venerdì 16 gennaio 2015

Eco reazionario

Studioso della comunicazione, e sempre sornione, anzi per questo, Eco fa i conti con le (cattive) amicizie? L’editore presenta questo suo svelto parto come un romanzo di complotti. Tutti quelli che vogliamo, Borghese, Forestali, P 2, Gladio, Mafia, compreso un Mussolini che non è morto. Che però non è trovata originale, in tanti non sono morti: Mr. Mojo, Elvis, Ceausescu, perfino Togliatti. E anzi è precedente doppiamente negativo: la formula “X è vivo e combatte insieme a noi” era di destra. E poi sarebbe il secondo Eco di fila sui complotti, dopo “Il cimitero di Praga” - senza contare l’appestatissimo “Pendolo di Foucault”. Di un allegrone che non crede ai complotti, se non per ridere.
Che dirne? Eco – e ora Camilleri – è da anni il santo dei librai, un’apparizione attesa per riempire i vuoti, specie dopo le feste, e una manna, la pila si assottiglia mentre si sfoglia il reperto. Ma, un altro complotto, anche se più svelto del malloppone precedente? Col piano narrativo sdoppiato, il neretto di bastoni intervallato al tondo bodoni, una fatica ogni volta ricordarsi chi è chi. Anzi triplicato, c’è pure il corsivo per molte pagine, un terzo narratore, un terzo “cassetto” .
Allora? Dev’essere un’altra cosa. Forse la stessa “macchina del fango” che Eco va denunciando,  onnipresente sui media per l’uscita del libro. Del giornalismo come macchina del fango. La chiave l’ha data a Fazio - che al solito non se n’è accorto: la politica non si fa più a viso aperto, ha detto con l’occhio lucido, uccidendo gli oppositori, come si faceva con Lincoln o Kennedy, ma infangandoli, da quando l’operazione è riuscita con Nixon. L’operazione riuscita con Nixon è nientemeno che il cardine e la pietra di fondazione del giornalismo d’inchiesta. Con una subordinata, ha aggiunto il massmediologo, ma già con l’occhio spento, sapendosi in terra infidelium: del giornalismo d’inchiesta all’italiana, quello che in Inghilterra si chiama stampa spazzatura, fatta d’insinuazioni, pettegolezzi e intercettazioni. Non di un delitto provato, di una prova magari unica ma incontrovertibile. No, di chiacchiere. Che sempre sono abusive, benché a opera di giudici e polizie, che le diffondono avvelenate, a lenzuolate, tanto più in quanto gratuite – il conto lo paga il contribuente.
E allora, non si divertirà alle nostre spalle? Eco è sempre lui, in maschera, ma con qualche ghigno sardonico in più. Ora che malinconico chiude un “Espresso” malinconico, che Travaglio apre. Avendo smarrito la vena dequinceyana per il pamphlet. Per una sincera, forse, denuncia civile -  di un vizio complottista di cui lui stesso è stato peraltro attizzatore, e tuttora è (le Br dice a Fazio della Cia). Una forma che però non regge la lunghezza. Tantomeno il duplice o triplice “cassetto”. Per non osare dire la verità? Sarebbe grave, se non può osare nemmeno un Eco.
Viene da pensarlo un Rabelais beneducato che spernacchi soave il politicamente corretto che ha patrocinato, manifesti, proteste, amicizie, cause. Perché: questo giornalismo macchina del fango che qui mette alla gogna chi lo fa? I suoi amici. Ecco perché non parla chiaro, ma allude. Seppure fortemente, i cinquant’anni o quasi di fantastoria (storia falsa) che esuma come complotto attorno a un falso cadavere, sia pure di un cavaliere (Mussolini), facendoli approdare all’anno fatale 1992, che è quello di Mani Pulite, e dell’inizio della storia italiana à rebours, a ritroso, della revisione che ci ha distrutti e ci tiene sotto il tallone, della storiaccia stessa.
Verrebbe da dire, allora: Eco, ancora un sforzo. Ma lui non ne ha bisogno. Non è per pusillanimità che gioca ancora la commedia (“una volta volevo inventare io la commedia e il riso, la parte della «Poetica» che Aristotele non scrisse” – almeno dai tempi del “Nome della rosa”, 1980) ma perché è convinto che non serve a nulla. Dire la verità, polemizzare. Che non c’è riforma possibile. Che si può solo sorridere e ridere. Roland Barthes, de non un de Quincey rimosso, lo aveva probabilmente liberato da san Tommaso al riso e al sorriso con le “Mitologie” (1957), feraci di molte “bustine” e diari minimi, e all’ironia ritorna, dopo la sterile cavalcata semiologica. Ma allora: Eco reazionario? C’è sempre una reazione, prima o dopo.
Umberto Eco, Numero zero, Bompiani, pp. 218 ril. € 17

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