Piazzale
Dunant, “filantropo svizzero”, non è quello della Croce Rossa?, premio Nobel, o
non sarà garibaldino?, anche lui, è vuoto a Capodanno. Le feste hanno questo di
buono, che si arriva presto dappertutto. Col solito lavavetri al semaforo. Il
solito semaforo lungo, la circonvallazione Gianicolense ha la precedenza, coi
suoi ospedali.
La
giornata è tersa, lo sporco traspare sul vetro. Controluce quasi non si vede.
Ma il lavavetri traccheggia.
I
giorni di festa gli asiatici devono lasciare il posto ai rom, che sono
prepotenti e sporcaccioni, sporcano più che pulire, ma pazienza. Questo però
accenna e si ritrae, accenna e si ritrae. Sarà un po’ tocco, o avrà bevuto? Finalmente
si decide e attacca il vetro: prima a colpi timidi, sempre indeciso, poi a
larghe spazzolate.
L’operazione
è complicata, di cercarsi le monete nelle tasche, le cinture di salvataggio
sono una noia più che un aiuto. Intanto il semaforo è verde, ma il lavavetri,
dopo avere tanto esitato, ora non recede: passa del lato della guida e rifà le
sue lunghe spazzolate, con accuratezza.
C’è
una sola macchina dietro, che però è nervosa e suona il clacson. Il lavavetri
non si scompone, prosegue il suo lavoro coscienzioso, del parabrezza fa uno
specchio, ora la luce dà fastidio per il brillio. Quando finisce fa un passo
indietro.
La
curiosità è allora istintiva di scandagliarlo, questo lavavetri speciale, un
attimo, uno sguardo, dietro il sorriso di circostanza con cui si porgono le
monete. Anche lui guarda al nostro sguardo. Tende la mano solo quando noi l’abbiamo tesa. E
ha un sorriso breve, come d’intesa. La festa facendo finita: grazie ha detto al
modo romano, ha sagoma e soma familiari, ha la nostra età.
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