sabato 11 ottobre 2014

Il mondo com'è (190)

astolfo

Casta – Si discute se è ancora valida la doc D’Alema, che tre anni fa ne assegnò il conio alle Br: “«Casta dei politici» appare nel dibattito pubblico italiano per la prima volta in un documento delle Brigate Rosse e ha mantenuto quella impronta”. Filippo Maria Battaglia, che ci ha scritto sopra un libro, “Lei non sa chi ero io. La nascita della Casta in Italia”, sposta l’origine a don Sturzo, a un articolo che scrisse nel 1950. È di moda sostituire De Gasperi a Togliatti, e quindi don Sturzo a D’Alema. Ma la casta c’è nel “Comunista” di Morselli, successivo a don Sturzo ma con più proprietà. Nel romanzo la ”casta” è avocata da un parlamentare del Pci – il protagonista – deluso dal Parlamento, da Roma: la Camera dei Deputati è “verbosa, borghese e superflua”.

Catalogna – Sarà sì al referendum per l’indipendenza della Catalogna il 9 novembre, sondaggi e opinionisti non lasciano dubbi. Il referendum non avrà effetti poiché non ha valore legale. E anche perché la Catalogna vuole saggiare fino a dove può spingersi, fino a qual punto l’autonomia ne incrementi e non riduca la ricchezza. E anche perché la Germania, cui la Catalogna è legata per l’immobiliare e la finanza, anch’essa ci vuole vedere chiaro – se ci guadagna o ci perde. Terzo: sarebbe il primo Stato storico che si divide in Europa, e anche questo è motivo di perplessità. Ma il sì di Barcellona inevitabilmente indirizzerà la Spagna verso un ordinamento federale. Con bandiera, campionato di calcio, nazionale di calcio, etc. Alla Catalogna seguiranno i paesi baschi e  la Galizia.

Plebiscitarismo – Grillo dopo Berlusconi, e ora Renzi: si può dire l’Italia il laboratorio della nuova politica, la politica del millennio. Dopo il parlamentarismo del Novecento, e la politica borghese, delle borghesie nazionali, con gli irredentismi e i risorgimenti, nell’Ottocento. O anche no, l’Italia è il battistrada europeo di una forma politica già avviata negli Usa. Obama è egli stesso un antipartito. Come già, a suo modo, Clinton. E prima di lui Reagan. Personalità neppure eccelse che tuttavia si sono imposte al partito. L’elettore vuole un volto, un nome, e un linguaggio cui dare fiducia, non un’assemblea. La riforma elettorale in Italia in senso plebiscitario, per tutti gli organi elettivi (sindaco, presidente della provincia, presidente della regione) eccetto che per il capo del governo, è stata fatta volutamente sulla traccia americana. A lungo predicata e predisposta dalla scienza giuridica e politica sull’orma del decisionismo di Mosca, o di Carl Schmitt mediato da Gianfranco Miglio, che avevano trovato un varco politico in Craxi.

Si può considerare il plebiscitarismo la risposta anche all’antipolitica, degli interessi costituiti attraverso i media, della cosiddetta opinione pubblica. Una reazione a un’opinione pubblica sempre più privata, anche oltraggiosamente. Ma è una forma politica debole, limitata al voto. La politica stessa peraltro si riorganizza in forme allentate e deboli, attraverso i partiti del capo. Si veda il flop del tesseramento del partito più tradizionale, il Pd, e l’adesione fluttuante alle sue primarie, che al contrario del voto sono rituali e poco decisive – i ripensamenti sono ormai numerosi sui vincitori delle primarie, Marino, De Magistris, Crocetta, lo stesso Vendola.
In un certo senso si ripete a un secolo di distanza, con le ambiguità della questione morale, l’insorgenza della classe politica che Gaetano Mosca aveva studiato e classificato. Della politica delle  élites, in un quadro di riferimento frammentato e fragile, se non confuso. Per la crisi economica e per l’invadenza dell’apparato repressivo, sotto la maschera della giustizia.  

La funzione di governo è il problema centrale dalla Grande Riforma - il progetto di Craxi - in poi, quindi da venticinque anni.
Avversata dai partiti minori, perché ne riduce il peso. E a suo tempo dal Pci, che pure ne condivideva  l’impianto (chi vince le elezioni governa) e il principio democratico ispiratore (l’alternanza delle maggioranze, la sostituibilità). Il Pci l’ha avversata perché la patrocinava Craxi, suo primario avversario politico, anche post-mortem, e l’ha demonizzata coi suoi potenti mezzi di comunicazione, come progetto Gelli o della Rinascita nazionale, un progetto eversivo. Quando non l’ha acculata al fascismo, benché vecchio ormai di settant’anni e sconfitto dalla guerra e dalla Resistenza.
Analogamente hanno agito gli interessi costituiti, dei potentati economici, industriali e finanziari, che non vogliono un governo che governi. Che potrebbe disboscare il sottogoverno, il mercato degli appalti e degli interessi finanziari legati alle opere pubbliche, alla rendita urbana e ai servizi pubblici (telefoni, energia, assicurazioni) , cioè ai profitti facili e ai superprofitti.
L’esigenza tuttavia sempre riemerge, perché è ormai la prassi consolidata in tutti i regimi democratici, vecchi e nuovi, anglosassoni e iberici, della Francia e dell’ex Unione Sovietica. Nella stessa Italia, tirando le somme, l’opposizione reale alla funzione di governo forte è solo degli ex Dc, per la non disprezzabile avversione al centralismo, ma anche per l’inveterato vizio della Dc post-fanfaniana di governare non governando – Pannella direbbe sgovernando (fascismo sfascismo…) : creare potere contrattuale attraverso il rinvio, la parcellizzazione, l’emasculazione.

Polonia – Chiude infine col Novecento, con la sindrome (e la realtà) dell’accerchiamento, da destra e da sinistra, dalla Russia e dalla Germania? Le premesse ci sono, con la nomina di Donald Tusk alla presidenza del Consiglio Europeo. Il primo polacco che non parla francese, parla male l’inglese, e invece parla perfettamente il tedesco. Con lui a Bruxelles scade il tradizionale asse di Varsavia con le potenze alle spalle della Germania, la Francia e la Gran Bretagna, e s’instaura un ponte diretto con Berlino. Mentre non ci sono contenziosi in vista con Mosca, neppure per la questione dell’Ucraina.
Questo riequilibrio può essere rimesso in questione da Diritto e Giustizia, il partito d’opposizione creato e diretto a Varsavia da Jaroslav Kazińsky, che è in crescita nei sondaggi.  Kazińsky capitalizza politicamente sul vecchio nazionalismo, antitedesco e antirusso. Ma l’opinione e i sondaggi concordano che su queste posizioni rimarrà minoritario.
Il germanesimo di Tusk deriva da Danzica, la città a lungo tedesca e ora polacca, dove è nato, ha studiato e ha fatto politica ai tempi del regime comunista. Ma per lo steso motivo è apprezzato da Mosca. Essendo della minoranza etnica casciuba, di pochi ma eletti membri (il più famoso è Gunther Grass), è reputato un nazionalista moderato. Particolarmente apprezzata fu a Mosca la cerimonia congiunta che da primo ministro volle nel 2010 con l’allora suo omologo Putin per commemorare la strage di Katyn, dove i servizi segreti di Stalin hanno massacrato 22 mila ufficiali e militari polacchi prigionieri di guerra tra aprile e maggio del 1940. Da parte tedesca si mettono in rilievo da qualche tempo i legami familiari con la Polonia di Angela Merkel, la cui madre è nata a Danzica, come Tusk, e il nonno paterno proveniva da Poznan, dove era nato Kazmierczak, poi mutato in Kaser.

Secessione – Il no scozzese alla secessione dalla Gran Bretagna è un’eccezione. Il trend storico è in Europa alla secessione: in poco più di vent’anni, proprio quando il pluridecennale tentativo dell’Irlanda del Nord di staccarsi dal Regno Unito veniva definitivamente represso,  ne sono state registrate una dozzina. Tutte quelle della Federazione sovietica (paesi baltici, Ucraina, Bielorussia, Moldavia) più quelle della Federazione jugoslava. Con la divisione consensuale della Repubblica Ceca e la secessione del Kossovo, con la guerra alla Serbia. Il Belgio è anch’esso di fatto diviso, manca solo il sì delle parti, e un ricalcolo delle convenienze. E ora la Spagna, dove la secessione è anch’essa certa, solo soggetta al ricalcolo. Come già per il Québec, una secessione per questo da tempo sospesa.

Il diritto internazionale è arrivato infine a considerare anche il caso di una secessione senza motivi. Senza cioè la giusta causa: una infrazione grave ai diritti civili nei confronti di una comunità o una minoranza, tale da configurare un diritto analogo a quello rivoluzionario. La secessione è ammissibile giuridicamente anche solo per una rivendicazione nazionale (nazionalista) o plebiscitaria. Nel caso della Catalogna si avrebbe l’uno e l’altro, l’“ascrizionismo” e il “plebiscitarismo”, la compattezza nazionale (storia, lingua, cultura) e quella referendaria. Sono i due casi che il diritto internazionale contempla come teoria dei Diritti Primari.
astolfo@antiit.eu

Formidabili surplace d’infelicità

Un paio di volte è il ristorante, prima o dopo, che cambia gli umori, in peggio – una scelta sbagliata, dopo che nel prescelto non c’era posto. L’esito è uguale nelle altre situazioni: si fa – si è fatto, si pensa di fare – e si racconta delusi. Un trattatello “ecclesiastico”: tutto è debolezza e vuoto, in amore e senza, dentro e fuori la coppia. In forma di piccole confessioni (esibizionismi) psicoanalitiche, autoironiche certo. Il genere Woody Allen, senza il comico. Di grande virtuosità, fredda.
La maledizione biblica Yasmina Reza estende in minuti febbrili quadri ai minuti moti dell’animo e gesti quotidiani, di per sé ovviamente falsi (inutili) e ridicoli. Le rivalse dei deboli esponendo all’occhio beffardo del lettore. Che però si stanca: vi si riconosce ma con fastidio. Il titolo attraente è per una serie di “telefonate” – per tono e ampiezza - serrate delle macerazioni che sono dietro l’ananke quotidiana - la spesa, i bambini, i vecchi, gli amici, gli amanti, i medici. “Essere felici è un talento”, è una delle frasi che si citano dell’autrice, e in effetti è così. Qui il talento della bella e brava commediografa si perde a sottilizzare. Un rimestare estenuante. Abile: come segnare il passo – il surplace di cui Maspes era maestro, un ciclista. Esemplare del genere “fenomenologico”, a due dimensioni, senza spessore psicologico, anzi senza spessore, volutamente – “à vau l’eau” avrebbe  detto Huysmans un secolo prima, che però si professava decadente, alla deriva. Senza vero interesse, né critico né umano. Tutto può succedere in queste derive, che non sbalzano personaggi o storie ma si vogliono pattinamenti, scorrevoli. Esercizi di scrittura rapida, ma a una fine che non c’è. A parte l’amaro, in superficie.
Yasmina Reza, Felici i felici, Adelphi, pp. 163 € 18

Il vincolo esterno indebolisce le riforme

Dopo il fiscal compact – l’armonizzazione e la riduzione della spesa pubblica - il lavoro liberalizzato. È il tema fisso di Mario Draghi da alcune settimane, un po’ asintoticamente rispetto alle competenze della Banca centrale europea nel cui nome parla.
È un’estensione vasta delle competenze europee, dalle politiche di bilancio a quelle del lavoro. È un’estensione anche del “vincolo esterno”: l’artificio per cui i governi o gli Stati che hanno problemi a governarsi si fanno governare da Bruxelles (“l’Europa ce lo chiede”). E forse un’illusione: il vincolo esterno, promosso e (forse) efficace nel venticinquennio fino alla crisi del 2007, appare indebolito.
Draghi ne parla dopo che il ministro dell’Economia Padoan ha adombrato il “vincolo esterno” in materia di lavoro. Auspicando un “monitoraggio europeo” del riforme del mercato del lavoro, al fine di “fornire esplicitamente alle autorità nazionali strumenti per contrastare i gruppi di pressione  che si oppongono alle riforme strutturali”. Nel caso i sindacati, una parte di essi - una parte dellaCgil.
Renzi si muove diversamente, senza ricorso a Bruxelles. Probabilmente a ragione: il “vincolo esterno” è  risultato disastroso ultimamente in tema di finanza pubblica e economia reale. E più che rafforzare l’azione di governo la indebolisce, per il poco credito che Bruxelles riscuote. 

venerdì 10 ottobre 2014

Ombre - 239

Sacro sdegno contro “la politica del governo Berlusconi che ha affossato la prevenzione contro il rischio di dissesto idrogeologico”, esprimeva a Genova il Pd nel 2011. Ora invece il temporale è di sinistra?

“Genova sotto l’acqua” è venerdì a p. 27 del “Corriere della sera”, con un morto. È ancora il giornalismo di quando di Mike Bongiorno e “Lascia o raddoppia” dicevano: se non ne parliamo noi nessuno se ne accorgerà?

Visco ha scoperto solo ora che Mediolanm è una capogruppo bancaria, e che Berlusconi non ha i requisiti di onorabilità del proprietario, perché si sente candidato al posto di Renzi? Ora, a quindici mesi dalla condanna. Purtroppo è così, questa questione morale è molto immorale.

Cominciando da Mediolanum, Milano si avventa sulle spoglie di Berlusconi? Purtroppo è così, è vent’anni che aspetta. Ma con una differenza: sa che Marina Berlusconi è un osso duro, a differenza del suo papà, e punta a dividerla dai fratelli. Milano è sempre più intelligente.

Lo scrittore arabo-israeliano Sayed Kashua si è autoesiliato, da Gerusalemme, dove prosperava come scrittore e sceneggiatore, in una università dell’Illinois, dove si sente sperduto, per insegnarvi l’ebraico. “Ero al culmine del successo”, scrive sul “Corriere della sera”, “di colpo, sono diventato il nemico”. Con i razzi di Hamasa ad agosto: “Il razzismo che ho visto crescere sin dalla fine del 2000 è esploso con una furia terrificante”..
Il razzismo nasce dall’odio. Che più spesso nasce dalla paura. Che sempre è motivata, a torto o a ragione.

Il giudice Esposito jr. ha commesso molti abusi e qualche reato, ma non quelli che l’accusa gli contesta, e quindi può stare al suo posto, decide il Tribunale del Riesame di Brescia. I giudice di questa sentenza meritano di essere ricordati: Michele Mocciola, Elena Stefana, Andrea Guerrerio.


Fu in seguito a un suggerimento del giornale milanese che la Cassazione anticipò alla sezione feriale la sentenza contro Berlusconi, affidandola al giudice Esposito padre. Che ripose obbediente all’appello. Ora Brescia reciproca?
Mocciola, teatrante da giova ne, edita una rivista letteraria che chiama “I sorci verdi”.

Csm e Anm, il sindacato dei giudici, non gradiscono l’autoriciclaggio, la regola cioè che esclude il reato, come dice la proposta del governo, “quando il denaro, i beni e le altre utilità (di provenienza illecit, n.d.r.) vengono destinate all’utilizzazione o al godimento personale”.  Preferiscono la “proposta alternativa”, spiega Liana Milella, del civatiano Pastorino: “Non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione e al godimento personale”. La differenza è “mera”, la battaglia è all’ultimo respiro, di Renzi.

Giornali tedeschi disincantati con l’Italia. Di destra e di sinistra. Oggi come ieri, semmai meno di ieri. Invece la cosa fa notizia, tutti i giornaloni ne riferiscono. Anche i giornali, come i giudici, devono dare addosso a Renzi. Che è all’ottavo mese di governo e quindi pericoloso: un governo in Italia non deve durare - Craxi ancora paga per questo, benché morto.

Bruti Liberati avrebbe detto a Robledo, dopo che il Csm l’aveva nominato suo vive: “Avrei potuto dire a uno dei miei colleghi del Csm che Robledo mi rompeva i coglioni e di andare al cesso al momento del voto, così sarebbe stata nominata la Gatto, che poi avremmo sbattuto all’Esecuzione” – l’Esecuzione è il dipartimento non operativo delle Procure, si limita a calcolare gli anni di pena e ad eseguire le condanne. Magari non è esattamente questo che il capo della Procura di Milano confidò, ma lo stile è quello: così parlano i giudici, e anche peggio.

Silenzio dei Procuratori della Procura di Milano sulla lite intermina bile tra Bruti Liberati e il suo vice Robledo, il capofila dei napoletani e il capofila dei lombardi. I napoletani sono in maggioranza, Francesco Greco, Esposito, De Pasquale, Boccassini, etc.. Ed è vero che hanno la benedizione di Napolitano.

È una farsa la testimonianza di Napolitano dal Quirinale, al processo Stato-Mafia. Con Riina e Bagarella che lo fulmineranno in videoconferenza. Visto da Palermo, e dai suoi cronisti giudiziari, è uno scontro di titani, ma bisogna sapere che personaggi di poco conto sono i due terribili mafiosi, assassini e niente più. Sullo sfondo degli arazzi del Quirinale. Coi corazzieri col pennacchio alle porte. È una farsa tutti ma non per i giudici.

Fitto dopo Catricalà, Alfano, Fini, Casini, Bossi nel 1994, la nuova classe dirigente siciliana all’ombra di Dell’Utri, Micciché, Schifani, Cuffaro, e i tanti avvocati, che dopo la parcella sono passati all’opposizione. Si dice il suo un partito-azienda, ma allora lui che padrone e manager è?
Tirando le somme della esperienza e la capacità politica di Berlusconi, a questo punto bisogna dirla più che limitata. Il suo è un successo relativo, per l’autocancellazione della sinistra, sotto l’implosione del Pci.

Luigi De Magistris, dileggi smisurati, anagramma Stefano Bartezzaghi su “Repubblica”. A danno di chi? In Why Not, l’inchiesta a carico di Prodi e della Loggia sanmarinese per la gestione di fondi per la formazione in Calabria aveva intercettato e avrebbe voluto includere anche Napolitano. Gli mancava la Regina d’Inghilterra.

La Signora Pesc assediata, da Libia e Ucraina

Lascerà, com’è probabile, tutto come l’ha trovato, costoso (gli Affari Esteri della Ue sono la direzione di gran lunga più costosa di Bruxelles) e inerte, ma non è detto: una possibilità Mrs. Pesc, Federica Mogherini, ce l’ha, di avviare una politica estera europea, se non quella della difesa, una politica concordata e saggia. Anche perché due casi glielo impongono, la Libia e l’Ucraina, creati dalla stessa Ue, dalle cancellerie europee scoordinate e anzi in concorrenza tra di loro. C’è il rischio concreto di avere uno Sato islamico terrorista, un Isis, in Libia, che è la frontiera Sud dell’Unione, oltre che dell’Italia, e di avere la Russia in Ucraina.
L’Ucraina non è i paesi baltici. Dove alla minoranza russa, benché cospicua, è stata imposta l’assimilazione, e la Nato. L’Ucraina è per molti storia russa, la prima Russia, e il 40 per cento di russi che la abitano non si possono cancellare. La Liba è un problema italiano ma anche europeo. È un problema italiano che la Ue ha creato, se non per furbizia per stoltezza, a iniziativa francese e britannica. L’Italia ha perso un mercato fiorente, e quasi chiuso, e un vicino in qualche modo pacificato. Con un accordo funzionante sull’immigrazione clandestina. La Libia pone ora un problema di immigrazione clandestina, oltre duecentomila unità quest’anno, di fronte a cui la Ue non può fare finta di niente.  E ha una probabilità elevatissima di diventare il primo Stato islamico del Mediterraneo. Altrettanto estremista e sanguinario che i talebani in Afghanistan e i salafiti in Irak. Con effetti che saranno dirompenti nel Nord Africa, sul Maghreb e sull’Egitto, ben più destabilizzanti dell’Isis, chiuso in una enclave siro-irachena. 

Pan al Nord, felice tra le nebbie

Fa 130 anni ma è sempre fresco, anticipando il tema della natura. È la storia di un amore prima felice poi infelice, e distruttivo. Una storia d’amore come l’uomo sogna, spontaneo, affettuoso, caldo. Un altro romanzo dell’eterno femminino – capriccioso – in un villaggio del Nord, fra contadini e pescatori, nell’aspetto di una ragazza “forse di sedici, forse di diciassette anni”, che il tenente Glahn, uomo di città autorecluso, e un medico zoppo, piccolo e calvo fa delirare, “irragionevole e calcolatrice a un tempo”. Una delle ultime (1894) storie d’amore romantico. Ma la vittima che lo rivive, il tenente cacciatore solitario nell’estate breve dell’alta Norvegia, tra le nebnie e le nevi, ne allarga il paradigma agli elementi, le stagioni, i bruchi, le foglie, il cane Esopo, il bosco, le acque, a una fisicità insieme smisurata e sensata. È qui la citazione ricorrente: “Qualche volta guardo l’erba e forse l’erba guarda me, che ne sappiamo noi?” etc.
Con una verità che si trascura: c’è violenza nel’idillio ecologico. L’idillio agreste è di un uomo urbanizzato, borghese facoltoso, poi a caccia grossa in India, che si sente votato “alla foresta e alla solitudine”.  Ma forse s’illude, mente a se stesso. L’amore vivendo, lui prima che la ragazza, come un capriccio. Ci può essere un fondo di misantropia, e forse di peggio, di disprezzo dell’uomo, di rifiuto. Nel racconto forse più avvincente di Hamsun c’è la radice e il senso del suo “nazismo”: una ricerca astratta di purezza che sconfina nel rifiuto della storia e della compassione (a parte la fede mal posta: di che purezza era araldo Hitler, che il Nobel norvegese volle celebrare dopo morto?)
L’introduzione alla prima edizione negli Oscar, di Anton Reininger, appropria singolarmente  il racconto, se non lo scrittore, alla letteratura germanica. In Germania “Pan” ebbe immediato grande successo per essere stato il suo protagonista recepito come una riedizione della “figura archetipica tedesca” del vagabondo, quello delle poesie giovanili di Goethe, e di molte divagazioni di Benjamin, il Buonannulla di Eichendorff secondo Thomas Mann. L’introduzione s’intitola anche, opportunamente, “Tra raffinatezza decadente e la nostalgia dei troll”. Hamsun era stato in America, vagabondo, dove ha sicuramente saputo di Thoreau e Whitman, ma ne ha mediato molto da europeo il naturismo. Reininger contesta anche, opportunamente, la lettura di Hamsun “in un’otica di critica sociale”, e ne affina la lettura “secondo gli schemi ideologici del naturalismo allora imperante”. Proponendone una più vasta e più nuova, sulla scorta di alcune conferenze di argomento letterario da Hamsun “tenute negli anni Novanta”, dell’Ottocento: “una poetica che sembra anticipare alcune acquisizioni della psicanalisi”. Nella miscela di “innocenza del primo sentimento” e “orgoglio leso e malcelata aggressività” che rivelano “fin dall’inizio una componente autopunitiva”.
Knut Hamsun, Pan

giovedì 9 ottobre 2014

Un premio alla Memoria, critica

Felicemente sorpreso l’incolpevole Modiano, Nobel francese oggi per la Letteratura a sei anni appena dal precedente – che anch’esso aveva premiato Le Clézio a sorpresa. La scelta ha risolto il dilemma dei giurati del premio. Che doveva andare a un israeliano – Grossmann era il candidato in pole, con Amos Oz – ma non ha potuto per ragioni di equilibrio politico. Né per lo stesso motivo a Philip Roth, peraltro indigesto a molti nella comunità ebraica. Il premio a Modiano è comunque alla Memoria, con un retrogusto critico.
Anche qui Modiano gioca con la memoria, tra Parigi e Berlino. In una vicenda però non politica, ma dell’essere e non essere in amore, organizzata a suspense. Più spesso nella sua opera ha privilegiato la Memoria politica, in tutti i sensi. Dello sterminio e delle viltà. Solitamente nella Parigi occupata. Tra figure sempre dall’identità precaria, e quindi ambigue, esuli, stranieri, sradicati, assimilati. Per lo più nati quando “Berlino fumava sotto le bombe”, fatto inspiegabile per tutti, e più se da genitori ebrei. Con molti riferimenti, diretti e indiretti, al padre, ebreo schedato, che nel 1943 sfuggì alla deportazione per suoi oscuri traffici con la polizia di Vichy e gli occupanti. Con sentimento sempre della Colpa, indistinta e quindi non esorcizzabile.
Anche questa è una storia di colpa oscura, e sradicamento in patria, di insicurezza. Tra due esseri “sempre di passaggio, e sul chi vive”, pur non sapendo perché. tra false identità, tanto più gravose perché non scelte, oscuramente obbligate. Lei è francese, nata a Berlino, con un nome fittizio, quali si prendevano nell’assimilazione, accolta ovunque tra indifferenza e sospetto. E dallo stesso innamorato con non più della curiosità. Lui è andato avanti e indietro nella vita col sentimento di essere stato “complice di un delitto apparentemente piuttosto grave, un complice secondario, tanto che non era stato ancora identificato,:ma comunque complice”, senza sapere “di che cosa “. Perseguitato da una madre, supposta, e da un ostilissimo sedicente padre, che sempre lo dicono indebitato con loro. Un peso di cui non sa, non può, liberarsi.  
Patrick Modiano, L’orizzonte, Einaudi, pp. 153 € 13

I numeri sono da depressione

Rileva l’Economist Intelligence Unit che a metà anno la metà dei 54 paesi di cui analizza periodicamente la congiuntura hanno avuto tassi di crescita in calo, e sette una tassi negativi – una decrescita. Quasi tutti sono della Ue. È il segnale di una depressione in atto, e non di una crisi economica – che a lungo peraltro si voleva solo finanziaria: c’è un lag di comunicazione.
Il fondo depressivo della crisi lo aveva già segnalato Draghi in agosto, nel discorso a Jackson Hole negli Usa presentato come l’inizio della fine della crisi in Europa (quando si pensava di poter candidare Draghi contro Renzi): la crisi Ue è persistente, aveva detto il presidente della Bce, per “la crisi del debito sovrano” e per “uno squilibrio strutturale nei mercati del lavoro dell’eurozona”. Cioè per la disoccupazione. Di cui però non dava la causa.
L’ha data successivamente il suo vice, Victor Constâncio, seppure con dati vecchi – della McKinsey, la Bce, che pure dovrebbe, non fa questa rilevazioni. Tra il 2007 e il 2011 l’investimento privato nell’Unione si è contratto di 354 miliardi, di un 15 per cento. Uno “sciopero” molto più incisivo di quello del consumo privato, diminuito di 17 miliardi, lo 0,2 per cento. Il dato McKinsey è stato confermato recentemente dal Diw, l’Istituto tedesco per la Ricerca Economica, e aggiornato. Dal 2008 al 2013 la formazione lorda di capitale fisso in Europa è diminuita di quattro punti di pil, circa 650 miliardi.
Anche sugli investimenti c’è un divario fra il nuovo nocciolo della Ue, la Germania con l’Olanda, la Finlandia, il Belgio, l’Austria e il Lussemburgo, e gli altri. Ma non netto come sembra. I quattro quinti dei 354 miliardi di disinvestimento censiti da McKinsey erano dovuti alla Gran Bretagna (72 miliardi), ai ”paesi della crisi”, Italia, Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna, e alla Francia (28 miliardi). Germania, Benelux e Austria avevano ridotto gli investimenti di 17 miliardi appena. Secondo il Diw anche la Germania ha disinvestito, per 70 dei 650 miliardi. 

Il partito degli affari

È una storia di ordinaria amministrazione, nemmeno tanto scandalosa, nel senso che manca (forse) la corruzione spicciola, ed è anzi protetta dalla Procura di Roma, altrimenti trinariciuta. Ed è molto romana: col potente privato c’è il Consorzio Cooperative Costruzioni e l’Ansaldo-Finmeccanica, il Pd cioè e lo Stato. Ma è esemplare del sistema del governo del non governo, o governo delle imprese. Nel caso del gruppo Caltagirone, che a Roma è anche Acea e “Messaggero”. La storia è della linea C della metro, che non si riesce a varare, dopo dodici anni, e sarà comunque limitata.
Doveva servire il centro di Roma e invece serve, servirà, una periferia. Doveva essere automatizzata, driverless, e invece non lo sarà. Doveva costare 2,4 miliardi e invece ne costerà 3,5. Doveva essere trasparente e invece ha generato cinquemila subappalti, incontrollabili e incontrollati - soprattutto del aprtito degli ingegneri e architetti. Doveva essere completata nel 2007.
La linea C della metropolitana di Roma poteva essere realizzata in project financing negli anni 1990, cioè gratis. Quella vera, del centro di Roma. Dalla società francese che aveva realizzato la metro ad alta profondità di Lille, e chiedeva in cambio una concessione trentennale. L’allora commissario per Roma Capitale, Nicola Scalzini, pensò a una grande occasione, ma si scontrò col silenzio della Giunta Rutelli, cioè col rifiuto.
Da allora, del resto, nessuno ha più sentito parlare dell’obbligo per i gradi lavori di un’asta aperta a tutti i costruttori europei. Alle aste dei grandi lavori, anzi, si presenta un solo concorrente: la spartizione si fa prima.

Berlusconi santo presto

Svanito il tormentone Dudù, la coppia di Arcore è ora riverita patrona dei diritti delle minoranze, dell’ambiente, del calcio perfino pulito. Lui addirittura esemplare nell’espiazione della pena, diligente nei turni alla casa di riposo, amorevole coi ricoverati. E forse ha ragione anche contro i suoi giudici Esposito. A quando Berlusconi santo? La pala d’altra è facilmente componibile: la Pascale penitente a destra nel trittico, a sinistra un gay strappato all’inferno.
Era forse inevitabile, la santificazione dopo la dannazione – anche il vecchio Pci usava appropriarsi dei “morti”, di qualsiasi parte. Ma il partito di Milano ha accelerato la riconversione, dopo una persecuzione astiosa di vent’anni. Con decine di pagine contro ogni giorno, e centinaia di libri ogni anno. Per un motivo, per una volta, non celato: il recupero di Berlusconi mira a troncare la sua relazione con Renzi, per non fare la riforma della giustizia, delle Camere, del governo e della Pubblica Amministrazione. La funzione pubblica deve restare miserabile, assolutamente non va “efficientizzata”.

Gli utili idioti

Visti da fuori (“Rai, Sky, Mentana, Floris, “Corriere della sera”, “Repubblica”) sarebbero san Giorgio contro il drago. Visti da dentro il partito sono pesci a cui viene a mancare l’acqua, inebetiti. Sapendo un minimo di politica sono i vecchi utili idioti. Non c’è sostanza in un Bersani che si riduce a Mineo, un dichiaratore, o  D’Alema a Casson, uno che solo è impegnato a non far riformare la giustizia. L’ipotesi socialdemocratica, della formazione di un partito socialista, benché ex Pci, non esiste.
Ma utili idioti o compagni di strada in versione diversa da quella classica. Quelli storici lo erano del Partito, questi del partito che non c’è, ma non vuole un governo in Italia: affaristi, banchieri affaristi, corporazioni (giudici, medici, professionisti e imprese fuori Iva). Utili si capisce perché. Idioti perché potrebbero non saperlo. O se lo sanno - D’Alema sa senz’altro perché il “Corriere della sera” vuole cacciare Renzi – non se ne curano, pesano che il tanto peggio sia tanto meglio per loro.

Bruxelles si dà alla politica

Col no alla vice-presidente slovena si completa la formazione del nuovo esecutivo europeo, che il neo presidente Juncker vuole qualificare di governo politico e non più tecnocratico. Il no a Alena Bratusek, dopo quello alla bulgara Kristalina Georgieva,  paradossalmente rafforza questa connotazione: il Parlamento prende sul serio le indicazioni di Juncker. Che gli aveva presentato un esecutivo composto da cinque ex primi ministri, quattro vice-primi ministri e 19 ex ministri.
È un governo di coalizione: ai nominati del Ppe si affiancano quelli del Pse e dei liberal-conservatori. Con una forte caratterizzazione tedesca. Sono allineati a Berlino almeno quattro dei vice-presidenti: l’olandese Timmermans, il finlandese Katainen, il lettone Valdis Dombrovskis, l’estone Andrus Ansip, tutt’e quattro di forte caratura, ex primi ministri. Lo stesso Juncker, che s’illustra per essere stato per 18 anni primo ministro del Lussenburgo, è tra i politici popolari di fiducia di Berlino.
Juncker tuttavia può rivendicare di essere il primo presidente della Commissione “nominato dagli elettori europei”. In due maniere, coma candidato presidente del partito Popolare Europeo alle elezioni di fine maggio, e poi dalla cosiddetta Camera Confederale, il consiglio dei capi di Stato e di governo.

mercoledì 8 ottobre 2014

Giufà è vivo e combatte insieme a noi

“C’era e non c’è più Giufà”. Come non c’è più, se è tutti noi. Non era quello “che combatte una piccola, grande guerra contro la fame, i soprusi e l’ingiustizia, e che per sopravvivere da truffato si fa truffatore, da inseguito inseguitore, da affamato affamatore, da ingannato ingannatore”? E più quello che veniva raccontato ai bambini in Calabria e in Sicilia, che “è sì lo scemo del villaggio, ma è anche sofistico giocatore di parole e senso, ferocemente attaccato alla lettere dei nomi e delle cose, benché si muova in un orizzonte limitato e chiuso, in un ambito ristretto di egoismi e bisogni primari, ma anche di resistenza all’oltraggio e all’ingiustizia, sempre o quasi sempre contraddetta dalla costante ricerca dell’interesse e del tornaconto personale”. Un po’ poeta anche, anche lui: “Epperò con qualche ventata di follia, di pura fantasia, di pura agnizione del creato, del mistero e della bellezza” – uno che prova a liberare la luna caduta nel pozzo, e si rifiuta, animalista ante litteram, di prestare l’asino al vicino violento.
Giufà è, era, Jolanda Insana opportunamente lo ricorda, personaggio quasi millenario, emerso nell’Anatolia del Duecento, dipoi “figliando e moltiplicandosi per ogni dove con fratelli e fratelli Bertoldi bertoldini cacasenno”. Con vari nomi: Nasreddin Hoca nell’originale sufi, Guha in Egitto, Djoha nell’ebraismo sefardita, Djuha nel Maghreb, Giucà a Trapani, Giucca in Toscana - e anche Karayozi in greco, Karaguz in turco. Insana, vigile poetessa di Messina trapiantata a Roma, lo rievoca in uno coi ricordi della sua propria infanzia. Con nostalgia oltre che con acume. Ma lei stessa sa che Giufà è sempre vivo e “combatte” insieme a noi - “s’è buttato in politica”: “Se Giufà che c’era oggi non c’è più, c’è oggi Giufà che non c’era? C’è, c’è, e gli esemplari sono tanti. Prevedibile e non più paradossale, deficiente e arrogante è sempre miracolato ma le sue storie le scrive la cronaca, vanno sui giornali, in tribunale. Trama e ordisce inganni a danno altrui e a suo vantaggio, e per non lasciare la cadrega distrugge e stravolge il senso e la verità delle parole con bagliori accecanti di vomitevole furbizia, con battutine sceme”. Chi può dire di non incontrarne?
Jolanda Insana, Giufà chi?, in “Zapruder” 33, gennaio-aprile 2014, pp. 160 € 12

Lo Stato gaglioffo

Ora che la Tasi si è rivelata ai più, si vede che è solo l’Imu sulla prima casa. Con tariffa solo nominalmente ridotta, poiché esclude l’esenzione. Con l’aggravio di calcolo, consulenza, pagamento. Nonché del pagamento, nell’occasione, di un altro obolo per gli immobili non prima casa. Senza vergogna. Senza nemmeno una sanzione, benché minima, nell’opinione pubblica. Neanche in quella che da un paio di settimane combatte per far cadere il governo e metterci un banchiere.
È questa la vergogna della Pubblica Amministrazione: è politica e di governo,  centrale e locale. Abbiamo  teorizzato per anni il federalismo fiscale per ridurre sprechi e esazioni, ma i sindaci lasciano senza respiro, tanta è l’avidità. La riforma che il governo propone della Pubblica Amministrazione dovrebbe partire da se stesso, da leggi come questa. Il funzionario fa quello che gli viene chiesto di fare. Compreso esigere quattro o cinque pagamenti di patrimoniale sulla casa invece di uno. La Pubblica Amministrazione è neutra, è lo Stato che è putrido.
Di disinvolto nella Pubblica Amministrazione non c’è che il fisco ad libitum, sciolto da ogni norma, di Equitalia, i Vigili Urbani e la Guardia di Finanza, i sacerdoti delle multe, con more, compensi e spese – tutta gente che evidentemente guadagna molto se pensa che chiunque possa pagare la loro esosità. Qui la “riforma della Pubblica Amministrazione” sarebbe anche facile: basta responsabilizzare Equitalia – a ogni sopruso un’ammenda – e demilitarizzare la Guardia di Finanza e i Vigili Urbani, che lavorino da normali cittadini e non più da “pubblici ufficiali”. Ognuno sa, ogni automobilista e ogni esercizio commerciale, specie dei mercati e mercatini, l’esosità dei Vigili Urbani “pubblici ufficiale”. Per anni le sceneggiate si sono susseguite degli scontrini fiscali – nei week-end di festa in posti rinomati, per farsi la vacanza pagata e pagarsi gli straordinari. Sapendo che non un centesimo di evasione si guadagna con gli scontrini. Nel suo libro-intervista con Lorenzetto, “L’Italia che vorrei”, il patron di Grafica Veneta, colosso dell’industria tipografica, lamenta di avere i finanzieri in azienda “da vari mesi”: vari mesi per fare che? passare il tempo? creare uno scandalo?  

Fisco, abusi, appalti - 59

In tutte le unità produttive piccole (giornali, studi professionali, supermercati, quella dimensione lì) si registrano presenze inutili, specie negli incarichi direttivi. Di addetti cioè che non hanno voglia di lavorare. Con un triplice effetto negativo: aggravare i costi, impedire il ricambio e la mobilità in azienda, ridurre la produttività media. Tutto ciò per l’inamovibilità, sotto l’ombrello dell’art. 18.

Il Tesoro studia come limitare la detraibilità delle spese sanitarie ai reddito fino a 25-30 mila euro. Studia cioè come evitare di chiedere la fattura agli specialisti.

L’art. 18 non protegge dal licenziamento immotivato – basta provvedersi di uno “stato di crisi”, pure con bilancio in attivo. Ma impedisce il licenziamento motivato, per assenza non giustificate o per scarso rendimento.

La banca sa se un accesso al conto online è stato effettuato dal computer o dal cellulare, e dove, se dalla prima casa, dalla seconda, dall’albergo. Per migliorare la sicurezza. Ma non c’era la rivacy?

Equitalia richieda il pagamento di una multa non notificata. La grava di spese, interessi, more eccetera quintuplicandone – almeno – il costo. E lascia a voi l’onere di ottenere lo sgravio presso l’emittente. Equitalia può procedere anche senza titoli di credito validi, la giustizia glielo consente..
Il medicinale standard in uso contro l’acidità di stomaco reca questo avviso: “I seguenti effetti indesiderati sono comuni (si manifestano in più di 1 su 100 pazienti)”. In due, in dieci? Si tratta di: cefalea, capogiro, diarrea, costipazione, modifiche di funzionalità del fegato.

Il medicinale in uso contro il colesterolo ha questi “possibili effetti indesiderati, sebbene non tutte le persone li manifestino”: disturbi del sonno, perdita della memoria, depressione, problemi di respirazione. 

martedì 7 ottobre 2014

I 300 miliardi Ue in arrivo a Milano

Non deluderà il “governo Juncker” al suo debutto a Milano domani. In agenda, il piano Jncker per liberare 300 miliardi in investimenti parte approvato: tutti i paesi sono favorevoli. Ci saranno vincoli allo sblocco dei fondi, ma nei limiti delle direttive Ue, non vincoli speciali.
Il vertice milanese sull’occupazione è stato spostato da Torino, dove si doveva tenere l’11 luglio, a Milano domani per mettere a punto la proposta Juncker di rilancio degli investimenti. Il rinvio sembrava non avere dissolto le riserve sul varo del fondo. Ma si tratta di riserve politiche, che in qualche modo ora sarebbero state superate, e non di merito. Indiscussa è la intenzione di Juncker di procedere: il piano dei 300 miliardi è una versione solo lievemente diversa del pano salva-Stati da lui proposto con Tremonti nel 2010 sul “Financial Times”.
Le riserve sono della componente popolare, nel Parlamento e nel governo dell’Unione, avverso la componente progressista-socialista. Si trattava in sostanza di non dare a Renzi, in questa fase il pilastro più importante del Pse, il successo che il presidente del consiglio italiano già aveva speso presso l’opinione pubblica. Ma Juncker, egli stesso un popolare, si sarebbe smarcato dalla componente più militante del suo schieramento. Anche se, come sembra, questa può contare su Angela Merkel, il cancelliere tedesco.

Recessione – 26

Questa recessione è una depressione:

Crolla in Europa la domanda soprattutto per investimenti. Il vice-presidente della Bce Constâncio calcola la caduta dell’investimento privato nell’Unione in 354 miliardi (-15 per cento), a fronte di una caduta dei consumi privati di 17 miliardi (- 0,2 per cento). Il dato di Constâncio è vecchio, 2007-2011, ma nei tre anni successivi il calo è da considerarsi incrementato.
Maggiore è il crollo dell’investimento pubblico, bloccato in quasi tutti i paesi dell’Unione, Germania compresa.

“Peggio del 1929”: se n’è accorto anche Padoan. La recessione è italiana a europea, ed è in realtà una depressione: non se ne esce per automatismi di mercato, senza un deciso e ben indirizzato intervento pubblico. Tutto l’opposto delle politiche fiscali, o ricetta tedesca.

Da quando è cominciata la crisi si registrano 62 mila nascite in meno mediamente ogni anno. In sette anni  e mezzo di crisi la popolazione - italiana di italiani - si è ridotta di mezzo milione.

È ora disoccupato in Italia un giovane – fino ai trent’anni – su due.

L’osservatorio congiunturale dell’“Economist” registra nel terzo trimestre incrementi del pil calanti in metà dei 54 paesi in lista, e un pil negativo in sette.

Letture - 187

letterautore

Editoria – Come industria è un porcile. Anche a ridurla a semplice industria cioè, senza più la funzione d’ingranaggio principale della comunicazione e della cultura. Non c’è altra industria, del prosciutto o del cuscinetto a sfera, altrettanto inaffidabile e truffaldina. Se non altro perché tutte le industrie sono soggette a disciplinari e normative, l’editoria invece no, pretestandosi veicolo di opinione e quindi di libertà. Mentre smercia, ormai quasi esclusivamente, prodotti di pronto consumo, corrivi alle mode, anche le più passeggere. Come veicolo di opinione l’editoria ha semmai la colpa di aver degradato la lettura e il gusto dei lettori – anche la scrittura, ma questo è un altro discorso. Grazie anche alla eliminazione, nell’editoria giornalistica, del critico letterario, che mediava la buona scrittura e la buona lettura, quelle che lasciano traccia. Come prodotto non è granché. Prezzi alti - altissimi rispetto alla Francia, agli Usa, due mercati che alimentano anche il gusto alto della lettura, e malgrado questi due handicap sono floridi. Pubblicazioni ritardate, malfatte, buttate via. Moltiplicate, anche, senza criterio, soprattutto le traduzioni. Una distribuzione lenta, disorganizzata, occasionale. Stipendi irrisori, ritardati, decurtati, specie nell’editoria giornalistica, anche di poche centinaia di euro – perfino decine… L’innumerevole galassia della pubblicistica di vanità, dal “contributo alle spese” all’autoedizione senza distribuzione. Oggi moltiplicata dall’ebook. Le cattive abitudini delle recensioni, tutte ordite dagli uffici stampa e a essi rispondenti. In uno scambio permanente: finiti i critici militanti dopo gli accademici, ora si fa mercato, di favori o di pubblicità redazionale. Anche per effetto dell’ambiente letterario: non c’è altra attività (sport, cinema, arti figurative) che sia così pettegola, avara, cattiva, rancorosa, faziosa. E venduta: i festival e i premi ne sono testimonianza tangibile, tutti di gruppo, schierati, predeterminati, che più spesso non lasciano tracce. Molti premi non pagano, né i premiati né – quelli delle giurie popolari - le case editrici.

Luteranesimo – Hamsun, nato luterano, lo identifica in “Pan” con “assenza di gioia, autosufficienza morale e aridità dell’anima”.

Media – “Cancellate la stampa dalla vostra memoria e pensate a ciò che la vita moderna sarebbe senza il tipo di pubblicità da essa creato”, si legge in Max Weber, “Per una sociologia della stampa quotidiana”. Ma è da leggere come una avvertimento minaccioso o un invito?

Pasolini – Perché Pasolini non è Hamsun? Pur professando gli stessi riferimenti: natura, animalità compresa, tradizione, odio della borghesia. Domanda incongrua, ma per un aspetto no: la natura, il senso della natura. Entrambi negativi, autodistruttivi, seppure in forme espressive diverse. Lo Hamsun di “Pan” e “Il risveglio della terra”, il romanzo del Nobel, il Pasolini di “Teorema” e “Petrolio”. Ma con una differenza. Per Pasolini la critica sociale è tutto: da una parte il male, la città, la famiglia, la borghesia, il potere, anche democratico, dall’altra la vita buona, anche nella miseria, il dialetto, la borgata, la semplicità d’animo, dopo la terra buona del contadino, il fiume, la tradizione, e il dialetto di un Friuli idealizzato in una fuga senza ritorno. Per Hamsun la critica sociale non c’è, e non c’è neppure il naturalismo ai suoi tempi dominante: la natura è un supporto, uno dei tanti, nella disintegrazione identitaria che la psicoanalisi si apprestava a canonizzare – l’ideologia, soprattutto, non salva.
Per entrambi vale il ritorno alla terra come autopunizione – esclusione.
San Sebastiano - Celebrato in pittura dall’Antonello di Dresda al Greco, lo ricorda Riccardo Alberto Quattrini,
In letteratura preda soprattutto del decadentismo, nelle forme più late. Da Oscar Wilde a D’Annunzio, col Thomas Mann di “Morte a Venezia” e Mishima ovunque, ma soprattutto nelle “Confessioni di un a maschera”. Compreso il Nietzsche di “Così parlò Zarathustra”.
Le frecce sono il soggetto di una delle prime pitture rupestri, nella catalana Cueva Remigia di Castellòn, datate 6000-3000 a.C. Lantropologo Luigi M. Lombardi Satriani, nel “De Saguine” quindici anni fa, che in copertina s’illustra col San Sebastiano candidamente indolente di Piero della Francesca, sposta l’attenzione dalle frecce al sangue. Con alcuni “corollari”: “1. Il sangue è, per l’uomo, il linguaggio dell’Essere… 5. Il sangue, dunque, è il linguaggio dell’amore. 6. Amore e conoscenza, per l’uomo, tendenzialmente coincidono”. E a san Sebastiano appaia gli itinerari mistici, per esempio di Teresa d’Avila e Juan de la Cruz, che anchessi fanno riferimento alle frecce “nell’itinerario dolore-Dolore-gioia”.
Serialità – Con Montalbano, è stato calcolato, Camilleri si trova già scritto da un quinto a un sesto, circa 50 cartelle, dei suoi gialli. Dal “Montalbano sono!” a Catarella, Augello, il dottor Pasquano, il questore, Livia. Camilleri se ne lamenta, ma è un bel risparmio.
Oreste Del buono, nella sua genealogia mitica e biblica del giallo, fa ascendere il detective, personaggio seriale per eccellenza, prototipo delle fiction che fanno la narrazione oggi, alle vecchie saghe, di Ercole o bibliche. Ma non è la stessa cosa, la serialità è e si vuole il dominio della ripetitività. Per una lettura a scorrimento veloce – riconoscendo più che leggendo. Un favore quindi al lettore, e un onere per gli autori, ma anche un fardello: molti scrittori di gialli, nel cui ambito il personaggio ripetitivo è nato, ne rifuggono. Impone i suoi tic, e quelli del suo ambiente, poiché il personaggio seriale si trascina anche un ambiente seriale, costanti e uniformi in ogni episodio o aneddoto. È un fardello, spiegava Margaret Millar in un’intervista vent’anni fa, oggi online, perché col personaggio bisogna riprodurre in ogni racconto i suoi gesti, le manie, i modi di pensare, dire, fare, le frequentazioni, i pregiudizi, i gusti, anch’essi ripetitivi, sessuali, alimentari.

I personaggi seriali antichi ricorrevano per l’eccezionalità. Erano per questo attesi a ogni uscita e santificati o sanzionati. Quello contemporaneo deve al contrario essere semplice e non porre problemi – di memorizzazione, richiamo, connessione, implicazione surrettizia. È per un lettore-spettatore che si vuole inerte, prossimo o parallelo al sonno. 

letterautore@antiit.eu

Prima Linea militare e romantica, leninista

Dopo Sergio Segio che ne ha scritti già un paio, riprende con questo volumone a prezzo d’affezione la saga di Prima Linea, uno dei gruppi terroristi degli anni 1970-1980. Un lavoro notevole, di due esterni al gruppo, ma sempre senza l’essenziale. Si oscilla nella valutazione del terrorismo tra il gruppo romantico (ribelle, anarchico) e la pretesa delle Brigate Rosse di volersi un esercito di liberazione, che non è possibile – non erano un esercito, e di liberazione da che? Senza mai un’autocritica.
Giovanni Senzani, che di Prima Linea fu l’esponente forse più in vista, sociologo della criminalità e della vita carceraria, studi a Berkeley, ne dà testimonianza diretta domenica con una lunga intervista a “Cronache del garantista”: dire “ho sbagliato” no, e anzi privilegiare la proprio vita, il proprio io e il proprio privato, la violenza riducendo a fatto personale (la figlia di Peci, etc.), contrariamente agli assiomi dichiarati, allora e oggi. Non è mai una questione di ideologia, buona o sbagliata, e comunque violenta. Siamo tutti buonisti, dopo essere stati violenti - come quelli del Pci, funzionari e anche dirigenti, che non sono mai stati comunisti. La violenza però continua indisturbata, nella propria buona coscienza, e nella politica dell’odio. L’esumazione di Prima Linea è anche più insidiosa, rifacendosi quel gruppo alla teoria e alla pratica del doppio livello, della integrazione professionale e intellettuale accanto alla clandestinità operativa.  
I curatori, Michele Ruggiero e il direttore dell’Istituto di Storia della Resistenza di Asti,  non ne sono parte, ma anche loro in qualche modo si fanno reduci, di un’ideologia dell’odio che non sconfessano. Un libro molto tecnico, didascalico. Ma alla maniera leninista, di schieramento, seppure implicito.
Michele Ruggiero-Mario Renosio, Pronto, qui Prima Linea, Edizioni Anordest, pp. 590, ill., € 14,90

lunedì 6 ottobre 2014

L’istigazione a delinquere

Chiunque abbia visto Juventus-Roma ha visto una bella partita, con decisioni difficili per l’arbitro, a sfavore della Juventus subito e poi della Roma. Ma non c’è nulla la partita per i giornali e i giornalisti, solo gli errori. E nemmeno tutti gli errori, solo quelli a danno di una squadra, per creare una guerra. A cominciare dalla “Domenica Sportiva”, con l’assurdo dell’allenatore Mondonico, isolato, a difendere il calcio giocato, anche dalle squadre italiane, contro una turba di commentatori ai quali nulla poteva andare bene, non l’arbitro, non gli allenatori, non i calciatori, non naturalmente la partita, che pure sono pagati per commentare - sembravano macchiette pagate per fare i mestatori  Il “Corriere dello Sport”, che a Roma è vangelo, titola a tutta pagina “Campionato falsato”. Per una copia in più? È da dubitare, se perde copie come tutti i giornali. Due onorevoli preannunciano interrogazioni parlamentari. Alle radio locali avvocati preparano denunce in sede civile - dicono che le faranno. Poi dice che i tifosi vanno allo stadio col coltello in tasca.
Non c’è più il reato di istigazione a delinquere?
Dice: ma il tifoso non legge i giornali. Sì, ma basta uno che lo legga per tutti.

Un altro on demand per la politica, con Harry Potter

In materia di sommerso e evasione fiscale “i tedeschi sono molto più birichini degli italiani, soprattutto quelli dell’Est. Ci tratto dieci ore al giorno, dunque so di che parlo. Sono i magliari d’Europa, peggio di calabresi, siciliani e campani, che guidano la classifica del sommerso” in Italia. A tratti  Franceschi, cui Lorenzetto fa questa lunga intervista, è spiritoso. Ma raramente. La pubblicazione è quasi un “redazionale” – la pubblicità mascherata da articolo.
Il titolare della Grafica Veneta (“l’uomo che fa i libri”) è un altro imprenditore della Provvidenza che vuole ascendere in politica. Forse con Passera, se ancora esiste. Comunque in quell’area lì, dell’ho ragione io. Ha fato qualche apparizione da Floris o da Vespa – da tutt’e due – e non vede l’ora, ci ha proprio preso gusto. Singolare è in tutta l’intervista l’assenza di senso politico, malgrado la verve e gli stimoli di Lorenzetto. “Io e la mia azienda” è tutto, anche gli altri imprenditori veneti gli danno fastidio: molti successi aziendali, grandi fatturati, grandi margini, e molti consigli inascoltati ai politici, che non fanno come dice lui, è così semplice. Ma, poi, Grafica Veneta lavora senz’altro bene, anche se ha fato fortuna con Harry Potter. Però non è vero che è la sola in grado di produrre un libro in 24 ore, l’on demand va veloce in tutto il mondo, siamo tutti autoeditori e queste cose le sappiamo.
Fabio Franceschi-Stefano Lorenzetto, L’Italia che vorrei. Il manifesto civile dell’uomo che fa i libri, Marsilio, pp. 173 € 14

domenica 5 ottobre 2014

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (221)

Giuseppe Leuzzi

Tutti in un giorno: 200 migranti a Lampedusa, 670 a Pozzallo, 1.789 a Reggio Calabria, 807 a Vibo Valentia, comprese venti donne incinte. Una breve.

Si vuole la Salerno-Reggio Calabria il peggio del peggio: sprechi, ritardi, malaffare, etc.  Che è un’opera di alta ingegneria, e tutti gli appalti affidati li ha chiusi in quindici anni. Mentre non si parla della “variante di valico”, che dovrebbe affiancare la Firenze-Bologna nel tratto montuoso: 32 chilometri, con molti meno viadotti e gallerie della Sa-Rc, un costo analogo, e 33 anni di lavori di cui non si conosce la conclusione.

Il brigantaggio fu al Sud anche calabrese e siciliano, ma soprattutto fu lucano. Della regione cioè oggi immune a ogni forma di delinquenza. Al tempo dei “Promessi Sposi” Milano aveva il record dei delinquenti.

“Progetti Erasmus, il «Piria» sbaraglia i concorrenti europei”, titola la”Gazzetta del Sud”. Il Piria è il liceo scientifico di Rosarno. È arrivato prima fra 250 concorrenti italiani al programma Ökolog, di progetti europei ecosostenibili. Ma è una notizia locale.
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Il Leonardo Da Vinci di Reggio Calabria sbaraglia ogni altro liceo scientifico fra i pesi industrializzati membri dell’Ocse nelle valutazioni Pisa per matematica. Lettura e scienze. Con punteggi altissimi, due 568 per matematica e lettura, contro una media Ocse di 487 e 496 rispettivamente, e un 552 per scienze, contro una valutazione media di 501. Il liceo è stato oggetto di due campagne estive, tre anni fa e due anni fa, del “Corriere della sera” contro i 100 facili alla maturità:
Ora non fa notizia.

“La Gazzetta del Sud”, il giornale di Messina per la Calabria, ha un supplemento settimanale per i giovanissimi, “Noi Magazine”, scritto cioè dai ragazzi. Ogni settimana pubblica una dozzina di articoli (“Rubriche”), una scelta di sei fotografi, una dozzina di racconti, e trenta poesie. Per 52 numeri, fanno 3.120 autori in erba ogni anno. Tutti mafiosi?

Michele Caccamo, un poeta e drammaturgo di Taurianova, che vanta prefazioni di La Capria, Alda Merini, Camilleri, è agli arresti da un anno e mezzo per associazione mafiosa a Gioia Tauro. Senza ancora un’imputazione specifica, giusto perché fa il poeta.

Finisce a ridere la saga dell’estate senza processioni nelle diocesi di Palmi e Locri in Calabria. In un settembre  triste, non fosse stato per i funghi abbondanti sull’Aspromonte. “Ad agosto c’era il mare”, lamentano i fedeli, “a settembre solo i mugugni”. In molti paesi il vescovo di Palmi Milito ha disposto che la Madonna o il Santo venisse mostrato in piazza dal portone della chiesa, un rito ancora più triste. Aperto agli sghignazzi di avvocati, medici e altri fratelli esimi, in piazza e al caffè. Specie quando hanno scoperto che una sorella del vescovo aveva risalito d’un colpo la graduatoria per l’insegnamento della religione.

 Lunedì 29 settembre non c’erano delitti da illustrare in prima pagina, e allora la “Gazzetta del sud” ha aperto con un travolgente “Sbanda con l’auto: uccide il fratello e altri tre ragazzi”. A Salerno. L’impegno per la depressione è costante.

Sudismi-Sadismi. La piaga delle società pubbliche a fini clientelari? In Calabria, assicura il “Corriere della sera-Economia” lunedì 8 settembre, per la firma di Sergio Rizzo. Ora, la Regione Calabria ha 22 società, “qualcuna delle quali in rosso”, per 9.201 dipendenti. La stessa relazione della Corte dei Conti cui il “Corriere della sera” attinge dice che l’Emilia-Romagna ne ha 435, “una su quattro in perdita”, quindi 108-109. Per 28.242 dipendenti, quindi con una media di 65 dipendenti per azienda, più direttore generali, consiglieri d’amministrazione e presidenti.

Il condono mafioso
Nel libro-intervista con l’industriale veneto Fabio Franceschi, “L’Italia che vorrei”, Stefano Lorenzetto cita questo Miglio: “Io sono per il mantenimento della mafia…. Che cos’è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello Europa, sarebbe un’assurdità. C’è che un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”.
Gianfranco Miglio è stato uno scienziato politico, professore alla Cattolica, prima craxiano poi senatore della Lega, che già quando scendeva a Firenze si sentiva a disagio. Pubblicando “Fuori l’Italia dal Sud. Come risolvere la questione meridionale” nel 1993, l’avevamo corredato di un titolo suppletivo: “E con il condono mafioso. Come risolvere la questione mafia”. Ma non avremmo mai pensato che il professore ci potesse prendere sul serio.
È avvenuto nel 1999. In una lunga intervista il 20 marzo per la serie del “Giornale” sui grandi vecchi, allo stesso Lorenzetto non persuaso della necessità di tribalizzare il diritto (“Lei capisce che la vendetta per tradimento, consumata abitualmente al Sud, non è concepibile al Nord”, “Mi faccia capire: il codice meridionale dovrebbe consentire a un  marito cornificato di farsi giustizia da solo?”), il professore confermava: “Io sono per il mantenimento della mafia…”.

Qualcosa di simile però Miglio aveva adombrato rpima, rileggendo il saggio, nel 1988, nel suo contributo, “Una Repubblica mediterranea?”, alla collettanea Laterza intitolata Un’altra Repubblica? Perché, come, quando”. Non ci lasciano nemmeno la follia. L’intervista con Miglio “Il Giornale” titolava: “Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica”.

Che c’entra la Spagna?
“C’è chi ha avuto i cappuccini e chi i gesuiti. Senza colpa”, si giustificava Thelmo de Almeida, un vecchio “diplomatico” dell’Mpla, il fronte di liberazione dell’Angola negli anni 1970 – i suoi colonialisti essendo i portoghesi, i poveri d’Europa, intendeva, invece che i francesi o gli inglesi. L’Italia ha avuto gli spagnoli. Milano per due secoli, ed è riuscita a scapolarla, il Sud per tre secoli e mezzo e si è sciolto. Irrecuperabile. Si dice solitamente per colpa della Spagna.
Si dice Spagna ma s’intende i Borboni, una stirpe e una casta che si usurarono radamente, malgrado le iniezioni di energia  di Carlo V, già con l’irresoluto Filippo II figlio suo. La Spagna in sé sa rinvigorirsi, anche politicamente, investire, stare al mondo, sui mercati, in Europa – seppure paguro della Germania. Lo stesso le Fiandre e la Lombardia, forse le aree più ricche al mondo. Non ha funzionato invece il dopo-Spagna a Napoli, in Calabria e in Sicilia, quindi indipendentemente dalla Spagna. Si può dire la Spagna ininfluente: ha governato bene dove si poteva e male dove non si poteva.
Ma tra Napoli e Palermo c’è stata una novità, indipendente dai Borboni: l’unità d’Italia.

La colpa del contadino
 “Anime nere” Saviano apprezza per la ricostruzione di “un’Italia oscura, di paese, contadina, familista, che nei valori arcaici trova le regole per la guerra, regole da utilizzare altrove, nel capitalismo quotidiano. In un altrove che non è paese, non è realtà contadina, ma che finisce per avere le sue radici lì, in Aspromonte”. Ma il contadino non è violento, e non è borghese. Né l’Aspromonte è contadino, semmai è pastorale – il pastore sì, è violento.
Perché la colpa sarebbe della “civiltà contadina”? La damnatio del contadino anticipava con parole quasi identiche un altro estraneo, Giuseppe Berto, quarant’anni fa, lamentando la distruzione in Calabria del paesaggio e della tradizione. È scarso senso civico? È ignoranza? si chiedeva Berto. È possibile ma la Calabria non fa eccezione. L’autodistruzione è ancorata in Calabria “in un senso d’inferiorità collettiva. I calabresi sono i primi a non credere alla bellezza e all’altezza della loro civiltà, che è una civiltà contadina. Per essi la civiltà contadina è simbolo” di tutto il peggio. È comprensibile, Berto fuggiva da una civiltà allora contadina, il Veneto. Ed è possibile. Ma non lo era già più quando Berto ne scriveva, nel 1973. Non c’è mai stato l’abbandono della campagna in Calabria, e già c’era un ritorno, in forma di messa in valore.
Berto ne sa un po’ di più di Saviano dei contadini. Ma perché i contadini sarebbero responsabili, loro, dell’ordine pubblico? La violenza del “capitalismo quotidiano” che “Anime nere” non recepisce è quella del mercato della cocaina a Milano, o di Rotterdam, degli scambi internazionali. Del business finanziario che entrambi i mercati della morte sottintendono. I tiratori-scannatori del film sono le teste vuote. Anche al loro paese. I loro nemici pure. La società non li elimina perché la legge non lo consente – bisogna aspettare i Carabinieri. I contadini, lasciati liberi, li avrebbero eliminati, gli uni e gli altri.

leuzzi@antiit.eu