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sabato 13 settembre 2014

Il mondo com'è (187)

astolfo

Armonizzazione— S’intende delle politiche fiscali. E s’intende più come minaccia: una rasatura dei privilegi. Ma per un Pese come l’Italia, esportatore netto di capitali, di intelligenze, di forza lavoro qualificato, sarebbe un’opportunità. Il beneficio fiscale è la causa principale oggi della delocalizzazione. Di competenze e risorse oltre che di capitali.

Delocalizzare – Si è fatto nel dopoguerra soprattutto per la paura del sovietismo. Dopo il Muro per sfruttare la forza lavoro, in Polonia, Romania Albania, Nord Africa, Medio Oriente. Si continua a fare per motivi fiscali.

Giornalismo – Sta male da tempo. Ripescando dal nostro “Mediobanca Editore” – tuttora in edizione - si scopre che stava male già vent’anni fa, si capisce che abbia infettato i giornali:
“Alberto Ronchey ha constatato recentemente la fine del giornalismo come contro-potere. “E' chiacchiericcio”, ha detto al “Foglio” di Giuliano Ferrara, che quel giornalismo ha riproposto con successo di stima. Ancora più aspro Ronchey era stato a metà settembre 1995, quando il bubbone Rcs cominciava a incancrenirsi, con Claudio Altarocca della “Stampa”: giornalisti cattivi fanno cattivi giornali.
“Si potrebbe anche, per ipotesi, sostenere che il giornalismo è un sovrappiù. Borges, il quale affermava “non ho mai letto un giornale”, s’è trovato egregiamente senza - anche se ha lasciato quattro libri di interviste. Oscar Wilde, altro scrittore dall’intelligenza aguzza, il quale disprezzava “quel fenomeno mostruoso e ignorante chiamato pubblica opinione”, lo liquidava, scrivendo sui giornali, senza residui. “Nel passato l’uomo disponeva della clava, oggi dispone della stampa”, diceva l’autore di “L'importanza di essere onesto”: “Ciò rappresenta certamente un progresso, ma è negativo, sbagliato e avvilente”. Restando nell'esistente, si rileva a metà degli anni Novanta una straordinaria concentrazione di critiche sui giornali e i giornalisti.
“Ne sono scontenti tutti, per primi i giornalisti di gran nome, da Montanelli a Enzo Biagi. Piero Ottone e Giorgio Bocca, in aggiunta alle deprecazioni quotidiane, hanno pubblicato due libri polemici, rispettivamente “Preghiera o bordello”, inteso della stampa, e “Penne, antenne e quarto potere”, quest’ultimo col giornalista americano Wolfgang M.Achtner. Sono critici gli studiosi. Nel libro pubblicato a metà 1995, “Ultime notizie sul giornalismo”, Furio Colombo rappresenta una professione sempre più “eterodiretta”. La si direbbe tornata alle origini, a quel mondo di “avvisatori” rinascimentali che “menavano” in realtà l’opinione - da cui anche il nome “menanti”, mestatori - per questo o quel potentato. Umberto Eco ha tratteggiato sull’“Espresso”, dove spesso  fa materia di riflessione un giornalismo che gli sembra sempre più lontano dall’inafferrabile notizia, un modo d’essere che è un catalogo di vizi: notizie poche, gonfiate o inventate, e interviste a raffica, con interlocutori di poco conto, su argomenti triviali, per divertire e non per informare. I giornali, secondo Eco, hanno mediato i difetti della televisione, della comunicazione via immagine, senza averne i pregi.
“Protestano i politici, naturalmente, da Silvio Berlusconi a Massimo D'Alema e Walter Veltroni, che sono stati entrambi direttori dell’“Unità”, a Romano Prodi. I giornalisti sono “jene dattilografe” (D’Alema), i giornali sono “gonfiati e frivoli” (Veltroni)), “falsi e pericolosi” D’Alema), e più o meno venduti secondo Berlusconi. L’Italia è sempre stata “un paese un po' speciale”, ironizza il direttore di “Repubblica” Ezio Mauro, “in cui, invece dei giornalisti che criticano i politici, sono i politici a criticare i giornalisti”. E si arriva alla conclusione che “il bene informazione è "dilapidato”, come ha fatto un lettore appassionato, il giurista Vincenzo Zeno-Zencovich, nel libello intitolato “Alcune ragioni per sopprimere la libertà di stampa”, e che i giornalisti sono, per l’autorità di un primo ministro britannico, Stanley Baldwin, come le puttane, “irresponsabili”. Dei giornalisti parlano male nel 1996 anche Susanna Tamaro, la scrittrice più amata, fra' Indovino, il calendario rural-sapienziale del Centro-Italia, gli stessi editori: Ronchey, Cesare Romiti, e di nuovo Berlusconi, nella veste di padrone del maggior gruppo di media.
“Ma un allarme argomentato è venuto anche da un gruppo d’intellettuali francesi di varia formazione, cattolica, laica, libertaria, che hanno scritto a “Le Monde” stupiti “di fronte alla concezione che oggi domina la stampa e che finirà per chiuderla nella sfera del potere”. Il quotidiano ci ha pensato due mesi prima di pubblicare la loro denuncia. La stampa, vi si dice, “guarda troppo ai propri interessi”, è ossessionata “dai comportamenti di chi comanda”, si sfianca su “pettegolezzi, frasi slegate, aneddoti”, monta titoli a effetto, si trincera dietro sondaggi e indici di gradimento. Col risultato “di attaccare l'opinione pubblica pi— che non di favorirne l'informazione e la riflessione””.

Invalidità – La pensione d’invalidità è stata per mezzo secolo nel secondo Novecento la prova e la patente della miserie del Sud, economica e morale. In Germania era un problema a inizio Novecento. Il filosofo Max Scheler ne tratta in un saggio del 1913, “Die Psychologie des sogennanten Rentenhysterie”; la psicologia del sedicente isterismo per la pensione d’invalidità.

Maternità – Non se la passa bene, neanch’essa. Non quella naturale, nata dal rapporto di coppia. La coscienza ecologica è ancora per la nascita zero. Tutti semmai sono per la maternità assistita, eterologa, artificiale: Asl, Rossi, Lorenzini, partiti, papi. Commossi e sovvenzionatori. Ma è l’effetto meraviglia della tecnica, che regna sul Millennio insieme con i soldi: la maternità in sé è sempre deprecata – nessuno si commuove per la mamma venti-trentenne che alle otto deve portare il bimbo all’asilo e contemporaneamente essere al lavoro.

Opinione Pubblica – L’opinione della maggioranza è risentita, da Stendhal oltre che dalla Francia della Restaurazione, come un portato della rivoluzione. Ma l’opinione è in realtà più spesso della minoranza – monetaria, politica, d’affari, e quindi intellettuale.

Paese normale – Si dice l’Italia non in pace con se stessa. Per un difetto intrinseco dell’italiano. Genetico? Formativo? Storico? Perché ne ha avuto, ne ha, motivo, tanti, troppi motivi?  Il fascismo. Il comunismo. La “Germania”. Le tasse. Che sono, però, tutti fenomeni italiani. Qualcosa nella “radice” – storica, culturale, antropologica, razziale anche, benché l’Italia sia di sangue misto - ci dev’essere.

Televisione – Non orienta il voto,contrariamente all’opinione corrente: tutte le ricerche demoscopiche lo confermano. Ha sicuramente un impatto, ma d’opinione. Sull’intellettualità cioè. Vale a questo proposito quello che D. Charles Whitney, direttore della School of Communication della Northwestern University negli Usa, spiegava a Jean Daniel, il direttore del “Nouvel Observateur”, in un’intervista vent’anni fa: “Ciò che mi colpisce è che la televisione ha molta più influenza sulle élites che sulle masse. È su quelle che può avere un effetto deleterio”.

astolfo@antiit.eu

L’arricchitevi di Clinton

Vent’anni fa, giorno più giorno meno, si registrava:
“Clinton ha scelto Reagan: sregolatevi, indebitatevi, arricchitevi. Ha tergiversato per un anno e mezzo sull’ipotesi di accelerare la crescita con le riforme sociali, per esempio con l’investimento nell’istruzione, anche nella sanità. Ma senza probabilmente crederci, giusto per pagare un tributo agli elettori che lo hanno preferito a Bush, repubblicano non reaganiano. Con convinzione ha poi decretato la fine del “welfare come lo conosciamo”, con tagli incisivi alla spesa.
Non è la sola novità: la deregolazione del settore finanziario, l’altra novità, è potenzialmente più esplosiva. Banchieri e affaristi potranno fare quello che vogliono, la vigilanza è in pratica inesistente. E l’effetto immediato s’è visto: il credito galoppa. Tutto questo è democratico, non si può eccepire a Clinton: ora vanno in banca anche i piccoli, se non i poveri, e ottengono credito. Ma se per investire o migliorare socialmente, nella casa, l’istruzione, le assicurazioni mediche, ancora non si sa. Quello che si sa è che i ricchi pagano meno tasse, meno che con Reagan, basta che diventino finanzieri. Mentre ipoteche sono segnalate di secondo e terzo grado, su immobili anche modesti, per pagarsi le vacanze o la Borsa, concepita come un roulette”. 

Vita breve e intensa di Draghi al Tesoro

È il sesto volume, secondo tomo “Le testimonianze”, delle opere complete di Guido Carli. Federico Carli, economista, nipote, raccoglie quarantacinque testimonianze sull’ex governatore e ministro del Tesoro. Non c’è Scalfari ed è un peccato, poiché è quello che più convinto sostiene la “grandezza” dell’ex governatore. E con cognizione di causa, avendone a più riprese tradotto in volgare il pensiero con lo pseudonimo di Bancor. Nonché sostenuto la “linea Lombardi-Carli”, il primo vero centro-sinistra. Ma almeno due presenze sono notevoli, quelle di Sarcinelli e di Draghi. Quest’ultima soprattutto.
Come nacque il debito
Mario Sarcinelli dà il contributo più esteso, aneddotico, affettuoso. Ma sostenendo tutto e il contrario. Che Andreotti è “un grande politico”. Che “si approfittava” di Carli, del suo credito internazionale - lo stesso Andreotti che silurò Sarcinelli due volte, alla Banca d’Italia e poi al Tesoro e alla Sace, la prima volta mandandolo anche in prigione. Che la sua evizione nel 1991, dalla Sace e dal Tesoro, fu opera dei socialisti e non di Carli, il suo ministro. Anzi nemmeno dei socialisti, di De Michelis. Anzi no, che fu lui stesso in realtà a voler lasciare la direzione generale del Tesoro, avendo coperto nel suo decennio, dal 1982 al 1991, la moltiplicazione del debito pubblico, che da allora ingessa l’Italia.
Draghi è rapido e preciso. Figlio di un funzionario della Banca d’Italia, così si biografizza, liquidatore con Menichella della Banca di Sconto, poi in Bnl. Uno che ha viaggiato con Menichella quando aveva cinque anni, e ha conversato con Carli quando ne aveva sedici. Laureato con una tesi sul piano Werner, con Federico Caffè, Col quale concordò che il piano non poteva funzionare perché teneva conto, non a sufficienza, della diversità dei sistemi di spesa e fiscali dei paesi aderenti.
La svalutazione
In realtà il piano Werner ne teneva conto: una politica monetaria comune, diceva, non può prescindere dall’armonizzazione delle politiche fiscali. Ma è importate che Draghi lo ricordi oggi in modo critico, da presidente della Bce. È un altro modo per dire che la Banca centrale europea è un animale spurio, che la Ue è sempre molto divisa e che l’euro così com’è non può funzionare.
Draghi dice, sempre in breve, un’altra cosa importantissima. Nel 1992, direttore generale del Tesoro, presiedeva a un vasto programma di emissione di titoli pubblici predisposto da Carli nel 1991. Ma fiutava, dice, che “qualcosa sarebbe successo al cambio della lira”, e sconsigliò le emissioni ai grandi investitori stranieri, suscitandone le ire. Lo racconta per lo spirito cinico cui anche Carli indulgeva, e per dire l’impotenza spesso, anche delle migliori intenzioni, di fronte ai fatti. Ma i banchieri, poi lo ringraziarono? E l’Italia?
Il vincolo esterno
Nello stesso spirito cinico Draghi configura la teoria e la pratica del “vincolo esterno”. Consolidato a Maastricht da Carli, e dallo stesso Draghi, al punto da diventare iugulatorio. L’Italia veniva da una pratica europea nella quale prendeva a cuor leggero impegni gravosi, anche contrari ai propri interessi, seppure nel quadro della superiore “convenienza europea” (“tenersi aggrappati alle Alpi”, consigliava l’Avvocato Agnelli), confidando che il “vincolo esterno” l’avrebbe poi costretta a soddisfarli. Carli disprezzava i politici italiani – ebbe parole di elogio  solo per Craxi e i suoi “rottamatori”. Disprezzava la pratica “schizofrenica”, dice Draghi, dei governi italiani, e “sperava nell’azione del vincolo esterno”.
Andreotti sapeva
Notevolissima è la  breve testimonianza anche per la contiguità, del resto giusta, fra il Tesoro e il governo, il capo del governo. Che nel 1991, quando Draghi divenne direttore generale del Tesoro, era Andreotti. Per quindici mesi, dall’assunzione della carica a marzo del 1991, fino a giugno 1992 e al trattato di Maastricht, Draghi passò due giorni a settimana a Bruxelles a discutere l’euro. A ogni ritorno, su consiglio di Carli, riferiva a Andreotti. Che Draghi ricorda come “rappresentante massimo della Democrazia Cristiana europea, al livello di Kohl”.
Draghi aveva sostituito al Tesoro Mario Sarcinelli. Il direttore del Tesoro era anche presidente della Sace, l’agenzia allora pubblica che controassicurava le banche sulle esportazioni. Fu severo, dice Draghi, e si volle (Andreotti e Carli vollero, n.d.r.) sostituirlo. Non autorizzava le coperture Sace perché le pratiche delle banche erano insufficienti o carenti, spesso per nascondere la costituzione di fondi neri all’estero – questo Draghi non lo dice ma si sa. Le banche protestavano, gli esportatori pure, Sarcinelli fu rimosso da presidente della Sace, e quindi da direttore generale del Tesoro, e Draghi gli subentrò. Ma “per tutto il 1991”, allude, la Sace non autorizzò nessuna pratica.
Il tratto più importante di Carli, in queste e nelle altre testimonianze, è il suo credito internazionale. Accumulato nel dopoguerra, all’Unione europea dei pagamenti. E alimentato dalle lingue: Carli, parlando inglese, tedesco e francese, partiva in vantaggio con qualsiasi interlocutore.
Federico Carli, a cura di, La figura e l’opera di Guido Carli, Bollati Boringhieri, pp. CI + 758, ril. € 60 

venerdì 12 settembre 2014

L’M I 6 mette in guardia l’Eni

L’M I 6 è in guerra con  l’Eni. Dapprima per Kashagan, il giacimento in Kazakistan, una guerra ormai quasi quindicinale. Poi con la Saipem, che prendeva troppi contratti ai danni dei costruttori britannici in Nord Africa, e tentava di entrare nel Golfo, nei ricchissimi emirati. Ora per la Nigeria: ha preso uno dei tanti nigeriani a Londra percettori di tangenti e l’ha denunciato, facendolo immancabilmente condannare. Ma non era il nigeriano l’obiettivo.Tutto quello che non va bene alla British Petroleum non va bene all’M I 6. Che è il servizio di spionaggio britannico all’estero. Civile. Alle dipendenze del Foreign Office. Che la politica estera concepisce in funzione del business – anche le guerre, in Iraq, Libia e altrove. Con l’ausilio dell’“Economist Intelligence Unit”, dell’“Economist” e, in minor grado, del “Financial Times”. E di notorie ong a copertura.
Anche la guerra è un falso scopo – quando si minaccia è per non farla. L’M I 6 non vuole colpire l’Eni, vuole metterlo in guardia. Non ci sono prove contro l’Eni, l’M I 6, se anche le ha, non le porta: forse la licenza è sopravvalutata, o il giacimento (non si sa se l’Eni acquisì un permesso di ricerca o un giacimento già perimetrato, né si sa se il mliardo di cui è questione è il costo del giacimento\licenza o la tangente), forse la provvigione era una tangente, forse la tangente era anche per i dirigenti Eni, forse. In Nigeria come già per il Kazakistan Londra vuole che l’affare non si ripeta. 

Bruti agli ordini, massonici

Si compone di molti “certamente” l’atto d’accusa della Procura di Milano contro l’Eni. Che non vogliono dire: è così. Ma: come dubitare che non sia così. È il modo di procedere di quella Procura, e del tribunale di Milano (“non poteva non sapere…”). Ma qui è di più: è la traduzione in un atto legale di un’informativa dei servizi segreti britannici.Non ci sono altre “prove” contro Scaroni, De Scalzi & c. che quelle fornite da Londra. Vaghe (v. sopra il perché), tipo gossip dei domenicali popolari. Con un profumo distinto di massoneria.
Quando c’è di mezzo Bisignani si sa che si tratta di massonerie. Che più spesso sono in lotta fra di loro e non cupole organiche come si pensa. Luigi Bisignani dice che non c’entra, ed è possibile: il suo nome è stato fatto per imprimere il cachet a tutta l’inchiesta di Bruti Liberati. Insieme di minacciosità e inattendibilità.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (218)

Giuseppe Leuzzi

Sandra Savaglio, astrofisica, copertina di “Time” dieci anni fa sul tema “Come l’Europa ha perso le sue stelle scientifiche”, torna in Italia, professore di Astofisica a Cosenza. Di lei tutto si è raccontato e nuovamente si racconta. Dove è stata. Con chi vive – ha una compagna. Cosa mangia. Ma non che è calabrese. E che ha studiato e si è addottorata in Calabria, a Cosenza, prima di lavorare alla John Hopkins e al Max-Planck-Institut. Non per cattiveria, chissà: non collima con al donna del Sud.

Ci fu un’alluvione analogo nel Gargano quarant’anni fa, 1974, nello steso mese di settembre, forse lo stesso giorno. L’alluvione imperversò a Péschici, imponendo un trasbordo a piedi a mezzanotte sotto l’acqua battente essendosi le limousine impantanate nel guado. Fradici e tremanti, con infinite cautele, dopo qualche ora fu possibile riprendere la strada. Ma al centro vacanze Pugnochiuso del Gargano, di cui eravamo ospiti, il cameriere rifiutò il caffè, perché la colazione cominciava alle otto.

Non è “la Calabria” che si oppone ai Bronzi all’Expo, è la Sovrintendenza alle Belle Arti. Ma, gira e rigira, il “Corriere della sera” ne fa colpa alla Calabria, con Sergio Romano mercoledì 3: i Bronzi non sono calabresi, sono nazionali, i Bronzi hanno già viaggiato, in Calabria sono stati soltanto trovati… È il modo d’essere di Milano, l’arroganza – è l’arroganza che fa la ricchezza?

Aspromonte
“Anime nere”, il film di Munzi che Nanni Moretti proietterà in anteprima nel suo cinema romano martedì, si fa precedere da questa sinossi – la mettiamo in italiano: “Se nasci in Aspromonte il tuo destino è segnato. Molti giovani cercano di intraprendere un cammino alternativo e vanno a vivere altrove. Sono però costretti a tornare al luogo d’origine dove le dinamiche sono criminali e l’insegnamento tramandato dalla famiglia, che loro stessi hanno assorbito, è spesso crudele e duro da accettare. Ad una situazione già difficile si aggiungono una realtà familiare fatta di affetti e contraddizioni e un paesaggio straordinario. Una storia incentrata sul male che definisce i rapporti tra gli uomini”.
È una storia, tra l’altro di Criaco, uno scrittore di Africo, e quindi ha il suo sviluppo. Ne uscirà ancora un Aspromonte dark? È probabile. La montagna forse più solare. Anche se la gente vi è indubbiamente dark, cupamente rinchiusa in se stessa più che espansiva, volitiva. Si può immaginare che la natura conformi l’uomo o prenda il sopravvento su di esso, non solo per distruggere ma per ispirare e governare? Immaginare sì, si può. Ma l’uomo è tetragono, non malleabile come si pensa – adattabile ma non influenzabile. Non per il meglio.
Ma, essendo nato e cresciuto “in Aspromonte”, non vedo come si possa essere “segnati”. Personalmente non ne ho motivo. Sono, è vero, tra quelli che “cercano d’intraprendere  un cammino alternativo e vanno a vivere altrove”. Ma non potevo fare “in Aspromonte” quello che volevo fare – succede: c’è gente che non riesce a farlo a Roma, per dire la città più grande, o a Milano, la più ricca, e si deve spostare. E quelli che sono rimasti non li trovo “segnati”.
Da cosa dovrebbero esserlo? Dalla natura evidentemente no. Dalla povertà? Non più. Dalla mafia? Nell’Aspromonte non ce n’è più che altrove, e anzi meno, essendo la zona montuosa e meno ricca. Dai rapimenti di persona? Il mio paese ha avuto per alcuni anni, all’inizio del fenomeno, a partire da quello di Ercole Versace nel 1963, il record dei rapimenti di persona, sette o otto. Locali, e quindi per decine di milioni e non per centinaia, ma più redditizi, perché il riscatto non andava diviio, o diviso poco. Poi uno dei due rapitori “professionali” s’è infermato, un altro è morto, e il fenomeno è finito – trasmigrato probabilmente, essendo tutto lucro e niente rischio, da loro conoscenti sull’altro versante dell’Aspromonte, a Platì-San Luca.
Una cosa che nasce e muore così non ha nulla di etnico o razziale, o segnato: è un fatto di ordine pubblico. Nella fattispecie, i Carabinieri non intervenivano per due motivi: che era un reato minore, patrimoniale (i Carabinieri non proteggevano allora la proprietà privata), e che ai rapiti veniva chiesto un riscatto equivalente alle somme che avevano percepito d’integrazione comunitaria alla produzione di olio - Ercole Versace no, ereditava dal padre.
Si commettono delitti anche nell’Aspromonte, più spesso inspiegabili. Ma questo succede in tutte le zone di montagna, per l’angustia delle valli, che con l’isolamento inducono ai fantasmi – Jean Giono, nel suo “Viaggio in Italia”, li trovava “normali” nelle Alpi. O per “l’aria dell’Engadina” di Montale  (“Ventidue prose elvetiche”, p. 74): per l’aria “secca, elettrica, eccitante, sottile, che favorisce la pazzia” .
Il fatto in sé è poco significativo. Una tramina non è un film. E l’Aspromonte non ha buona fama. La protagonista del film Bobulova candidamente ha raccontato dei suoi giorni a Africo per un paio di scene: “Quando volevo andare a prendere un caffè al bar, la produzione mi diceva di non andare da sola. Ma ogni tanto scappavo, e non è mai successo niente”. Dice anche che la polizia aveva sconsigliato il regista di girare in quei luoghi, e questo già cambia le cose – tanti film sono stati girati in Aspromonte, per dire, “e non è mai successo niente”, da Germi a Terence Hill e Lucio Dalla. Ma perché pretendere che “una storia incentrata sul male che definisce i rapporti tra gli uomini” segni l’Aspromonte?

Si può viaggiare “in Aspromonte” anche con la morte nel cuore, perché no. Ma per la sporcizia, perché i sindaci non fanno pulire le aree di pic-nic che si sono affrettati ad attrezzare. O, peggio, perché la Forestale non sa tenere i boschi. Che sono ancora verdi e verdissimi, l’Aspromonte è verde fino al cocuzzolo, ma dentro bacati: fitti e marci, senza luce, senza aree di rispetto, preda designata del primo fiammifero incauto.
Sono una decina danni che in Aspromonte non si producono incendi, ma è un miracolo. Uno dei tanti che non si sanno e non si dicono.

Io ho sempre marciato libero nell’Aspromonte, da quando avevo tredici anni e quindi in età remota. Con gli amici o anche con gruppi di estranei. Non solo in libertà, ma con piacere, poiché è una montagna gradevole, senza difficoltà, piena di scorci, tra i mari, sui quali sempre si apre, di sorgenti, di torrenti e cascate, di vestigia greche, bruzie, romane, bizantine, di bizzarre geologie. Di funghi naturalmente, specialmente pregiati dall’industria conserviera svizzera, e più giù di castagni, meleti, uliveti.
La libertà oggi si apprezza soprattutto rispetto all’affollamento: la cattiva fama può non essere nociva, non al turista o visitatore occasionale. Al residente magari no, ma a un artista o scrittore, anche a un semplice passeggiatore, non si può chiedere di fare politiche di sviluppo. Si possono ancora praticare i sentieri in libertà, ascoltare le voci della montagna, sentire il vento. A ogni passo, ogni valico, ogni anfratto, ogni rivo una sorpresa. Sulla tela di fondo del silenzio, non muto, la solitudine, la purezza dell’aria, la montagna dà questo privilegio, quando non è antropizzata.
Camus ha “la fortuna di essere nato povero in mezzo alla bellezza”, lui che visse triste i successi di Parigi, politici, filosofici, letterari, nell’animo sempre i giorni luminosi dell’infanzia ad Algeri, dove pure era figlio rifiutato. Povero, cioè indifeso, per distrazione, per consuetudine. Gli “elementi” possono dare splendore e gloria anche agli inermi e ai distratti: il sole, la luce, l’acqua, del torrente Petrilli alla pietra Grande, della sorgente, delle trote a punta gialla, delle trasparenze, delle iridescenze, della rugiada per esempio la mattina al primo albore. Si vive a propria  insaputa. Si è vissuti dagli eventi, dagli ambienti.

L’asse
Può darsi che lady Alison Deighton, immobiliarista britannica ecocompatibile, consorte di lord Deighton, l’uomo dell’Olimpiade di Londra, ex Goldman Sachs, sottosegretario al Tesoro, non dica la verità. Ma poiché il “Corriere della sera” le dà una pagina, non può mentire: ha comprato dei terreni a Nardò, li ha risanati, ha progettato un resort di lusso, tra l’entusiasmo del sindacò e la gratitudine della popolazione, ma la cosa non si può fare, la Regione nega l’approvazione. Senza un motivo. Destinazione d’uso? Impatto ambientale? Tutto a posto, ma…
È un caso di ordinaria corruzione: la signora non ha unto le persone giuste. Lo sanno tutti. Non è nemmeno vero che l’amministrazione di Nardò è d’accordo. Non più da quando, nel 2011, è sindaco l’avvocato Righi, espresso dal’asse Sel-Udc – Vendola-Casini per intenderci. Righi che era vicesindaco di Antonella Bruno, con la quale Alison Deighton aveva avviato il progetto. Poi alle elezioni si è smarcato in proprio, come Udc, e s’è messo con Vendola. Al secondo turno ha avuto i voti obbligati del Pd e ha vinto. Dopodiché il no.
Non il no, il ni Udc. La signora Deighton ha traccheggiato, poi s’è rivolta in Regione. Che ha preso a dire no senza motivo. La signora è stata mal consigliata o non sapeva che in Italia i patti si osservano, e Vendola, l’estrema sinistra in Regione, ha patteggiato con Casini. La prova? Ultimamente lady Deighton ha chiesto udienza a “un responsabile regionale molto in alto”: mezz’ora per non dire niente. È la prova del nove: il dirigente è parte del “ni”, oppure non lo è ma sa chi ne è parte e tace.
Questo la signora non lo dice – non può. Ma tutti lo sanno. Tutti, apparentemente, eccetto il “Corriere della sera”. Che ne incolpa l’“Italia”, il “Sud”,  la cattiva burocrazia.    

L’omertà in Germania
I pestaggi nazi, un tempo delle “zecche” ora degli immigrati, avvengono per la strada in Germania senza che nessuno mai intervenga. Lo nota in alcuni dei suoi racconti Carmine Abate, sicuro germanofilo.
L’omertà vige in Germania come in Italia, non solo al Sud, solo che non ha nome. Fa parte della più generale superiorità, per cui i difetti sono degli altri. Un tedesco può dire che l’italiano è spaghettaro, mandolinaro, mafioso, perché è la realtà. Un italiano non può dire i tedeschi ubriaconi e violenti, anche se è la realtà. L’omertà vi si intreccia infatti con una propensione alla denuncia anonima ineguagliata.
In “Gentile Germania”, volendo tracciare al Nord qualcuno dei tanti vizi che si imputano congeniti al Sud, abbiamo incontrato pure l’omertà, giuridica, storica:
Nei pochi processi istruiti non ci furono testimoni delle stragi in guerra, sono reticenti pure gli storici, sospetti di lesa patria.
L’omertà è categoria non definita, è sociologia di caserma, dei carabinieri, ma di essa è parte certa la negazione, pure dell’evidenza. Speer ha scritto mille pagine sugli anni con Hitler senza vedere né sentire nulla. Oltre che da Hitler e Goebbels, che incontrò a pranzo e a cena tutti i giorni per dodici anni, Speer non seppe nulla dal suo miglior amico, il dottore generale Karl Brandt, che finì settantamila persone per pietà, e molte infettò a fini scientifici”, etc.

leuzzi@antiit.eu

La Calabria salvata, e la famiglia, due miracoli

Vincitore del Campiello 2012, un affresco generazionale lungo quattro generazioni, della storia nota dell’Italia, l’ultimo secolo, dalla prima guerra mondiale al fascismo, alla seconda guerra con la Liberazione, la Repubblica, l’emigrazione in Francia e Germania, e il boom che non si dice - la cooperativa agricola, la figlia archeologa. Che salverà, forse, la “collina del vento” sotto la quale Paolo Orsi voleva trovare all’inizio della storia l’antica Krimisa. Un idillio familiare nel mezzo del male, di unità e coraggio insieme, nel filone degli storioni familiari, di cui il popolo è ghiotto. Ma specialmente legato alla Calabria, quale è tutta la narrativa di Abate, nel filone di Répaci piuttosto che di Alvaro – qui anche al Trentino, dove Abate vive (Orsi veniva da Trento). Una narrativa annalistica, di testimonianza in controluce di alcuni fatti, l’emigrazione soprattutto ma non solo, e una testimonianza a futura memoria.
Un atto d’amore anche: “Questi luoghi sono ricchi fuori e dentro… Solo chi è capace di amarli sa capirli e apprezzarli. Gli altri sono ciechi o ignoranti. O disonesti e malandrini”. Cosa che si può dire probabilmente di ogni luogo e persona, ma Abate vuole che si sappia. La Calabria salva, senza i baroni mafiosi, e la famiglia: due scelte coraggiose.
Abate ha scelto una scrittura piana documentaristica. Forse pedagogica. Ma non dei fatti, le persone e i luoghi narrativi, che restano nel paradigma sociopolitico: la povertà diventa miseria perché è irrimediabile, ed è irrimediabile perché i cattivi regnano, invidiosi, prepotenti, mafiosi . Che non è verro ma è consolante, collima con una certa memoria, costruita dopo. Mentre è una malattia di dentro, ed è il problema del Sud, altrimenti ricchissimo, non ultimo d’intelligenza – flessibilità, iniziativa, adattamento, costanza.
Carmine Abate, La collina del vento, Numeri Primi Mondadori, pp. 260 € 13 

giovedì 11 settembre 2014

Vincolo esterno e effetto annuncio

Dunque l’Italia si obbliga non più a un deficit del 3 per cento del pil ma a uno del 2,6. Costante, mobile, irraggiungibile, da Bruxelles e Francoforte l’asticella del salto nel buio viene per l’Italia spostata sempre più a livelli irraggiungibili. Così, distrattamente, in realtà come una condanna, l’effetto annuncio è peggiore della “cosa”: la Banca centrale europea dice distrattamente che “l’Italia rischia di non raggiungere l’obiettivo di contenere il deficit al 2,6 per cento del pil”, e i mercati si obbligano a disfarsi dei bot.
Può darsi che sia Roma a sollecitare questi interventi, ma ciò non toglie che è l’“effetto annuncio” a disastrare l’Italia da qualche tempo, sono ormai quattro anni. Alimentando la sfiducia. Il bollettino della Bce trimestralmente, il suo presidente mensilmente, e le Autorità Tedesche, che sono la vera banca centrale, a turno settimanalmente. Perfidamente: in materia monetaria la discrezione è dobbligo. E illegalmente. Quand’anche i rilievi fossero fondati. Quand’anche questi interventi fossero richiesti da Roma.
È vero – sembra impossibile ma è vero – che a Roma si privilegi, nel corpaccione molle dello Stato, il “vincolo esterno”. Che Bruxelles decida per l’Italia. Inventato da Guido Carli, che Scalfari definisce l’artefice del “miracolo italiano” negli anni 1950-1960. Farsi richiamare all’ordine, o magari farsi scrivere una lettera. Non importa con quale fondamento – la Bce ora vuole dall’Italia un indebitamento ridotto al 2,6 per cento del pil, mentre il vincolo dei trattati è al 3, e la Francia allegramente da un paio di anni sfora il 4. È una politica suicida. Senza contare che stringere la cinghia in una recessione che dura ormai da cinque anni ha il solo effetto di affrettare la fine – qualsiasi studente di economia lo capisce. Che la Ue cioè non è intelligente, o magari non benevolente - non si sa cosa è peggio.


I barbari a Roma

La sua “rivoluzione archeologica” il super-sovrintendente La Regina intende a Roma come la pedonalizzazione del centro-città, per lasciarlo ai turisti. Una città di cento-duecentomila persone? Il doppio nei giorni lavorati? Da non credere: ma dove li prendono?
Uno – giusto per stare alla specializzazione nel neo-solone - che non è stato al Foro Romano trent’anni fa, o a Pompei, e non vede la differenza col cafarnao di oggi, e la desolazione? Come si può pensare di chiudere una città a beneficio di bancarelle, magliette, ricordini e panini?
Dice: ma i turisti portano soldi. Ma che discorso è, da un sovrintendentente, da un  sindaco? Sono soldi buoni, il costo non si calcola, di distruggere una città per il calpestio di turisti distratti, che fotografano nemmeno loro sanno che cosa? E per quanto tempo li porteranno? Prima o poi potranno fotografare le copie nei Disneyworld, al fresco e al pulito.
Ma, comunque, per questo distruggere una città? L’isola pedonale fu inventata dal centro-sinistra a Roma nel 1965, ma limitatamente a Piazza Navona. Senza le bugie ambientali con cui il grande-piccolo business dei centri pedonali si copre: i centri storici chiusi danno un contributo prossimo allo zero all’antinquinamento. Ipoteticamente, perché non ci sono città chiuse, come avverrebbe a Roma.
Zone pedonali sono state fino ad ora una o due piazze e poche strade adiacenti. È una ricetta nordica, di farsi la “piazza”, un luogo dove passeggiare che altrimenti non avrebbero, e non si discute. Roma, che vive in piazza, ha finora resistito con coraggio anche alle isole pedonali. Da città viva, plurivocazionale: religiosa, storica, artistica, politica, amministrativa, universitaria, commerciale, industriale, artigianale, tecnologica. Possono distruggerla due barbari, La Regina napoletano, Marino siculo-americano?

Il femminicidio come opera d’arte

Fu un delitto dell’ipocondria, forse, Gesualdo era ombroso. O forse non un delitto, un dovere coniugale, per l’onore della famiglia, contro due amanti a tradimento nel letto coniugale. Un affare di principi e duchi, del resto, e quindi exlege: la ventiquattrenne Maria d’Avalos, la più bella del reame, sposa già in terze nozze del principe madrigalista, scopre infine la passione a ventiquattro anni con  l’avventuroso Fabrizio Carafa d’Andria. De Simone, amando molto il suo “”Principe dei gigli” pio musico, ancora non se ne capacita e ci costruisce sopra una cavalcata imbizzarrita, scalpitante. Una commedia musicale, seppure col latinorum e senza balletti. A volte purtroppo politicamente corretta, con l’antigesuitismo, il bisessualismo, i rovesciamenti, un tempo agudezas, il gossip, e perfino lo Stato-mafia (il complotto) – il caso, del resto, è di femminicidio. Ma disinibita e strafottente, come vuole essere la storia a Napoli. Nella confusione desimoniana dei registri, popolani e barocchi, dei sentimenti, delle virtù, che più spesso sono blasfeme, o rancide. Per ossimori costanti, com’è suo uso, che qui De Simone sottolinea anche verbalmente. Anche la religiosità vi è blasfema. Un’operazione costante, ad ogni scena, di ricostruzione-decostruzione. Con l’effetto, infine, di trascolorare il trucidume in elegia – ogni scena si costruisce su un madrigale.
“Confuse e caotiche pagine”, una stravaganza? Un capolavoro, forse, in musica. Per il lettore un “travestimento”, come dice il sottotitolo. Accentuato dall’appendice stravagante di Mariano Bauduin sull’indagine impossibile: Gesualdo era uno che “quella «sesta napoletana» che caratterizzerà tutta la produzione del Settecento napoletano, influenzando Mozart e Beethoven, … (gli) sembrava già rétro”. Affidata a Don Ciccio, che Gadda fece molisano non potendolo fare (paura dei fulmini vesuviani) napoletano, un commissario a cavallo di quattro secoli e due capitali, la Napoli di Gesualdo e la Londra di Jack lo Squartatore. Con “Alice”, lo psittacismo, o arte del’imitazione, John Dee col Libro Nero, e il Vecchio della Montagna.
Bauduin-De Simone sembra voler celebrare “l’arte della contraffazione”, la ricerca della verità nel falso, come la pepita nell’ammasso: “Il mondo delle cosiddette verità non è che un contesto di favole: di brutti sogni”. Per una verità tuttavia evidente: che “l’assassino, il «mostro», è l’immagine centrale dei nostri sogni, dei nostri incubi e, perché no, delle nostre certezze: uccidiamo qualcuno, qualcuno ci uccide”. “Centrale” forse no, ma per il resto sì: femminicidi siamo noi, maschi del Millennio (ma non bisognerebbe indagare pure il femminismo?)
De Simone ha già osato in commedia il riferimento indicibile. Di Pasolini che anch’egli fece della (sua) morte “opera d’arte\ relativa ai suoi versi” – come di Gesualdo il “delitto d’arte, degradato\ a scurrile romanzo d’appendice”.
Roberto De Simone, Cinque voci per Gesualdo, Einaudi, pp. 105 € 10,50

Problemi di base - 196

spock

Mi si vede di più se non mi mostro?

E parlo meglio tacendo?

Si desidera per essere o si è per desiderare?

Perché altro, sennò?

Che senso ha il Big Bang? Senza una carica esplosiva, cioè

Perché i russi, che sono i nostri nemici, riducono il prezzo del petrolio?

Perché Obama, che è il nostro protettore, lo ha portato a cento dollari?

Perché l’Europa ha fame di guerre, francesi, inglesi, polacchi, quella gente lì?

spock@antiit.eu 

mercoledì 10 settembre 2014

Recessione - 24

Ciò che dovreste sapere ma non si dice:

Il reddito disponibile delle famiglie italiane è tornato ai livelli di trent’anni fa – Confcommercio: nel 2014 il reddito disponibile è stato pari a 17.400 euro, come nel 2013, nel 1986 era di 17.200 euro.

La Germania moltiplica l’attivo delle partite correnti. Con esportazioni in calo ma importazioni in calo maggiore.

La recessione non recede in Europa a causa delle politiche fiscali europee. Sergio De Nardis, capo economista Nomisma, il think thank creato da Prodi: la recessione “chiama alla memoria la crisi vissuta dal nostro Paese negli anni Trenta. Oggi come allora ha una sola causa: la caduta della domanda aggregata. Su questa avrebbero dovuto intervenire le misure per la ripresa a livello europeo, che hanno invece sospinto i Paesi verso una pericolosa trappola di stagnazione e deflazione”.

Non cè taglio della spesa pubblica sufficiente - avrebbe potuto aggiungere De Nardis - in recessione: è un circolo vizioso.

L’euro rende la recessione una trappola per la perduta capacità d’iniziativa monetaria della banca centrale, ora europea. De Nardis: “La perdita della capacità di incidere della Bce ha amplificato l’impatto depressivo dell’austerità fiscale e tende a neutralizzare gli auspicati effetti favorevoli delle riforme strutturali sulla domanda”.

Le riforme in queste condizioni sono inutili, l’Italia lo dimostra. Che ha, di fatto, il mercato del lavoro più flessibile della Ue, l’età pensionabile più alta, il blocco da otto anni dei salari pubblici, i tagli più consistenti alla spesa, il prelievo fiscale, diretto e indiretto, più alto.

Letture - 184

letterautore

Dio femmina - Dio è donna lo sostiene Blixen, oltre agli gnostici: “Capiremmo la natura e le leggi del Cosmo se riconoscessimo il suo creatore e padrone essere di sesso femminile”. Ci spiegheremmo il mondo di sangue e lacrime se dicessimo la Provvidenza una pastora e non un pastore: le lacrime sono per la donna perle preziose, il sangue la ragazza lo versa per divenire vergine, la vergine per diventare sposa, la sposa per diventare madre - “La relazione fra il mondo e il Creatore è per la donna una  storia d’amore. E in una storia d’amore la ricerca e il dubbio sono assurdità”.

Falso - Si esuma “Il Condottiero”, opera dimenticata di Perec ventenne, sul falsario che arriva alla verità – arrivare alla verità col falso. Mentre Banville, “L’intoccabile”, si candida al Nobel falsificando la vita di Anthony Blunt, che si suo era spione, forse. Non si sa che fare, per sfuggire al “pensiero unico” – siamo meno liberi quando abbiamo avuto tutto per essere liberi?

Galileo – Uno dei primi sospetti, anzi quello che lo designò sempre al sospetto, fu la scelta di scrivere le “comunicazioni scientifiche” in volgare anziché in latino. In prosa del resto chiara e significante, esemplare nella prosa italiana, come viene sempre più riconosciuto,dopo De Sanctis (“uno stile tutto cose e tutto pensiero, scevro di ogni propensione e ogni maniera, in quella forma diretta e propria in che è l’ultima perfezione della prosa”), Gentile e Calvino. Il 1612, quando le persecuzioni iniziarono, è l’anno in cui pubblicò il “Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua”, 1612 – dopo il “Sidereus nuncius” e il “De motu antiquiora”. Il “Saggiatore” soprattutto, ma anche il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, sono scritture sapide, oltre che scientificamente calibrate.
Scelse di esprimersi in italiano, piuttosto che nella lingua accademica, per reagire all’ambiente paludato che lo perseguitava, da uomo sanguigno quale era. Letterato peraltro sempre, per formazione familiare, se non per propensione. Debuttò nel 1588, ventiquattrenne, su invito dell’Accademia Fiorentina con due “Lezioni circa la grandezza, sito e figura dell’«Inferno» di Dante – in cui difese da matematico le ipotesi di Antonio Manetti, umanista, architetto e matematico, un secolo prima. A cui seguirono tre anni dopo le “Considerazioni sul Tasso” e le “Postille all’Ariosto”.

Imprenditore - L’ambizione è la base dell’impresa, non l’avidità. L’ambizione è costruttiva, mentre l’avidità può esercitarsi a danno dell’impresa. L’ambizione che è dei poeti e dei santi, anche nell’inadeguatezza o il fallimento. Imprenditore è Dante, è Rabelais, è Joyce, uno che osa, scommette anzi, ma con un piano. Che fa l’ordinario, ciò per cui si sente nato cioè, ma lo pianifica e lo gestisce, in un’ottica di sviluppo – di crescita, innovazione, avanzamento.
L’imprenditore-innovatore è l’Autore di se stesso. Freud lo direbbe, o Lacan, il Padre di se stesso, qui le maiuscole ci vogliono. Un po’ paranoico, è essenziale per capire gli altri, pensare quello che essi pensano. Ma deve essere la cosa più simile alla felicità. Hannah Arendt sostiene che il lavoro egualitario ostacola la ricerca e i buoni sentimenti.

Opinione pubblica – “La regina del mondo. Il potere dell’opinione pubblica” è opera recente di Jacques Julliard. “Illusioni perdute”, sui giornali della Restaurazione, era titolo di Balzac poco meno di due secoli fa. Quale titolo è più vero, ora che i media non orientano neppure il voto. Orientano i consumi, è vero, ma allora come veicoli pubblicitari e non di opinione.
La libertà di stampa è stata lo strumento per eccellenza della teologia morale ai tempi di Milton, nel 1644, quando uscì la “Aeropagitica”. Milton ne faceva il mezzo migliore per distinguere il vero dal falso, intendendo il bene dal male.

Padre - La verità è che non si uccide il padre – pratica oggi costante - impunemente, da quello che si sa dalle tragedie. Né è salvezza l’amore della mamma, il bisogno della maternità, la purezza del non essere nati. La realtà” nelle Poesie in forma di rosa: “Il mio amore\ è solo per la donna: infanta e madre.\ Per loro, i miei coetanei, i figli… arde\ in me solo la carne”. Pasolini protestò dopo la provvisoria condanna della Ricotta, lo fece eccitato con Moravia e con lo stesso giudice Di Gennaro che lo con dannava, l’unica volta che reagì nervoso alle alchimie giudiziarie, perché la madre Susanna era svenuta alla notizia. Alla madre scrisse: “Sei insostituibile. Per questo è dannata\ alla solitudine la vita che mi è data.\ E non voglio essere solo. Ho un’infinita fame\ d’amore, dell’a-more di corpi senz’anima”. Vivevano nella stessa piccola stanza sfollati a Versuta, e passeggiavano come fidanzati all’occhio dei paesani, avendo abbandonato il padre sconfitto solo di notte di nascosto a Casarsa.

Pasolini  - Un moralista libertino? In buona misura sì, è l’apposizione attributiva che più calza.
Non si può non voler bene a Pasolini, anche per le intemperanze. Ma insostenibile. Si può leggerlo, conformista dell’anticonformismo, in tutte le sue pieghe, quasi un opportunista di formazione e elezione, come un libertino. Uno che ci ha preso e ci prende in giro, anche non cattivo, non con gli altri. Frettoloso e definitivo, nell’esperienza e nel giudizio. Affrettato, affettato anche. E sempre in guardia: non si fidava di se stesso. Ne aveva motivo?
Il sadomasochismo, di cui infine è rimasto vittima, non era una posa. Ma anch’esso confluisce nel libertinismo, per quanto moralista. Aveva cominciato a lavorare criticamente su Pascoli, su magie cioè artificiali e ingenuità volute, “false”.

letterautore@antiit.eu

Le sorprese del viaggio d'ufficio

Un Moravia multitasking non è la sola perla - perfetto come sempre nell’umore e le camiciole, anche nel fango e l’abbandono, pedagogo, ultimativo, forse ingenuo, antropologo di una “popolazione” del lago Turkana in Kenya che forse conta cento persone e vive di turismo, delle foto coi turisti. Il Kenya imbarbarito, l’Albania ingentilita, le tortura sulle donne, ancora vent’anni fa, il tempo di queste corrispondenze, in Africa e in America Latina, la “nerezza africana”, la notte, tanti orizzonti si schiudono in breve. O il Giappone “paese della lealtà e della cortesia”. E come l’emigrazione improvvisamente fu regolata in Albania – in doloroso contrasto, a leggerne oggi, coi traffici dalla Libia. Ma così per caso, anzi di malavoglia.
È un libro che amareggia, per quello che avrebbe potuto essere e non è. Di corrispondenze d’occasione, per inviti a lezioni, convegni, conferenze di università esotiche e istituti di cultura italiani, necessariamente farcite di ringraziamenti e deprecazioni (l’Italia non fa abbastanza…). Il viaggio attrae in età Dacia Maraini, nata nomade – a un anno emigrata in Giappone con gli avventurosi genitori, dove fece la guerra, per tornare e imparare l’italiano a nove anni. Viaggiatrice anche frequente, anche con Moravia e Pasolini, che avrebbe fatto una felice anomalia nell’insapore letteratura di viaggio made in Italy, e invece ne scrive per obbligo.
L’altrove seduce e respinge. Il viaggio è come una qualsiasi uscita fuori casa, un concerto, un teatro, un tempo anche il cinema, lo stesso pranzo domenicale dai nonni, o la gita fuori porta. C’è voglia di novità, naturale, umana. Innaturale è semmai il sé pesante, che lo scrittore italiano favorisce e anzi coltiva, perfino nelle situazioni remote e estreme: ricordi, sensazioni (“maddalene”), nostalgie, storioni familiari, autoincensamenti, magari sotto forma di deprecazione. La scrittura dell’ombelico. Maraini è, avrebbe potuto essere, un’eccezione.
Dacia Maraini, La seduzione dell’altrove, Bur, pp. 178 € 8,90

Stupidario feriale

“Vilnius, capitale della felicità”

Vilnius, nel centro esatto dell’Europa”. Con quale compasso?

“L’Islanda troppo fredda? Non è vero”.

La scuola italiana è la peggiore fra i 34, o 37, o 39, paesi dell’Ocse – servizio studi Ocse.

Gli italiani non capiscono quello che leggono – id.

L’Italia ha nella scuola troppi insegnanti e pochi fondi – id. Ci stanno per eutanasia?

I giudici hanno due settimane di vacanze in più perché fanno i compiti a casa – Anm.

Non ci sono soldi per i dipendenti pubblici. Ma per i carabinieri e i poliziotti sì.

martedì 9 settembre 2014

Ombre - 235

Robledo tuona non solo non solo contro il suo capo Bruti Liberati ma anche contro “le manovre del presidente della Repubblica”. E Caselli contro Sabina Guzzanti. Al Festival della Giustizia alla Versiliana – si dice la festa del “Fatto Quotidiano”, ma è stata la tre giorni dei giustizieri.
I giustizieri sono come i nordisti, ce n’è sempre uno più degli altri. A quando un duello Guzzanti-Travaglio?

La Versiliana è noto covo di ricchi, come D’Annunzio che l’abitò passò “verso la vita”, dove è più comodo.

Si dice la festa del “Fatto Quotidiano” a Marina di Pietrasanta ma è all’angolo con Forte dei Marmi, da cui trae il suo pubblico. Dunque, la giustizia è di casa al Forte.

Davigo, il giudice che voleva rivoltare gli affari “come un calzino”, è la star dello studio Ambrosetti a Cernobbio. Ha fatto carriera, e difende il carcere: “Non ci sono troppi carcerati in Italia, son mneo in rapporto alla popolazione che nel resto d’Europa. Quello che manca sono le carceri”. La sua Mani Pulite nacque da una lite tra costruttori di carceri, big business.

“Così la Ferrari diventerà americana”: non si perde l’ultima battuta perfidia italica Montezemolo dopo una vita onorata alla Fiat. Alla quale non ha dato nulla. Giusto perché era il pupillo dell’Avvocato. Al quale dobbiamo dunque la mezza rovina Ferrari, dopo quella tentata della Fiat.
Ferrai americana, secondo Montezemolo, come se all’infuori di lui in Fiat fossero tutti scemi.

“Persi nel Lazio due miliardi per il blocco degli statali”, è la denuncia della Cgil. L’ennesima. Ma così è. Solo il sindaco di Roma e il presidente del Lazio mostrano di non saperlo.

Fiat-Chrysler è la prima per crescita in America, al Nord e al Sud. Chrysler, data per morta cinque anni fa, vanta da tre anni i più alti tassi di crescita. Cinque anni, dopo dodici anni di proprietà e gestione Mercedes. Che rischiò di fallire col buco nero Chrysler.
Perché non si dice mai che la gestione tedesca portò la Chrysler al fallimento?

Lech Walesa deve contenere i suoi bollenti polacchi che vorrebbero la guerra alla Russia. La storia è varia ma è sempre la stessa.

Russia e Ucraina si accordano per evitare la guerra. Ma Obama e Cameron chiedono più “pressione”. Due perdenti. Della libertà o di che cosa?

Scontro alla Bce tra Draghi e Weidmann (Bundesbank). Con argomenti. I governatori delle banche centrali di Austria e Olanda si schierano con Weidmann. Senza argomenti. Il desiderio è forte di gregarismo.
Poi magari ci chiederanno di liberarli.

“I figli (dei Governatori) dovranno avere lo stesso colore della pelle dei genitori”. Pubblicità Progresso.  Di governatori di sinistra, Rossi, Zingaretti, Chiamparino, Crocetta, Vendola, nomi qualificati.

Donatori e donatrici della nuova maternità non potranno avere più di dieci figli.

Conte proibisce i cellulari in allenamento e punisce i ritardatari. Presuntuso. Van Gaal pure, proibisce anche lui i cellulari e punisce i ritardi. Oh meraviglia.

Foto di gruppo mercoledì: “Il senatore Pier Ferdinando Casini, 58 anni, e l’ex premier Massimo D’Alema, 65 anni, ieri alla Festa dell’Unità a Bologna”. Gioventù incompiuta?

D’Alema: “Non siamo il partito del premier”. Di che cos’altro?

Sessanta rom, mendicanti, trovati a Roma col conto in banca. Dai 20 mila euro in su - quindici oltre i centomila, sei oltre i 200 mila, uno di quasi 400 mila. Da una ventina d’anni. Non ricchi, seppure senza spese, a tutto provvede il Comune, ma c’è ancora un modo di vivere zigano?

La metà del welfare mondiale è europeo, ricorda  Angela Merkel. Europeo della Ue. La quale però produce solo un quarto della ricchezza mondiale. Ed è appena il 7 per cento della popolazione. La festa è finita.

Povero e folle il Sud Usa

Tre personaggi memorabili, la Emily del titolo, Zilphia Gant e la Juliet di “Adolescenza”. Di sfigati naturalmente ma non di maniera. Sulla “eterna faida tra genitori e figli”. Più crudele nel mondo derelitto che allora era il Sud, del cotone impoverito senza lo schiavismo e delle marcite.
William Faulkner, Una rosa per Emily

lunedì 8 settembre 2014

Draghi sapeva da giovane che l’euro non poteva funzionare

Lo confida a Federico Carli, come una delle “Testimonianze” che compongono il sesto volume delle opere dell’ex governatore, ma non è un segreto. Era anzi la sua tesi di laurea, di Mario Draghi. Nel 1970, con Federico Caffè. Una disamina del Piano Werner, il primo progetto di unione monetaria europea che proprio quell’anno era stato redatto. Da una commissione presieduta dall’ex primo ministro del Lussemburgo Pierre Werner. Non prevedeva una moneta unica ma dei tassi di cambio fissi, e il coordinamento delle politiche monetarie nazionali. La conclusione che Draghi ne trasse fu scettica: senza un coordinamento rigido delle politiche fiscali e sociali nazionali i cambi fissi non potevano funzionare.
Era questa anche la conclusione di Werner, alla lettura del rapporto. Ma le sue conclusioni furono presentate in forma positiva e diedero avvio al Sistema monetario europeo.
Relatore della tesi di Draghi fu Federico Caffè, che il presidente Bce dice esperto in qualche misura delle tematiche internazionali. Non era così, possiamo testimoniarlo avendo avuto Caffè come commissario a un concorso tre anni prima. Il tema del concorso era la cooperazione per lo sviluppo, e la tesi che essa opera a favore dei paesi donatori, fondata sui saldi delle partite correnti, sulla base della metodologia di P.T.Bauer della London School of Economics, suscitò i suoi sarcasmi – non fu nemmeno discussa: la cooperazione è un atto di generosità, etc. L’analisi dello Sme impossibile è tutta di Draghi.
Caffè invece venne opportuno per la seconda parte della confidenza di Draghi a Federico Carli: “Le sue idee mi sa che trovano orecchie sensibili in Banca d’Italia”. Dove c’era Carli. Era così, dice Draghi: direttore generale del Tesoro dal 1991, con Carli ministro, Draghi è due giorni a settimana a Bruxelles a discutere il futuro trattato di Maastricht. Cin la netta sensazione che non avrebbe potuto funzionare. Condivisa da Carli. Poi Ciampi e Prodi vollero diversamente.