martedì 20 gennaio 2015

Platone a Teheran, all’orecchio di Khomeini

“Fin dai primi tempi dell’islam, e soprattutto per gli sciiti dall’assassinio di A lì, l’uccisione di un musulmano per opera di un altro musulmano – e Dio sa se ce ne sono state – conserva sempre la forza dello scandalo religioso, e che significa ugualmente scandalo politico e giuridico”. Ora i morti mussulmani per mano di mussulmani non sono soltanto la guardia giurata Ahmed con le mani in alto freddata sul marciapiedi di “Charlie Hebdo”. Sono centinaia ogni giorno, migliaia, nelle scuole, i mercati, le piazze, le campagne indifese. Questo “Taccuino”, voluto vent’anni fa da Renzo Guolo e Pierluigi Panza, benché critici, come “«autentica» radicale alternativa all’Occidente”, presagisce solo un barbaro bagno di sangue, all’insegna dello “stato islamico” ma a nessun effetto, per primo tra i mussulmani, con i sunniti a caccia di sciiti, e tra le diverse confessioni sunnite. In Afghanistan, Irak, Siria, Nigeria, Pakistan, Libia, fronti islamici in forma di bande pullulano come sciami di mosche sanguinarie. Al seguito di guide e rais formati spesso e sempre finanziati e armati dall’Occidente che dicono di combattere: dai potentati  della penisola arabica, dagli Stati Uniti, alla Francia, dalla Gran Bretagna.
Il “modello alternativo” all’Occidente è residuato sovietico, una forma di propaganda, ora pure insulsa e stucchevole. Foucault, benché vigile, ne fu vittima negli anni 1978-1979, quelli di queste corrispondenze. Il “Taccuino” raccoglie gli articoli del filosofo inviato speciale a Teheran per il “Corriere della sera” da fine settembre 1978 a fine febbraio 1979. Sei saggetti, redatti sulla base di un accordo tra il quotidiano e  una non precisata Équipe Foucault. Di scrittura rapida, giornalistica. Sapida a volte, di figurazioni plastiche. “Il re e il santo” per esempio, il despota in armi e l’esule inerme. Ma di singolare indigenza politica: Khomeini non era Francesco, e non era un “santo”, o allora un santo in armi. Mentre era già a tutti noto che era un ayatollah tra i tanti, più attivo che dotto, esule volontario da un decennio a Kerbela, che si trova nell’Irak dell’odiato Saddam, uno peggio dello scià, specie con gli imam, recuperato e montato dai servizi segreti francesi, che lo installarono con li amplificatori poco fuori Parigi, abbastanza per controllarlo e garantirne l’incolumità, ma in piena disponibilità dei media.
Il modello alternativo
Ma non c’è solo l’oggetto misterioso Khomeini. Preciso e acuto sulle colpe dello scià, già ampiamente note, Foucault è confuso sull’Iran, sulla sua “civiltà millenaria”, che riduce al neo colonialismo delle compagnie petrolifere. E sull’islam di cui non sa nulla – dell’islam come di ogni religione. Del “governo islamico” che tratta in più punti: “Si dice spesso che le definizioni di governo islamico sono imprecise”, scrive in una delle prime corrispondenze: “Esse mi sono invece sembrate di una limpidità molto familiare, e devo dire abbastanza poco rassicurante”.  Ma se lo fa definire “un’utopia”, in alternativa a “un ideale”. Personalmente, concludendo, “come «volontà politica» mi ha impressionato”. Il “governo islamico” che non trova e lo disorienta era già bell’e fatto, da sempre, lì vicino, in Afghanistan. Non un esempio di buon governo.
Sa di Ali Shariati, l’imam morto giovane, che aveva studiato alla Sorbona, e una legge islamica teorizzava giusta, per donne e uomini ugualmente, ricchi e poveri. Ma lo confonde con Khomeini, uomo di potere e non di dottrina. È stato a Qom, ma non ne ha capito l’intima natura, di centro teologico di alta intelligenza e pratico modo di vita – la “saggezza dell’ayatollah”, a Qom e nella remota provincia che è il cuore dell’Iran, era già disponibile negli studi e i ricordi, anche divertiti, di Roberto Scarcia e Giorgio Vercellin.
Come già dieci anni prima, col Maggio 1968, seppure non allineato, Foucault si vuole movimentista - “ più s’incasina meglio è”. Sulla traccia di Sartre suo insospettato modello, il maître-à-penser che si lasciava insolentire in pubblico da Cohn-Bendit. La piazza lo affascina. Era anche l’uso dei movimentisti negli anni 1970, quelli della deriva terrorista in Italia e in Europa, di “puntare” sulle rivoluzioni, per non fare autocoscienza.  Per i garofani nel 1984 tutti in massa in Portogallo, dove la rivoluzione era fatta dai colonnelli. Foucault si è perso i garofani, ma per l’insurrezione di popolo contro lo scià si è sintonizzato rapido ed è andato anche lui a vedere. Entusiasta dapprima: “È forse la prima grande insurrezione contro i sistemi planetari, la forma più folle e più moderna di rivolta”. A fine febbraio 1979 è perplesso. Lo scià è partito il 16 gennaio, Khomeini è arrivato l’1 febbraio, il 17 sono cominciate le esecuzioni sommarie, il 19 è stato fondato un partito unico della Repubblica islamica, Un po’ troppo per l’uomo “che non fa politica”.
Il 26 febbraio 1979 Khomeini era già l’uomo del destino, e Foucault si disillude, con un’incollerita profezia: “L’islam – che non è semplicemente religione, ma modo di vita e appartenenza a una religione e a una civiltà - rischia di costituire una gigantesca polveriera formata da centinaia di milioni di uomini. Da ieri ogni stato mussulmano può essere rivoluzionario dall’interno, a partire dalle sue tradizioni secolari”. Dove intanto “rivoluzionario” va letto “rivoluzionato”, così aveva scritto Foucault: “Ogni Stato mussulmano può essere rivoluzionato dall’interno”. Ma anche con questa precisazione non è la zampata finale del leone che molti lusinga. Non vuole dire niente. Se non che Foucault è singolarmente sprovveduto di fronte al fatto religioso. E all’Iran. La civiltà iraniana, benché islamica, non ha nulla in comune con quella araba del Golfo, ancorché sciita, o afghana, o pakistana, o tra Nord e Sud Sahara. Mentre che ogni Stato possa essere rivoluzionato dall’interno, questo si sa da un paio di secoli di nazionalismo, oltre che dai duci e i führer.
L’1 aprile Khomeini proclama la Repubblica islamica. Il 15 aprile Foucault protesta con Mehdi Bazargan, primo ministro di Khomeini (sul “Nouvel Observateur”, ma la lettera aperta è aggiunta al “Taccuino”) per le  esecuzioni sommarie, molto rispettosamente. Dopodiché non parlerà mai più dell’Iran. Né si riprenderanno questi suoi scritti, nella pur fittissima pubblicazione di ogni suo pur minimo detto e scritto. Saranno ripresi vent’anni fa in questa edizione italiana, con i saggi critici di Renzo Guolo e Pierluigi Panza, e in una pubblicazione americana, con le critiche di Maxime Rodinson, eminente islamista, e Simone de Beauvoir. In francese non c’è, neanche nella tante voluminose raccolte di “Detti e scritti”, la devozione fa aggio (gli stessi curatori dell’edizione americana, Janet Afary and Kevin B. Anderson, vogliono l’Iran un “un punto di svolta” del pensiero foucaultiano, in tema di illuminismo, omosessualità, e spiritualità politica…)..
Non grandi scritti, in effetti, oltre che sbilanciati a favore di un Khomeini che non conosce. Sono importanti perché hanno fatto l’opinione del “Corriere della sera”, e quindi dell’Italia. Nessun guizzo, un laser che scalfisca il risaputo. Panza mette in rilievo il carattere regressivo che ogni rivoluzione ha per Foucault. Ma non c’è nemmeno il misoneismo: c’è un’affrettata, entusiasta, intollerabile lettura degli eventi in cui per una volta lo studioso si è voluto addentrare. Con molta ignoranza, anche se voluta e esibita. E poca curiosità, anche soltanto giornalistica.
Dovendo fare l’inviato speciale, il filosofo si lascia anche prendere dalla semplificazione giornalistica. Ma senza l’intuito della novità, del senso dell’evento mentre si produce. Finendo per intrappolarsi nel vieto e falso dualismo Occidente-Oriente che faceva la guerra fredda. Anche i fatti semplici che viene a sapere – “fino al’attuale dinastia, i mullah nelle moschee predicavano col fucile a fianco” – li trascura. Da giornalista non giornalista, senza cioè il fiuto della realtà delle circostanze e degli avvenimenti. Insensibile a ogni sollecitazione di chi ne sapeva di più: esuli iraniani, anche studiosi.
Foucault ebbe le tentazione di assoggettare la sua metodologia microfisica della storia (della verità) agli avvenimenti in vivo, in realtà di assoggettarseli alla sua metodologia, e ha fallito. Li assoggetta alle sue proprie emozioni, e alla complessità di un mondo  che vede ma non conosce, per primo nella lingua e nella storia, e nelle attitudini, modi, mentalità. La ricognizione delle forme di potere che trova a Teheran sotto lo scià fa con le categorie sovietiche, di una sociologia istituzionale: le forze armate, la polizia (le polizie), e il partito che non c’è. L’Iran lo affascina, e questo è tutto. Guolo gli rimprovera tanti errori, che poi sono uno: teorico delle assenze (“assenza del soggetto costituente, “assenza di modelli”, “assenza di senso”), appena sbarcato a Teheran trova senso, modelli e soggetti. Ma lui lo sa, e non si difende: “Sento già gli europei ridere; ma io, che so ben poco dell’Iran, so che hanno torto”. Platone avrà detto la stessa cosa, quando il tiranno di Siracusa gli mostrò il suo volto.
La religione? non esiste
La religione è peraltro la grande assente delle sue genealogie. In tutte le sue forme. I suoi dotti interlocutori iraniani gli parlano come se lui fosse un’autorità in materia di sociologia delle religioni, mentre Foucault semplicemente non le considera, in tutti i suoi scavi archeologici e genealogici, se non come dato di fatto. Qui ne concepisce il ruolo politico, a proposito dello “stato islamico”. Con giuste perplessità.
L’equivoco iraniano – dell’Iran più che di Khomeini – è alla base di una serie di tragedie, guerre, persecuzioni, di un ecatombe interminabile, tra morti e profughi, tra l’islam e l’Occidente, e all’interno dell’islam. L’Iran khomeinista è stato presto peraltro esso stesso vittima di questo radicalismo politico – anche se si sa proteggere dal terrorismo. Dov’è l’alternativa planetaria? Dove la forza di liberazione che Khomeini ha scatenato? C’è il disordine, fomentato per ragioni di potere, di capitribù, capibanda, sceicchi e santoni.
Michel Foucault (a cura di Renzo Guolo e Pierluigi Panza),Taccuino persiano

Nessun commento:

Posta un commento