astolfo
Famiglia - Secondo le statistiche di Dumas figlio il
trenta per cento dei figli già nasceva fuori del matrimonio, un secolo e mezzo
fa, quindi. Senza contare gli aborti e gli infanticidi non rilevati: Morivano
anche, al tempo, quattro su cinque dei bambini dati a balia, cioè abbandonati.
Si dice
del matrimonio che ruota attorno ai figli. Ma i figli, molti farebbero a meno
dei genitori, i figli dei vedovi sono i più felici - il matrimonio esiste in
quanto coppia, corteggiamento, attesa, amicizia.
Galileo
– È probabilmente lo scienziato più “riconosciuto” in
vita – prima ancora che Einstein, in termini di età. Si può dire che mai
come nel suo tempo, pur difficile, Galileo fu capito e apprezzato, e da subito.
Con l’eccezione dello scientismo positivista dell’Ottocento – di cui però fu
più vittima che eroe.
Della
sua novità, la filosofia naturale novellamente scoperta, erano cogniti, alla
sua epoca, Keplero, Bacone, Hobbes. E molti letterati. Giambattista Marino ne
fa materia di poesia già nel 1621, John Donne ancora prima, nel 1620. Per Hobbes, che nel suo viaggio in Europa si
fermò a Firenze per rendergli visita, “Galileo è il primo che ci ha aperto la porta
dell’universo fisico, e la natura del movimento”. Specialmente interessato, “Della
natura umana”, al cap. VIII, fu Hobbes agli studi di Galileo, musicologo e
musicista, sugli effetti del suono. Milton parla di
Galileo nella “Aeropagitica”, 1644, avendolo incontrato, dichiara, a Firenze
nel 1638, e lo ricorda in tre libri del “Paradiso perduto”. Nella
“Aeropagitica” ricorda Galileo “invecchiato prigioniero dell’Inquisizione
perché pensava in astronomia diversamente da quanto i censori francescani e
domenicani pensavano”. Testimone delle “condizioni servili in cui il sapere era
stato ridotto” in Italia, offuscando la”la gloria dell’ingegno italiano”.
Gentile,
“Studi
sul Rinascimento”, che pure ne sottolinea il carisma e il successo nell’instaurazione
del regnum hominis, dello spirito del
Rinascimento, e lo eleva a fondatore della lingua italiana, lo condanna, alla
p. 246: “Nel Galileo l’animo non fu pari all’intelletto”. Lo stesso Gentile che
ne sottolinea i nove anni di reclusioni, seppure ai domiciliari a Arcetri, fino
alla morte.
Galileo non era uno prudente, né
si nascondeva. La cautela adottò come protezione, contro i furori di Giordano
Bruno, che Galileo conobbe e copiò ma non citò (Keplero glielo rimproverò
all’epoca), e contro la finta pazzia di Campanella, che pure di Galilelo aveva
preso pubblicamente le difese, benché agli arresti da decenni in una cantina
umida, e periodicamente torturato. Erano tempi difficili per l’intelligenza in
Italia. Lo studioso galileiano J. Lewis Mc Intyre lo dice “gran diplomatico”.
Papa
Giovanni Paolo II non chiese perdono in realtà, a conclusione della Commissione
d’indagine sul processo e la condanna presieduta dal card. Poupard. Parlò di
“una tragica incomprensione reciproca”. Sembrando fare propria la tesi
dell’“errore reciproco”, di Pierre Duhem, raccolta da Walter Brandmüller,
secondo la quale Galileo si sbagliò nel campo scientifico ed ebbe ragione su
quello teologico, mentre gli ecclesiastici si sbagliarono nel campo teologico
ed ebbero ragione su quello scientifico.
È pure vero che ebbe subito opposizione
vastissima. Lo sconcerto era stato forte perfino in Keplero: “L’Infinito è
impensabile, l’Infinito è inconcepibile”. Ma chi ricorda più i critici che
avrebbero potuto stritolarlo? Il filosofo Cesare Cremonini, che pure se ne
professava amico: il cannocchiale “imbalordisce” la testa. Il poligrafo
Silvestro Pietrasante: le macchie solari sono le vibrazioni delle lenti.
L’emblemista Paolo Moccio: il telescopio ingrandisce come la spacconeria.
L’altro emblemista Johannes de Brunes: il telescopio vede doppio come la
gelosia.
Ha fatto degli errori, di calcolo
e di ricerca. Soprattutto perché era un uomo appassionato, stizzoso anche.
Concludendo “La rivoluzione intellettuale di Galileo”, William Shea spiega che
è dalla giusta diffidenza verso la magia, cui il papa Urbano VIII Barberini e
la corte vaticana indulgevano, e verso l’innovazione esoterica dei Giordano
Bruno, dello stesso Keplero, dello stesso suo grande ammiratore e difensore
Campanella, che nasce il più grave errore di Galileo, quello delle maree: la
luna non doveva entrarci per nulla.
Nel classico “Galileo come
critico delle arti” Erwin Panofsky dice che “sbaglia più di Keplero perché era
più «progressista» in linea di principio”.
Giornali - “Amici, colleghi, torniamo a
sentirci importanti”: usa i toni dell’arringa oggi nella sua colonna su “Io Donna”
Claudio Sabelli Fioretti di fronte alla deriva dei quotidiani. Di cui mostra di
conoscere il segreto – l’appello è anche una diagnosi: “I quotidiani hanno il
loro linguaggio, la loro supponenza, la loro alterigia”, e dunque “facciamoli
tornare virali”. Come erano appena venticinque anni fa, un’industria in piena
efflorescenza: “C’è un’industria dei giornali che mai prima era apparsa così
appetibile a chi cerca investimenti per i suoi capitali”, scriveva il sociologo
della comunicazione Giovanni Bechelloni nella prefazione a G. Leuzzi, “«Il Mondo» non
abita più qui”, favorita dalle nuove tecnologie, che hanno abbattuto i costi di
produzione e promosso nuove professionalità. E ancora: “Ci sono tirature che
cominciano ad essere di tutto rispetto. C’è un flusso pubblicitario importante.
C’è, anche, una concorrenza che,per quanto attutita dalla contiguità dei
pacchetti azionari, attiva attenzione su zone della società italiana rimaste ai
margini o addirittura escluse dall’informazione”. Si vendevano allora sei milioni
di copie, una per ogni cinque italiani attivi, un record in Italia, oggi non se
ne vende la metà. E non per la recessione.
“«Il Mondo» non
abita più qui” in realtà ne ha individuato il tumore già alla pubblicazione,
nel 1989: l’autoreferenzialità. L’indifferenza, e anzi l’alterigia, da primi
della classe, verso l’Italia e gli italiani, e quindi verso il lettore. Il
giornale-partito, per non si sa che partito. In parallelo con l’inaffidabilità:
l’italiano iperpoliticizzato è quello, fra tutti gli europei, che meno si forma
un’opinione attraverso i giornali, avevano appena accertato Mannheimer e Sani
in una ricerca mirata, “Il mercato elettorale”.
Sabelli
Fioretti ne motiva il declino, da una diecina d’anni, dapprima per il vezzo di “televisionarsi”,
schiacciarsi sulla comunicazione tv, in pillole e accenni. E da qualche tempo di,
si potrebbe dire, “irretirsi”. “Adesso sta succedendo di peggio. Adesso i
quotidiani si internettizzano, si facebookizzano, si twittizzano”.
Guerra
mediatica –
Bastò Mÿ Lai, si disse, la notizia e la foto del massacro, che la censura non
bloccò, per sconfiggere gli Usa in Vietnam, già nel 1968, sette anni prima
della ritirata. Per autosconfiggerli: il massacro fu opera di una compagnia
americana, o forse solo un plotone, al comando del sottotenente Calley. La decapitazione
di Fowles e Sotloff, che non si tiene segreta e anzi si esibisce, porta questo
effetto all’estremo: la guerra combattuta con le immagini.
Bin Laden terrorizzava il mondo
facendosi fotografare in grotte di cartapesta.
Semplici immagini tengono in scacco - se no hanno la meglio su -
arsenali atomici, flotte di cacciabombardieri sterminate, aerei invisibili e bombe
intelligenti.
La guerra contemporanea è mediatica.
Perfino Hollywood l’ha sanzionato, da tempo. La difesa sarà la censura?
Laicismo
–
Fino al trionfo definitivo della Controriforma, anche la Chiesa fu laica.
Ma la tonaca è già una forma di
democrazia, poiché dichiara le intenzioni. Il settarismo camuffato è il
peggiore, è la “piovra”.
astolfo@antiit.eu