sabato 24 gennaio 2015

L’amicizia è l’amore di Dio

Un’antologia come un atto d’amore, degli studiosi weiliani Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito. Con le lettere della filosofa a Joë Bousquet, il poeta di Carcassonne grande invalido di guerra, e ad Antonio Atarès, un fuoriuscito anarchico spagnolo, poeta solitario, internato allo scoppio della guerra, dapprima in Francia poi in Algeria. Con Bousquet, obbligato all’immobilità a letto, che Simone Weil era andato a trovare a Carcassonne, il rapporto è molto intellettuale e anzi filosofico, ma intenso. Scrivendo all’amico che gliela aveva presentata, Bousquet non finisce più di complimentarsi con se stesso, per avere potuto conversare con “Émile Novis”, il nome della filosofa nella Resistenza. Con lui Simone spiega anche il suo proprio problema: non di “sfiducia verso me stessa”, ma “un miscuglio di disprezzo, odio e repulsione”, per un dolore costante ormai da dodici anni “attorno al punto centrale del sistema nervoso”. Con Atarès il rapporto è a distanza, e tuttavia quasi personale, seppure nei limiti dello scambio epistolare. Non c’era mai stato un incontro fra i due, Simone Weil aveva saputo di Atarès da Nicolas Lazarevith, uno dei redattori de “La Révolution prolétarienne”, che era stato internato anche lui in paio di mesi nello stesso capo del fuoriuscito spagnolo, e ne aveva fatto il simbolo della solitudine, uno che non riceveva né visite né pacchi né lettere.
Una forma di amicizia simile in entrambi i casi, di comunione nella disgrazia, al confine con la generosità che è il segno di Simone Weil, fino al dispendio di sé. Ma con Atarès c’è di più: con lo sconosciuto Simone Weil vive in realtà quello che di persone non ha mai potuto, una sorta di passione. “Tu ed io”, mette a punto Simone in una delle prime lettere, “ciò che diamo l’uno all’altro e ciò che riceviamo l’uno dall’altro, sono pensieri e sentimenti sotto forma di lettera….Ma al di fuori di ciò, non pensiamoci mai, né l’uno né l’altro, perché questo non entra per niente nei nostri rapporti personali”. E invece no.
Il nerbo del libro è però la riproposta, in una nuova traduzione  (dopo quella ricompresa nell’antologia tradotta da Orsola Nemi per Rusconi sotto il titolo “Attesa di Dio”), del lungo saggio “Forme dell’amore implicito di Dio”. Uno dei cinque, composti tra il 1941-1942, che Simone Weil lasciò al padre domenicano Joseph_Marie Perrin, suo consigliere spirituale, prima di partire per l’America e Londra - sotto il titolo “Amicizia pura”, Canciani e Vito hanno in realtà composto un’antologia degli scritti degli anni di guerra che Simone Weil visse da sfollata a Marsiglia. È un argomento che Simone tratterà in una lunga lettera al padre Perrin, la sua ultima da Marsiglia, perché è all’origine di un lungo litigio tra i due.
La fede di Simone Weil qui è incontrovertibile – è anche la traccia che hanno seguito i due papi regnanti nello loro comune enciclica, un anno e mezzo fa, “Lumen Fidei”. Dio è universale, l’amore è universale, la chiesa dev’essere di tutti. “Il comandamento «ama Dio»” si applica ancora prima che Dio “venga in persona a prendere la mano della sua futura sposa”. Prima, “si può chiamarlo amore indiretto o implicito di Dio”. Di ragionamento in ragionamento la conclusione è: “Non c’è nella vita umana regione che sia dominio della natura. Il soprannaturale è presente dappertutto in segreto”. Di conseguenza “Il cristianesimo non s’incarnerà finché non si sia annesso il pensiero stoico,  la pietà filiale per la città del mondo, per la patria di quaggiù che è l’universo”.
Simone Weil, Amicizia pura, Castelvecchi, pp 190 € 16,50

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