astolfo
Colpa – Si può dire il
segno della Germania, il senso di colpa, il pentimento oscuro, se il “Tannhäuser” è la sua opera eponima, Wagner è la nazione.
Anche se rifiuta la Colpa storica - la cancella, ma per non doverla rifiutare:
non la elabora, la rimuove.
La colpa risale a Lutero e
all’antiromanità. Non c’è altra origine. Prima la Germania era libera,
sarcastica, tragica, mangiona, mistica. Lutero tolse ai tedeschi la grandezza,
sia pure illusoria, della romanità, ai
governanti e ai suoi vagabondi, i clerici
vagantes, che erano numerosi. Prima i suoi re crescevano e vivevano nel
mito di Roma, e la cultura era libera – la letteratura, la filosofia, la
pittura. Tale rimarrà per il suo più proficuo filone, fino a Händel, Goethe e lo
stesso antilatino Thomas Mann. Ma sommersi da un marea avversa: pietista, revanscista,
sorda. Specie la filosofia, che si coltivava nelle facoltà di filosofia, e fece
di tutto per aggirare lo scoglio, fino a inventarsi la Germania greca di
Heidegger e l’ariogermanesimo.
È speculare
in Germania al problema della disinvoltura – anch’esso creato dal rifiuto di
Roma. Jünger segnò come “data memorabile nel
progresso della disinvoltura” il giorno in cui mise una virgola invece del
punto esclamativo in una lettera. Il tedesco non sa ridere: difetta di
disinvoltura. Questo è un tema della letteratura tedesca sui tedeschi, dal
tempo di Goethe e forse prima. Anche se non qualche torto, alle donne tedesche
se non agli uomini: prima - prima di Goethe - ci sono molte evidenze di
naturalezza muliebre, al limite della disinvoltura. Della monaca Rosvita per
esempio, la prima commediografa dell’Europa “volgare”. Della monaca Ildegarda,
badessa, mistica, musica, poetessa, che la chiesa non santificò perché ne ebbe
paura. Dell’arcitruffatrice e vagabonda, nonché futura madre, Coraggio.
Il
complesso della disinvoltura s’è diffuso tra i nobili e i colti col viaggio in
Italia, a partire dal Settecento. E nella massa con la Colpa: il tedesco si
vergogna, sa che deve vergognarsi, ma non si ritiene colpevole.
Marx – Che analisi
avrebbe fatto, che “Capitale” avrebbe scritto, con le teorie filosofiche e le “leggi”
economiche connesse, fuori di Londra e Manchester? Lui con Engels. Senza le
Trade Unions che furono all’origine e costituirono il nerbo della Prima
Internazionale. E senza Engels, naturalmente, filologo e imprenditore.
“L’appello
ai principi immateriali è il rifugio della filosofia pigra”, questo lo diceva
già Kant visionario. Che però ammoniva: “Il materialismo, se ben si considera,
uccide tutto”. I comunisti sono con Marx finora le sole vittime del Diamat, il
materialismo storico. Al cui gioco vince il capitale, quintessenza della
materia. Lo spiegava negli anni 1930 anche Arthur Rosenberg, l’antichista apostata:
“La concezione materialistica della storia è l’applicazione della critica
dialettica a tutti i fenomeni del vivere umano. Tutti i valori, in ogni campo,
sono pesati e riscontrati troppo lievi. Ma il fatto di confutarli nei libri non
basta a bandire dal mondo lo Stato e la legge borghese del salario. Gli oggetti
dell’analisi non diventano chimere per il fatto di essere criticati: non viene
abolita l’aria perché il chimico scopre gli elementi da cui essa è costituita.
La polizia dello Stato borghese e la cassaforte del capitalista sono amare
realtà”.
Il problema di Marx è, si suole dire, il marxismo-leninismo,
di cui non ha colpa, l’ideologia. Ma l’ideologia ha la forza dell’immaginario -
Althusser avrà ben vissuto anche se solo per dirlo. Dei facitori di parole, i
demagoghi, i buoni scrittori anche, e Marx lo è in grado eccellente. La buona
scrittura sarà onesta ma per interna coerenza, sul metro della sfuggente verità
un po’ simula sempre. Marx, che fu capopartito, lo sapeva, una parola ben detta
vale più d’ogni verità, e lo sapevano le sue vittime, che le storie del socialismo
faticano a redimere: c’è una verità della fede indigesta a ogni logica.
A monte
tuttavia pesa il materialismo dialettico, che confonde la realtà con la
dialettica. Mentre una distinzione c’è. Marx distingueva proprio questo: le
contraddizioni capitalistiche sono dialettiche ma non reali, meno che mai
inevitabili. Una scemenza, riconosciuta pure da Lucio Colletti: “Una filosofia
che pretende uno status superiore a
quello della scienza è una filosofia edificante, cioè una forma scarsamente
mascherata di religione”. Mentre tutti vedevano al mercato più merci e meno
care, più grano, più viaggi, più atomiche, più medicine, più minigonne, e più cura.
“Meglio liberi che ricchi”, dice von Hayek, liberale Nobel tardivo, ipocrita
forse precoce. Ma c’è di peggio: la libertà produce più ricchezza – e
l’ingiustizia è più o meno uguale. La ricchezza certo non è tutto. Ma è niente?
Oriente – Lo inventò, con l’Occidente, la propaganda di Augusto, che per
combattere i belli e vincenti Antonio e Cleopatra, nei quali rinasceva la
coppia da Cleopatra formata con Cesare, comandò le batterie pesanti di poeti e retori,
d’intrighi e dissolutezze. Una moderna campagna d’intossicazione, o il genere
del dossier, già sperimentato con
successo da Cicerone contro Catilina, altro esempio di virtù. L’Oriente dunque
viene da Occidente.
È
concetto relativo. La Cina e gli altri continenti asiatici, e così del resto
gli Usa e il Brasile, hanno un Oriente e un Occidente, anzi ne hanno più di
uno. Il concetto è europeo, di un continente cioè piccolo. Ma forse del’Europa
dovrà imparare.
Spagna – La guerra civile
fu perduta dalla Repubblica più che vinta da Franco. A Barcellona e anche a
Madrid. È la verità evidente della guerra di Spagna che si tace, anche nella
nuova storiografia spagnola. Fu perduta perché la Repubblica combatteva una
guerra civile al suo interno, fra le sue diverse componenti, repubblicana,
socialista, comunista, trozkista, anarchica. Che :1) ne indebolì lo schieramento
e la manovra nella guerra civile nazionale; 2) la espose agli attacchi di Franco,
benché erratici e compositi , ingigantendone lo schieramento – lo schieramento
franchista non veniva da lontano, benché sostenuto da Hitler e Mussolini, fu
improvvisato. La Repubblica non poteva combattere su due fronti. Di cui uno di
sostanziali “quinte colonne”, se non disfattiste.
Le
divisioni nella Repubblica non furono l’effetto di cecità politica – dello
“stalinismo”. Lo stalinismo – Stalin, la Terza Internazionale – praticava
all’epoca la politica dei Fronti popolari, delle alleanze tattiche con le
democrazie borghesi, della solidarietà antimperialista. Era l’Internazionale di
Willi Münzenberg che nelle “politiche della solidarietà” eccelleva. Che però,
per un motivo preciso che non sappiamo, Stalin non volle applicata in Spagna,
non all’interno dello schieramento classista. Togliatti, che rappresentava Stalin
in Spagna e quindi ne sapeva il perché, non l’ha mai spiegato. I suoi storici
non si pongono nemmeno il problema di colmare il buco di memoria.
La
distruzione della memoria era cominciata al tempo di Münzenberg, a fine anni 1930. Di “Omaggio alla
Catalogna” di Orwell, che spiegava le distruzioni di Togliatti in Spagna, Münzenberg
bloccò subito la diffusione col discredito: dopo dieci anni non si erano ancora
vendute le 1.500 copie della tiratura, benché da quasi un quinquennio Orwell
fosse già autore acclamato della “Fattoria degli animali” (ma la stessa “Fattoria” si era dovuta pubblicare alla macchia, T.S.
Eliot, il poeta conservatore direttore editoriale della casa editrice, aveva dubbi
sulla “posizione politica” di Orwell). Con Koestler Münzenberg ci era riuscito integralmente:
di “Buio a mezzogiorno”, sui gulag e i processi staliniani, aveva comprato e
distrutto la tiratura.
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