Complotto – L’idea del
complotto è più spesso l’esito dell’ignoranza consapevole, il metodo socratico
della verità simulata, far credere che si sa pure ciò che s’ignora. È il vizio
di chi, sapendo quello che non sa, pensa di doverlo denunciare come complotto:
ciò che fa il piccolo borghese, nel fascismo e dopo, il soggetto politico
contemporaneo, delle democrazie.
Essere – A
volte viene da dirsi che il lavoro è il miglior compagno, che è Goethe vecchio,
il fare. Ma è dell’epoca un forte complesso del muratore, la ten-denza a
tramutare l’evento in essere. Che è sempre il bisogno di sostantivare per
sistematizzare, il positivismo non è una stagione culturale. O è un intimo
bisogno di ancoraggio, sopravvenendo alla scuola del sospetto, che disintegra
ogni consistenza. O l’ultima resistenza, prima di elevare l’incertezza e l’inconsistenza a legge, il
caos nella fisica della materia, l’errore nella ricerca. Non sarà più a lungo
che l’identità dell’essere ec-cederà il suo realizzarsi, nella forma
dell’azione costruttiva, secondo cioè regole passate, o dell’invenzione, o del
gioco, se non della follia, quando è libera associazione e non blocco mentale e
ripetizione compulsiva.
Freud – Il
dottor Gioia la filologia ha applicato ai miti, con pretese non ariostesche ma
storiche, scientifiche, etiche. Contro la psicologia, d’“incorreggibile
meccanicismo e materialismo”, scovando negli eventi casuali e le coincidenze la
proiezione di possenti desideri. La scienza ha separato dalla filosofia,
aprendole l’ignoto. E la ricerca, con l’invenzione, ha giustamente posto a
motore della conoscenza, all’induzione e alla deduzione lasciando il ruolo
tecnico della logica. Ma poi regola i sogni, nel mentre che, biblico e
realistico, Heisenberg prima di Heisenberg, introduce la predizione che
influenza l’evento – di cui resta da accertare la valenza, se è un bene o un
male: rivoltarsi per esempio, che non è ribellarsi.
Il Doktor ha torto?
Chi può dirlo. Ma per questo non ha ragione. Anche se la chiesa si è messa al
suo traino in quest’epoca di stragi cupi, i santi avendo cassato la cui
esistenza non è provata, Cristoforo, Giorgio, Giusto, Giustina. Non c’è il mito
– l’impresa, l’opera, i profumi, nimbi - ma si-gnori e signorine che vogliono
essere santi: ci sono procedure per questo. Margherita da Cortona, che Mauriac
venera, scelse la santità quando le mostrarono l’amante decapitato nel bosco.
Ma uno che l’amore non capisce, la speranza, la vita nella morte, il sacro, che
medico è, che maestro?
La
chiesa scolpisce il bene, il bene?, Freud il male. Qual è l’etica di una
medicina che uccide? C’è un presupposto lamarckiano in cui Freud
inciampa, quello del progresso. Lo rovescia, ma con analoga positiva esattezza:
la sua scienza riduce la realtà a linguaggio, al codice che essa pratica.
Riduce il linguaggio a un linguaggio. Sarà nella storia quello che ha indagato il sacro
senza saperlo. Meritando per questo magari il paradiso, da povero di spirito:
fosse stato cristiano se ne poteva fare un santo – com’egli stesso di sé
presumeva, cacciatore solerte di eretici – di serie B.
È la parte innocua del teutonismo che,
malgrado tutto, sempre ammorba il mondo, l’amore che si vergogna. Il Doktor ha
amato molto le donne in famiglia, la madre Amalia naturalmente, che sempre fu
giovane, senza complessi ricambiato, la cognata e la figlia Anna. Ma è
subordinatrice al cubo: abdica al chi l’ha detto e al già detto. E non
sapendosi bene che cosa sia stato detto è scuola del sospetto. Quella che
produce insicurezza e non quella risolutrice dei gialli. Anche per la passione
fredda, da filosofo autodidatta, che va, dopo tutta l’eversione, per legnose
entità: l’inconscio per conoscere, la sessualità per scopare, o dilettarsi,
diceva il confessore, il buongiorno per l’essere sociale, e ontologizza e
assolutizza, scambiando la fotografia per il cinema. Uno che per fare chiarezza
i fili annodasse in un inestricabile gliommero. Per tacere della storia, di cui
traeva le regole leggendo la domenica. Per cui tremano i più dotati, mentre si
consolida lo spazio di nessuno dei padroni, i quali risoluti se ne infischiano.
Da un lato le folle in farmacia, per la koiné
virata sulla depressione, quelli che non hanno i soldi per il lettino,
dall’altro i gonfi ras della opinione, l’informazione, il denaro, il potere, il
delitto, dichiarato e occulto. Si scioglie così male il nodo dell’epoca, da “Totem
e tabù” al “Disagio della civiltà”: il “conflitto nascosto” tra istinto e
civiltà. Che sono per natura in conflitto, anche se l’uno si esprime con
l’altra, ma sempre non si sa perché si combattono e si combinano. Il Doktor è
l’Asclepio dei templi in Turchia, stregone di sogni, droghe, visioni, per la
cura dell’ansia, i desideri, le paure. Torna così il tempo dell’orda.
Stupefacente il crimine all’origine della
società, sognato e realizzato. E semplice: l’assassinio del capo dell’orda
converte il killer in padre, l’orda in gruppo e i membri dell’orda in figli o
fratelli. Anche per i noti poteri del numero tre, il triplice esito del
crimine. Ma c’è di più. Hades e Dioniso, stabilì Eraclito quando c’era il
politeismo, sono lo stesso dio: la morte prolunga la vita, ne è il compimento,
a ogni istante, l’immediato sempre finisce. Il Dio dei Depressi ha invece
stabilito che, sì, c’è la vita e c’è la morte, ma questa fa di testa sua e
allora c’è solo la morte. Freud, stanco di donne isteriche, un giorno guardò
nella storia. E non gli parve vero, c’era più merda che in tutti i sogni sul
lettino.
I tipi e la qualità del ricordo non sono
il fatto ma la diagnosi. Nella quale si misura la qualità del terapeuta. Freud
guarda davanti a sé - o dietro di sé – coi suoi trentuno tumori per
l’irrinunciabile sigaro, non ingenuo ciuccio, si traveste da Sartre, irretisce
Fanon, e ipnotizza chi non gli crede, non cercando di credere, e chi lo teme.
Che sono milioni, annota Giorgio Colli: il male metafisico è reale e non fisima
intellettuale, è l’esperienza dell’epoca, che ha ejettato la letizia. Ora, se
c’è solo la morte, il problema è spiegare perché siamo vivi, o vogliamo
esserlo.
Morte – Diceva Solone che nessuno sa se è stato felice
fino al giorno della morte - e onesto probabilmente, leale. Il senso della morte
come senso della vita. Se ne è angosciati se si è vissuto spensieratamente,
senza doveri e senza misura. Morire dopo una vita di capricci è il vuoto.
Problemi
morali - Gesù avrebbe gettato le
pietre? Simone Weil dice di sì.
Il problema è posto da Simone Weil a commento
del passo dei Vangeli in cui si parla della lapidazione: “Chi è senza peccato
scagli la prima pietra”. Il precetto è nel Vangelo di san Giovanni, cap. 8, e
solo in lui. Simone Weil arguisce che il Cristo con quell’intimazione previene
e dissolve un gruppo prossimo alla violenza. Ma conclude: se fossero stati allo
stadio in cui si gettavano ancora le pietre, il Cristo avrebbe gettato anche
lui con loro le pietre. Effetto della storicizzazione totale che Simone Weil fa
della Rivelazione del Cristo. Del Cristo come momento di passaggio verso la
Rivelazione, se non ne è il Costruttore.
È la conclusione di una più vicina a Platone,
come si sa, che al Vecchio Testamento, che comprende i dieci comandamenti.
Potrebbe anche essere l’esito di una lettura chiusa del Vecchio Testamento:
all’interno della vecchia si buttavano le pietre. O un effetto
dell’antibiblismo di Simone Weil. Nel mentre però che coglie e mostra il
rapporto tra il Vecchio e Nuovo Testamento.
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