Terzani vuole farci digerire l’imam Omar
e i talebani, incommestibili. Ma con un giornalismo di prima mano, del cronista
che va, vede, fiuta, immagina, ricostruisce – un caso unico e forse un’eccezione.
Ancora vivo in questa riedizione dopo una dozzina d’anni. Con molte novità non
disseppellite, e molte verità. “Un afghano si affitta, ma non si compra”. La
vita impossibile in Afghanistan, paese semidesertico, per essere senza colpe un
crocevia. La nobiltà dell’Afghanistan, il paese del Grande Gioco, con “70 diversi
tipi d’uva, 33 tipi di tulipani, 7 grandi giardini folti di cedri”. I troppi “falsi di guerra” – che Marc Bloch
aveva indagato già nella prima Grande Guerra: il gas nervino trovato nel campo
di Al Qaeda a Jalalabad, il campo di Al Qaeda trovato a Jalalabad, i talebani
che mozzano anso e orecchie a tutti quelli che non hanno la barba “islamica”
della giusta lunghezza. Del resto, non si tratta dopo quindici ani di guerra per
ridare l’Afghanistan ai talebani?
Il suo viaggio semi-privato, tra il 2001
e il 2002, ormai in pensione dallo “Spiegel” e anche dal “Corriere della sera”,
Terzani lo fa purtroppo per difendersi da Oriana Fallaci, che l’aveva ferito
insultandolo, sullo stesso “Corriere della sera”, dopo l’11 settembre. Anche
questo è indigeribile, ma in altro modo: il giornalismo aperto e avventuroso di
Terzani è zavorrato dal birignao toscano e fiorentino, della comune città,
della comune infanzia, delle comuni frequentazioni. Di un cosmopolitismo malato
di provincialismo acuto. Per dire la pochezza di questi orizzonti: Terzani
parte da un rifiuto degli Usa (Washington non è diversa da Pyongyang), Fallaci da
un’immedesimazione, senza più. Ma pazienza.
Per questo forse, per
il duello con Fallaci, l’inviato prensile Terzani è qui più “corretto” del
necessario, seppellito anzi nel conformismo progressista. La rivolta islamica,
altrimenti inspiegabile, propone come sfida
alla globalizzazione. Che riduce al dominio americano nel mondo grazie ai B-52.
Una delle frasi fatte più dure a morire del secondo Novecento, e tutt’oggi –
Terzani echeggia Foucault di un quarto di secolo prima, infatuato del
khomeinismo, che vedeva anch’esso come una sfida al capitalismo, all’ordine, al
pensiero unico (“È forse la prima grande insurrezione contro i sistemi
planetari, la forma più folle e più moderna di rivolta”). Ma il suo punto
centrale resta: c’è da chiedersi perché questa rivolta, questo “rifiuto” come
si labella, suscita entusiasmo, fino al terrore e al sacrificio di sé, in tutto
il mondo islamico e non solo.
Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra, Tea, pp. 179 € 9
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