Lo hacker,
il nuovissimo supereroe, è industriale, urbano, settentrionale. È scandinavo,
dopo la trilogia di grande successo “Millennium”, e un giusto temperamentale,
che agisce per la giustizia. Più spesso è californiano, per gioco, per
disimpegno, per anarchismo. Anche nordcoreano o russo quando si vuole cattivo,
distruttivo. Non è arabo però, anche se lì si localizza molta cattiveria,
nemmeno mediterraneo.
A lungo
la violenza fu ritenuta genetica, un fatto di stirpe, di sangue, di razza.
Delle “razze” inferiori. Ma con pochi argomenti, specie dopo Hitler o Breivik,
o l’eugenetica che non si dice che i paesi nordici praticano. La presunzione di
sé c’è sempre, è anche naturale, ma, si sottace. Nessun accenno alla genetica
nella violenza islamista, a Parigi o in Nigeria. È argomento solo in Italia.
Nel quadro dell’antimafia, è vero.
Antipolitica
Tema dell’Italia civile,
dei belli-e-buoni della Repubblica fin dai suoi esordi (Maranini, Ernesto
Rossi, Scalfari, Ronchey), è in origine tema meridionale. Si può dire che
l’Antitalia ha debuttato al Sud, anche se il primo specimen è “L’eredità Ferramonti”, 1883, di Gaetano Chelli,
scrittore di piccole cose di provincia, di Massa Carrara, che Roma trovò
subito, da piccolo impiegato, corrotta e spregiudicata. Ma due anni dopo
Matilde Serao s’impadroniva del filone, con “La conquista di Roma”. Presto
imitata da molti, compreso il siculo-napoletano De Roberto, “I viceré”, 1891-4,
forse il più cattivo. Fino a “I vecchi e i giovani” di Pirandello, una sorta di
anteprima del “Gattopardo”. L’antipolitica si può dire in origine meridionale.
Il familismo amorale
Causa primaria del
ritardo del Sud è il “familismo amorale”, una tesi di successo della sociologia
americana, di Edward Banfield, 1958, “Le basi morali di una società arretrata”,
e Joseph La Palombara, 1966, “Clientela e parentela studio sui
gruppi di interesse in Italia”
. In Italia il fenomeno non si direbbe limitato al Sud, ma pazienza. Ma il
familismo fa la fortuna della migliore politica in America. Di molti Kennedy,
anche mediocri. Di molti Bush. Come già degli Adams tra Sette e Ottocento, e
dei Roosevelt tra Otto e Novecento. O dei Bailey a Chicago, dei Cuomo a New
York. Ora, con i Clinton, è familismo in senso proprio, esteso alle mogli,
ancorché in età e di scarsa salute.
Amorale è il
familismo amorale - la disgrazia del Sud non sarà il Sud?
La “riproduzione
sociale” è d’altronde ritenuta l’asse della borghese solidità, nel senso dei
valori belli-e-buoni, della società stessa. Dell’impresa di famiglia, sia essa
pure una semplice onorata pizzicheria, e della nobiltà professionale, di
giudici figli e nipoti di giudici, avvocati figli di avvocati, clinici figli di
clinici, e medici condotti. Al Sud, però, meno che altrove. Per le condizioni
esterne che non lo consentono. Per le professioni sì, la “riproduzione sociale”
è forte al Sud come altrove, per altri campi di affermazione no. È quasi
impossibile fare impresa al Sud, per infrastrutture, jugulazioni politiche,
mafie, credito, mercati.
Il familismo
amorale non sarà una ricaduta sociologica delle “vite avventurose” di mafia
create negli Usa in quegli anni da grandi scrittori, Puzo, Talese, grandissimi?
Le
ceneri di Pino Daniele esposte al Maschio Angioino per dieci giorni. E di Rosi
no? Ancora un sforzo.
Daniele
non voleva stare a Napoli, non da ora. Magari non voleva essere sepolto a
Napoli, e per questo si è fatto incinerare. Ma la città non lo risparmia.
Si stringe Pino Daniele anche De Laurentiis, il produttore dei cinepanettoni e padrone del
Napoli Calcio: nel suo nome requisisce le tribune dei tifosi ospiti
e le vende ai fan del musicista pro Napoli calcio.
Una vera alzata d’ingegno.
De
Laurentiis abbraccia e intrattiene esilarato il presidente della squadra
ospite, lo juventino Agnelli. Nel nome di Pino Daniele - che non possa
protestare per l’esclusione dei suoi tifosi. Poi, avendo perso la partita, lo
insolentisce per comunicato stampa: malafede, incompetenza, eccetera. Vedi
Napoli e muori?
Tra
inchieste, condanne, evizioni, litigi, dimissioni, la giunta più terremotata è
quella del sindaco giudice di Napoli De Magistris, la verità in cattedra.
Resistono
alcune leggiadre signore, che il sindaco recupera sempre, in questo o
quell’incarico, aumentando loro il quantum per la consulenza. È vero che De Magistris è famoso
anche per essere bello: è generoso, non ne avrebbe bisogno.
“Vedi
Napoli e poi muori è una buona idea”, dice uno dei finali alternativi che
Hemingway scrisse e poi cassò per “Addio alle armi”, “forse non c’è fortuna in
una penisola”. E intende: il mare non difende ma isola. Forse è questo il
problema, non il Vesuvio – che con Napoli è stato sempre clemente.
La
razza nordica
Hitler basò l’antisemitismo sulla prevalenza della razza
nordica, e la razza nordica derivò da una robusta pubblicistica inglese, e da
ultimo da Madison Grant (1865-1937), un eugeista e con servazionsiata
americano, che ebbe grande successo con l’opera “The Passing of the Great
race”, sottotitolo “La base razziale della storia europea”, pubblicata nel 1916,
presto tradotta e sempre ristampata. Come eugenista, Grant fu a capo dei
movimenti e della legislazione americana contro l’immigrazione latina e slava,
a favore delle “razze nordiche”.
Gli argomenti di Grant non sono più alla moda, dopo la débâcle del nazismo, e per gli sviluppi della scienza. Ma non del tutto. Nel 1977, coronando a 78 anni le sue ricerche in “The Races and Peoples of Europe”, l’antropologo svedese Bertil Lundman rilanciava la razza Nordica, chiamandola “Nordid”. Con molto sottotipi: la sottorazza faelica nella Germania occidentale e nella Norvegia sud-occidentale, di corpo e viso ampi, la nord-atlantide in Danimarca, dai capelli scuri, l’oceanica in Gran Bretagna e Nord Atlantico, la scandid o scando-nordic. Ma già venticinque anni prima aveva le idée chiare, in “Umriss der Rassenkunde des Menschen in geschichtlicher Zeit”, lo schizzo delle razze umane nella storia.
Gli argomenti di Grant non sono più alla moda, dopo la débâcle del nazismo, e per gli sviluppi della scienza. Ma non del tutto. Nel 1977, coronando a 78 anni le sue ricerche in “The Races and Peoples of Europe”, l’antropologo svedese Bertil Lundman rilanciava la razza Nordica, chiamandola “Nordid”. Con molto sottotipi: la sottorazza faelica nella Germania occidentale e nella Norvegia sud-occidentale, di corpo e viso ampi, la nord-atlantide in Danimarca, dai capelli scuri, l’oceanica in Gran Bretagna e Nord Atlantico, la scandid o scando-nordic. Ma già venticinque anni prima aveva le idée chiare, in “Umriss der Rassenkunde des Menschen in geschichtlicher Zeit”, lo schizzo delle razze umane nella storia.
Gli sviluppi della
scienza erano disponibili peraltro già prima di Grant. Prima di Grant, in
Europa, il razzismo era stato ampiamente collaudato in opere di pensiero e in
leggi. Gli studi sul’arianesimo, promossi
dall’università anglo-tedesca di Gottinga, aperta a questo fine nel 1740, erano
stati coronati un secolo e mezzo dopo, alla costituzione del Reich tedesco, da
una serie di studi antropometrici e antropologici volti a imporre il “tipo” ario-germano
– ario-nordico, o nordico-atlantideo. Una summa che Giuseppe Sergi curava nel
1901 di demolire, argomentando in un testo che fece epoca, “La razza mediterranea”,
che non c’era nessuna prova che al vertice delle antiche società ci fossero le
razze nordiche, e che al contrario tutto portava a concludere che i popoli
mediterranei fossero i più creativi, dalla Mesopotamia a Roma.
Grant viene in evidenza, nella massa degli studi razzisti,
perché fu, oltre che eugenista e legislatore restrittivo, anche filantropo e
ambientalista. Fu all’origine della prima legislazione per la protezione delle
specie animali non domestiche, e fondò molte varie associazioni
ambientalistiche, o filantropiche a protezione della natura. Mentre i suoi
argomenti, in materia di immigrazione e misgenetion,
incroci razziali, non sono perenti. Sono anzi parte della mentalità corrente: il nordico è di colori chiari, capelli,
occhi, pelle, è alto e robusto, ed è leale, giusto, di iniziativa, ingenuo,
riservato, cavalleresco. Nordico è inteso tutto il meglio, che per questo steso
fatto scredita il non nordico. Sul quale pesa comunque il sospetto di
passionalità, non affidabilità, indulgenza, bassi istinti.
Del razzismo non
si può parlare, su questo argomento si cade subito nella reductio ad Hitlerum. O nella “legge di Goodwin”, la tattica di
squalificare l’avversario nella disputa acculandolo a Hitler – l’avvocato
newyorchese Goodwin, ai primordi della rete, ne faceva una legge di ferro – una
certezza matematica: “Più si prolunga un dibattito sulla rete, più la probabilità di trovare un confronto coi nazisti o Hitler si approssima a 1”. Ma la
mentalità che lo sottende è persistente. Al fondo anche della psicologia
sociale italiana. Della Lega esplicitamente, ma anche dell’opinione pubblica in
genere. Con strani percorsi logici.
Uno dei più
noti, e persistenti, è quello di Mussolini. Del secondo Mussolini. Il fascismo come’è noto capitalizzò sulla romanità e il Mediterraneo.
Ma solo fino al 1936, quando invece, impressionabile al suo solito, Mussolini fu
sedotto dal razzismo di Hitler, al punto che dopo pochi mesi si dichiarava egli
stesso nordico, erede dei Longobardi, e l’Italia improntava all’arianesimo
invece che al mare Nostrum – il percorso è documentato nelle “Racial Theories in Fascist
Italy” dello storico Aaron Gillette, che
non si traduce. Allineandosi alle vedute di Carlo Formichi, il
sanscritista traduttore di “Gulliver”, vice-presidente della sua Accademia
d’Italia, e di Giulio Cogni (“Il razzismo”, 1936), l’inventore di un blend italiano tra “ariano nordico” e “ariano
mediterraneo” che produce una superiore sintesi.
leuzzi@antiit.eu
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