Studioso della comunicazione, e
sempre sornione, anzi per questo, Eco fa i conti con le (cattive) amicizie?
L’editore presenta questo suo svelto parto come un romanzo di complotti. Tutti quelli
che vogliamo, Borghese, Forestali, P 2, Gladio, Mafia, compreso un Mussolini che non è morto. Che
però non è trovata originale, in tanti non sono morti: Mr. Mojo, Elvis,
Ceausescu, perfino Togliatti. E anzi è precedente doppiamente negativo: la
formula “X è vivo e combatte insieme a noi” era di destra. E poi sarebbe il
secondo Eco di fila sui complotti, dopo “Il cimitero di Praga” - senza contare l’appestatissimo “Pendolo di Foucault”. Di un allegrone
che non crede ai complotti, se non per ridere.
Che dirne? Eco – e ora Camilleri –
è da anni il santo dei librai, un’apparizione attesa per riempire i vuoti,
specie dopo le feste, e una manna, la pila si assottiglia mentre si sfoglia il
reperto. Ma, un altro complotto, anche se più svelto del malloppone precedente?
Col piano narrativo sdoppiato, il neretto di bastoni intervallato al tondo
bodoni, una fatica ogni volta ricordarsi chi è chi. Anzi triplicato, c’è pure
il corsivo per molte pagine, un terzo narratore, un terzo “cassetto” .
Allora? Dev’essere un’altra cosa.
Forse la stessa “macchina del fango” che Eco va denunciando, onnipresente sui media per l’uscita del libro. Del giornalismo come macchina del
fango. La chiave l’ha data a Fazio - che al solito non se n’è accorto: la
politica non si fa più a viso aperto, ha detto con l’occhio lucido, uccidendo
gli oppositori, come si faceva con Lincoln o Kennedy, ma infangandoli, da
quando l’operazione è riuscita con Nixon. L’operazione riuscita con Nixon è
nientemeno che il cardine e la pietra di fondazione del giornalismo
d’inchiesta. Con una subordinata, ha aggiunto il massmediologo, ma già con
l’occhio spento, sapendosi in terra
infidelium: del giornalismo d’inchiesta all’italiana, quello che in
Inghilterra si chiama stampa spazzatura, fatta d’insinuazioni, pettegolezzi e
intercettazioni. Non di un delitto provato, di una prova magari unica ma
incontrovertibile. No, di chiacchiere. Che sempre sono abusive, benché a opera
di giudici e polizie, che le diffondono avvelenate, a lenzuolate, tanto più in quanto
gratuite – il conto lo paga il contribuente.
E allora, non si divertirà alle
nostre spalle? Eco è sempre lui, in maschera, ma con
qualche ghigno sardonico in più. Ora
che malinconico chiude un “Espresso” malinconico, che Travaglio apre. Avendo smarrito la vena dequinceyana per il pamphlet. Per una sincera, forse,
denuncia civile - di un vizio complottista
di cui lui stesso è stato peraltro attizzatore, e tuttora è (le Br dice a Fazio della Cia). Una
forma che però non regge la lunghezza. Tantomeno il duplice o triplice “cassetto”.
Per non osare dire la verità? Sarebbe grave, se non può osare nemmeno un Eco.
Viene da pensarlo un Rabelais beneducato che spernacchi soave il
politicamente corretto che ha patrocinato, manifesti, proteste, amicizie,
cause. Perché: questo giornalismo macchina del fango che qui mette alla gogna
chi lo fa? I suoi amici. Ecco perché non parla chiaro, ma allude. Seppure
fortemente, i cinquant’anni o quasi di fantastoria (storia falsa) che esuma
come complotto attorno a un falso cadavere, sia pure di un cavaliere
(Mussolini), facendoli approdare all’anno fatale 1992, che è quello di Mani
Pulite, e dell’inizio della storia italiana à
rebours, a ritroso, della revisione che ci ha distrutti e ci tiene sotto il
tallone, della storiaccia stessa.
Verrebbe da dire, allora: Eco,
ancora un sforzo. Ma lui non ne ha bisogno. Non è per pusillanimità che gioca
ancora la commedia (“una volta volevo inventare io la commedia e il riso, la parte
della «Poetica» che Aristotele non scrisse” – almeno dai tempi del “Nome della
rosa”, 1980) ma perché è convinto che non serve a nulla. Dire la verità,
polemizzare. Che non c’è riforma possibile. Che si può solo sorridere e ridere. Roland Barthes, de non un de Quincey rimosso, lo
aveva probabilmente liberato da san Tommaso al riso e al sorriso con le “Mitologie”
(1957), feraci di molte “bustine” e diari minimi, e all’ironia ritorna,
dopo la sterile cavalcata semiologica. Ma allora: Eco reazionario? C’è
sempre una reazione, prima o dopo.
Umberto Eco, Numero zero, Bompiani, pp. 218 ril. € 17
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