martedì 6 gennaio 2015

Riecco il Grande Fratello, amato

Si suole dire di questo Orwell che il futuro lo ha smentito. Ma non lo ha invece confermato? Tanto più che la sua non è una profezia, ma una psicologia. Cambiando di segno il Grande Fratello, è anzi ancora più grande, onnipresente se non devastante. E soprattutto è convincete, come vuole essere nel “1984”: amato, creduto – l’ultima frase del romanzo è “Amava il Grande Fratello”. Che oggi ha solo difensori.
Questa riedizione giubilare, per i trent’anni simbolici dal 1984, è la vecchia traduzione Oscar ricopertinata. Non una grande emozione. Ma sì realizzando che in questi trenta anni, compresi i venticinque dalla caduta del Muro, niente è stato detto o fatto contro, nessuna palinodia. Il Grande Fratello si è dissolto, ma nessuno chiede scusa o dice “mi sono sbagliato”. Tutti più o meno ancorati ancora alle sue maiuscole verità:
LA GUERRA È LA PACE
LA LIBERTÁ È LA SCHIAVITÚ
L’IGNORANZA È FORZA. Chi obietta?
“1984” è ancora una satira antisovietica, ma nell’intimo colpisce, con curiosa preveggenza, il mondo post 1984, cioè l’oggi: Oceania siamo noi – Oceania del resto raggruppava già allora le Americhe, Londra con il Commonwealth, e l’appendice africana. Governati infine dallo Stato globale, invisibile ma totalitario, benché si camuffi col mercato. Che da tempo ha sostituito la pubblica opinione all'olio di ricino, e sempre si fa votare. “1984” è il romanzo dello Stato globale, e lo Stato globale siamo noi, oggi, i trionfatori del “1984” storico. Si esce dalla rilettura ossessionati, come da un incubo reale: della vita, inclusi gli aspetti più personali, dagli affetti all’avidità, ridotti quali sono oggi, alla sola dimensione pubblica, cioè politica, cioè di polizia – l’opinione in balia dell’affarismo, dallo shopping all’eterologa. Riletto, il “romanzo” non è tanto una lettura del comunismo sovietico, quanto di un mondo di strutture e sovrastrutture, e di ideologie. Né più né meno di quello odierno, bancario, avido, inflessibile, totalitario.
Orwell va riletto quale Hobbes contemporaneo, filosofo compassionevole della politica, nella guerra civile continentale del Novecento: “Ogni giorno distruggiamo parole”, spiega Syme, il linguista di regime, “dozzine di parole, centinaia di parole. Tagliamo il linguaggio all’osso”, per restringere il campo del pensiero: “Alla fine, attraverso il pensiero, renderemo letteralmente impossibile il crimine, perché non ci saranno parole per esprimerlo”.
La distopia di Orwell è attuale, altroché. Lo è stata per un verso in mezza Europa fino al 1989, e lo è da allora, blanda ma inesauribile, in tutta Europa: mai tanta censura all’intelligenza.
George Orwell, 1984, Oscar, ril., pp. 336 € 12

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