Fra
qualche settimana la marina cinese e quella russa procederanno a manovre
congiunte nel Mediterraneo. Senza pretese territoriali, ma come monito. Nel
quadro delle intese strategiche e militari che Putin ha avviato con la nuova
dirigenza cinese a novembre. La globalizzazione – unificazione dei mercati –
viene attraversata dopo venticinque anni da nuovi-vecchi disegni di potenza.
L’obiettivo
dichiarato di Mosca e Pechino è di avere diritto di veto, cioè di controllo, nei
loro ambiti territoriali, in prossimità delle loro frontiere. Obiettando agli
Stati Uniti di aver voluto imporre negli ultimi decenni una strategia di
controllo mondiale, con le guerre in Afghanistan e Iraq, e quella mascherata in
Siria, e con l’allargamento della Nato fino alla Georgia, oltre che ai confini
della Russia. Le manovre congiunte dovrebbero significare che le due potenze
sono – militarmente – capaci anch’esse di interventi su vasta scala.
Il
ritorno sullo scacchiere internazionale di Russia e Cina si avverte per ora nel
Pacifico, nei confronti del Giappone e contro lo spionaggio aereo Usa. Le
manovre nel Mediterraneo sono intese a dare al confronto una dimensione globale
e non locale: Mosca e Pechino vogliono un impegno generale più che
assicurazioni su questo o quel punto di crisi. Entrambe le potenze fanno valere
l’asimmetria che gli Stati Uni impongono con la Dottrina Monroe, che “riserva”
agli stessi Stati Uniti tutto il continente americano – applicata ancora di
recente a Cuba, Grenada, Haiti, Panama.
In
subordine, Mosca in particolare contesta agli Stati Uniti l’allargamento della
Nato in contrasto con gli impegni presi nel 1989-1990 per chiudere la guerra
fredda. Quando i due paesi si erano accordati per il consenso russo
all’unificazione tedesca nell’ambito della Nato in cambio dell’assicurazione
americana che la Nato non si sarebbe allargata a confini della Russia.
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