Giuseppe Leuzzi
“I tedeschi sono molto più birichini degli
italiani”, confida l’imprenditore Fabio Franceschi, Grafica Veneta, a Stefano
Lorenzetto nel loro libro intervista “L’Italia che vorrei”. “Soprattutto quelli
dell’Est”, aggiunge l’imprenditore: “Ci tratto dieci ore al giorno, dunque so
di che parlo. Sono i magliari d’Europa, peggio di calabresi, siciliani e
campani…”. Abbiamo perduto anche questo primato?
Anche: la Germania è proprio prima in
tutto?
Piove a Genova, governo ladro. Piove a Sarno,
Siderno, Giampilieri no: imprevidenza, speculazione, corruzione, mafia.
“Anime nere” Gioacchino Criaco dice nel romanzo
omonimo i vincenti: “Le ombre diventavano anime nere o tingiùti, tinti col carbone, a seconda se si prevedeva che
uscissero vincenti o fossero considerate sicure vittime”. Nel film invece sono
i perdenti: c’è un problema filologico?
La filologia dei mafiosi è fantastica. Quasi
più della sociologia. .
Si
scrive meglio al Sud
“Nord” quindici anni fa, il repertorio degli
scrittori del Nord-Nordovest drizzato da Paolo Mauri, sottotitolo “Scrittori in Piemonte, Lombardia e Liguria”, va in prospettiva rovesciata: Paolo
Mauri vi fa una difesa, come se mettesse un argine alla sovrabbondanza di buona
letteratura altrove, un riparo. Difensiva è anche l’opera dell’ispiratore e
mentore di Mauri, Dionisotti. Che intese argomentare una letteratura
transappenninica – o meglio, dal suo punto di vista, cisappenninica: fuori
dall’asse Sicilia-Roma-Firenze. Come luogo geografico, e come lingua e
linguaggio. Petrarca dunque compreso, l’Ariosto, e, a suo modo, Manzoni.
Una vocazione testimoniata nel Novecento
dall’immigrazione dapprima a Firenze, di Montale e Gadda, ma anche di Svevo e
Saba. E poi, a Roma, di milanesi eminenti, Manganelli, Gadda, Arbasino, Nonché
di Calvino, Parise, Soldati, Pasolini, e chiunque altro avesse qualcosa da
dire. Senza contare Alvaro e i siciliani, il tronco forse più solido del
Novecento stesso.
C’è una diversa vocazione dunque delle due
Italie: quella letteraria non è indigente e dipendente, anzi è piuttosto
prepotente. Sarebbe un ottimo unto di partenza, anche robusto, per un
riequilibrio dell’opinione, oggi così violentemente nordista.
A Nord c’è poco, a parte Gozzano e Porta, se
Mauri si deve annettere anche Malerba di Orvieto, e il toscano di Roma Ottieri,
accanto ai ticinesi Ragazzoni e Filippini.
La
Sicilia inglese
Sicilia-Italia sarebbe finita forse anch’essa
con la vittoria dell’Italia, ma non sempre, tutte le volte di seguito, come è
nella storia delle partite Italia-Malta. La Sicilia sarebbe stata anche non
solo un punto strategico per Londra nel Mediterraneo, come Corfù e Malta, ma
un’ottima colonia, ricca. Fu sul punto di esserlo, e non è chiaro perché non lo
fu.
Perché la Sicilia ebbe la costituzione inglese
solo per un periodo breve, dal 1812 al 1815, è tormento di Sciascia e dei
siciliani migliori. Insomma, perché la Sicilia non ebbe né Napoleone, mai, né
gli inglesi, che pure controllarono l’isola in quegli anni. Ma poi, pur
vittoriosi su Napolone, la Sicilia retrocessero al re di Napoli.
In realtà la costituzione – quindici articoli
in tutto, e bastarono - non era dei siciliani ma di lord Bentinck, il
“sergentaccio” di Maria Carolina, la regina, e del suo ministro marchese
Circello, mandato giovane e risoluto a governare l’isola contro la corte e molti
dei baroni. Furono poi gli stessi siciliani a far retrocedere gli inglesi.
Nel 1811 c’erano ventimila soldati britannici
di stanza a Messina - Lucy Riall, “Bronte”, 66 segg. C’erano un paio di centinaia
di imprese britanniche tra Palermo, Messina e Trapani-Marsala. Che
consideravano la Sicilia, come Malta, un investimento migliore che il
Sudamerica. E fecero campagna costante perché il governo difendesse l’isola
contro Napoleone. Con la flotta (Nelson vi fu impegnato in prima persona a
lungo), e con l’esercito di terra.
Fu l’unico impegno diretto, dice anche la
storica, delle truppe britanniche sul continente contro Napoleone. Questo non è
vero. Dal 1806 gli inglesi impegnarono duramente per tre anni l’armata del
generale Massena in Calabria. Con l’aiuto dei massisti, i ribelli alla leva
obbligatoria – levée en masse. In
Calabria e non altrove perché i massisti costituivano, oltre che una buona
forza d’urto (una brigata con uniforme e mostrine restò inquadrata ancora per
un decennio fra le truppe inglesi), una sponda sociale e un fonte di
informazione..
L’odio-di-sé
meridionale
Non è un caso isolato la “Gazzetta del Sud”, il
giornale della Calabria, che in mancanza di delitti locali, fa la prima pagina
su un incidente d’auto mortale a Salerno – non su altri omicidi efferati,
volendo restare alla nera, scoperti
nelle stesse ore in Lombardia e in Emilia. L’odio-di-sé meridionale, una
forma sociale di depressione, è specialmente acuto in Calabria. Anche a Napoli.
In Sicilia Camilleri, e di più la serie tv di Montalbano, hanno allentato la
morsa stretta da Sciascia, dell’universo mafioso, fino alla magistratura più
impegnata.
In Calabria l’odio è più evidente a contrasto
con due scrittori etnici di lingua inglese, Talese e Rotella. Entrambi
americani di New York, entrambi nell’editoria, ma non legati a un pregiudizio
modernista-progressista. Curiosi delle tradizioni e rispettosi della dievrsità.
Anche nello sghignazzo, che può essere cattivo ma non censorio, sdegnoso,
superiore.– ed è in linea col linguaggio etnico proprio (locale).
Anche Abate, il “germanese”, tale peraltro pure
nella scelta di vita, insegnante nel Trentino piuttosto che in Calabria..
Bisogna stare fuori dalla realtà meridionale
per poterla vivere o rivivere senza rifiuti? Se non per apprezzarla – Talese,
Rotella, Abate. Standovi dentro non c’è rimedio? Entrambe le proposizioni sono
dubbie. È probabile che starci dentro configuri l’insufficienza del
provincialismo a contatto con la città, una forma di subordinazione – alla
modernità, il progresso, la buona educazione, l’aggiornamento.
L’antimafia
delle prefetture
Si sciolgono sempre più consigli comunali per
mafia. Lasciando per diciotto mesi campo libero alle mafie. Vere o presunte, ma
più indisturbate. Ma questo è stato già detto.
Da dire è che questo è quasi un business delle prefetture. Che
volentieri fanno perno su una qualche nota di servizio di un maresciallo dei
Carabinieri – per i quali tutto è mafia – e sciolgono il Comune che decidono.
Dove per un anno e mezzo fanno i sindaci, prendono una diaria in aggiunta allo
stipendio, e hanno anche l’autista.
In tutti i
paesi personalmente conosciuti in cui il sindaco sia stato azzerato per mafia,
non c’è un miglioramento e anzi un peggioramento dell’amministrazione. La
raccolta dei rifiuti, i poveri, i lavori pubblici. Compresi gli appalti minimi,
che non devono andare a gara, per le scuole (banchi, refezione, servizi
igienici), o gli interventi coi lavoratori socialmente utili (tombini intasati,
condutture scoppiate, mura crollate o da puntellare). E anche quelli per i
quali la gara è prescritta. Il sindaco sta attento perché si sente sorvegliato,
il commissario si fa forte dell’autorità indiscussa in materia di norme e
regolamenti e se ne frega – e non è escluso che ne ricavi beneficio.
leuzzi@antiit.eu