Acqua – L’acqua è in ogni pagina di
“Addio alle armi”, il romanzone della guerra italiana prima e dopo Caporetto. Della
pioggia, dei fiumi, delle pozze, dei laghi – del mare meno, anche quando siamo
al mare. Ma è tema ben hemingwayano: piove con lui anche sotto il Kilimangiaro.
È la mamma che è mancata? Facile tema.
L’acqua ricorre in Hemingway come la latinità,
e l’africanità da lui sempre predilette, tra Italia, Spagna, Cuba, Florida e la
caccia grossa – raccontata in realtà più che praticata: al campo Hemingway
passava le giornate per lo più in vestaglia. Nelle aree della civiltà materna
Amore Un “sentimento religioso”, lo
vuole perentorio il conte Greffi di
“Addio alle armi”, un nonagenario che viene dai “tempi di Metternich”, grande
giocatore di biliardo e grande saggio. Uno che Hemingway non contraddice.
Complotto - È mancata
finora la storia del complotto, nelle stragi di Parigi. Mentre c’è tutta. E
naturalmente è letteraria.
L’uscita
del romanzo antislamico di Houellebecq era per il 7 gennaio. E il 7 gennaio i
fratelli Kouachi, due sbandati, attaccano. Con millimetrica accortezza: una
redazione protetta dai codici di accesso, nell’ora in cui i suoi redattori di
maggior nome sono convenuti. Uscendo da una macchina che ingombra la strada, con
le portiere aperte, alla quale ritornano senza fretta per dileguarsi.
Oppure
viceversa: c’era fretta di fare uscire Houellebecq il 7 perché quel giorno era in
calendario l’attacco islamico. Il titolo del romanzo non c’era ancora un mese
prima. Il testo non è stato disponibile in redazione prima di metà dicembre. È stato
mandato in tipografia il 17 o 18, per una lavorazione – bozze, correzione,
stampa, rilegatura, distribuzione – affannosa, stanti anche le tante feste.
Contemporaneamente, in tre settimane, un’operazione di traduzioni collettive-presentazione-pubblicizzazione
senza precedenti è stata montata, con paginate in tutti i giornali europei.
Il
7 gennaio usciva anche Eco, col nuovo romanzo sul Mussolini trapassato ad altra
vita ma non morto. Perché il male non muore mai? No, per un complotto.
Confessione – Nella forma della publicatio sui di Tertulliano è sempre stata una documentazione-esibizione pubblica di sé. Ma ora è di sego opposto. Era penitenziale: si vestiva un saio, di juta o altro tessuto povero, altrimenti nudi, il capo cosparso di cenere e anche il corpo, si digiunava, ci si esponeva in pubblico come peccatori nelle funzioni religiose, si supplicava, si piangeva, si facevano pellegrinaggi e gesti devozionali. Ora è trionfante. Magari per le stesse colpe, ma rovesciandone il senso: non si chiede perdono per la colpa, la si esibisce felici come un titolo di onore e una liberazione.
Oggi la confessione è esibizionista, è parte dell’esibizione
di sé che è la cifra della contemporaneità. .Come nelle vecchie confessioni
penitenziali pubbliche ogni remora o piega subdola esplorando e portando alla
luce, anche inventando, perché no, seppure non più a fini edificanti: oggi si
confessa a maggior spolvero e gloria. “Nihil abjectum a me alienum puto” si
potrebbe dire la divisa della contemporaneità.
Giornali
– Singolare
dibattito oggi sul “Venerdì” tra Scalfari e Umberto Eco sul nuovo romanzo dello
scrittore, “Numero zero”. Un dibattito in cui non si dice nulla. Anche nell’intervista
ieri di Eco con Paolo Di Stefano sul “Corriere della sera” Eco è singolarmente muto.
Forse perché sovrastato dal terrorismo a Parigi – quando si spara l’intellettuale
si rotola ancora nella botte. Ma anche in questo dibattito pre-strage non si
dice nulla.
Il romanzo tratta del giornalismo, lo
insolentisce. Ma le sei pagine sono fitte di zero. I giornali si comprano
sempre meno? Si leggono ancora meno? Si credono ancora di meno? Antonio Gnoli,
uno che sa far parlare anche i filosofi, li pressa in tutti i modi, ma non ne spreme
niente: il miglior giornalista e il miglior studioso di giornalismo e
comunicazione non sanno che dire, a parte farsi i reciproci complimenti. Anzi
nemmeno questo: Scalfari, come sempre scalpitante generoso, loda sempre Eco,
Eco incassa e basta – un Eco pieno di sé?
Grande
guerra – Il
romanzo italiano della Grande Guerra che in questi anni si celebra è americano,
quello di Hemingway. Non c’è il romanzo italiano di quell’evento che fu, ed è, determinante
per la storia dell’Italia. Del Nord e del Sud. Del contadino e del borghese.
Dell’Italia in Europa. Del Sud nell’Italia. Dello Stato e dell’anarchismo. Che
invece ci sono, tutti (perfino, seppure di striscio, il Sud: “Vedi Napoli e poi
muori è una buona idea”, etc.), in “Addio alle armi”.
C’è Malaparte, “La rivolta dei santi maledetti”,
ma viene dopo, ed è un pamphlet
antibellicista, di uno peraltro che era stato volontario a 17 o 16 anni – e procede
per escandescenze, non è ancora il narratore sovrumano che sarà della seconda guerra, non tiene conto nemmeno delle efferatezze singole, documentate,
della guerra stessa, come la rivolta e la decimazione della Brigata Catanzaro.
Corrado Tumiati, medico arruolato, tentò un approccio, che però limitò ad
alcuni racconti di “Zaino di sanità”, incisivi ma brevi, e di orizzonte
circoscritto, sul singolo, sul lavoro spesso tragico in corsia, sul rapporto semplice con gli attendenti.
Il romanzo italiano della Grande Guerra è “Addio
alle armi”. Vissuta e raccontata da un estraneo, per quanto volontario (per
pochissimi mesi verso la fine), ma con partecipazione, e con intelligenza
profonda. Una sorta di “Živago” alla rilettura, di forte emozione. Specie alla
rilettura in originale, non affetto dal giovanilismo della traduttrice Pivano: solenne
nella semplicità, mai sbracato, sempre conscio della gravità degli eventi. Con
gli stessi ingredienti, curiosamente, che il romanzone russo della guerra, e
più il film, illustrerà: le bombe, le ferite, le mutilazioni, il fango, la
neve, la pioggia, i treni, le distanze, le separazioni, i ritrovamenti, le
nascite, la morte. Con lo stesso spirito elevato, non limitato ai facili
assiomi contro la guerra. Il romanzo della morte incombente, soverchiante, sull’amicizia,
l’amore, ogni voglia di vita.
Non c’è nemmeno il film della Grande Guerra. Che
pure si sarebbe prestata, con “Addio alle armi”. O con i tanti, troppi, giovani
volontari patrioti: entusiasti, combattenti. Non gli “animali
degradati dalla ragione”, cui Malaparte ridurrà i combattenti della seconda
guerra in “Kaputt”, ma giovani di fede. Olmi, “Torneranno i prati”, lo sa
ma ne limita l’impeto alla sconfitta, a un senso claustrofobico, remissivo, di
sconfitta. “Tutti a casa” le fa torto in molti modi.
Puškin – Non è mai stato in Italia,
ma era italiano di adozione. Il Puškin italianista si merita oltre trecento
pagine del puškiniano Alexey Bukalov, che è il capo dell’ufficio
di corrispondenza romano, Italia e Santa Sede, dell’agenzia russa Itar-Tass,
nel volumone “Bereg dalnij. Iz zarubezhnoj Pushkiniany”, “La riva lontana. Gli
studi esteri su Puškin” (in realtà sugli interessi esteri di Puškin). Bukalov approfondisce
la “sensibilità universale”, cosmopolita, del poeta in riguardo all’Italia all’Africa.
All’Africa perché il suo bisnonno era africano. Quanto all’Italia, era l’Europa
di Puškin, forse più che la Francia.
Ha studiato l’italiano. Lo conosceva abbastanza
per tradurre Dante e Petrarca. Bukalov ha repertoriato 94 “inclusioni” di testi
italiani nelle opere di Puškin, che dice “sempre molto circostanziate e precise”.
A suo parere, Puškin ha tratto dalla
letteratura e le arti italiane molti motivi di poesia.
Riscritture – Consuete in musica, da
parte degli autori stessi, o anche di altri, contemporanei o successivi, in uso
nel cinema americano per i film di successo europei o asiatici, sono ora in
auge alla tv: si fanno remake di film di successo in serial tv. Film con
storie per qualche verso morbose, “Hannibal”, “Fargo”. Per un pubblico del
genere giallo-horror, o/suspense, e non generalista. Ma il secondo più grande
pubblico dopo quello generalista.
In letteratura le riscritture si penserebbero marginali,
essendoci il reato di plagio. Ma se ne fanno di più nel quadro del postmodernismo,
del calco, l’imitazione, la copia d’autore. La letteratura anzi è a naso più
seriale dei cinema.
letterautore@antiit.eu
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