Il
pentitismo tra fratelli. Un’anticipazione sotto tutti i punti di vista, della
giustizia e delle mafie – ma già nel 1950, gli anni del racconto, negli Usa non
si facevano nomi al telefono. Simenon ne conosce i motivi - qui un amore - e i
canonici sviluppi: la polizia in lotta con la mafia a chi arriva prima, l’odio
tra fratelli, la vendetta contro le famiglie. La mafia non aveva ancora il nome
di Cosa Nostra, Simenon la chiama “organizzazione”, ma è come se.
Una
storia al trotto, come in Maigret, senza accelerazioni, Né colpi di scena, ma
con passo “che ci trascina”, come Valéry chiedeva di un buon romanzo, “e perfino
ci risucchia verso la fine”. È anche un’anticipazione di un filone che sarebbe
stato fortunatissimo vent’anni dopo negli stessi Usa, nei racconti di Puzo,
Talese, Mailer, nei film Leone, Coppola e tanti altri.
La
suspense è sempre tesa. È il mondo degli uomini di paglia gestori di supermercati,
bar-caffetterie, ristoranti, posti dove i contanti circolano ampiamente. Senza
casellario penale e senza impronte digitali. Dai quali si pretende di tanto in
tanto un servizio, oltre alla percentuale sugli incassi: un pedinamento, una
spiata, un “avvertimento”, un assassinio. La mafia come Mefistofele, che dà quello
che si vuole in cambio dell’anima. In un ambiente corrotto: il pizzo lo
pretendono anche i politici, e gli sceriffi.
Un
dramma italiano in America – non manca la mamma, e la vecchia nonna. Ma
un’America molto diversa da quella posticcia inventata da un altro grande
europeo, Scerbanenco, un’America vera. Nella Florida e il Sud Usa del viaggio
che dal Connecticut Simenon aveva fatto in macchina una anno prima, descrivendolo
in “L’Amérique en auto”.
Georges
Simenon, I fratelli Rico, Adelphi,
pp. 172 € 18
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