due per il papa, uno per Berlusconi, mezzo per Alfano, mezzo per la minoranza Pd. È lo standard “la Repubblica” 1976. Che fissava il modello “Il Giorno”, 1960 o giù di lì. Su una tela di fondo (commenti, editoriali, “intervistine”) cerchiobottista, una botta di qua e una di là. Una formula vecchia. Che “Il Giorno” e Italo Pietra inventarono per tenere la politica “fuori” dal giornale, mentre ora ne è materia dominante. A nessun effetto. Si vorrebbe dire asservito. Ma a chi? A che? E poi, costa così caro, si trovano killer per molto meno.
Non si sa cosa succede in Italia. Non si sa cosa succede nel mondo. Le torri sono sempre lì, ma invisibili. Illeggibili forse al nuovo giornalista, che pure è laureato, e anzi esperto di scienza delle comunicazioni. La recessione, l’immigrazione, le guerre ai confini, la delocalizzazione, le fabbriche ferme, le donne fuori dal lavoro,? L’elenco sarebbe lungo delle cose che non sappiamo. Mentre siamo pieni di Di Maio e Candiani, meteore di nessun cielo. A pagamento. Unico frizzo gli scandali. La corruzione. Le intercettazioni. Berlusconi. E un po’ di mafia ovunque, come il prezzemolo.
In realtà i giornali non muoiono, sono assassinati. Dal giornalismo, mai tanto piatto.

Le due Germanie

Sulla crisi del debito ci sono due Germanie. O meglio: sulla crisi del debito l’Italia e l’Europa si devono guardare da due Germanie, entrambe sono infatti minacciose. C’è chi la usa (agita, sfrutta) a proprio (nazionale) vantaggio, ammonendo a non affossare l’euro (“se fallisce l’euro fallisce l’Europa”), ed è Angela Merkel. Che però fa finta, con la divisa ormai famosa “troppo poco, troppo tardi”. E chi, sempre a Berlino, vorrebbe l’euro affossato. Non per cattiveria ma per motivi di democrazia, politica (elezioni, opinione pubblica) e sociale, e per motivi legali, costituzionali anzi: i liberalsocialisti, molti economisti, la stessa Bundesbank, la Corte Costituzionale. Sul presupposto che i Trattati europei, e quindi la Costituzione, escludono che uno Stato debba rendersi responsabile per altri Stati.
Sono autorevoli posizioni nazionali, strettamente mercantilistiche, non europeiste. Del vantaggio tedesco e non europeo. Del futuro tedesco e non europeo. L’Europa non è un orizzonte ma un mercato. L’opinione politica della Germania riunificata è agli antipodi di quella di Bonn, divisa, coi russi a Berlino. Di europeo accetta e anzi dà per scontato il mercato comune, che è quello che fa la potenza economica tedesca (la bilancia dei pagamenti sempre attiva col resto dell’Europa, cioè un drenaggio costante di risorse). Senza obblighi. Il nazionalismo (egemonismo, mercantilismo) merkeliano è solo un po’ meno freddo di quello liberale, e dell’opinione pubblica come viene conformata.  

Letture - 179

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Commedia dell’arte – Sarà stata l’ultima scienza letteraria italiana. Dopo la filologia del volgare, il recupero dei classici, la reinvenzione della storia, l’invenzione della scienza politica. La commedia più originale, perché non recupera vecchi modelli, classici. Lo studio e la selezione, l’ordinazione, il riuso dei repertori (fino gli ultimi teatrini di burattini in piazza), la scelta e l’adattamento degli stessi, i costumi, i colori, le voci. La finzione-finzione: la scena dipinta, finestre, armadi, porte – che oscilla a ogni corrente d’aria. Il trucco: l’attore era anzitutto un truccatore, ogni sera col trucco entrava, studiatamente, nel personaggio, prima che un contraffattore delle voci e le movenze. E le maschere, creazione incredibilmente vasta e coordinata, sempre filologicamente sensibile.

Dante – Nella “Commedia” si è “ingabbiato”? Nick Tosches, il poligrafo newyorchese dantista autodidatta, italianista e italianofilo, cultore della materia per molti anni e letture, traduttore della “Commedia” in proprio, lo ha trovato alla fine chiuso, e in qualche modo sterilizzato, dalla metrica, di cui pure era studioso e maestro.
“La mano di Dante”, un romanzaccio nero in cui Tosches (nome albanese, di nonni originari di Casalvecchio di Puglia) rifà la biografia di Dante in forma di “recensione”, ha una pagina non peregrina su questo aspetto. D’accordo con George Steiner, che vuole la “Commedia” l’opera suprema del millennio, ma anche con Goethe, che la vuole raffazzonata, ridicola, inadeguata (parole, chiosa Tosches, “più adatte a descrivere la seconda parte del suo «Faust»”), dopo “una dozzina d’anni” di lavoro di traduzione conclude che “la gabbia ritmica e metrica” è “restrittiva”: obbliga la creatività a “una ricercatezza innaturale”. Con “l’anima, la bellezza e la potenza” così “sacrificati per sorreggere la struttura dell’opera che solo un autore talmente freddo da dare maggiore importanza alla tecnica artistica rispetto all’arte avrebbe potuto farlo”.

Digressione – Tutto può essere interessante a leggere, anche gli annunci funebri, o il tamburino del giornale. Purché non sia scontato, non si sappia prima cosa si va a leggere. Il bugiardino delle medicine, per esempio, è pieno di sorprese, la morte non esclusa. Finché non si scopre che ripete uno schema: chi prende quel medicinale potrebbe anche prendere (uno su centomila, o su un milione) tutte le malattie, Mentre la creazione -  la svolta creativa – non sta nei particolari, O meglio sì, ma nei particolari significativi, in qualche modo nuovi.

William Morris – Poeta, romanziere, progettista, art designer, industriale, tipografo, perseguiva un ideale di lavoro estetico ispirato alle botteghe medievali. Di artigiani che si regolavano sul bello oltre che sul pratico. In polemica esplicita con la scadente produzione industriale. Aveva fondato una Morris, Marshall, Faulkner & Co, poi Morris & Co., che nel 1861 assunse tra gli altri Dante Gabrel Rossetti e Edward Burne-Jones.

Opera - È rivoluzionaria, molti suoi temi lo sono. La filologia di molti esercizi di Rossini. Il multiculturalismo, mediorientale, asiatico, perfino latinoamericano e nordamericano. L’eversione, che sempre sottende la commedia, dai matrimoni ai rapporti padrone-servo. In senso proprio lo fu a Bruxelles, dove alimentò i moti del 1830, quando la città insorse contro il dominio olandese sulle note e i temi di Auber, “La Muta di Portici”.

Promozione – In Italia per pubblicizzare l’ultimo suo libro, Geoffrey Deaver trova opportuno parlare di Faletti, morto con cordoglio di tutti. E dice:“Con la scomparsa di Giorgio Faletti non solo l’Italia ma il mondo intero ha perso la sua leggenda”. Un maestro: “Mi ha insegnato che dobbiamo dare al pubblico il più alto grado di  esperienza emotiva”.
Un’elaborazione del lutto, per conto dei tanti lettori di Faletti. Un’autogratificazione. Una buona promozione, non malvagia, non cinica: annettersi i lettori orfani di Faletti. Le pagine dei giornali sono d’obbligo, di fronte a tanta sensibilità.
Deaever, anni, ha 32 romanzi all’attivo, tradotti  in  25 lingue. E l’Italia? “Roma”, dice, “Capri, Positano, le Cinque Terre, la Toscana” – Deaver è georgico, non va a Firenze né a Venezia.  

Traviata – Germont, seguito su Rai 5 col testo, non solo canta da solo un impegnativo secondo atto, ma dice e fa le cose giuste. Per la sensibilità contemporanea, quindi  a suo modo rivoluzionario, anche lui, per quella dell’epoca, l’Ottocento: borghese, solido e stolido.
Si può fare della “Signora dalle camelie” una vindicatio antiborghese, oppure protofemminista. Dumas jr., che si qualificava di “femministo”, la intendeva in questo secondo senso. Comunque, nel libretto di Piave, Germont padre è compassionevole e perfino affettuoso, e dice le cose giuste.  Il “borghese”, supponente, avaro, è invece il giovane Alfredo, che solo si eccita al gioco delle carte, e di Margherita si vanta “pagata io l’ho”.
Il “discorso” sociale, vissuto, è meno classista (esclusivo,violento), di quello generazionale (egoista) e romantico (vanitoso)? Più ragionevole..

Wagner – L’opera di Wagner invece è reazionaria. Tranquillamente, in ogni aspetto, compreso il romanticismo estremo, sempre solitario, disperato. Anche a leggerne i fumi in senso tolkieniano, di gobbi più curiosi che malvagi nelle terre di mezzo.
Wagner è rivoluzionario nel senso conservatore. Anticipatore di quella che sarà negli anni del primo dopoguerra in Germania la rivoluzione conservatrice.

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Siamo fatti di sogni

“La terra è un sogno pieno di sogni”, Cristo morto dice alla Madonna trepida: “Devi addormentarti, se vuoi che i sogni ti appaiano”. Non c’è realtà nella vigilia. Se ne può ridere, ma abusivamente: Johann Paul Friedrich Richter, in arte Jean Paul, da pronunciare alla francese in omaggio a Jean-Jacques (Rousseau), è scrittore faceto ma non del tutto: è pedagogo, polemista, e uomo di profonda fede. Il mondo dei sogni, non alla maniera di Calderòn ma dell’irrealtà, Cristo morto annuncia dopo aver spiegato ai “bambini morti che si erano svegliati nel camposanto” e gli chiedevano del Padre: “Siamo tutti orfani, io e voi, siamo tutti senza padre”.
Tutta la vita Jean Paul fu angosciato dall’ipocondria. L’ipocondriaco in genere è un intossicatore, se non un untore, e un egoista, ma Jean Paul ne soffrì in forma di depressione. Si vedeva morto, già a trent’anni, doppio, e in genere dissociato. Per tale del resto lo prendevano, un po’ ovunque in Germania – perché era anche molto socievole.
Sono qui raccolti quattro brevi scritti noti (rimpolpati da una lunga postfazione di Adriano Fabris), tutti fecondi: due “Lamenti di Shakespeare morto”, il “Discorso del Cristo morto”, e “Il sogno nel sogno”. Fabris li ha riuniti all’insegna del nichilismo. Di cui Jean Paul è certamente anticipatore, di Kierkegaard e, più, di Nietzsche, che ne fu lettore e ne riutilizzò alcune metafore. Nei quattro scritti, dice Fabris, è “contenuta la prima angosciante testimonianza – Dio è morto ed assente – che annuncia il nichilismo come anima profonda della modernità”. Ma si possono leggere anche come paradossi, che era la forma preferita di Jean Paul. Opportunamente Fabris ricorda il bon mot di Karl Kraus su Jean Paul, che il mondo dell’infanzia è meglio riviverlo in sua compagnia che in quella di Freud.
Jean Paul, Scritti sul nichilismo

mercoledì 30 luglio 2014

Ombre - 230

Un pm di Milano può trafficare con avvocati e commercialisti, ai quali spillare denaro. Al massimo si punisce con un paio di mesi di sospensione. Senza scandalo – giusto perché ci provò pure con Berlusconi, l’ “ex Cavaliere”. Il “Corriere della sera” ne riferisce spassionato:

È vero che la concussione e l’estorsione impunite sono correnti a Milano in Procura. Di Pietro s’era fatto dare nel 1992 cento milioni da un inquisito in carcere. Scoperto, assicurò di aver restituito la somma, in contanti, in una scatola da scarpe. Senza scandalo.  
Gli inquisiti di Di Pietro si facevano rappresentare da un solo avvocato, il famoso Lucibello. Di cui poi si persero le tracce.

“I bambini furono influenzati dai genitori”, questo il motivo dell’assoluzione al processo per abusi nella scuola di Rignano Flaminio. Lo sapevano tutti, a Rignano e fuori, lo vedevano. Tutti eccetto la Procura di Tivoli, che nel “processo ai bambini”, perché questo è stato, ne saranno segnati a vita, ha trovato una ragione d’esistere. E le psicologhe, per la parcella.

Presa d’assalto l’Opera di Roma in virtù dello spoil system, il sindaco Marino e il neo direttore Fuortes ne hanno minacciato il fallimento, dopo averne caricato il bilancio 2013 di 13 milioni di buco. Per far sapere infine che la legge Bray, in vigore da un anno e mezzo, evita le liquidazioni accollandosi le perdite.
Magari è una furbata. Ma l’Opera aveva raggiunto un’eccellenza che improvvisamente si è dissolta.

Il futuro presidente del calcio Tavecchio dice una scemenza. Poi dice che ha sbagliato, che lui intendeva il contrario. Cioè non capisce? Ma lui lo prende per un male minore, anzi per una dote. Lui e i suoi elettori.

Francia schierata a protezione della Corsica contro la Concordia e la Marina italiana. Col ministro della Difesa Royal sul ponte di comando. Una mano ai disperati del canale di Sicilia invece no? Da socialisti?

Anche la Corsica protesta, inalberando scritte necessariamente italiane. Sotto il comando dell’ammiraglia francese Royal.

“Vinceremo anche senza Conte”. Non è insensibilità – invece di dire grazie – ma la sindrome del padrone, quella di John Elkann. Da autodemolitore.
Il suo calciatore-dirigente Nedved  non è da meno, che demolisce uno degli uomini chiave della stessa squadra: “Chiellini è stato infantile”, per il morso ricevuto in Brasile.
Lunga vita dunque a Marchionne? Se questi mettono mano alla Fiat invece che alla Juventus è la fine. 

Renzi è il presidente del consiglio, è il segretario del Pd, è il presidente pro tempore della Ue, ed è il primo leader del Pd che vince un’elezione. Ma ha il partito contro. Democrazia? Ebetudine?

Buffon si fa fotografare in Grecia mentre bacia la D’Amico. A Skopelos? Gratis?

“Il re sente la fatica e la sua squadra ha il fiato corto”: non ha cessato di gufare la “Gazzetta dello Sport” anche in mezzo ai Pirenei. Un siciliano che vince il Tour dall’inizio alla fine? Una disgrazia.

Il giudice decide a Napoli l’arresto del deputato berlusconiano Cesaro che era stato richiesto due anni fa.

“Siccome il 40 per cento dei carcerati è in detenzione preventiva, lo stesso valga anche per i parlamentari”. Fino al 40 per cento?
È il diritto costituzionale ex Pci.

Il tank stealth Merkel sull’Europa sovietica

L’Europa, che solo venticinque anni fa era mezza sovietica, nel senso proprio della parola, ora lo è per intero, seppure in senso figurato. Naturalmente con  aggiornamenti, specie alla civiltà dell’informazione – che nella famosa analisi politica di Angela Merkel, l’unica che di lei si ricordi, fu quella che fece crollare il comunismo, civiltà della manifattura. Con telecamere a schiera, quindi, microfoni, talk show, battute, tweets. E col visagiste invece dell’imbalsamatore. Per il resto uguale: muta, occhiuta, segreta.
Manca Angela Merkel nel post “Europa sovietica” di mercoledì l’altro (http://www.antiit.com/2014/07/europa-sovietica.html). Perché entry voluminosa, per il rapido repertorio? Ma ne è la materializzazione. Storica: la “ragazza dell’Est” è arrivata all’Ovest che aveva 34 anni. Fisica: impenetrabile. E tecnica, o politica: fredda e radicale.
Si veda quest’ultimo punto. Angela Merkel semplicemente governa. Senza proclami e senza patemi, senza neanche campagne elettorale, semplicemente c’è. È di destra ma è anche di sinistra: niente ideologie, il sistema è di potere. Ha cambiato tutta la Nomenklatura, dalla presidenza della Repubblica al Bundestag, alla Bundesbank, alla Corte costituzionale, e ora da ultimo a Bruxelles, doveva aveva schiavi convertiti e li ha sostituiti con i professi. L’informazione molteplice e sollecita avocando uniforme, mai una faglia – una sorta di eco della stampa. Una che non c’è ma c’è, eccome. Senza bisogno di proclami, grigia e inattaccabile - grigia con un tank stealth, se ce ne fosse uno, un carro armato invisibile.

Essere uomo è un’utopia

È un’antologia ricavata da una ricerca condotta per conto dell’Unesco nel 1968, tempo di utopie. Su un’idea non vera ma suggestiva (con echi di Primo Levi): che tutte le culture conoscano e garantiscano un “diritto di essere uomo”, che questo diritto sia universale. Ha trovato, dice, molta retorica in forma di poesia. Ma anche tanto materiale da costituire un capitolo sul “Sé: l’individuo responsabile, la persona irriducibile”. Si tratta infatti non di essere un primate che va eretto ma uno pluraista e si spera pacifico. 
I testi di questo capitolo sono molti e confortanti. Oltre le profuse ramanzine di Dostoevskij, molta saggezza africana. Ce n’era bisogno, il mondo slavo e quello africano qualcosa hanno recuperato in questo mezzo secolo. .
Jeanne Hersch, Il diritto di essere un uomo

martedì 29 luglio 2014

Il mondo si allarga, l’Italia si restringe

Non c’è solo lo scavalcamento da parte del Brasile, nell’ultima graduatoria del Fondo Monetario, con la retrocessione all’ottavo posto tra le potenze economiche mondiali. Tallonata per pochi miliardi di dollari dalla Russia e dall’India – la Banca Mondiale, in un aggiornamento all’1 luglio, ricalcola il pil della Russia a 25 miliardi più di quello italiano. Questo se si resta alla graduatoria del prodotto interno lordo ai prezzi correnti. Per parità di potere d’acquisto, invece, l’Italia è già all’undicesimo posto, superata anche dal Messico, oltre che dall’India e dalla Russia. Tallonata da presso dalla Corea del Sud, che ha 50 milioni di abitanti, un sesto meno dell’Italia, e ha avviato la modernizzazione con vent’anni di ritardo, per l’invasione e la divisione.
Ma non c’è solo il ribaltone in classifica nell’ultimo “World Economic Outlook” che l’Fmi rende disponibile. C’è – alcuni grafici lo mostrano impietosi - che l’economia mondiale è cresciuta e crescerà in modo straordinario, mentre quella italiana è ferma. La constatazione che oggi la Cigl fa, che lavora appena un italiano su due, mentre erano tre su cinque pochi anni fa, si scontra con un’economia globalizzata nella quale il lavoro è cresciuto di un miliardo e duecento milioni in trent’anni. Il lavoro dipendente è cresciuto cioè di tre-quattro volte – è la ragione sufficiente della globalizzazione, di cui solo per snobismo si può non capire la portata e anche la necessità. Di quaranta milioni l’anno. Di oltre centomila posti di lavoro al giorno. Di settantacinque al minuto. In luoghi remoti, Shanghai o Shenzen, o Singapore, Giakarta, Hanoi, Mumbai, Lagos, ma non più tanto, il mondo si è ristretto.
Gli Stati Uniti sono passati da un pil di 2,9 bilioni di dollari nel 1980 a 17,5 nel 2013. E saranno a 23 mila nel 2030, calcola il Fmi. La Cina è balzata da 303 miliardi a 10 bilioni. E punta a 26 mila, a superare gli Usa. La Germania è passata da 826 miliardi a 3,9 bilioni. L’Italia da 470 miliardi a 2,2 bilioni. Ha partecipato a questa espansione, ma in modo limitato, e sempre marginale.
Sembra remoto il tempo, ed era solo trent’anni fa, meno, che l’Italia superava la Gran Bretagna come potenza economica, quasi alla pari con la Francia, al quarto posto quindi nella graduatoria mondiale. Poi venne il diluvio, con gli errori monetari a catena e gli errori politici, sotto l’attacco di Soros alla lira e quello simultaneo di Milano alle istituzioni. Che hanno liberato un ventennio di spaventosa corruzione, e di degrado della Funzione Pubblica - una storia che ha molti punti oscuri e forse per questo non si fa. Soprattutto sono stati ferali gli ultimi sette anni, quelli della recessione. Ancora nel 2005 l’Italia era solidamente la sesta in graduatoria tra le potenze economiche, avendo fatto posto alla Cina. – il Brasile era ancora doppiato, 1.800 miliardi di dollari contro 900.

La fantasia viene dal carcere

L’autore di Maqroll il Gabbiere si diverte a inscenare una storia di sesso caraibico – unidimensionale, alla Depestre ma senza l’allegria dell’haitiano. Gabellandola per storia gotica. Come scommessa vinta con Garcia Marquez sull’impossibilità di una storia  gotica ai Caraibi. E fa corpo con altre storie non convincenti: Bolìvar morente, santoni indiani, strateghi bizantini. Una perfino noiosa, una parafrasi incontinente e inetta, naturalmente caraibica, del sobrio racconto evangelico del tradimento di Pietro.
Una modesta compilazione di rimasugli – alcuni ricompresi anche nell’altra antologia, le “Storie della di speranza”, collazionata da Muis nel 2002 – questa è di quarant’anni fa. La riscatta il “Diario di Lecumberri”: una diecina di personaggi memorabili, sbalzati senza compiacimenti. Lecumberri è una prigione messicana, dve Musi passò un anno in attesa di giudizio, su querela per peculato da parte della Esso Colombia, la società petrolifera per la quale lavorava, che alla fine si rivelò essere un agguato politico tra opposte fazioni politiche colombiane. Il Messico, dove s’era rifugiato, dovette carcerarlo su richiesta della Colombia, ma lo trattò bene, anche per l’interessamento di Octavio Paz, e alla fine lo scarcerò, divenendo la patria adottiva del manager scrittore.
Le storie di Lecumberri sono reali, Mutis insisterà a Firenze (l’ispiratore di Fabrizio de André e confidente di Garcìa  Marquez, morto pochi mesi fa novantenne, amava Firenze) in lunghi colloqui con la sua amica Martha Canfield, che ne ha trascritto una parte, consultabile online. Ma non sono il solito esercizio su personaggi straordinari, sono carcerati modesti, drogati per lo più, che straordinariamente vivono nel racconto.
Álvaro Mutis, La casa di Araucaíma, gli Adelphi, pp. 176 € 10

lunedì 28 luglio 2014

Finisce l’Italia dei borghi

Il primo colpo glielo ha dato la demografia: senza più figli o con  un solo figlio non serve più avere due e tre case, e comunque non più quella del paesello, della famiglia, delle origini se non della nascita. Il secondo colpo glielo avevano dato anche le mutate abitudini di vacanza. Non più lunghi periodi, non più con la famiglia, non più con i parenti, ma vacanze brevi e brevissime, ripetute, in coppia o anche in solitario, nei luoghi più diversi invece che al solito posto e in compagnia. Il terzo, e probabilmente definitivo, colpo l’ha assestato all’Italia dei borghi la tassazione introdotta da Monti, che rende a priori insostenibile il costo delle case non abitate.
Una letteratura vasta e lusinghiera, di un certo tipo di famiglia ma anche attaccamento al territorio, e forse l’apprezzamento più genuino dell’Italia. Delle sue attrattive paesaggistiche e del suo modo di vita. Un apprezzamento urbanistico sempre più vasto, del borgo come nucleo sociale, come nucleo abitativo, come nucleo architettonico e paesaggistico. Nonché, da qualche anno, la scoperta da parte dell’Unesco, della civiltà dei borghi, che premia con riconoscimenti. Tutto questo potrebbe essere storia passata in Italia.
Per la prima volta dopo secoli, e anzi millenni, la disaffezione è diventata marcata. L’Italia “abitata”, degli ottomila Comuni, li mantiene ancora in vita come unità amministrativa ma in tanti casi senza più segni di vita. Non degni di nota. In Abruzzo, in Garfagnana, in Lunigiana, in Calabria si può dirlo come cosa vista: il degrado è sensibile dei vecchi centri abitati. Si lavora poco o nulla per il restauro. Molte case non si aprono da anni, con appesi cartelli scoloriti di “vendesi!”.

Questo lo Forte è forte

Chi l’avrebbe detto? Rocco Chinnici, il capo della Procura di Palermo che la mafia fece saltare in aria, come Pih ha fatto vedere l’anno scorso, per i trent’anni dell’eccidio, nel film “La mafia uccide solo d’estate”, non apprezzava il suo sostituto. Anzi ne sospettava, lo riteneva manutengolo dei giudici corrivi al malaffare. Lo Forte stesso si è illustrato in un falso processo a Andreotti: dieci anni di indagini, 120 mila pagine di atti istruttori, un’enciclopedia dell’andreottismo, e l’assoluzione – se voleva sbiancarlo c’è riuscito. Ora il Csm vuole assolutamente questo giudice a capo della Procura di Palermo. Questo Csm lo vuole, perché fra qualche giorno si insedia quello che è stato già votato, con una maggioranza non corriva. Da qui la corsa a nominare Lo Forte con precedenza sulla lista d’attesa di due anni per gli altri incarichi vacanti.
Il richiamo di Napolitano al Csm uscente di limitare l’urgenza a ricoprire “gli incarichi direttivi e semidirettivi vacanti da tempo” è stato visto dai lofortiani come un alt al loro uomo. Quindi come un’ingerenza nell’autonomia di valutazione del Csm. E se lo fosse? Quale è la ragione per cui Lo Forte deve assolutamente andare a Palermo?
Ma non è un’ingerenza, Napolitano non è un guerriero. È che: 1) la nomina di corsa di Lo Forte, con precedenza su tutte le altre carche scoperte, 2) da parte di un Csm di fatto decaduto, 3)per un incarico che sarà libero solo tra alcuni giorni, suscita preoccupazione più che interrogativi.

Gli orsi in Sicilia vengono meglio illustrati

Singolare malloppone dell’altrimenti inventivo Buzzati. In chiave di favola – che pure va via come le noccioline: venti ristampe nei pochi medi dell’edizione tascabile junior (senza peraltro scalare le classifiche: chi è che non legge?). Non fosse per le illustrazioni, che sono pure di sua mano ma sono narrative, in qualche modo memorabili. Nessuna verve, nessuna storia, nessun personaggio. Giusto una vicenda che oggi si direbbe politicamente corretta: il potere corrompe.
Dino Buzzati, La famosa invasione degli orsi in Sicilia, Oscar Juior, pp. 132 € 9,50

domenica 27 luglio 2014

Il Buon Tedesco e l’Astuzia Nordica

Opera palpitante, da affanno, sul Buon Tedesco e l’“astuzia nordica”. Di autore tedesco rispettato, anche allora benché ebreo, e amato, a mezzo secolo dalla morte ha tutti i suoi libri in circolazione. A fine 1932, primi del 1933 tutto si sapeva: le prepotenze, le violenze, gli assassinii, i campi do concentramento – c’è già Dachau, con 42 altri campi. Fino allo sterminio, il concetto se non la cosa. Intorno all’interrogativo: com’è possibile in Germania, cosa fa, cosa pensa il Buon Tedesco? Ma per questo ancora più terribile.
Una lettura opprimente  Di dettagli precisi, ribaditi, e semplici. Delle varie forme “naturali” che il destino prende nelle catastrofi. Si legge con angoscia. Che tutto fosse detto di Hitler, prima che avvenisse, senza enfasi, senza pregiudizi, una rassegna perfino disincantata, perché le cose erano manifeste – i fanatici e i profittatori, i deboli, i cinici - senza spazio per l’ipocrisia. Che è venuta, purtroppo, con la sconfitta: non si sapeva. Allora sì, si sapeva, tutti sapevano: “l’astuzia nordica” vi è ricorrente, l’ipocrisia. Che tutto riduceva alla “propaganda ebraica”. E veniva creduto, questo è il veleno del libro.
Un’altra epoca, un altro mondo. La Germania oggi lo legge. Questo “Oppermann” così come tutto Feuchtwanger, autore rispettato. E tuttavia si direbbe senza effetto, in tema cioè ancora col libro. Soprattutto pesa, alla lettura oggi (la traduzione – impossibile nel 1934 ad Arnoldo Mondadori, Ciano non se ne volle garante - fece una fugace apparizione nel 1946, subito rimossa dal recupero della Germania sul fronte antisovietico) l’insopportabile vocazione tutoriale che il tedesco si assume, ogni tedesco, anche il macellaio. L’astuzia nordica e il buon tedesco sono tra noi anche senza i “nazionalisti” – i nazisti qui sono nazionalisti
Queste marchiature sono dunque indelebili? Se alla quarta generazione dopo la sconfitta sono più vive che mai, antilatina, antislava, e al fondo antisemita,ora che la cosmopolita Repubblica di Bonn, la Germania occidentale da Amburgo a Colonia e Monaco,  è ritornata continentale e arcigna. Anche demograficamente, i milioni di prussiani e sassoni sommandosi alle famiglie all.rgate dei profughi revanscisti del 1945.

Lion Feuchtwanger, I fratelli Oppermann, Skira, pp. 349 € 19

Problemi di base - 191

spock

Dopo il Dio delle Scritture avremo quello della Faccette?

Perché non ha avuto mai il Nobel? Non quello della Pace, poiché è un combattente, quello della Letteratura

Come si fa chiamare negli altri pianeti?

E propone sempre lo stesso testo?

È corrucciato dopo Cristo, si divertiva di più sull’Olimpo?

Bel trekking si fa sull’Olimpo, il Vaticano a che gli serve?

Perché ha scelto Roma, e le resta fedele?

E di diverte, coi papi?


Dio è scrittore dunque, anche lui di un romanzo? 

spock@antiit.eu