Processare
uno per non processare un altro è tecnica perfezionata e praticata nelle
Procure della Repubblica. È così che la mafia a Palermo non esiste, solo lo
Stato è mafia. Non si processano altri – in attesa naturalmente di Messina Denaro,
il “capo dei capi”, la “primula rossa”, etc. etc.
La
pratica è stata consacrata, sotto l’ingenuo Caselli – o Caselli non è un ingenuo?
– dai suoi sostituti Lo Forte e Sciacchitano, col famoso processo a Andreotti: dieci anni di indagini e di chiacchiere, 120 mila
pagine di atti istruttori, e l’assoluzione. Ma era stata messa a punto a
Milano, attorno all’affare Sme, su cui la capitale morale d’Italia sempre ha evitato
di indagare. Un caso clamoroso e acclarato di cessione fraudolenta (a titolo
gratuito e con un prestito di favore) del gruppo alimentare da parte di Prodi,
allora all’Iri, a De Benedetti nel 1985. Dapprima il Procuratore Orsi non ci
trovò nulla di strano, traccheggiò, e insabbiò. Poi il colpo d’ingegno:
Boccassini, reduce da Palermo, processò per l’affare Sme … Berlusconi. Non per condannarlo,
per trascinare la cosa in lungo, una dozzina d’anni: il processo-scaccia-processo
tipo.
Ora si processano Buzzi e Carminati come se fossero i padroni
di Roma. Ogni giorno faldoni di chiacchiere. Ma: per non processare chi?
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