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sabato 6 settembre 2014

Il sogno di Faulkner e quello di Rodotà

“Il punto è che oggi in Italia qualsiasi gruppo o organizzazione, per il semplice fatto di operare sotto la copertura di una espressione come Libertà di Stampa o Sicurezza Nazionale o Lega Anti-Corruzione, può postulare a proprio favore la completa immunità riguardo alla violazione dell’individualità – la privacy individuale senza la quale l’individuo non può essere tale e senza la quale individualità egli non è più nulla che valga la pena essere o continuare a essere – di chiunque non sia a sua volta membro di un qualche gruppo o una qualche organizzazione abbastanza potente e numerosa da far spaventare e tenere tutti alla larga”. Faulkner scriveva America invece che Italia, e Sovversione invece che Corruzione, ma le due parole non cambiano il senso. La plaquette pubblicava dodici anni fa, in edizione bilingue fuori commercio, il Garante per la protezione dei dati personali, che era Stefano Rodotà. Ed è questa la notizia, il fatto degno di nota: Rodotà è lo stesso che oggi è con Zagrebelski per le occhiute polizie e anzi per la gagliofferia delle intercettazioni libere. Un Garante che della privacy ha fatto mercato, sia pure politico.
Non una novità. Se Rodotà lo avesse letto, anche questo lo avrebbe trovato nel suo Faulkner. Della privacy come “un bene commerciabile e pertanto tassabile e pertanto esposto alla lobby delle associazioni commerciali che nello stesso identico momento creano il mercato… e il prodotto per soddisfarlo, e grazie alla semplice solvibilità il cattivo gusto è stato depurato dal cattivo gusto e assolto”. Tassabile, in Italia, no, ma per il resto sì. Grazie al’insindacabilità, si potrebbe dire in  un altro adattamento minimo, la privacy è il ricatto e il riciclaggio istituzionalizzati. Anche perché, come si sa, la moneta cattiva scaccia la buona, se non si mette fuori corso.
Per il resto, con un saggio esagerato di Boitani, un testo modesto. Escluso dalla saggistica, e ignoto, assicura Ricardo Sanchini, alla pubblicistica giuridica sulla privacy. Benché subito ripubblicato da Adelphi, con riconoscimenti a Rodotà forse sinceri che oggi suonano sarcastici – e con una diversa traduzione, che qui si utilizza - ma senza esaurire la prima tiratura. Faulkner premio Nobel si rifiutava alla celebrità, e quindi ai tentativi del “New Yorker” prima e poi di “Life” di farne un personaggio. Anche per facilitarne l’accettazione negli Usa – Faulkner era diventato Nobel in Europa.
Incidentale, ma netto e pregno, invece il “sogno americano” con cui apre il libello, il modo di essere che delinea della “americanità”. Di scorcio ma ben delineato, e rilevabile, non utopico. Un classico, benché rimasto ignoto, tanto è preciso e conciso. Sia per la Libertà che per l’Uguaglianza che fondano gli Usa - che Tocqueville, si scopre, ha legato male. E per la mescolanza di puritanesimo biblico e di attivismo – iniziativa, imprenditorialità.
William Faulkner, Privacy. Il sogno americano

Il mondo com'è (186)

astolfo

Famiglia - Secondo le statistiche di Dumas figlio il trenta per cento dei figli già nasceva fuori del matrimonio, un secolo e mezzo fa, quindi. Senza contare gli aborti e gli infanticidi non rilevati: Morivano anche, al tempo, quattro su cinque dei bambini dati a balia, cioè abbandonati.
Si dice del matrimonio che ruota attorno ai figli. Ma i figli, molti farebbero a meno dei genitori, i figli dei vedovi sono i più felici - il matrimonio esiste in quanto coppia, corteggiamento, attesa, amicizia.

Galileo – È probabilmente lo scienziato più “riconosciuto” in vita – prima ancora che Einstein, in termini di età. Si può dire che mai come nel suo tempo, pur difficile, Galileo fu capito e apprezzato, e da subito. Con l’eccezione dello scientismo positivista dell’Ottocento – di cui però fu più vittima che eroe.
Della sua novità, la filosofia naturale novellamente scoperta, erano cogniti, alla sua epoca, Keplero, Bacone, Hobbes. E molti letterati. Giambattista Marino ne fa materia di poesia già nel 1621, John Donne ancora prima, nel 1620.  Per Hobbes, che nel suo viaggio in Europa si fermò a Firenze per rendergli visita, “Galileo è il primo che ci ha aperto la porta dell’universo fisico, e la natura del movimento”. Specialmente interessato, “Della natura umana”, al cap. VIII, fu Hobbes agli studi di Galileo, musicologo e musicista, sugli effetti del suono.  Milton parla di Galileo nella “Aeropagitica”, 1644, avendolo incontrato, dichiara, a Firenze nel 1638, e lo ricorda in tre libri del “Paradiso perduto”. Nella “Aeropagitica” ricorda Galileo “invecchiato prigioniero dell’Inquisizione perché pensava in astronomia diversamente da quanto i censori francescani e domenicani pensavano”. Testimone delle “condizioni servili in cui il sapere era stato ridotto” in Italia, offuscando la”la gloria dell’ingegno italiano”.
Gentile, “Studi sul Rinascimento”, che pure ne sottolinea il carisma e il successo nell’instaurazione del regnum hominis, dello spirito del Rinascimento, e lo eleva a fondatore della lingua italiana, lo condanna, alla p. 246: “Nel Galileo l’animo non fu pari all’intelletto”. Lo stesso Gentile che ne sottolinea i nove anni di reclusioni, seppure ai domiciliari a Arcetri, fino alla morte.
Galileo non era uno prudente, né si nascondeva. La cautela adottò come protezione, contro i furori di Giordano Bruno, che Galileo conobbe e copiò ma non citò (Keplero glielo rimproverò all’epoca), e contro la finta pazzia di Campanella, che pure di Galilelo aveva preso pubblicamente le difese, benché agli arresti da decenni in una cantina umida, e periodicamente torturato. Erano tempi difficili per l’intelligenza in Italia. Lo studioso galileiano J. Lewis Mc Intyre lo dice “gran diplomatico”.
Papa Giovanni Paolo II non chiese perdono in realtà, a conclusione della Commissione d’indagine sul processo e la condanna presieduta dal card. Poupard. Parlò di “una tragica incomprensione reciproca”. Sembrando fare propria la tesi dell’“errore reciproco”, di Pierre Duhem, raccolta da Walter Brandmüller, secondo la quale Galileo si sbagliò nel campo scientifico ed ebbe ragione su quello teologico, mentre gli ecclesiastici si sbagliarono nel campo teologico ed ebbero ragione su quello scientifico.
È pure vero che ebbe subito opposizione vastissima. Lo sconcerto era stato forte perfino in Keplero: “L’Infinito è impensabile, l’Infinito è inconcepibile”. Ma chi ricorda più i critici che avrebbero potuto stritolarlo? Il filosofo Cesare Cremonini, che pure se ne professava amico: il cannocchiale “imbalordisce” la testa. Il poligrafo Silvestro Pietrasante: le macchie solari sono le vibrazioni delle lenti. L’emblemista Paolo Moccio: il telescopio ingrandisce come la spacconeria. L’altro emblemista Johannes de Brunes: il telescopio vede doppio come la gelosia.
Ha fatto degli errori, di calcolo e di ricerca. Soprattutto perché era un uomo appassionato, stizzoso anche. Concludendo “La rivoluzione intellettuale di Galileo”, William Shea spiega che è dalla giusta diffidenza verso la magia, cui il papa Urbano VIII Barberini e la corte vaticana indulgevano, e verso l’innovazione esoterica dei Giordano Bruno, dello stesso Keplero, dello stesso suo grande ammiratore e difensore Campanella, che nasce il più grave errore di Galileo, quello delle maree: la luna non doveva entrarci per nulla.
Nel classico “Galileo come critico delle arti” Erwin Panofsky dice che “sbaglia più di Keplero perché era più «progressista» in linea di principio”.

Giornali - “Amici, colleghi, torniamo a sentirci importanti”: usa i toni dell’arringa oggi nella sua colonna su “Io Donna” Claudio Sabelli Fioretti di fronte alla deriva dei quotidiani. Di cui mostra di conoscere il segreto – l’appello è anche una diagnosi: “I quotidiani hanno il loro linguaggio, la loro supponenza, la loro alterigia”, e dunque “facciamoli tornare virali”. Come erano appena venticinque anni fa, un’industria in piena efflorescenza: “C’è un’industria dei giornali che mai prima era apparsa così appetibile a chi cerca investimenti per i suoi capitali”, scriveva il sociologo della comunicazione Giovanni Bechelloni nella prefazione a G. Leuzzi, “«Il Mondo» non abita più qui”, favorita dalle nuove tecnologie, che hanno abbattuto i costi di produzione e promosso nuove professionalità. E ancora: “Ci sono tirature che cominciano ad essere di tutto rispetto. C’è un flusso pubblicitario importante. C’è, anche, una concorrenza che,per quanto attutita dalla contiguità dei pacchetti azionari, attiva attenzione su zone della società italiana rimaste ai margini o addirittura escluse dall’informazione”. Si vendevano allora sei milioni di copie, una per ogni cinque italiani attivi, un record in Italia, oggi non se ne vende la metà. E non per la recessione.
«Il Mondo» non abita più qui” in realtà ne ha individuato il tumore già alla pubblicazione, nel 1989: l’autoreferenzialità. L’indifferenza, e anzi l’alterigia, da primi della classe, verso l’Italia e gli italiani, e quindi verso il lettore. Il giornale-partito, per non si sa che partito. In parallelo con l’inaffidabilità: l’italiano iperpoliticizzato è quello, fra tutti gli europei, che meno si forma un’opinione attraverso i giornali, avevano appena accertato Mannheimer e Sani in una ricerca mirata, “Il mercato elettorale”.
Sabelli Fioretti ne motiva il declino, da una diecina d’anni, dapprima per il vezzo di “televisionarsi”, schiacciarsi sulla comunicazione tv, in pillole e accenni. E da qualche tempo di, si potrebbe dire, “irretirsi”. “Adesso sta succedendo di peggio. Adesso i quotidiani si internettizzano, si facebookizzano, si twittizzano”.

Guerra mediatica – Bastò Mÿ Lai, si disse, la notizia e la foto del massacro, che la censura non bloccò, per sconfiggere gli Usa in Vietnam, già nel 1968, sette anni prima della ritirata. Per autosconfiggerli: il massacro fu opera di una compagnia americana, o forse solo un plotone, al comando del sottotenente Calley. La decapitazione di Fowles e Sotloff, che non si tiene segreta e anzi si esibisce, porta questo effetto all’estremo: la guerra combattuta con le immagini.
Bin Laden terrorizzava il mondo facendosi fotografare in grotte di cartapesta.  Semplici immagini tengono in scacco - se no hanno la meglio su - arsenali atomici, flotte di cacciabombardieri sterminate, aerei invisibili e bombe intelligenti.
La guerra contemporanea è mediatica. Perfino Hollywood l’ha sanzionato, da tempo. La difesa sarà la censura?

Laicismo – Fino al trionfo definitivo della Controriforma, anche la Chiesa fu laica.
Ma la tonaca è già una forma di democrazia, poiché dichiara le intenzioni. Il settarismo camuffato è il peggiore, è la “piovra”.

astolfo@antiit.eu

venerdì 5 settembre 2014

Eutanasia della sinistra

Si legge degli amori di Hollande e si trema, di vergogna. Un uomo inaffettivo, e anche insipido, eccetto che nelle manovre di corridoio, è l’alfiere del socialismo europeo e il presidente della Repubblica francese. Senza una sola idea politica, eccetto il laicismo stantio dei matrimoni gay e della buona morte. Un socialista bellicoso, che voleva occupare la Siria, e ora vuole, nientemeno, la guerra alla Russia.
Hollande è peraltro l’unico socialista al potere. Non si può dire in nessun modo socialista Matteo Renzi, benché sia a capo del partito Democratico – senza rivali, si vede dalle polemiche di questi giorni (Civati? Cuperlo? D’Alema?). Mentre sono gregarizzati, e contenti, i socialisti in Germania, Spagna, Gran Bretagna. Senza una sola idea che li differenzi dagli interessi di potere – il nuovo diritto di famiglia, così come l’ambientalismo, sono anche di destra.
Si biasima l’Europa perché vota a destra, Le Pen o Grillo. Poi si legge, come oggi sul “Corriere della sera”, di una Le Pen presa dalla disoccupazione, la povertà, la guerra, di cui non ha colpa, non avendone responsabilità di governo, e una sinistra appare inerte, vittima forse dei troppi sonniferi.  

Gli Stati Uniti d’Europa un’altra volta

Leonardo Ceppa concludeva la raccolta di saggi di Habermas da lui curata, “Nella spirale tecnocratica”, con questa spiegazione: Habermas intende che “il processo dell’unificazione europea rappresenti, nella storia della teoria democratica, un nuovo modello di progetto costituzionale. La sua caratteristica è di non sfociare più in uno Stato centrale unitario (come la Rivoluzione francese), né in uno Stato federale (come la federazione Usa dei «Federalist Papers», bensì in una forma transnazionale, eterarchica e post-statale di democrazia”.
È il progetto politico dell’Assemblea di Francoforte,1848. Prima dell’unificazione bismarckiana. Delle mille e più signorie locali che componevano il mosaico tedesco nel Settecento. Dopo lo Stato come prima dello Stato?
Un numero che si ristampa, dopo la prima uscita alla vigilia delle elezioni a maggio, per i tanti contributi eccellenti. Ma questo di Habermas, “Per una democrazia transnazionale”, è l’unico interessante. Il punto di domanda s’intende pleonastico, ma in senso negativo. Paolo Flores d’Arcais prospetta obbligata l’uscita dal liberismo imperante. Beck auspica un “nuovo cosmopolitismo”. Markaris, che si voleva mediatore culturale, tra Mediterraneo e teutonicità, e anche qui mette avanti un’educazione tra Turchia e Austria, e una tarda grecità, a metà degli anni 1960, quando andava per i trenta, si limita l’Europa “senza anima” – senza colpa di nessuno?
“Micromega”, Stati Uniti d’Europa?, 3\2014, pp. 198 € 15

giovedì 4 settembre 2014

Problemi di base - 195

spock

Un  imam ha parlato contro le decapitazioni?

Un erede Sciascia ha ritirato il nome dal premio letterario al superkiller?

La pubblicità è l’anima del commercio, Sciascia e l’islam sono un commercio?

Napolitano pensa di contare di più con Mogherini?

Renzi è insidiato dai suoi e tenuto su dall’opposizione: chi è chi?

Incidono di più sui consumi il bonus mensile di 80 euro oppure il blocco decennale delle retribuzioni pubbliche?

E cos’è più serio?

Equitalia è equa con chi?

Che bisogno c’è di processare lo Stato?

spock@antiit.eu

Meno giudici più Stato

Riformare lo Stato no? Rifondarlo? La riforma della giustizia è in realtà, dovrebbe essere, la ricostituzione dello Stato. Questo “l’Europa (non) ce lo chiede”, ma non c’è chi non lo veda necessario.
Si fa finta che ci sia o ci sia stata una Seconda Repubblica, eretta dai giudici con i cronisti giudiziari, mentre non c’è che una deriva orrida della prima, senza più partiti, senza più Parlamento e, quasi, senza più governo.
Si dice Seconda Repubblica, del resto, per dire lo Stato in balia della corruzione. Degli affari, naturalmente, come è normale. Ma anche di alcune Procure della Repubblica corrottissime: nel senso proprio, dei soldi, e nel senso della giustizia politica (carriere, potere). E di alcuni tribunali, giustizialisti a senso proprio. Questi ultimi peggio di ogni altra mafia.
Con certi giudici certi avvocati vincono sempre, il cliente lo sa. A Palmi ce n’è stato uno famosissimo per questo, l’avvocato Mazzeo - presidente Dc della provincia, anche, e candidato non fortunato al Senato (poi, quando a Palmi la Procura della Repubblica passò a sinistra, le cause le vincevano gli avvocati Bajetta e William Gioffré). A Reggio l’avvocato Panuccio, ora dedito alle opere di bene,  era famoso per vincere sempre le cause in Appello, col giudice Viola. A Milano, al tempo di Di Pietro e Gritti, si vinceva con l’avvocato Lucibello, poi scomparso dalle cronache. Altro che responsabilità civile dei giudici.
Di Stato non è rimasto che i “documenda”. Equitalia. Il rinvio. Le multe triplicate. I confidenti, tutti mafiosi - il giudice Macrì può scrivere ( http://www.antiit.com/2014/08/a-sud-del-sud-il-sud-visto-da-sotto-217.html ) che “tutti i cosiddetti boss della ‘ndrangheta sono stati (solo in passato? Sembra difficile crederlo) confidenti di polizia, carabinieri, guardia di finanza, servizi segreti”. A Napolitano non fanno la rassegna stampa?
La presidenza Napolitano ha fatto del resto tutte napoletane le cariche giudiziarie che contano. 

Galileo, o come sequestrare la chiesa dal progresso

L’anno di partenza è quello della “condanna” e dell’“abiura”. Il volume collettaneo, conciso, fu voluto trent’anni fa esatti dal papa Giovanni Paolo II dopo il perdono da lui stesso chiesto anche a Galileo. Ma il papa chiedeva perdono a tutti con l’aria di dire: “E adesso a noi!” E così è con Galileo.
Il volume mira a “estinguere un’ipoteca”, come dichiara breve nella prefazione il cardinale Garrone, coordinatore della speciale commissione di indagine creata da Giovanni Paolo II nel 1979 sul “caso Galileo”. Un’ipoteca antica, anticlericale. Il domenicano Bernard Vinaty, uno dei curatori, ricordò all’epoca sull’“Osservatore Romano” che il titolo avrebbe dovuto essere “350 anni di storia e di mito”, il mito della condanna per eresia. Oppure “350 ani di storia e di leggende”.
La chiesa aveva rivisto presto il suo giudizio. Nel 1734, un secolo dopo i fatti, era stato autorizzato un monumento funebre a Santa Croce a Firenze. Nel 1757 Benedetto XIV aveva tolto dall’Indice i libri di Galileo sul moto della terra. Che stavano all’Indice, però, solo per inerzia. Il recupero era già stato ufficializzato dal papa Alessandro VII nel 1664, col ritiro del decreto del 1616. Giovanni Paolo II ha voluto in realtà appropriarsene. La condanna viene fatta cadere nella “confusissima” questione del copernicanesimo, su cui non c’è mai stata una pronuncia ex cathaedra, e che comunque trovava nell’ambiente religioso stesso sostenitori accesi, anche dopo la condanna. Galileo ne esce comunque bene. È ovvio, ma ne esce anche meglio di Descartes. Il gesuita Mario Viganò argomenta che egli fu doppiamente vittima, del disprezzato “mondo di carta” dei filosofi, della loro invidia, e della “filosofia meccanicista” che era invece del pensatore francese.
Galileo non poneva, non pone, problemi ai religiosi. Di beghe o di potere accademico sì, ma non dottrinale. Era senz’altro un credente, perché lo voleva, e a ragione se credere è come dice Dante: “Fede è sostanza di cose sperate,\ Ed argomento delle non parventi”. E faceva – fa – suo il motto del cardinale Baronio: “L’intenzione dello Spirito Santo è come si va al cielo, e non come va il cielo”. Di un sapere distinto dalla fede.
Per la chiesa il discorso sarebbe diverso. Ancora nel 1754 non era infondata l’ironia involontaria della “Encyclopédie”, dove dice che “una delle cause principali del discredito delle scienze in Italia e in Spagna è il fatto che là si è persuasi che alcuni sommi pontefici hanno deciso che la terra non gira”. Tuttavia, vale sempre la prudenza di Garin, “Scienza e vita civile del Rinascimento”: “La storia segreta della grande battaglia intesa a sequestrare il mondo cattolico dal progresso del sapere europeo è ancora da scrivere, sebbene per tanta parte interessi proprio l’Italia”.
Paul Poupard-Bernard Vinaty, a cura di, Galileo Galilei, 350 anni di storia. 1633-1983.

Fisco, appalti, abusi (56)

Il sindaco di Roma Marino riceve una proposta di stadio privato dalla parte dell’As Roma e la dà per fatta. Vola anche a New York, per farsi fotografare col presidente della squadra. Mentre non c’è nemmeno un progetto preliminare. Si spera solo per improntitudine.

Straordinaria come ogni anno, la produttività si moltiplica in Equitalia, Entrate, amministrazioni comunali, vigili urbani, durante il Ferragosto. Per notificare cartelle, multe, nuove procedure e tributi: è l’epoca in cui mandano più raccomandate. Da ritirare al rientro perdendoci mezza giornata.

Alcuni uffici delle Entrate accettano le fotocopie delle spese mediche, altri vogliono gli originali. Si fanno accertamenti per questo, cioè si perde tempo.

Le assicurazioni per spese mediche non sono deducibili, il rimborso delle assicurazioni nemmeno. Il fisco dev’essere punitivo.

La lotta all’evasione fiscale le Entrate fanno ispezionando le dichiarazioni dei redditi, per scoprire la virgola sbagliata: chi ha pagato deve pagare.

mercoledì 3 settembre 2014

Che Europa è questa?

Dopo la recessione, lunga cinque anni ormai, la guerra: che Europa è questa? Perché, pur addebitando a Putin tutte le colpe del mondo, non si può nascondere la verità: è l’Europa che ha voluto la guerra civile in Ucraina. Che ha promosso, finanziato e consigliato la “rivoluzione” arancione. Che ha messo gli ucraini contro i russi dell’Ucraina. Che vuole la Nato alla porta di Mosca.
Non per stupidità. Sono troppi gli errori nella maniera d’essere dell’Europa che si accumulano da tempo, e tutti a senso unico. Di un’Europa mal governata o altrimenti insensata. Il raddoppio dei prezzi con l’euro – di che mettere fuori mercato la più flessibile (impoverita) delle economie. La burocratizzazione, benché rifiutata dalle tante elezioni “europee”. L’egemonia tedesca sulla Commissione, sul Parlamento, e sull’Unione. Per la burocratizzazione, e per l’improvvido allargamento della Ue all’Est germanizzato. Con una recessione indotta e costante da un quinquennio, mentre il resto del mondo ha riperso a crescere a buon ritmo. E ora la sfida con la Russia, fingendo che non c’è, così per inerzia.
Un’Europa irriconoscibile. Che si dice nordica, ma è in realtà l’Europa tutta, poiché Francia e Spagna ne sono la volenterosa stampella, e l’Italia è inetta.

Letture - 183

letterautore

Dante - “Provando e riprovando”, il motto del’Accademia del Cimento che intende rinnovare con Galileo il pensiero scientifico, è di Dante, “Paradiso”, III, 3

Donna – “Barbara lo ascoltava aggrottando le ciglia. Cercava nelle parole di Dale un significato molto vicino, a lei e per lei; e non tanto nelle parole, quanto nel modo.  Ascoltava come un donna, non pensando a quello che egli diceva, ma notando i timbri di quella voce come se avessero un significato più eloquente delle parole”. Corrado Alvaro, “L’uomo è forte”, p. 65. La differenza dei generi non era male.

Galileo – Italo Calvino ha rintracciato nella narratività di Galileo il mezzo per passare dall’esperienza al ragionamento, dalle figure del mondo a quelle del discorso. Cassirer, “Individuo e cosmo nel Rinascimento”, ci trova altrettanta fantasia creativa che in Leonardo. Gentile, “Studi sul Rinascimento”, che lo condanna per non essersi opposto alla chiesa,  l’ha elevato, prima di Calvino, a fondatore della lingua italiana, dopo Machiavelli, della lingua realista e reale, di chi scrive come vede e sente.

Fu subito materia poetica. La sue scoperte fanno la “poesia della luna” nell’“Adone” di Marino. Imbattendosi in Galileo John Donne abbandona nell’“Ignatius” la satira del mondo moderno per l’elegia: “L’uomo ha tessuto una grande rete e l’ha gettata\ Sui cieli, ed i cieli ora gli appartengono”. Milton non troverà parole adeguate nel “Paradiso terrestre”:“E ai suoi occhi apparirono\ I segreti dell’Abisso antico – un tetro\ Oceano senza limiti, senza confini,\ Senza dimensioni”.

È stato avversato più dai laici che dalla chiesa. Al suo tempo dagli aristotelici. Nel Novecento, secolo progressista, dai marxisti, o ex. Per lo più epistemologi.
In “Studi galileiani” e nell’“Introduzione a Platone” Alexandre Koyré ha svolto indagini faticose per dimostrare che Galileo sperimentava in realtà poco e non ha inventato nulla. Senza peraltro porsi il tema dell’invenzione – il grande epistemologo scende al livello di chi s’ingegna a dimostrare che Omero era in realtà una donna, o Shakespeare la regina Elisabetta, e che Colombo non fu lui a “scoprire” l’America, e se fu lui, era genovese o castigliano (oggi catalano?)? Richard S. Westfall, autore di un “Galileo Reappraised”, dietro il nome non trova che un cortigiano, un millantatore, e anche un barone universitario, che si appropria dei lavori degli allievi.
Nell’“anarchismo” di Paul Feyerabend,  quello di “Contro il metodo” e della “Scienza come arte”, della nessuna differenza tra scienza e mito, nonché, con altrettale leggerezza, del marxismo-leninismo – a lui sconosciuto - come sola scienza, Galileo è il “rivoluzionario esemplare”, cioè approssimato. Di razionalità “elementare”, compensata da un’alta capacità propagandistica.
Non lo amava neppure Brecht, che riscrisse più volte la sua “Vita di Galileo”. Dall’ipocrisia alla disonestà, non c’è termine negativo risparmiato nei “Sonnambuli” di Arthur Koestler, un volumone di polemica spiritualista ma pur sempre di un marxista, per quanto pentito.  È in Koestler pure la teoria del pateracchio, che poi sarà di Redondi, “Galileo eretico”, all’incirca in questi termini: “Galileo con le sue provocazioni ha favorito la reazione contro la sinistra (sic!), cioè contro i gesuiti, e l’unica strategia possibile, quella dei piccoli passi”.

Italiano – È memoria e pratica confinate all’estero, tra gli italiani emigrati. E, tra gli emigrati, tra quelli anglosassoni, american, australiani, canadesi. Con la sola eccezione del “germanese” Carmine Abate.
I tantissimi italiani di Argentina o Brasile, italianissimi nel cuore, non ne sanno più d tanto. Ma è un fatto, delle culture anglosassoni che privilegiano la memoria, mentre le latine la rifiutano o la immiseriscono, per smania di modernizzazione. Succede anche in Francia.

Matrimonio - Il padre di Šklovskij, ebreo battezzato, che la moglie abbandonò col primo figlio, si trafisse da parte a parte con una daga, sopravvisse, si risposò, ebbe Viktor, e dopo una trentina d’anni s’accorse, insieme con la seconda moglie, che si amavano.

C’è “La scuola delle mogli” di Gide, che però non può dirsi un marito. Ma “un matrimonio”, lo dice Tolstòj che se ne intendeva, “contratto con la speranza di una vita piacevole, è votato al fallimento”. Dei tredici o quattordici figli sopravvissuti l’autore della “Sonata a Kreutzer”, nonché di “Felicità familiare”, e pedagogo dei mužiki appassionato, fu padre senza gioia. Lamentava che lo rendessero “più vulnerabile”. Perché non poteva essere più figlio, avere il monopolio dell’affetto della moglie madre e la sua totale disponibilità, pur scopandola intensamente. Forse per questo insiste nella “Postilla” che “non c’è mai stato e non può esserci matrimonio cristiano”. La moglie lo contraddisse dal primo all’ultimo giorno della lunga vita insieme. È vero ch’egli le aveva imposto la lettura del suo minuzioso “Diario”, dove ogni scopata al casino e con le serve è censita. I pedagoghi del resto non sono buoni padri, Rousseau, Tolstòj.

La salvezza è semplice, secondo san Luca: “Se uno non viene a me e non odia il padre e la madre, la moglie e i figli, e i fratelli e le sorelle, non può essere mio discepolo”. Ma bisognerebbe avere tutti questi parenti, per potersene liberare. Se mancano, diventano ingombranti. È per questo che i figli naturali sono tristi?

Paternità - Il cadavere imbalsamato di Imbonati, che volle essere sepolto in una sua proprietà, Manzoni esumò all’insaputa della madre dopo qualche anno e riseppellì fuori della tenuta, costruendovi sopra un pollaio. Manzoni non è antipatico, il padre gli mancò, non ci sono padri nel romanzo. Fece pure tanti figli, senza essere loro padre. Ma fu fortunato: bastardo, ritrovò la madre – da cui anzi dovette affrancarsi.

La paternità Joyce nell’“Ulisse” fa dire a Stephen “ignota all’uomo”, eccetera: “L’Amor matris, inteso soggettivo e oggettivo, questa è forse l’unica cosa vera nella vita”. È inutile quindi uccidere il il maschio, il padre? Ne va di tutto Freud.

letterautore@antiit.eu


La letteratura di casa, cosa di tutti i giorni

Undici novelle, le prime dello scrittore, purtroppo elzeviristi che. Ma sempre vive, d’intelligenza. Lo scrittore stesso, in quanto “Alessandro Rossi”, s’interroga, nelle “Memorie” aggiunta alla raccolta, benché giovanissimo, novant’anni fa, in questi termini profetici: “La letteratura moderna s’è messa alla pari con le cose i tutti  giorni, non ci sono più personaggi come ai tempi della mia gioventù, e quando leggete un libro non uscite fuori della vostra seggiola e dalle quattro mura di casa” – di che altro si scrive oggi, se non di sé e dei propri cari? Per sé riservando, profetico, il viaggio – sarà, prima di Arbasino, l’unico scrittore di viaggi del Novecento che ancora si rilegga: “Bei tempi, quando dai Re all’ultimo cittadino facevano tutti sul serio la loro parte”.
La narrativa breve è stata funestata nel Novecento dalla misura dell’elzeviro, due colonne di quotidiano, il racconto di apertura della “terza pagina”. Genere meritorio, per sovvenire ai legittimi bisogni alimentari degli scrittori. Ma obbligato, nella misura e anche nelle tematiche, chiaroscurali, accennate più che risolte. Nelle tonalità, crepuscolari. Nell’indefinitezza. Ghirigori – “rigaggio” in gergo giornalistico.
Questi di Alvaro sono diversi in quanto sono i suoi primi racconti, pubblicati a 25 anni e, dopo studi erratici, la guerra al fronte, la parziale mutilazione, molto professionali. L’introduzione di Giuseppe Rando ha il pregio di avviare a sistematicità la narrativa di Alvaro. Qui rintracciando quattro dei suoi temi ricorrenti: il sesso, il paese, la città, la guerra. Ma il paese è prevalente. Nelle tante immagini del padre e dei fratelli. E nella figura del segretario comunale onnipotente annientato dal torrente – uno degli affluenti del Bonamico non tanto benevoli d’inverno a San Luca.
Corrado Alvaro, La siepe e l’orto, Iiriti, pp. 204 ril. € 16

martedì 2 settembre 2014

Ombre - 234

Il premio Sciascia a un superkiller di mafia. C’è ancora in Sicilia chi vuole male a Sciascia. Premiando un assassino. Per un libraccio.

Il premio Sciascia si segnala, più che per essere andato a uno dei tanti libercoli di confidenze di mafiosi, senza nessuna qualità, per essere stato aggiudicato in concorrenza con Caterina Chinnici, giudice, figlia del giudice che la mafia ha fatto saltare in aria con alcuni agenti.  Un gesto non per ridere - non è uno sberleffo, per esempio ai premi letterari. È un atto di masochismo, la Sicilia in questo è ben araba.

È Kiev contro Donetsk, o Ucraina contro Russia? E chi lanciato la sfida? Di chi è – era – la “rivoluzione” arancione?

Non sapremo mai se è Merkel che ha telefonato a Draghi, o Draghi a Merrkel. Pazienda, èenzi. È una questione di etichetta, e l’etichetta è parte dell’arcanum imperii. Bisognerebbe decidere se Draghi è più di Merkel, o viceversa. O se non dovrebbe giocare la gentilomeria, essendo Merkel una  signora.

Che si sono detti Merkel e Draghi, nemmeno questo però è dato sapere. Si penserebbe la politica una cosa pubblica e invece no: quella europea è sempre camerale.

Hollande cercava Gallois come nuovo ministro dell’Economia, 70 anni, presidente Psa- Peugeot, ex di Sncf, le ferrovie francesi, e di Eads, la società dell’Airbus. Non l’ha trovato al telefonino e ha nominato un ex banchiere di Rothschild, 36 anni, che la pensa al contrario di Gallois. Magari non è vero, ma è verosimile.

Spiega Roberto Tottoli sul “Corriere della sera” che le decapitazioni non sono previste da Maometto. Non propriamente. Poi fa una lunga storia di decapitazioni, dei califfi di Baghdad, degli Almoravidi in Spagna nel Millecento, degli ottomani.

Oggi, aggiunge Tottoli, “sono stati i wahabiti sauditi a introdurre queste punizioni in maniera sistematica e in modo spettacolare”. Non gli basta che gli paghiamo il petrolio a 100 dollari.
 
Si è abusato per un quindicennio impunemente dei minori in una cittadina inglese perché il fatto riguardava la comunità pachistana. Poliziotti e giudici si guardavano bene dall’intervenire.
La libertà d’improsatura del resto c’è, si tratta solo di estenderla ai minori, come è nelle altre culture.

Il giudice Vincenzo Macrì nomina – in un lungo articolo su “Cronache di Calabria”  datato 4 settembre, cioè di giovedì scorso - il Procuratore Nazionale Antimafia Roberti come uno che sa delle connivenze delle mafie, in forma di confidenti, con le forze dell’ordine, e con i servizi segreti. Silenzio.

Franco Roberti è uno de tanti giudici napoletani che con Napolitano assurgono ai vertici della categoria. Alla Corte Costituzionale, all’Autorità contro la corruzione, eccetera. Il tribalismo è vivo, non bisogna gravare l’Africa di colpe che magari ha di meno.

Si pubblica a puntate il “memoriale” di Riina, concordato con uno spione nell’inverno 2012-2013. Chi distribuisce le puntate, e perché?
Viene da pensare che il giudice Macrì non azzardi, dica le cose come stanno.

Resta un punto da chiarire: perché i giornali pubblicano Riina, con tanta evidenza. I vaniloqui di un selvaggio, roba di nessun  interesse.
E perché le pubblicano con riverenza, senza mai far notare quanto questo capo dei capi è un poveretto.

Si provi a comprare Monte dei Paschi. A due mesi dalla ricapitalizzazione, il titolo è convenientissimo, ma l’intermediario di Borsa avverte in automatico che stai andando contro il tuo “profilo di rischio”, della cautela responsabile cioè: stai comprando “spazzatura”.

Mps era la banca più solida, oltre che più antica: radicata nel territorio, povera di insolvenze e crediti incagliati. Cinque anni di dominio di partito l’hanno  ridotta a livello Ba2. Senza scandalo – a parte l’intervento tardivo dei giudici, e limitato, a un paio di operazioni.  

Mps è gestita da Profumo, banchiere compagno di formazione amerikana”. Ma il titolo non esce dal Ba2. Per questo? Non si sarebbe, in effetti, da fidarsi.

Anche Teleom Italia ebbe la sua stagione ruggente con i “capitani coraggiosi” dello stesso partito, cui ogni giorno facevano rendiconto. E ora è un’azienda che nessuno vuole – solo Bolloré, per scorporarla. Ma neanche di questo si parla – ne ha parlato Grillo e ha stravinto le elezioni, ma questo non è un argomento valido.

La memoria coltivata del paese, da lontano

Una raccolta topica di Abate, dei temi e dei toni, in forma di brevi reportages, descrittivi più che drammatizzati - Abate è sociologo di formazione, debuttò con “I Germanesi”, sull’emigrazione di ritorno dalla Germania. I toni si possono condensare nell’elegia. Tra bisogno e riscatto. Il bisogno correggendo a volte politicamente, come conculcazione. 
I temi sono ritornanti. Abate ha altre corde – qui in alcuni personaggi femminili, giovani e meno giovani, prostitute comprese. Ma privilegia la memoria, nel suo caso dell’emigrazione. Anche se necessitata, il paesino d’origine non ha più di 5-600 abitanti. Amburgo dunque e Carfizzi, il paese in Calabria. Il padre emigrato. La vita “inutile” dell’emigrato. La vita inutile di paese, “sogni di sogni” (p.46). Il ritorno impossibile dell’emigrante. Sempre impervio, e comunque sgradito a chi è rimasto.
Abate stesso ha eletto a dimora il Trentino, dove insegna, cosa che avrebbe potuto fare a Carfizzi, luogo di tutta la sua memoria. Un curioso quesito proponendo. Se la memoria non è una culla dei sogni, sempre autogratificanti seppure impervi. La memoria, s’intende, coltivata. Che si propone come forza identitaria ma è in realtà una coperta di Linus consolatrice.
Ci si deve interrogare sul “valore” della memoria, da Gay Talese in giù. Che non è la riscoperta (ricostituzione) delle radici, la quale può rispondere a un bisogno di identità. Non nel caso dell’emigrazione recente e volontaria, seppure indotta dal bisogno, la quale sa e vuole integrarsi, più spesso senza residui. È piuttosto una culla dei sogni. Gratificante, ma veritiera?
Carmine Abate, Il muro dei muri, Oscar, pp. 209 € 9.50

lunedì 1 settembre 2014

Secondi pensieri - 186

zeulig

Amore – Ha pochi anni, gli squali si fanno ancora i figli da soli, le formiche si sdoppiano, e forse non meritava di nascere.

Corpo - La colpa è recente, della carne, il corpo, il nudo. A lungo si è privilegiata nella simbologia cristiana l’Incarnazione rispetto alla Morte, fino a tutto il Rinascimento, che per questo è pieno di dipinti osceni della Madonna col Bambino. E nella teologia dell’Umanesimo, i settantacinque anni che prepararono la Riforma – che la chiesa si fece poi cancellare dalla polemica luterana. Michelangelo combinò l’una nell’altra, la vita nella morte. Senza turpitudine: il primo significato teologico del nudo è l’origine, la creazione. Con l’immediatezza di amore e innocenza che al momento seminale si associa, sia nel creatore che nel creato. Il momento di una volontà che si perfeziona generando la fragilità e vulnerabilità. Questo per i cristiani, che san Girolamo vuole “nudi a seguire il Cristo nudo”. Ma c’è un che di compiaciuto, in questo amore di se stessi indifesi, e la cosa è sospetta.

È come il sogno che popola l’immaginario ebraico. Che sempre  sogna, l’amante l’amata, il figlio il padre, il padre il suo proprio padre, o una nascita, una morte, un affare, un pranzo. È un altro modo di non dire il fato, l’innominabile Dio. Di dire velando – di cui Simone Weil diffida: “Il sogno è menzogna, esclude l’amore. L’amore è reale”. È il problema dell’incorporeo dell’uomo, dell’anima: l’angelo la cui parola, interna al corpo, è portata dal flusso del sangue, non dipende dalla fede, riconosce il Corano. Gilgul, o Tiltel, da cui Toledo prese il nome, via Tuletula, l’equivalente ebraico dell’anima, è andare vagando. Secondo Sophie de Grouchy “l’anima è un fuoco da alimentare, che si spegne se non s’attizza”. Simone è precisa: “L’anima che si trasferisce fuori del corpo in una altra cosa, questo è l’amore, il desiderio”. Sant’Agostino naturalmente sa già l’essenziale: “Nutre la mente solo ciò che la rallegra”.
“Non c’è niente che possa compensare la novità del desiderio e del mondo”, è come dice la Duras giovane nei “Cavallini di Tarquinia”.

Galileo – Sarà stato il punto fermo di una filosofia – della scienza e ontologica – made in Italy?
Wittgenstein, “Lezioni sulla libertà del volere, 61-62, spiega come la scienza moderna cominci con l’osservazione delle regolarità semplici, la gravitazione e il moto dei pianeti. “Prendiamo il caso dello sparare: è una regolarità reale. Galileo cominciò proprio con questo, con la balistica”.

Kant, prefazione alla “Critica della ragion pura”, 87: “Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano inclinato con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece sopportare all’aria un peso che egli stesso sapeva già uguale a quello di una colonna d’acqua conosciuta ... fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della natura. Essi compresero che la ragione vede solo ciò che essa stessa produce secondo il proprio disegno, e che... essa deve costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per dir così, colle redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria”.

Da Galileo a Darwin, la fine dell’umanesimo?

Identità - L’identità non è quello che si fa. Wassmuss era come Lawrence, uno stolido spione che eccitava stolide tribù alla guerra, ma Lawrence ha scritto “I sette pilastri della saggezza”. Un libro è già un’identità, nel senso che libera da se stessi. O un sorriso, la voce. La data di nascita no: Porsche era all’origine un carro armato, benché veloce. “L’io è l’unità di tutti gli istanti”, dice Bousquet, “dunque il riflesso di Dio attraverso la Creazione”. Ma non tutti hanno la grazia. Joë Bousquet, poeta infelice, corrispondente fra i tanti di Simone Weil immateriale, alla quale scriveva: “Credo che esista un oggetto da offrire al pensiero, in modo che l’anima abbia in questo mondo un centro di gravità”, fece la mistica del buco del culo. E c’è l’identità di chi non è nato, se non per incidente. È stato giustamente abolito sulle carte il figlio di NN, che questo stato siglava, figlio di niente e di nessuno. Ma resta il concetto: senza padre non si è.

Opinione pubblica - Se l’opinione crede all’assurdo, è inutile difendersi, non ci merita. Non c’è del resto difesa possibile: tanto più l’accusa è assurda e infondata, tanto più è da temere.

Padre - Le femmine che si parlano addosso e i femministi si perdono incoscienti il valore sublimatorio della figura del Padre, che perfino Freud ha capito: il Padre è la fede e la legge, nei suoi doppi tragici, amoroso e rancoroso, intelligente e stupido, provveditore e dissipatore, etica e crimine, nella metastoria la realtà irrealizzabile del desiderio, una tensione, anche convulsa. Se il Padre - Dio - è morto niente è più permesso, perché niente esiste.
Freud sarà come Adorno dice, che niente in lui è vero, a parte le sue esagerazioni, ma in questo è grand’uomo, avendo capito che Dio è molteplice e mobile, come le figure del desiderio, questo modo d’essere della realtà che è il più solido – il più vero – e sempre sfugge.

Aristippo di Cirene, fondatore della scuola omonima, socratico più di Socrate, che non solo Lord Russell trova “untuoso”, antesignano della scuola freudiana in quanto il sapere legava al pagamento, che il vero distingueva dal falso al tatto e con lo stile, secondo gli riconosce Diogene, e sempre “giusto nella giusta misura”, che le etere frequentava dicendo “non l’entrare è turpe ma il non saperne uscire”, e alle lusinghe di Laide, la più bella di esse, oppose il noto “posseggo, non sono posseduto”, ha detto la parola decisiva quando decise di “buttare via, il più lontano possibile,” un figlio carnale, “come si fa con lo sputo o il pidocchio, che pure sono generati da noi”. Il bastardo dovrebbe essere il caso tipo di Freud, del padre assente.

Il dottor Anatra di Vienna starnazzante fonda la malattia, e l’afflizione, sul desiderio intimo di uccidere il padre, di lavare cioè il sangue e ogni bacillo ereditario. Solone esonera i figli nati dalle amanti dall’obbligo di mantenere il padre. E perché non la madre?

La paternità venendo a mancare, insorge il senso della morte, della fine. Ma la generazione è per sempre, ineliminabile, e uno vuole poter dire: mio padre è morto trent’anni fa ma continuiamo a volerci bene, è sempre stato mio amico, o mia madre. Sostituirsi al padre identificandovisi. Questo è un fatto, non c’è solo Freud nella storia.

Virtuale - È il pensiero, prima che la realtà elettronica.

zeulig@antiit.eu

L’amore al catafalco di Balzac

Il sonno è la vera passione sarà, mezzo secolo dopo Balzac, superiore filosofia di Pierre Louÿs. Felice mandrillo cui va creduto, senza scorie affettive: sul suo sonno preagonico l’amante Marie, figlia e moglie di poeti, vegliò trombando col giovane J.C. - materia ai suoi propri romanzi in veste maschile, “Le Séducteur”, “L’Incostante”. Ma avrebbe potuto essere la filosofia di Balzac, che madame Hanska sposò morente nel 1850 per ereditare. Dopo averne ricevuto duemila pagine di lettere a corpo sei. Senza cessare di farsi il pittore Gigoux, ganzi possenti i pittori, malgrado il torrido Ferragosto, dietro il catafalco del moribondo. La vicenda, che Mirbeau ha voluto raccontare quarant’anni dopo, non è inventata: è vera.
Lo scrittore ha pratica infelice dell’amore, anche quando ne scrive. A madame Hanska peraltro Balzac dovette molte affettuosità e perfino una famiglia.
Uno dei racconti misogini di Mirbeau, che Eileen Romano ripropone dopo 120 anni per una ragione? Forse inconscia.
Octave Mirbeau, La morte di Balzac, Skira, ril., pp. 66 € 9
Bilingue, Sedizioni, ril., con un saggio di Davide Vago, pp. 144 € 19

domenica 31 agosto 2014

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (217)

Giuseppe Leuzzi

Barbara Bobulova è stata ad Africo, racconta ai giornalisti a Venezia, per alcune scene del film di Munzi. Racconta anche che “la polizia sconsigliò il regista di girare in quei luoghi: «Quando volevo andare a prendere un caffè al bar, la produzione mi diceva di non andare da sola. Ma ogni tanto scappavo, e non è mai successo niente”.

“Da Africo si vede meglio l’Italia”, secondo Munzi. Ma dice anche che vi ha trovato “un Sud che si sente ancora parte distaccata del Paese, che non si riconosce nell’interezza dell’Italia”. Non ancora, ma di nuovo. Il Sud ha creduto nell’Italia, più che Roma o il Nord – più ciecamente: non c’èè Risorgimento più acritico di quello  meridionale. Ricavandone solo bastonature. Ora comincia a capire.

Munzi ritiene di dare meglio risalto a questa (ritrovata) separatezza del Sud facendolo parlare in dialetto. E invece il ritorno al dialetto è una sconfitta – in senso tencnico-militare: un ripiegamento.

C’è chi ha avuto i veneziani in casa, uno splendore, Candia-Creta, Corfù, Dalmazia-Croazia, Istria-Slovenia, e la rifiuta. E chi ha avuto i Borboni, e li celebra.

Si ripubblica “L’uomo è forte” di Corrado Alvaro, con questa nota biografica: “Arruolato nel 1915, viene ferito alle braccia e congedato con una decorazione”. Non ne abbiamo saputo mai nulla, mentre la stessa ferita diventa segno e materia di tutto Céline. Il riserbo era un tempo virtù dei meridionali, ora lagnosi.

“Improvvisamente mi accorgo che gli abusi anni 60\70 non soffocano affatto la valle dei templi, come ripete il ritornello di innumerevoli denunce. Gli orribili palazzoni soffocano piuttosto l’Akragas di oggi”. Come Roma o Milano, si può aggiungere, l’edilizia “razionale” ha questo difetto. Senza soffocare in realtà Agrigento, “una città viva, multirazziale, accogliente”.
Lo scrive “la Repubblica” e c’è da crederci. Essendoci andati più volte, e avendo beneficiato (più spesso in solitudine, beneficio enorme) della Valle dei Templi, si può testimoniare a favore – questo sito l’ha fatto più volte. Ma il fatto resta:  in quaranta-cinquant’anni l’unico inviato di giornale che c’è veramente andato sarà stato Matteo Nucci, che di suo è scrittore.

Shi Yang Shi, attore comico italo-cinese, già delle Iene, porta in tour lo spettacolo “Tong men (g)”, la porta di bronzo. È entrato in Italia facendo il lavapiatti in albergo a Cirò Marina, a dodici anni. Non una grande esperienza, dice al “Corriere di Calabria”. Ma per questo non a disagio in Italia: “Ho una cultura verace, e poi noi cinesi abbiamo una bonarietà, una ingenuità molto simili a quelle meridionali”.
Shi è anche milanese d’adozione. Ma, si vede, senza i pregiudizi.

Si legge “la Repubblca” nell’Aspromonte con la cronaca di Palermo. Niente di più remoto. Eccetto che per le cronache, dominate dal malaffare : corruzione, grassazioni, fatti di sangue.

Fa senso leggere, non solo nei giornali, anche nei libri di storia e in quelli di Nicola Gratteri, dei rituali di ‘ndrangheta, che invece non ne ha nessuno – “Osso, Mastrosso e Carcagnosso”, le “locali”, “la Santa”, la cupola, i santini, il pungiutu. Come se gli ‘ndranghetisti fossero scemi. Mentre sono gente di denaro (usura, banca, finanza, piazzamenti), che espone i balordi, che peraltro paga poco.  Da dove vengono queste scemenze, a che servono?

I mafiosi sono confidenti
“Tutti i cosiddetti boss della ‘ndrangheta sono stati (solo in passato? Sembra difficile crederlo) confidenti di polizia, carabinieri, guardia di finanza, servizi segreti”. Lo sanno tutti ma questa volta lo dice Vincenzo Macrì, magistrato, già direttore della Dda di Reggio Calabria – sul “Corriere della Calabria”, 4 settembre 2014.  Uno che è “fautore” del “metodo pattizio”. Per uno “scambio delle informazioni” opina, non per un patto scellerato. Che tuttavia è “utile assai più alle cosche che non alle esigenze della repressione”.
Il giudice cita romanzi e qualche pentito non rispettabile. Ma anche due fatti. Il power broker fra le cosche di Gioia Tauro e Rosarno, un commercialista di nome Giovanni Zumbo, ora arrestato, che lavorava per i servizi segreti. E i rapimenti di persona, i riscatti: “Anche la stagione dei sequestri di persona, soprattutto nella fase matura del fenomeno, è stata caratterizzata da una fitta elaborazione, riguardante soprattutto le modalità di pagamento del riscatto, talvolta ad opera degli apparati dello Stato, e di redistribuzione dello stesso….”.
Detto delle polizie, ma bisognerebbe dire anche dei giudici.
“Fautore” della trattativa, nel caso di un giudice, è da intendere non uno che la approva o ci crede. Ma, come tutti i giudici, uno che la vorrebbe, anche se non se lo confessa, per poterla punire sbiancandosi meglio la camicia. La mafia la combattono le polizie, non i giudici purtroppo, che possono solo sanzionarla, quando un caso viene loro presentato. Il giudice Macrì è uno che vede nel porto di Gioia Tauro il “nodo entrale nel Mediterraneo dei traffici di armi, droga e merce contraffatta”. Niente di meno.  

leuzzi@antiit.eu

Galileo eretico praticava il solletico

Redondi suppone che il processo si basi su un lettera anonima, incompleta, senza destinatario e senza data, per alcuni  indizi riconducibile al gesuita Orazio Grassi, che accusa Galileo di atomismo. Cioè di professare il materialismo. Ma alla fine, dice, tutti si misero d’accordo per camuffare il peccato vero. Simulano tutti, da Galileo al papa, passando per i gesuiti e altri accusatori. In armonia coi tempi, si potrebbe dire. Redondi non lo dice ma fa come se.
Non manca nulla del complotto in Redondi, nemmeno le carte contraffatte. Con un papa, Urbano VIII Barberini, giovane, movimentista. Una copia del papa regnante quando il libro è uscito, Govanni Paolo II, che chiese perdono per l’abiura imposta e volle Galileo quasi santificato. Anche Urbano VIII preferiva Galileo – “lo scienziato del papa”, lo chiama Redondi – ai gesuiti. Che tuttavia anche allora non erano cattivi.
Redondi fa appello a quegli indizi, o interstizi, della ragione e della memoria che Carlo Ginzburg ha offerto come leva di Archimede allo storico nel saggio “Spie” – incluso da Gargani nel volume “Crisi della ragione”, 1980. Il “rigore elastico del paradigma indiziario” è definito “ineliminabile”, dopo la constatazione che da Galileo in poi l’indirizzo antropocentrico delle scienze si è segnalato o per poco rigore e molto sviluppo, o per molto rigore e poco sviluppo.

Fin dalla prima pagina Redondi fa balenare “giochi di riflessi… fonti discrete… specchi invisibili, il cui scopo è di far apparire reali delle apparenze fittizie, rigorosa e irreprensibile l’opera dell’astuzia e del compromesso”. Come metodo, seppure a specchio, è quello dell’Inquisizione. I memorialisti delle lettere anonime, De Amicis, Sciascia, magari si divertiranno. Qualche Procuratoei della Repubblica anche. Ma Galileo?
Ne resta poco. Anche se Rabelais non avrebbe immaginato tanto per quasi 500 pagine. L’atomismo di Galileo l’anonimo fa girare attorno all’“esempio del solletico, o della Titillatione”.
Pietro Redondi, Galileo eretico