Anima - L’anima muore più volte - Conrad Lorenz, intervistato nel 1989, ricorda:
“Mio padre diceva sempre che l’anima è molto più mortale del corpo”. Ma quando alla
fine muore col corpo sopravvive, in molti casi.
Carne – È un
concetto, quella che si vede è effettivamente un ammasso di pelle, ossa, e
tessuti adiposi. Emerge con la prima cristianità, come antitesi al sacrificio o
annullamento di sé che è il fondamento cristologico. E in quanto tale collegata
ai piaceri, che prima erano semanticamente (filosoficamente) marginali,
confinati agli aphrodisia. Specie i
desideri e gli atti sessuali, che con la chiesa diventeranno la “carne”.
Complessità - Irretisce e
non agevola la comprensione, lo sviluppo conoscitivo lineare. La fisica del
caos offre modelli di lettura, ma in sé è formalmente in stallo – batte i
piedi, in surplace.
Confessione – Nelle sue radici greche, della prima
cristianità, dei padri della chiesa, fino a Cassiano, primo storico del
monachesimo, nello scavo archeologico di Foucault è una ricerca del sé fuori
del sé. Uscendo dal sé. Non l’affermazione del sé, come Foucault tende a
sostenere, ma il rifiuto del sé.
I termini
chiave emersi da quello scavo, exomologesis e exagoreusis,
sono, benché di senso diverso, entrambi della stessa natura, dell’exa-, del di
fuori del sé. Dell’estraniamento e rifiuto (condanna) del sé. Nella sintesi di
Foucault: “Dobbiamo sacrificare il sé per scoprire la verità di noi stessi”. È
un filosofema, corroborato subito dopo da un assurdo: la verità è “sempre di se
stessi”. Foucault stesso ipotizza uno sviluppo diverso, al solito come scavo
del passato: della confessione come “una tecnologia dell’identità del sé” che
non ne pretende lo svuotamento e anzi la confermazione - “una tecnologia dell’identità
del sé, piuttosto che … una tecnologia sacrificale del sé”: con le istituzioni
giudiziarie, della seconda metà del Medioevo, con le pratiche mediche,
psichiatriche e psicologiche, e con le teorie politiche, filosofiche ed
epistemologiche. Anche la chiesa, avrebbe potuto aggiungere, intraprese questo cammino,
col Concilio Lateranense II e la confessione obbligatoria, rituale.
È
atto di liberazione, grande invenzione nella sua forma obbligatoria. A distanza
di sette secoli dal concilio lateranense che la introdusse, la psicoanalisi vi
ha trovato la ragione profonda della continuità della chiesa, per il legame di
fiducia, speranza e liberazione che si stabilisce fra il penitente e il
confessore, applicata ai grandi come ai piccoli fatti della vita, e che la
pratica ripetuta evidentemente rafforza.
Non
fu però facile introdurla. E la ragione è evidente. A prima vista, è
un'invenzione caritatevole. È semplice, alla portata di tutti, e apre comunque
le porte all’assoluzione e alla grazia. Accessibile è anche la penitenza,
commutata in pie pratiche o in ammende, pecuniarie o lavorative. È nella
giustizia e nella fama, d’altronde, che gli uomini ripongono la speranza, nella
sfera pubblica e anche in quella privata. Non c’è individuo, seppure di poche
pretese, e non c’è comunità, per quanto piccola, che non si affidi segretamente
al giudizio degli altri. Gli uomini non se ne stancano mai: si rigenerano, o si
spengono, nel giudizio pubblico.
Ma
se si esce dalle buone intenzioni risulta difficile concepire che la libertà
dell'individuo - ché tale è la salvezza, una promessa di liberazione - venga
assicurata da un altro. Il cristianesimo, come ogni religione, l’affida alla
magnanimità di Dio, non di altri uomini. Mentre la natura vera della
confessione è di tenere i fedeli stretti per il collare, nell’intento di
prevenire o stanare l’eresia. E nella confessione obbligata diventa eresia la
semplice disobbedienza - un effetto non fortuito né indesiderato.
La
chiesa si applicò con fermezza a imporre le confessioni, con dispendio di
dottrina, e un notevole apparato coercitivo, sui penitenti e perfino sui
confessori. In breve la confessione divenne un atto dovuto. Già Alessandro di
Hales (1180-1245) argomentava che la confessione è dovuta anche da chi non ha
peccati mortali da confessare: se non ha nemmeno peccati veniali, confessi
comunque di essere un peccatore. La vera ragione l’aveva data, scrive G.H.Lea, che
fu anche storico di questa forma peculiare della religione, lo stesso pontefice
che introdusse la confessione auricolare obbligatoria, in un momento di
debolezza e disorientamento dei chierici che dovevano amministrarla: “Innocenzo
III, quando si accinse a imporre ai preti della cristianità questo
difficilissimo dovere, non s’illudeva affatto circa la loro indegnità e
inadeguatezza giacché, in un sermone tenuto al concilio lateranense, dichiarava
i preti la principale sorgente di corruzione per il popolo loro soggetto.
Siccome era impossibile che fosse tanto cieco da non avvedersi che con la nuova
regola altro non avrebbe fatto che aumentare le fonti di corruzione, si ha
ragione di credere che con essa egli si proponesse sopratutto di aumentare la
grandezza ecclesiastica ”.
Diavolo – È
cristiano. La tentazione, l’eccesso, il pensiero stesso. In una con
l’individuo: il pensiero individualizzato, intimo. Era il principio negativo
nello zoroastrismo, per il quale Ormuzd e Ahriman, il bne e il male, sono di
eguale dignità e di battono alla apri per il controllo delle anime. Ma non più nel cristianesimo, il dualismo è la
prima eresia condannata, o una delle prime.
Fisica – È il mondo del
mistero. Nel’accezione moderna, della scoperta, e la scoperta dell’inconoscibilità.
Già il fenomeno delle onde radio è impenetrabile, che uno parla in una
stanzetta a Roma a un microfono neppure potente, sensibile il giusto per
catturare la sua voce, e in Nuova Zelanda, agli antipodi, lo ascoltano tale e
quale come nella stanzetta a Roma. E ora lo vedono, all’istante, col telefonino.
Oil volo. O il processo visivo.
La fisica tradizionale (aristtelica) era la
descrizione di ciò che si vede. Quella che vuole penetrare la “materia” è solo
un balletto – è destinata a girarci attorno. Può proporsi alcuni obiettivi,
mimarne alcuni aspetti, ma con la certezza che non la penetrerà: già il semplice
è troppo complesso. Può trarne dei modelli, questo sì, ma con l’accortezza di
modificarli, adattarli ai fenomeni, quali si vengono via via conformando.
Internet - Collegati vuol dire oggi slegati. In
casa, per strada, al caffè, luogo sociale, sulle metro e i mezzi, gli occhi
bassi, concentrati, le orecchie alle cuffie, e anche al lavoro, dove è
proibito, intimamente sempre collegati, purché ci sia l’elettricità e il campo,
e quelli ormai ci sono sempre più ovunque. Si è soli col mezzo più o meno
versatile, veloce, già senza più fili, domani ancora più miniaturizzato e
“invisibile”. Si è soli con un mondo multiforme, ma di nessuna consistenza
(verità e sostanza, passione) se non la propria fantasia, il proprio sé. La
rete è un liquido amniotico in cui un nuovo io si forma? Ma allora muto, benché
sproloquiante. Remoto, benché collegatissimo. Indistinto, inconsistente, benché
pressante – la comunità spoglia e dissecca con la sua pressante sollecitudine.
Spirito – È un
precipitato, ideale o passionale, non indipendente dai vecchi quattro
temperamenti. Dalle condizioni materiali sì, la povertà, la ricchezza, la
solitudine, la comunanza, ma dai temperamenti no, anche in presenza di un
programma preciso inteso a condizionarli o irreggimentarli. Ogni sua
concrezione sociale (amicizia, amore, maternità, fedeltà, riconoscenza…) andrebbe
confrontata (pesata) sui temperamenti. Che non saranno rispondenti ai vecchi
quattro elementi, se non in forma figurata. Ma alla costituzione muscolare e
nervosa sì, ai lobi cerebrali, alle sinapsi. È molto fisico – perfino metereopatico,
sensibile alla luce, anche al jogging e al trekking, e a volte abitudinario.
zeulig@antiit.eu
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