Anonimo – La
pratica corrente dei confidenti e pentiti l’ha indebolito. Anche come strumento
di polizia – fino a non molti anni fa si insegnava nei Servizi I delle tre
polizie come strumento per aprire indagini e colpire nemici. Ma come genere non
è mai stato popolare in letteratura, troppo discreditato. De Amicis e Sciascia ne trattarono
scandalizzati, da aristocratici della scrittura e della comunicazione.
Di casi letterari
si ricordano “La vedova Beffarda” di Carter Dickson, un divertimento sulla pratica,
che poi è servito a qualche giallo inglese della serie Barnaby o Poirot, e la
storia di Marie de Morell, una tragedia”francese”. Il dicksoniano sir Henry
Merrivale discute l’opinione se la lettera anonima non sia genere femminile:
“La maggior parte della gente, perfino persone coltissime, crede che il novanta
per cento delle lettere anonime sia scritto da donne isteriche. Vero o no?”. Lo
fa cioè per ridere: il giallo si svolge su questa falsariga e naturalmente il
colpevole poi non è femmina.
Marie de
Morell è una ragazza che scrive una serie di lettere anonime, ai suoi genitori
compresi, per mettere in cattiva luce un tenente di Saumur, l’accademia di cui
il generale suo padre è direttore. La colpa del giovane ufficiale è di non
averle fatto la corte, lodando invece la bellezza della madre, di cui la figlia
ha il complesso. Dopo qualche tempo, Marie denuncia ai genitori un tentativo di
stupro notturno in casa. Si giungerà a un processo celebre, spostato per
maggior risalto da Saumur a Parigi, aperto al pubblico benché la “vittima” sia
minorenne, Devéria e Daumier vi
assisteranno per documentare le scene madri, in cui il tenente viene
condannato, il 5 luglio 1835, dopo cinque udienze. Contro ogni evidenza: la
grafia degli anonimi è di Marie de Morell, la finestra del tentato stupro è
rotta dall’interno e non dall’esterno, Marie non ha chiesto aiuto né, la
governante dormiva nella stanza accanto, i genitori poco più in là. Sulla base
di indagini condotte da due giudici istruttori uno cieco e l’altro sordo. E
grazie all’influenza degli avvocati dei Morell, Berryer e Odilon Barrot, i più
cari e quotati del foro.
La giustizia, nel
caso, non sarà da meno dell’anonimo. Quindici anni dopo la condanna, Barrot,
divenuto ministro della Giustizia nel governo post-1848 di Luigi-Napoleone
Bonaparte, riabilita il condannato, senza riaprire il processo. De la Roncière,
il condannato, riprende la carriera militare, e da tenente diviene governatore
delle Colonie. Marie de Morell fu certamente l’autrice degli anonimi, e quasi
certamente ha messo lei in scena il tentato stupro. Soffriva, si disse già
all’epoca del processo, di allucinazioni, con crisi violente vicine alla
catalessia. Sarà marchesa d’Eyragues, e avrà quattro figli, senza rimorsi. Il
padre aveva lasciato Saumur e l’esercito subito dopo la condanna, schiacciato
dai dubbi.
Comunista – Il
Battaglia fa derivare la parola dal francese, e il Petit Robert la data al
1842. Il Tommaseo, un ventennio dopo, registra la parola come “Istituzione
sociale, o piuttosto sogno d’istituzione in cui i beni materiali fossero tutti
ugualmente distribuiti ad arbitrio de’ capi della società”. E commenta: “parole
e idea esotica”. Giusti l’aveva recepita immediatamente, scrivendone a un
amico: “Comunisti! Figurarsi se in Toscana, con tre braccia di terreno a testa
che abbiamo, tanto per farci seppellire, vi può essere mai il comunismo nemmeno
di nome!”
Il
termine fu equivalente, in origine, a repubblicano e “fuochista” (incendiario).
E stava per chi rivendicava le terre comuni, in gran parte di provenienza
ecclesiastica a seguito delle leggi eversive, usurpate gratuitamente dai
profittatori della manomorta. Ricorda Vincenzo Padula, sacerdote, scrittore e
patriota dei moti del 1848: “nei moti del 1848 gli ufficiali del Governo (napoltano,
n.d.r.) davano ai liberali il nome di teste riscaldate”, ma i borbonici “per
crescerne le reità gli appellarono fochisti e comunisti”. Di nient’altro colpevoli
che di “rivendicare ai comuni le vaste tenute usurpate dai grandi proprietari,
che non avevano lasciato all’infinita turba dei braccianti un palmo di terra
che potessero coltivare”.
Ironia – Si
lega alla “tentazione totalitaria”? Sembrerebbe il contrario – l’ironia non è
dissacrante? Ma l’atteggiamento di alterità di fronte all’esistente ha portato
nel Novecento la triade di eccellenza Céline, Pound, Hamsun al fascismo e al
nazismo. Tutt’e tre peraltro oggi politicamente correttissimi, coinvolti
personalmente e intelligentemente nelle questioni dell’epoca: Céline nella questione
sociale, Hamsun nella natura, Pound nella filologia.
Marx - È uno scrittore, precisamente
uno storico creativo. Voleva scrivere, sapeva scrivere, e lo sapeva: “Il
vantaggio dei miei scritti”, scrive in vecchiaia a Engels, “quali che ne siano
i limiti, è che sono un insieme artistico”.
Rosa
Luxemburg trovava il primo libro, “tanto apprezzato”, del “Capitale” “finemente
lavorato, rococò, à la Hegel”.
Marx avrebbe sottoscritto la critica. Non aveva orecchio e in traduzione viene
meglio – con “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”, la versione italiana
invece di quella sorda originale, si sarebbe potuto dire che anche Marx
cominciò con un endecasillabo, lo scattante pentametro giambico di Dante.
Probità – Le
“buone lettere” non possono farne a meno, argomenta Leonardo, “Codice
Atlantico”, 76 r.a: la buona letteratura ha per autori persone dotate di
“probità naturale”. Leonardo dà più credito al letterato probo, anche se poco
abile nella retorica, a uno che è abile lettere ma “nudo di probità”.
San Sebastiano – Il
santo più rappresentato, dopo san Gerolamo. Un mito, esemplare del culto della
bellezza e del mondo che venne col Rinascimento. Rielaborato nel senso della
bellezza della giovinezza, della forza fisica, in un mondo chiuso, mascolino –
militare – e con significato erotico e fallico evidente. Un adattamento della
vera storia per consentire un esercizio pittorico libero del nudo, in chiesa. Del
nudo maschile. Tanto più in quanto era stato popolarizzato, fino a tutto il
Seicento, come protettore contro la peste – lo sostituì nella mansione san
Carlo Borromeo. Terzo patrono peraltro, fino al Quattrocento, di Roma, dopo san
Pietro e san Paolo. Ma fu popolare soprattutto nelle Fiandre e in Spagna, più
che in Italia. Non sempre giovane e talvolta vestito – fino a Memling, che osò
spogliarne il busto.
Il
vero san Sebastiano fu salvato da sant’Irene, che lo curò con le sue ancelle.
Poi finì lapidato nel Colosseo, e buttato nella Cloaca Massima. Le donne sono
scomparse dalla storia. La chiesa lo considera morto per sagittazione, celebrandolo
il 20 gennaio – dell’anno 268 – quando il supplizio delle frecce ebbe luogo
sull’Appia.
Visse
al tempo degli imperatori Diocleziano e Massimiano, e Diocleziano lo nominò
capitano della prima compagna delle guardie. Poiché non aveva titolo al ruolo –
riservato ai patrizi o agli eroi di guerra – si è supposto che fosse un
“favorito” di Diocleziano. Divenne un mito letterario con D’Annunzio, prima che
con Mishima: “Il martirio di san Sebastiano” è celebrazione sadomasochista –
“bisogna che ognuno uccida il suo amore, prima che esso riviva sette volte più
ardente”, col santo martirizzato dai suoi stessi compagni. Prima c’era solo negli
Atti di san Sebastiano, del V secolo, falsamente attribuiti a sant’Ambrogio.
Sherlock Holmes – È
diventato una sherlockiana, una collana mensile di falsi. E forse questa è
l’attrattiva del personaggio: di rendere il falso vero. Attraente, possibile,
verosimile nell’inverosimile. Nel nome della verità, naturalmente.
Il
giallo è più materia di ordinario inverosimile (straordinario) che di verità.
Questa è accessoria – nel noir può non esserci, la violenza copre tutto. Nella
rassegnazione naturalmente - il noir ha gusto amaro.
Spesa pubblica – L’1
febbraio 1865 il poeta patriota Vincenzo Padula già lo sapeva: “La Camera si
scinde in partiti, il giornalismo salariato sostiene il ministero a furia di
bugie, si fa molto rumore per un nonnulla, da un progetto ne succede un altro,
le ambizioni mirano non al bene del paese ma a carpire un portafoglio, e tra
mille passioni tempestose che scoppiano nell’arena parlamentare la cassa dello
Stato si trova vuota alla fine, e il come se ne ignora”.
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