sabato 23 agosto 2014

Secondi pensieri - 184

zeulig

Aristotele – È sprofondato sotto l’aristotelismo, e vi resta seppellito, con poche, ininfluenti, aperture. Si è perso senza demerito proprio, ma si è perso. E in quel Cinque-Seicento che rinnovò la civiltà, con la nascita dello spirito scientifico, sulla traccia dell’aristotelismo più proprio. Ma erain cattedra, e rovinò con quella. Le controversie di Padova e degli aristotelici contro il “padovano” Galileo, metafisiche e di metodo, che invece era propriamente aristotelico, sembrano risibili. Di Anton io Rocco per esempio, che invece era solo un libertino. O di Cesare Cremonini, lui vero eretico, sostenitore della mortalità dell’anima, “amico” di Galileo. Ma hanno indotto in errore la chiesa, rovinato la vita, se non l’opera, di Galileo, l’uomo aveva tanta forza da reggere da solo alla chiesa e ai cardinali, e seppellito Aristotele.

Corpo - “Noi non possiamo liberarci dal corpo”, stabilì san Gregorio Palamas, apostolo della vera fede. Del nudo classico che l’Occidente ha ereditato, quello maschile è nell’arte il Cristo in croce, più i san Sebastiani - è questo che fa la superiorità delle mistiche sui mistici? Nudo è l’uomo, e la donna, nessun altro animale è mai nudo. L’Oriente non ha nudi, l’Oriente dell’Occidente, ma ha il corpo. Se non fosse ritenuto blasfemo si potrebbe anzi dire il corpo l’esicasmo della materia, preghiera laica.
A Oriente Dio non sta fuori dal mondo. E il corpo non subisce la divinizzazione passivo, ma vi partecipa. “È esicasta”, aveva spiegato Climaco  nella “Scala al cielo”, “chi cerca di catturare nel corpo l’incorporeo”. Il segreto è l’accettazione del corpo, che sarà classico ma è vivo in quanto è ortodosso. L’esilaramento è tutto qui. Nell’autexusia, direbbe Palamas: divinizzarsi, autonomizzarsi, pensare libero.
Il santo prefigura l’“Io corporale” di Norman Brown. Esicasmo è la preghiera assidua, ritmata dal respiro, che conduce all’esichìa, la serenità d’animo. E il corpo è il canto vivente, l’armonia delle sfere. È Spinoza, l’unità del corpo e della conoscenza.

Non c’è solo le “e” del “Filioque”, c’è il corpo di mezzo tra Occidente e oriente cristiano, tra il fondamentalismo ortodosso e Roma. Nell’ultima controversia sostenuta a Bisanzio a metà Trecento in vista di un concilio riunificatore, l’inviato del papa, il monaco di Seminara Barlaam, pretendeva autonomia per il sapere “esterno”, esterno alla fede, sulla base dei Vangeli e di san Paolo. Ma agli esicasti rimproverava di voler mantenere l’intelletto nel corpo. Fu facile a Palamas obiettare che il corpo non è l’opposto dell’anima, e anzi deve avere “una natura conforme a essa”. E che, Dio essendosi incarnato, i doni dello Spirito Santo passano per il corpo, le mani, gli occhi, la lingua.
Al Concilio Tridentino Barlaam fu creduto due, uno d’Oriente e uno d’Occidente, uno sconosciuto.

Il corpo è lo spirito, dice san Paolo.

Il sesso per sé, per la durata e l’intensità dell’orgasmo, non porta in nessun posto, se non a gioiosi intervalli, come bersi un’aranciata. Non all’amore, all’avventura, alla creazione, all’illusione della creazione. Il corpo ha certo un’anima. Estetica per i greci, magica per i primitivi, spirituale e filosofica per i mistici, e ora, pare, psicologica. Ma, secolarizzato, vibra meno d’una partita  di calcio, e non elimina le tossine. Certo, non richiede coraggio.

Dio – “Dio vuole gli dei”, dice Novalis. “I territori, al pari di mari e città, hanno le proprie divinità”, aggiunge René Gustav Hocke, letterato fine, l’ultimo Grande Viaggiatore, nelle vesti romantiche di “Manfredi”, al Sud, lasciando Napoli per la Magna Grecia. Sul fiorire, che avverte sensibile, in giovane età e oltre, di questa magia.

Paternità - Il figlio scopre il padre ai sessant’anni. Qualche volta ai cinquanta. Ai sessant’anni suoi, di figlio, quindi raramente.
Il maschilismo non sarà (stato) una copertura, comoda? Per coprirsi, potendosene lamentare. Anche l’attribuzione del lutto, ininterrotto dai diciotto-venti anni in su, condannava le donne, o non le preservava?

Processioni – La decadenza nasce e si rafforza con l’abbandono dei miti. La morte della religione dopo la morte di Dio – dove conduce l’io-e-il-mio-Dio della riforma lo sappiamo da Nietzsche, i vescovi farebbero bene a leggerlo. I vescovi di Palmi e Locri che le processioni bandiscono perché “residui di paganesimo”, non sono luterani, sono ordinati. Non nel senso del sacramento ma dell’ordine borghese, del decoro, la proprietà, i buoni sentimenti e la ragione spicciola. Di ogni cosa al suo posto, smacchiata e, se possibile, inodore. Figurarsi poi il sudore.
Non c’è più la divinità dell’uomo. Non c’è nemmeno la divinità, il concetto - il divino esiste solo se incontra l’umano, nel mito, nel rito, nell’inconscio.

Statue – L’amore delle statue si chiama agalmatofilia, ma è diffuso. Non solo tra gli scultori. La Venere di Cnido, famosa per eccitare gli osservatori, non è un caso isolato. Né il Pigmalione di Ovidio, una passione di tale intensità da trasformare la statua in persona viva. L’amore vi prende diversa valenza.

Riguarda però forme perfette. Solo statue femminili a Olimpia, stadio degli agoni maschili. L’uomo è - era - satiro, un mezzo capro. La statua maschile deve aspettare Michelangelo, e piuttosto torcersi, tormentarsi – il David è di culto perché è, era, un’eccezione.

zeulig@antiit.eu

Aristotelica, anche l'improsatura è fredda

Una parodia del “Convito” di Platone, con la perorazione dell’amore socratico, dell’improsatura. A titolo di sfottò forse, non pruriginoso – l’amore dei filosofi si vede che è triste, anche quello gaudente. È un “libretto di Carnevale”, 1641. Rocco è filosofo della scuola aristotelica padovana nel primo Seicento, il cui nome si ricorda per questo libello – e per aver denunciato l’antiaristotelismo di Galileo.
Antonio Rocco, L’Alcibiade fanciullo a scola

venerdì 22 agosto 2014

Ecco il "1984", di Giorgio Napolitano

“Sarà possibile intercettare con «sufficienti» indizi di colpevolezza, per più tempo, e senza l’ok del giudice”. Cioè sempre e ovunque, il romanzo “1984” di Orwell tradotto in realtà. La riforma della giustizia di Napolitano lo renderà immortale, ma non solo presso i maniaci della lettura. Il ritardo è di appena trent’anni. Ma giusti giusti, si può dirla una celebrazione.
Su “la Repubblica”, che anticipa la “riforma” delle intercettazioni, Liana Milella dice che non basta. La principessa delle croniste giudiziarie dice che così si limita la giustizia: “Limiti ai pm e mini-bavaglio ai giornali, la stretta in arrivo sulle intercettazioni”. Come se i lettori di “la Repubblica” non sapessero leggere.
Tutto questo il giorno dopo la giubilazione – siluramento si diceva al tempo dell’Urss – di Palmiro Togliatti, col suo linguaggio doppio. Napolitano, Milella e “la Repubblica” non se ne sono accorti?

Le teste mozzate moltiplicano l'islam

Le decapitazioni in rete, ora come ai tempi eroici di Al Jazira, la televisione del sultano, si presuppongono un atto di guerra. Di dissuasione nei confronti dei nemici, più spesso gli Usa. No: servono a incrementare l’entusiasmo e il volontariato tra  fedeli. E alimentano il proselitismo: mai tante conversioni all’islam come in questi anni di terrorismo.
Gli Usa, o la Gran Bretagna quando sarà, non possono che rispondere con le bombe, anche se non ne avevano voglia: lo “spettacolo” impone una reazione, non la dissuade. Senza dire dei palestinesi e di Gaza, che la decapitazione ha fatto sparire dalle cronache e ogni possibile trattativa di pace.
Ogni eccesso di crudeltà islamica viene magnificato come un caso di superiore arte della comunicazione. Questo è indimostrato – se alimenta il proselitismo, provoca la reazione. Ma è indice della cultura del millennio: solo l’eccesso ha una funzione.


L'amore non c'entra nelle storie d'amore

Di che rivedere il femminismo, e l’amore. Trentasei storie tutte eccezionali, che lo scrittore greco Partenio raccolse per il suo amico poeta latino Cornelio Gallo, come repertorio per le sue esercitazioni, “un pro-memoria” lo dice nella dedica – i poeti non hanno il tempo di sperimentare le passioni su cui si esercitano? Storie della mitologia, di illusioni, delusioni, trucchi, tradimenti, e tradimenti di tradimenti. Da sempre, si vede, giocate tra la passione d’amore (la volontà di amare) e le sue esigue vicende.
Tutte storie, quindi, che finiscono male, qualche lieto fine è casuale. L’amore dei greci, premette il curatore Guido Paduano, è “perduto e subalterno”, per una “sua sostanziale estraneità alla persona umana”. Se è vero, è da mani nei capelli. Una concezione “essenzialmente apologetica (chi pecca per amore non è veramente colpevole, perché l’amore non dipende dalla volontà dell’uomo, è il prodotto di una forza esterna e irresistibile che si impadronisce di lui)”
È “assolutamente singolare in questo corpus… quello che pure diventerà lo schema narrativo canonico delle vicende amorose”, nel romanzo greco, in quello imperiale, e infine europeo: lo schema dell’amore ch trionfa sulle invidie (degli dei) e sugli ostacoli. Anche i meglio innamorati trovano ostacoli e incidenti: collane malefiche, morte in guerra, sacrifici rituali, verginità intolleranti, la caccia, più spesso al femminile. Con rovesciamenti normali di ruoli, la donna cacciatrice, l’uomo confidente, la donna impavida, l’uomo vile, etc., - un altro tassello alla revisione della vulgata femminista.
Partenio, Pene d’amore, Ets remainders, pp. 118 € 3,36

giovedì 21 agosto 2014

È morto Togliatti

Non c’è Togliatti nel Pd a 50 anni dalla morte. Non alla Rai né negli altri media fiancheggiatori, “la Repubblica”, “la Stampa”, “Corriere della sera” (il “Corriere della sera” ha rimediato adesso, con un pezzo affrettato).  Lo ricorda, a sinistra, solo il giornale di Sansonetti, “Il Garantista”, con molti nomi eccellenti, Biagio de Giovanni, Macaluso, Pietro Mancini, etc. Insieme con i media moderati, il gruppo del “Quotidiano.net”, “Lettera43” e pochi altri.
Appena una settimana fa l’ex leader dei Popolari Fioroni aveva proposto di mettere De Gasperi a santino del Pd. È una conferma, insomma, che il Pd è ora saldamente dc. Ma nell’ex Pci nulla è mutato: resistono sempre l’albagia, la faziosità, il sospetto. Che i media coltivano. Il Pci è in realtà il partito di Berlinguer, che invece il Pd e la sua Rai, con tutti i giornali fiancheggiatori, hanno celebrato in quantità straordinarie.  
Più che la morte di Togliatti la disattenzione odierna, opportunista, sancisce la sterilità del suo comunismo. Ci ha provato, anche lui, a migliorali, e non c’è riuscito. Diremo il Migliore il Grande Incompiuto. Anche nell’intelligenza: non ce ne vuole molto per scoprire che si incensa in sua vece Berlinguer perché cretino politico – uomo probo, virtuoso, devoto di Maria Goretti, etc., buono per i vescovi e i massoni.

Il mondo com'è (184)

astolfo

Adua – Gli italiani non furono i primi a farsi battere dai neri africani. Primi erano stati gli inglesi, nella guerra anglo-zulu del 1878-1879. Il 22 gennaio, sotto il monte Isandlwana, un reggimento di 1.800 effettivi, in gran parte britannici coloniali, con pochi ascari, e due cannoni, fu quasi annientato dagli Xhosa. L dramma di Adua fu la dimensione: le truppe italiane erano dieci volte tanto, 17.700 uomini. Settemila dei quali morirono, con 1.500 feriti, la metà. Il ministero della Difesa inglese subito bilanciò il disastro di Isandlwana con una “vittoria” a Rorke’s Drift. Un fortino dove il 22-23 gennaio un paio di centinaia di soldati della regina Vittoria resistette a un assedio Xhosa e anzi lo respinse.

Crimea – Si dimentica la Crimea nella crisi ucraina. Considerandola forse riannessa alla Russia. Come quarto stato della Federazione.  È la terra anticamente dei Tauri, o Scizotauri, rinforzati dai Tartari o Tatari, bellicosi e irriducibili come i primi. Anche se oggi, stranamente, filorussi, invece di cercare apparentamenti o alleanze sul versante Sud del mar Nero, in Turchia, paese al quale sono legati dalla lingua e dall’islam. Erodoto diceva i Tauri una popolazione che viveva “esclusivamente di guerra e saccheggio”. E a sacrifici umani. Poi addomesticata dai greci e dai romani, ma non del tutto. E comunque subentrata dai tatari, sempre irriducibili benché borghesizzati.

Destra-sinistra - Travaglio che sposta “Il Fatto Quotidiano” sull’arrestateli tutti è uno che ritorna alla casa del padre, o madre, cioè del fascio. Era uno troppo di destra per Berlusconi quando glielo fecero assumere al “Giornale”. Ma ci ritorna dopo essere stato a lungo il columnist e la coscienza della sinistra, dall’“Unità” a “Micromega”. E ci ritorna con metà delle Procure italiane, che erano e sono “finiane” cioè dell’ex Msi. Anche Fini di sinistra non è male.  

Digitale – Più che altro, per ora produce errori – s’intende la stampa digitale: refusi, salti di parole, errori di sillabazione, correzioni automatiche invisibili, nomi propri e geografici storpiati.  Una dozzina di libri letti di fila, di stampa recente, ne contengono almeno uno si può dire a ogni pagina. Libri anche di editori considerati: Bompiani, Rizzoli, Einaudi, Bcd.

Femminismo - S’incontrava nell’unica forma incontrovertibile a Mosca. Della donna che faceva quello che fa l’uomo: i lavori pesanti, in fabbrica, nell’edilizia, e i turni di notte. Senza una casa di cui curarsi – nell’eguaglianza: la donna come l’uomo. Poteva on sposarsi e non si richiedeva che facesse figli. E poteva non truccarsi né depilarsi, alla sola condizione di lavarsi, operazione non difficile, le docce erano diffuse, l’unica comodità sovietica. “Forse le donne hanno fatto il più grande sacrificio alla rivoluzione”, notava Corrado Alvaro in “I maestri del diluvio”, le sue corrispondenze da inviato nella Urss anni 1930, “quello della bellezza e della grazia” - ma lo scrittore, in questo, era passatista. Una comodità del regime, comunque, e non una liberazione: la moltiplicazione della forza lavoro, e il lavoro come obbligo.
La donna non si distingue solo per la maternità. Ma è nell’immaginario universale e da sempre, e quindi ormai “naturalmente”, innaturale: si cura e si atteggia. La donna che lavora non fa un lavoro duplice (lava, stira, cucina e rifà i letti) ma triplice, poiché deve curare l’immagine. Ogni mattina, e poi durante il giorno. Il primo lavoro doppio lo può dismettere, se è single o poco casalinga, il secondo no.

Odio-di-sé – Si può dire la passione dello stereotipo, l’abbandono allo stereotipo. Una sorta di voluttà masochista. È esercizio molto diffuso, anche nelle migliori famiglie. Compresa la coppia propriamente detta, familire, nei confronti del mondo extrafamiliare, che è sempre “migliore”.
È la forma forse più insidiosa di servitù volontaria. Che rigenera e affina gli strumenti del dominio a opera dello stesso dominato, per un impulso irresistibile. Seppure culturale, storico, palesemente, ereditario, e non razionale.

Russi – Vittime sempre della perfida Albione. Già dal tempo di Napoleone, che sconfissero per primi e prepararono alla disfatta. Lo stesso con Hitler – sebbene Londra li avesse obbligati al patto Hitler-Stalin. Vincono troppo? Hanno perso in Afghanistan, ma lì anche gli Usa – mentre l’Inghilterra ha sempre saputo che non ce l’avrebbe mai fatta.

Tradizione – La chiesa, che ne era stata la custode tenace, le oppone il più radicale rifiuto. Niente più rito, niente più mito, niente più immaginazione (artistica, vestimentaria, musicale). E anche la parola è seccagna – niente più salmi, solo parabole e preghierine per tutti.
Una forma di democrazia che è invece il disprezzo del popolo.  Il popolo ama la tradizione, è il suo punto di consistenza: nelle grandi famiglie, nei paesi, tra gli emigrati. Il culto è uno dei legami più forti, più intensamente vissuti, nella periodicità, nella certezza.

Il rigetto della tradizione si vuole segno di modernità. Cioè di ragione. Ma è ragione a basso voltaggio: diffonde l’incertezza e l’insicurezza tra i deboli. È palesemente infertile il papato di Francesco, che ha già un anno e mezzo di vita. Soprattutto coi deboli di spirito ai quali preferisce rapportarsi.

astolfo@antiit.eu 


Deledda forse era Aleramo

Due storie assembla Pirandello, e un personaggio e mezzo. La prima storia è di Roma primo Novecento, pettegola, apatica, insieme inetta e divoratrice. La seconda è della Val di Susa – sì, c’era già un romanzo della Val di Susa ideale (i biografi non sanno dire che Pirandello ci sia mai stato) un secolo fa. O della “sana” vita provinciale e agreste, probabile trasposizione dell’infanzia e l’adolescenza dell’autore sotto la Valle de Templi ad Agrigento, sia pure con le ipocrisie e i conformismi del Piemonte. Il personaggio è il marito di una moglie scrittrice, che con lei è venuto dalla provincia a Roma per sostenerne il successo. L’altro personaggio, sfocato, è la scrittrice stessa, che si rifiuta al ruolo di moglie.
Titolo infelice di un romanzo trascurato, per primo dall’autore. E tuttavia storicamente interessante, su Roma e l’Italia alla vigilia dell’impero, in Libia e oltre, sul tipo della scrittrice, la donna che irrompe da protagonista nel mondo delle lettere (Grazia Deledda, o forse Sibilla Aleramo), e sulla coppia o il matrimonio, il rapporto familiare lui-lei che sarà tanta parte delle “Novelle”, invece ottime, e del teatro di Pirandello.
L’originale, intitolato “Suo marito”, fu concepito da Pirandello come una satira del marito di Grazia Deledda. La quale era in effetti venuta dalla Sardegna a Roma, per liberarsi dell’etichetta di scrittrice sarda, con un marito come il Giustino del romanzo, anche se senza diventare l’amante del suo potente patrono letterario e politico della capitale – il senatore Ruggero Bonghi. Più dubbio è alla rilettura che il personaggio di lei, Silvia, sia modellato su Grazia Deledda: il modello era persona socialmente schiva, mentre Silvia è una che, seppure con riserva d’autore, creativa, capace, ci marcia.
Silvia resta sullo sfondo del romanzo, ma tutto il contorno, l’amante importante, il figlio rifiutato, con la famiglia, il carrierismo, la separazione, rinvia, più che a Deledda, a Rina Faccio, alias Sibilla Aleramo. Inconsciamente, è probabile, ma è su questa che Pirandello modella la scrittrice: Sibila era e si voleva personaggio femminista, e scandalistico, a differenza di Deledda. Era milanese e non provinciale, ma abbondantemente provincializzata, nell’adolescenza e la prima giovinezza. Nonché “creata” a Roma dal compagno Giovanni Cena, su cui in tutto l’amante di Silvia nel romanzo, Maurizio Gueli, è ricalcato, come autrice di successo e nello stesso pseudonimo, tratto da Carducci.
Ma il marito è quello di Deledda. Deledda si urtò, e Pirandello ritirò il romanzo. Lo riprese nel 1931, per migliorarne la scrittura, ma s’interruppe al quinto capitolo, a metà circa. L’edizione corrente è apprestata dal figlio Stefano. Resta un libro umoristico, e per questo mediocre, nell’insieme dell’opera di Pirandello. Lo si fa rientrare nella misoginia di Pirandello, che invece non era misogino. Più, semmai, dovrebbe rientrare nell’antipatia di Pirandello verso i padri, a partire dal suo proprio, e quindi verso i mariti – Pirandello ha costante, in tutta l’opera, una visione postmoderna nel senso comune, postfemminista, del matrimonio e la coppia. Giustino Roncella è uno che vive all’ombra della moglie, Roncella è il cognome della moglie. Una storia mediocre oggi forse perché troppo comune, nel femminismo d’ordinanza. Non fa ridere cioè, e nemmeno piangere. Sciatta anche, nella revisione – non risolta, ambigua.
La storia originale invece era di femminismo sincero: Pirandello aveva riconosciuto le qualità di Grazia Deledda fin dall’esordio vent’anni prima. Sulla sua consistenza aveva creato il marito-saprofita, il marito rinominato dalla moglie. Ne scriveva così il 18 dicembre 1908 a Ugo Ojetti: «Manderò pure al Treves, spero in aprile, il romanzo «Suo marito». Son partito dal marito di Grazia Deledda. Lo conosci? Che capolavoro, Ugo mio! Dico, il marito di Grazia Deledda, intendiamoci…” – Ojetti, il principe allora delle lettere, non apprezzava Deledda e Pirandello si cautelava. Il personaggio della “giovane e illustre” scrittrice, tuttavia, Pirandello lasciò sullo sfondo, anzi caricandola aneddoticamente di una personalità altra. Un altro modo di esprimere la sua ammirazione, cioè, di non coinvolgere lei nello sberleffo, che è invece mirato sul marito e la società romana. Contro lo scetticismo, e anzi l’irrisione, di Ojetti attribuendole anche la trama di un “dramma di grande successo”, “L’isola nuova”, che poi Pirandello riprenderà in “La nuova colonia”. Il dramma è una “tragedia selvaggia”, dice ammirativamente in “Suo marito”, che fa rivivere Medea in “un’isoletta del Jonio, feracissima, già luogo di pena di reietti”, prostitute e barboni, “abbandonata dopo un disastro tellurico…”. Nuovi vincoli vi si formano, un po’ come in Grecia si creavano i miti, basati sulla maternità e la fedeltà, il cui tradimento merita la morte, come avverrà con Medea e i figli.
L’ultima edizione si segnala per essere stata curata quarant’anni fa, negli Oscar, nella Biblioteca dei Classici Italiani diretta da Giuseppe Bonghi!, da Corrado Simioni, lo studioso che le cronache avrebbero poi voluto a capo di una struttura terrorista, o antiterrorista, quale sarebbe stata una sua scuola di lingue a Parigi, Hypérion. Una storia infetta, da emigrati politici – quelli di Parigi sono sempre stati infiltrati, rissosi. O di invidia per la sua compagna, nipote dell’Abbé Pierre – una piccola copia del “Giustino Roncella”?
Luigi Pirandello, Giustino Roncella nato Boggiòlo

mercoledì 20 agosto 2014

Problemi di base - 193

spock

O mi danno più soldi o ritratto tutto, è la giustizia del pentito: giustizia?

O si raddoppiano le intercettazioni o non si fa la riforma: della giustizia?

Ma non siamo già tutti intercettati: cos’altro vogliono in realtà i giudici?

E i cronisti giudiziari?

Le pensioni non si toccano: ma solo quelle dei giudici?

E se si abolisse l’art. 18 dei giudici?

Che riforma ci chiede la Ue, di quale giustizia?

E a proposito degli immigrati
Non sarà Alfano
Un ministro confuso
Che sta lì per caso

A rimestare il grano?

spock@antiit.eu

Quanto sono prolissi gli scandinavi

Mankell e il suo Wallander sono sempre giusti. Sui fatti dell’epoca, e dalla parte del diritto. Con una polizia sciatta, come tutte le polizie: superficiale, sprovveduta – la Provvidenza del delinquente, si potrebbe dire, se non fosse blasfemo. Qui sulle malefatte di una lega di Afrikaners, gli olandesi razzisti del Sud Africa. Rileggendo il giallo vent’anni dopo la prima pubblicazione, se ne apprezza anche l’approccio giusto al passaggio, che allora era un’incognita, verso il Sud Africa nero di Desmond Tutu e Nelson Mandela. Ma perché gli scandinavi sono così prolissi? Si pensa la Svezia come un paese dai lughi silenzi, bergmaniano, ma...
Si può “saltare” senza perdere nulla, ma è una consolazione?
Henning Mankell, La leonessa bianca, Marsilio, pp. 554 6,90

martedì 19 agosto 2014

L'articolo 18 non esiste

L’art. 18 non esiste di fatto
Poiché io sono stato licenziato
Col consenso del sindacato
Alla Cgil affiliato
Dopo che un milione e settecentomila cristi
Prima di me erano stati licenziati
Con l’accordo dei sindacati
Vent’anni fa, prima che i giornalisti
Le “riforme” s’inventassero
A beneficio dei padronati.

ll successo alla sprovvista

“L’inevitabile mi prese alla sprovvista”. È il romanzo più venduto del 2012. Alla sprovvista?
I ringraziamenti sono tutti per l’autore, sette pagine aggiuntive.
Massimo Gramellini, Fai bei sogni, Longanesi, pp.211 € 14,90

Ombre - 232

Domenica il “Sole 24 Ore” rievoca De Gasperi. Lunedì Fioroni propone De Gasperi al festival dell’ “Unità”. E martedì?
Alla vigilia dei cinquant'anni della morte di Togliatti, rimosso integralmente.

“Strage di estremisti islamici in Irak e Siria”: da qualche tempo le ong e i titoli dei giornali sono cambiati. Non è mai troppo tardi? Il fronte unmanitario ha cambiato casacca?

Sublimi Grillo e al sua armata Brancaleone alla prova della politica estera – la stupidità è sublime. Per la geografia. Per il senso delle parole. E poi ci sarebbe la diplomazia – come si fa a spiegare chi sono questi “terroristi islamici” a Di Battista?

 L’Europa ha scelto Poroschenko per difendere la democrazia in Ucraina. Cioè un affarista arricchito a spese dello Stato. L’Europa si vuole male, è una possibilità.

Una guida inglese dice che sull’autobus 64 a Roma è facile essere borseggiati. Il sindaco Marino si sente diffamato e s’infuria. Ma se lo sanno tutti, d a almeno cinquant’anni, che sul 64 si viene regolarmente borseggiati. Allora è vero che Marino è un corpo estraneo a Roma?

La giustizia ci ripensa a Napoli e dice che il deputato Cesaro non va più carcerato, dopo che per due anni aveva aspettato a ordinarne la carcerazione, per camorra. Non è mai troppo tardi?

La giustizia napoletana ha liberato Cesaro due giorni prima che la Camera si riunisse, con procedura eccezionale in prossimità  del Ferragosto e delle giuste ferie, a votarne la carcerazione. I giudici d Napoli l’hanno fatto a dispetto? Agitare una carcerazione agli integri deputati e poi sottrargliela? O a favore, per lasciare i deputati alle giuste ferie di Ferragosto?.

L’Occidente si riscopre – si rifà - protettore del cristianesimo proprio mentre la chiesa cattolica, la metà abbondante del cristianesimo stesso, si nega. Poi dice che non c’è il diavolo.

“Corrono solo le economie dei paesi emergenti e degli Stati Uniti”, dicono i giornali. No, corrono anche le economie europee fuori dell’euro: Gran Bretagna, Norvegia, Danimarca, e la Russia – che pure è un paese, e anzi un paese grande, benché ci ostiniamo a trascurarlo. Come non vederlo?

Napolitano chiede una riforma della giustizia “condivisa”. Cioè nessuna riforma. L’uomo è sempre quello, un pavido.

In lite sono la madre biologica e i genitori genetici. La cosa è seria, e non se ne può ridere – è seria per il bambino che ne è nato e avrà una vita di tormenti. Ma a che cosa può condurre l’egoismo? Perché fare un figlio in queste condizioni è un atto di egoismo. Si vede dalla facilità con cui s’infrangono i patti. Compresi quelli non scritti dello scambio di provette.

La ricchezza perduta del Sud greco

Manfred, appellativo romantico dello scrittore da giovane, “un giovane tedesco”, è già insofferente nel 1960 del “parlare a sproposito dell’essere europeo”, della “pomposità retorica contemporanea dell’assioma di «Cittadino Tedesco  della Nazione Europea». Si parte così, per questo viaggio di formazione, inanellando perle. C’è già anche il ballo delle tarantate, che tanta antropologia avrebbe prodotto.
Gustav René Hocke è viaggiatore acuto, uno che fa sorgere le sorprese dall’ordinario. La vecchia Taranto ricorda “ricca di due molluschi, il murice e la vongola da seta”, da cui ricavarono per secoli, accumulando “barre d’oro e d’argento”, una “mussolina purpurea di seta” che faceva strage in tutto il Mediterraneo ricco. Nel fervore religioso è distinta “una sorta sensualità acerba delle pratiche magiche, la metamorfosi dell’Olimpo in una processione di santi, Maria sopra Minerva, sopra Giunone”. Della “gente apparentemente e allegramente sognatrice”: “Occhi pieni di malinconia possono esercitare un grande fascino, ma questo agisce come veleno strisciante, se la loro tristezza annuncia solo forme ottuse di arrendevolezza”.
A volte dà più di una suggestione: “In questo paesaggio sperduto la pace del «Nulla senza volto» regna sovrana… In questo paesaggio la natura incontra la storia dell’esistenza umana. Da allora, traccia il suo volo circolare solo l’atemporalità, il sommesso «ascoltarsi dentro di sé», il terrificante: la mancanza, l’incapacità del ricordo, il cieco annullarsi in un oceano di luce”. O nel 1939, nella prima edizione del viaggio, il senso pratico di Heidegger dopo Nietzsche: “Questo mito dell’essere si sta per convertire in un’immagine simbolica creata dall’uomo e dai contorni ben precisi, fata di calore sensuale e di bonaria semplicità – la Gemütlichkeit? O i miti come “incontro uomo-divinità”.
Hocke ha un fondo di cultura molto spesso. Che lo aiuta a estrarre molto dal poco o nulla. Oggi dimenticato, forse per aver scelto Roma a sua patria di elezione, è scrittore sensibilissimo, oltre che lo studioso e restauratore, allievo di Curtius, dell’arte fantastica e del ma nierismo, con i titoli di culto “Il Mondo come Labirinto” e “Il Manierismo nella Letteratura”.
Gustav René Hocke, Magna Grecia. Escursioni letterarie attraverso il Meridione greco d’Italia, fbe edizioni, pp. 231 ill. € 16

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (216)

Giuseppe Leuzzi

“Il Venerdì” recupera la Sicilia inviandoci Matteo Nucci. Ottimo scrittore certo, ma ci voleva un romano, romanista, tottiano e anzi zemaniano, come dire un provinciale, seppure di lusso, per scoprire Mozia e Tindari. Per aprire le finestre del palazzo dei Normanni dove i suoi Crocetta si sono fatti rinchiudere - che è solo una pratica igienica, elementare. 

La latinizzazione del Sud fu forzata, dai Normanni a Mussolini. I Normanni ebbero via libera dal papa alle scorrerie nel Sud Italia per scacciarne i bizantini e il culto ortodosso, prima che i saraceni. Mussolini volle latinizzata anche la toponomastica. Una modernizzazione e una semplificazione, nel senso dell’uniformità. Più cattiva o più buona? È stata sprecata in Alto Adige, per esempio. Ma al Sud questa uniformizzazione ha creato insicurezza – inconsistenza.

Le processioni in Calabria viste da vicino non sono un problema di ordine pubblico ma della chiesa.
Chi non considera la Madonna pagana, o mafiosa, deve però andare cauto. “Stiamo vivendo un periodo in cui è più importante la forma che il contenuto”, scrive criptico sul “Garantista Calabria” don Pino Strangio, rettore di Polsi, il santuario con la più lunga continuità di culto in Europa, da almeno 2.500 anni. È alla vigilia della prima celebrazione – il 2 settembre – senza festa. Ma non è questo che lo preoccupa: “Sentendo le persone che visitano il santuario, percepisco l’assoluta svalutazione della legalità per come è presentata. C’è molta disinformazione tra i contenitori di legalità e illegalità, mafia e antimafia”. In una regione in cui lavora una persona su tre.
I vescovi calabresi che soprattutto si preoccupano di abolire le processioni sono in effetti preoccupanti.

Rileggendo Dalla Chiesa sul “Fatto Quotidiano”-  il rapporto della sua Commissione sul malaffare a Milano - non si finisce di sbalordirsi: “Si aggiunge come nell’occasione fosse stata riscontrata una significativa presenza di padroncini calabresi nello svolgimento di lavori che pur si realizzano a forte distanza dai comuni di loro residenza e per somme singolarmente modeste”. Un professore della Statale. E Pisapia lo paga per questo?

La malaria e il giardino delle Esperidi
Il primo colono di Sibari, che vi importò le risaie, era di origini venete. Vi si dedicò dopo che una rabdomante altoatesina vi aveva trovato l’acqua. L’impresa fu difficile: i terreni erano cinque metri sotto il livello del mare, l’area era da un millennio abbondante infetta – acquitrinosa, malarica. Ma il signor Candido ci riuscì. Questo sessant’anni fa, poco più. Oggi la piana di Sibari è un giardino delle Esperidi. Vi fioriscono gli agrumi, arrivando sul mercato come primizie (clementine) e come prodotti tardivi (ovale di Calabria, succosissimo a giugno, e perfino a luglio), varie qualità di pesche, le albicocche. Mentre le risaie arricchiscono anche la diocesi  di Cassano, cara al papa Francesco.     
Sono veneti da una diecina d’anni, prima padovani ora pure trevigiani, i “valorizzatori” di Rocca Imperiale, un borgo dalle mille attrattive. Comprare con costava – e non costa – nulla, e si rivende al doppio e al triplo in breve tempo con pochi ritocchi. Tra le invidie e le maledizioni dei paesani.
Gustav René Hocke, che a Sibari incontrò Candido, il risicultore di origine padovana molti anni fa, censisce con grandi lodi anche un ottimo Greco di Gerace, un vino bianco derivato dall’uva greca, molto diffusa tra Metaponto e Gerace. Anche il nome sembrava ben trovato, un brand nato, e invece: mentre sul vitigno greco altre aree d’Italia hanno costruito, seppure con difficoltà, degli imperi, il Greco di Gerace si è perso. Il Greco di Lamezia, tentato una diecina d’anni fa, è scomparso dopo tre o quattro anni. Il Critone, che al greco aggiungeva una modesta quantità di sauvignon, per un esito molto gradevole, pure. Il Cirò bianco, che era al 100 per cento di uva greca, da qualche anno si mescola al trebbiano, per farne un “vino da tavola”. Manca più la capacità o l’ambizione?  

Calabria
Il giornale di Travaglio accompagna il regesto Dalla Chiesa col parere di Salvatore Malagò (Magarò?), consigliere regionale Calabria. Uno che vuole “presentificare alla Regione Lombardia…” Ora, è vero che Malagò-Magarò è calabrese, ma non c’è  tanta ignoranza in Calabria.
Il problema è che Magarò, ora al seguito di Scopelliti, è stato socialista, sindaco del suo paese per vent’anni, consigliere della Provincia di Cosenza per dieci, e poi presidente della stessa, prima di passare al consiglio regionale nel 2005 con l’ex giovane alfiere di Fini e del Msi.

Per la festa di san Rocco a Scilla “i fuochi sono autorizzati”, titolano i giornali calabresi: “Lo stesso parroco ieri mattina ha potuto tirare un sospiro di sollievo nel comunicare che i fuochi sono stati salvati”. Quando si dice la legalità.

Un padre s’inventa la medusa per far uscire la figlioletta dal mare. Istantanea è la voce che il mare è pieno di meduse, quasi che i bagnanti, a pagamento, non attendessero altro – che può venire di buono dalla Calabria?

Molte delle offerte ai santi e le Madonne sono raccolte dagli emigrati, attraverso casse comuni, gagliardetti, stendardi, ai quali spillare le banconote. Dagli emigrati, a Perth, a Melbourne, a Hamilton. Bisognerebbe occuparsene. O l’Australia e il Canada non sono sotto la giurisdizione dei vescovi calabresi?

Carmelo Nucera, endocrinologo, e Carmen Priolo, oncologa, sono molto avanti nello studio di alcune formazioni cancerogene della tiroide. L’annuncio esce su una rivista specializzata. Entrambi di Reggio Calabria, 33 anni lui, 31 lei, entrambi laureati a Messina, lavorano a Harvard. Nucera emigrato nel 2009, dal 2013 professore associato, Priolo chiamata da Nucera. Ma la “Gazzetta del Sud”, giornale di Reggio Calabria che si fa a Messina, prende tutta la prima pagina con un episodio di delinquenza in un paesino.
I giornali calabresi sono per tre quarti di cronaca nera. Locale, nazionale e internazionale. Che nessuno legge ma fa l’umore.

“L’autentico territorio degli antichi e primordiali insediamenti della Magna Grecia, ricordava nel suo viaggio mezzo secolo fa René Gustav Hocke, è quello della costa calabrese, la suola dello Stivale, da Reggio a Taranto, con gloriosi toponimi come Locri, Crotone, Sibari, Metaponto”. Oggi se ne parla per l’alta incidentalità della statale jonica.

È guerra, non c’è altra parola, tra i vescovi e  i fedeli sulle processione e le feste. Non si parlano, si sparlano reciprocamente, accusandosi di mafiosità, e si fanno i dispetti. E non fanno le feste, i preti perché non le vogliono, i laici contro i preti.

A Tresilico, dunque, la processione si faceva, con le stesse giravolte, trenta e quarant’anni fa quando all’incrocio la casa di Mazzagatti ancora non era costruita – il boss.
Anche il maresciallo Marino era lo stesso, per sette o otto anni, che aveva seguito la stessa processione senza inciampi. Poi è cambiato il sindaco.

La giunta di Africo viene sciolta per mafia. Il sindaco Versaci, che è avvocato, s’indigna: ha fatto pagare le tasse (un milione e 340 mila euro di incasso, non poco per un Comune piccolo e povero), si è costituito parte civile nei processi contro i mafiosi, ha adottato il protocollo di legalità contro le infiltrazioni mafiose negli appalti, ha in atto quattro progetti dei piano locale sicurezza, tre su beni confiscati alla mafia. La mafia è diventata antimafia?

Si fanno molti scavi archeologici in Calabria ma casuali, con le opere di sterro. Per strade, capannoni, palazzi. Un notevole patrimonio poi necessariamente ricoperto. Dopo aver creato notevoli problemi per le opere civili. Fare un po’ di prospezione prima, che non costa, no.

Grande produttrice di olio d’oliva, forse la maggiore, la Calabria non aveva ancora capito che il valore aggiunto è a valle della produzione – valorizzare i prodotti, i marchi, etc. Ora ci è arrivata, e crea una dop “Olio di Calabria”. Che non ha senso economico – non si compra un prodotto perché è calabrese. Ma l’etichetta unica consente di continuare a litigare: quale cultivar, e quindi quali aree e produttori, escludere dalla protezione? Ce ne sono almeno tre a grande diffusione, e molto diverse tra di loro, la Sinopolese, la Carolea e l’Ottobratica, e non tutte possono confluire in un unico marchio. E quelle minori, come la Grossa di Gerace? Si lavora contro, per escludere.

È la regione delle guardie forestali e ha quattro parchi naturali. Ma nessun bosco sano, specie nelle Serre e nell’Aspromonte. Quasi tutte le pinete sono asfittiche, mai allentate, mai ripulite, rinsecchite. Brutte a vedere e impraticabili. Un mozzicone acceso le manderebbe in fumo.

Ha tra mare e montagna un patrimonio turistico enorme. Montagne di varia attrattiva, dal Pollino all’Aspromonte, praticabili d’estate a differenze delle Alpi e le Prealpi, piovose. Ma non vi s’incontra mai nessuno. Né niente si fa per attrarre qualcuno.

leuzzi@antiit.eu 


Dickens, i rottamatori e le riforme omeopatiche

Homoeopathy, too, he has practised for ages
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Just giving his patient - when maddened by pain -
Of reform the ten-thousandth part of a grain”. Il malessere delle riforme è antico?
Il deputato omeopatico che centellina le riforme, proprio quando il paziente è quasi impazzito, è
uno dei tanti bijoux della raccolta, parte di tre pamphlet in versi – pubblicati anonimi su “The Examiner”, di attribuzione tarda – contro i conservatori di Robert Peel. Nostalgici di William Pitt il Giovane, l’Alessandro Magno dei rottamatori, che “era venuto giù dal paradiso più veloce del treno”, primo ministro a 24 anni.
Altre rime della raccolta sono note ma in un quadro diverso. Il “Canto di Natale” poi incluso nel “Circolo Pickwick”, che in originale ha motivi e ritmi poi ripresi da T.S.Eliot -  motivi e ritmi da ballata, certo, ma, nel genere, tipicamente dickensiani. Proditoriamente interpolata nello spassoso “Pickwick” anche la terribile romanza “La canzone di Gabriel Grub”, dove si ride della morte. Altri testi si legano alla passione di Dickens per l’opera: teatro e musica, insieme o disgiunti.
La ballata più famosa è “The Ivy Green” dal sesto capitolo del “Circolo Pickwick”, un canto all’edera… E invece no, graziosissime canzoni, duetti e coretti adornano i suoi scantonamenti teatrali e musicali L’anno dopo il debutto letterario con gli “Sketches by Boz”, 1834,  bozzetti di vita urbana firmati come giornalista con lo pseudonimo Boz, Dickens debuttava pure come librettista d’opera, con “The Village Cocquettes”, di cui aveva proposto tema e arie al compositore John Hullah, in sostituzione di un “The Gondolier”, un libretto di cui Hullah disponeva e che non sapeva come risolvere – nessuno sapeva niente di Venezia. Due anni dopo recidivava con “The Lamplighter”, il lampionaio, per un personaggio allora famoso, Macready, direttore del teatro Drury Lane. Il teatro rigettò il progetto e “Il lampionaio” diverrà un racconto.
Insomma, non un poeta. Ma un letterato multistrato sì. Questa è una riedizione, con note aggiornate sui libelli politici e una lunga bioblibligrafia, di F.G.LKitten, 1903, New York, “The Poems and verses of Charles Dickens”, che aveva fatto in tempo a interpellare conoscenze e controparti di Dickens su questa sua pratica minore.
Charles Dickens, Poems, Alma Classics, pp. 133 € 10