Napolitano
lascia il Quirinale con unanimi plausi, ma con un distinto segno politico dei
suoi quasi dieci anni: ha restaurato il Centro, la Dc. Forse controvoglia, ma
con costanza. Hanté forse da Berlusconi,
dal timore di sanzionarne l’attendibilità politica, anatema nel suo partito d’origine,
ma con determinazione. Infilando una serie di errori politici.
La
sua preoccupazione fondamentale, che lui ritiene in difesa della Costituzione, di
difendere il Parlamento e il voto popolare, ha confluito nel dare il potere in
successione ai gruppi confessionali, poco o affatto proposti dal voto, con criteri
di emergenza: Monti, Enrico Letta, Renzi. Eliminando politicamente, con Berlusconi,
anche la sinistra, nella quale pure ha militato una vita. Quando Grillo rifiutò
ogni possibilità di governo col Pd, il ritorno al voto l’avrebbe sicuramente dimezzato, se
non ridotto alla misura fisiologica del voto di protesta, l’8 per cento – ancora alta, ma un terzo
di quella che Grillo vanta. Napolitano ha preferito le grandi intese alla
democristiana, di corridoio, sottobanco.
Ne misura
l’inadeguatezza la pusillanimità di fronte ai giudici. Della Procura d Palermo
che lo incrimina in forma perfino assurda. Della Cassazione che si organizza,
sovvertendo la procedura, per condannare Berlusconi. Dei giudici democristiani di
Santa Maria Capua Vetere che gli liquidano democristianamente il governo Prodi
- incriminano la famiglia Mastella al solo fine di bloccare ogni proposta di
riforma del sistema giudiziario, a nessun effetto penale sulla coppia. La sua presidenza non si è nemmeno posto il problema della grazia a Sofri, che a diritto o a torto aveva tenuto banco con i suoi due predecessori. Non disturbare il manovratore sarà stata la sua divisa, stinta, come in tutta la sua carriera politica.
Per
una deficienza di fondo, in realtà, malgrado la lunga militanza e le quotidiane perorazioni in difesa delle procedure e le istituzioni. Di fatto è il presidente che più ha operato contro la politica e
il voto popolare. S’è inventato a presidente del consiglio un professore,
Monti. E Renzi ha imposto che, benché segretario del suo partito, non era
nemmeno parlamentare. Forse per la sindrome Berlusconi, ma nel quadro della
sindrome da “società civile”, dei “tecnici”, degli “uomini giusti”. Del “salotto
buono” della politica, altrimenti sporca e cattiva.
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