Credulità - La credulità non è la stessa cosa che l’incredulità, ma non
sempre. Vuole un limite anche l’incredulità: l’avversario è sofisticato ma non
incerto. Come diceva Talleyrand comparando Richelieu e Metternich: “Il
cardinale ingannava sempre ma non mentiva mai, Metternich mente sempre ma non
inganna mai” – c’è una differenza? Basta leggere la realtà, come di dovere.
Croce – Più marxista di Togliatti,
lotta di classe inclusa – così lo vuole Noventa, ma non è una battuta. Per
formazione, per i primi interessi di giovane e di studioso, e per il modo di filosofare.
L’idealismo napoletano, italiano, è pieno di studio, e critica interna, di
Marx. Dello Hegel di Marx. È questo che ha generato la sterilità della
filosofia in Italia per molti decenni e fino al “pensiero debole” – peraltro
molto debole, a parte i buoni sentimenti. Non la predominanza crociana nel
senso del potere, ma l’irretimento. In una logica, e anche in una storiografia,
escatologica, rigenerativa, risolutiva.
Dissociazione – È nozione tra le più indefinite della
psicopatologia. Forse perché etichetta malattie diverse, per causa e natura se
non per manifestazione. Un secolo e mezzo fa lo scienziato Guido Morselli già
intuiva questa ambiguità di fondo. Né se ne sostiene più l’apparentamento alla
schizofrenia del dottor Bleuler, la vecchia dementia praecox: non
vi può essere sdoppiamento della personalità se non v’è più una personalità.
Si sono
così elaborate la nozione anglofona di splitting e quella francofona di dédoublement,
in opposizione alla Spaltung di area mitteleuropea e germanica. Questa
essendo propriamente la frammentazione dell’Io in direzione della schizofrenia,
quelle la segregazione di spicchi o grumi della personalità, labile,
mobile A opera della stessa personalità,
per una deformazione che può avere, oppure no, derive compulsive, psicotiche.
Può rientrare fra i disturbi della personalità, l’inverso dell’istrionismo, ed
è più spesso l’effetto di una patologia sociale o storica. Cioè?
Filosofia
tedesca - Si
può leggere Wittgenstein, per esempio le “Ricerche filosofiche” , e non trovare
mai un riferimento tedesco – eccetto Frege. Si dice che Wittgenstein venisse da
Schopenhauer, ma è l’esatto opposto.
Si può
leggere Anscombe, seicento pagine di Anscombe, e non imbattersi in un tedesco.
Un paio di righe al più per Kant, ma niente Hegel, Schopenhauer, l’onnipresente
Nietzsche. L’analitica è tosta, ma è filosofia, e non si incontrano i poderosi
filosofi della storia, gli ordinatori, i sistemisti. Con le argute sorprese dei “rovesciamenti”: l’amore è morte,
il desiderio è dolore, la vitalità inganno e allucinazione – e Sofia Loren è
Tina Pica?
Internet – Rinvia
all’attimo, al particolare, al dettaglio, magari con rapidità e in profondità,
ma separando dall’unità. Non al particolare che introduce al tutto, all’unità,
all’evento, o lo illustra.
Svuota anzi
l’evento, o lo focalizzandolo su aspetti marginali. Oppure, se centrali, unici
e non significativi dell’insieme. Anche in immagine: dà il colpo vincente nella
partita, l’inquadratura specialmente pittorica del film, la battuta vincente della
commedia, del dialogo politico, del libro, distogliendo dal gioco di squadra, dallo
studio registico, dal linguaggio che può fare la felicità dell’insieme.
L’innovazione
di twitter è stata di metterne in rilievo la natura intima, la frammentazione
delle esperienze. La rete disarticola e non assembla. Non contestualizza, non
inquadra, e anzi disperde.
Il
regista Davide Farrario su “La Lettura” ne segna il limite nei riguardi del
cinema. Dell’evento che Hollywood correttamente etichetta “larger than life”.
Le sue immagini, più spesso semplicemente “rubate”, casuali, anche se perseguite
accanitamente, siamo tutti fotofonofili, “liberano la testa” ma al contrario di
come Fassbinder pensava il cinema: la slegano, la indeboliscono.
La
disarticolazione non è solo dell’immagine costruita, è di ogni espressione –
organizzazione, tecnica, procedura. La velocità e la compresenza dell’elettronica
slegano più che unire. Uniscono in superficie, slegando il senso,
diaggregandolo, frantumandolo. Non decostruendo, non implicano un’azione di
elevata ingegneria logica, ma al contrario, designificando.
È qui il
disagio del mondo collegato – l’incertezza, l’ansia. Nello svuotamento di
senso. Che è un alleggerimento, se si vuole, nel senso dell’uguaglianza. Ma di
un’uguaglianza che è deprivazione e non arricchimento. Neanche, al fondo, per
coloro che “libera”, che porta al concerto. Succede come nell’alfabetizzazione:
l’autodidatta impara, ma male.
Psicologia
- Giorello
la lega agli astri, nell’elzeviro di fine anno sul “Corriere della sera”. Non
propriamente, ma all’astronomia, con la quale l’astrologia è nata – “Galilelo,
Cartesio e Newton non disdegnavano gli oroscopi”, che anzi compilavano, anche
se solo per un obolo. “Il gioco degli oroscopi rivela più di un aspetto della
nostra psicologia”, dice bene Giorello, “cioè del nodo di passioni che la
razionalità talvolta controlla, ma non abolisce”. Lo stesso gioco “rappresenta una traccia di
una nostalgia del cielo che qualunque rigida concezione del sapere non può
cancellare”.
Il “nodo di passioni” Freud lo srotola o lo
agglomera?
Sospetto – Il sospetto, strumento di verità, si trasforma
in un’ontologia conchiusa, la psicosi del complotto. Per cui un Hitler, per
fare un esempio, fenomeno dichiarato e manifesto, viene avvolto di segreto, e ogni
evento della vita quotidiana diventa assimilabile a Hitler. La vita, che si
manifesta essendo, diventa un non luogo e un non ente.
Lascia interdetti che il sospetto sia
ritenuto la verità – la porta della verità - ma è la forza d’Ignazio di Loyola,
che pure è santo, del suo disegno totalizzante, la sua leva per rovesciare la
realtà. S’immagini la potenza di mobilitazione degli esercizi spirituali su un
contadino solitario, un coatto, un ladro abituale: assumeranno la convinzione
dell’invincibilità, impareranno il latino.
È vero che ogni gesto, sia pure minimo o casuale,
uno sbadiglio, non è indenne dal sospetto, un sospiro, uno sguardo, anche
annoiato. Poi c’è Epimenide. O il bugiardo di Hegel: “Se uno confessa di
mentire, dice la verità o una bugia?”.
Il sospetto deve andare contro “ciò che ogni
periodo dice di sé e immagina di essere”, dice Marx, partendo da Hegel e
Descartes: “De omnibus dubitandum est”.
Tutte persone che non dubitano, Descartes, Hegel e lo stesso Marx. Mentre,
spiega Kierkegaard, il dubbio stesso è soggetto a dubbio. Per la verità delle
cose invece che per la verità del discorso, che è sempre zoppa.
La verità del discorso darà più piacere – le
zoppe provano e danno più piacere, secondo Montaigne – ma è inutile: non c’è
dubbio che “la violenza è la levatrice di ogni vecchia società”, e la violenza
in effetti non è ideologica, è di tutte le ideologie. Il sospetto sarà dunque
violenza per i suoi paladini.
zeulig@antiit.eu
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