Gianni Agnelli – È un mito. Singolarmente,
totalmente, irrelato alla realtà, sotto tutti gli aspetti, sociali e personali.
È il caso del mito che copre e non esprime la realtà. Che nel suo caso è punto
per punto antitetico al mito.
È l’uomo di
successo, padrone e manager. Mentre ha ereditato un’azienda che era la quarta
più grande al mondo, e l’ha portata al fallimento – a piatire un’acquisizione
da parte della Ford, della Mercedes, della General Motors. Nelle scelte
intermedie tra questi due estremi sempre dalla parte dell’errore, senza esservi
costretto e di sua iniziativa: provvidenza pubbliche, sottogoverno, scelte
quasi sempre sbagliate dei manager, nessuna propensione all’investimento e al
rischio. Una deriva da lui avviata senza necessità subito dopo l’accesso al
vertice dell’azienda, nel 1966, e dopo pochi anni, nel 1973, consacrata a benchmark della ditta con la scelta di
Romiti, uomo del sottogoverno, alla guida pratica, gestionale.
È politicamente un
liberale progressista. Mentre fu
instabile, anche opportunista, e sempre inattendibile.
Personalmente è insieme
l’angelo custode e il principe azzurro, idealizzato: bello malgrado l’handicap
fisico, elegante, generoso, brillante, sorridente, discreto, sereno, con molto
senso dell’umorismo. Mentre fu assente e controproducente in famiglia, e incostante
negli affetti e le amicizie. Uno che si annoiava presto.
La formazione del
mito si collega alla credulità. Esprime un bisogno diffuso e per questo reattivo,
compiaciuto-compiacente. Ma noncurante della realtà propria, del personaggio
e\o gli eventi che si mitizzano.
Classicità – Può non essere remota.
Delle canzoni per esempio. Sono state subito classiche le romanze di Tosti. E
numerose melodie napoletane quando l’Italia si applicava a “costruire” il mito
di Napoli. Classico è già Pino Daniele, come lo sono stati in vita De André e
Gaber, Presley e i Beatles, e lo è Celentano. Lo sarà il papa Francesco, ne ha
le stigma. Lo sono gli oggetti di uso
comune in campagna fino a ieri: zappe, forconi, roncole, accette, palmenti,
frantoi – la campagna è tutta classica nella condizione urbana dominante.
La classicità va
in una con antichizzazione. Che in alcuni casi è determinata dal cambiamento
repentino di tecnologie (procedimenti e materiali): la macchina da scrivere si
è antichizzata in pochi decenni. Le canzoni come la moda seguono gli umori. E
ora si antichizza di tutto, il modernariato prima e il contemporaneo per
qualche motivo improvvisamente dismesso – il personal computer, i primi
telefonini, le prime stampanti. Il modernariato ora di uso comune si censive negl anni 1970 come una peculiarità americana, delle “buone vecchie cose”
appena dismesse.
Ma non tutto
l’antico o antichizzato è classico. Classico è il passato – anche se presente,
ma per qualche aspetto remotizzato – con una identità. Un’identità che gli venga attribuita per
consenso generale. È il consenso che fa l’identità: identità per se stesse
anche forti sono trapassate senza memoria, altre deboli sono incombenti.
L’antichità, per morte intervenuta o gradimento universale, è necessaria per
creare il nimbo distintivo, protettivo.
Cristianesimo – È una religione della Salvezza ma si vuole
della Colpa. Di peccati che sempre sono insoverchiabili, allo stesso santo, tanto
sono numerosi e sottili. Effetto della chiesa, del potere sacerdotale?
Lo stesso istituto
della confessione con assoluzione è parte della religione della Colpa. Obbliga
a sentirsi in colpa.
La colpa viene ad
assumere per il cristiano la complessità (sottigliezza) e l’inafferrabilità del
rituale. Si esteriorizza cioè per liberarsene, non potendo essa nella sua
interminabile sinuosità restare nel foro interiore, che o la rimuove o se ne fa
annientare.
Il senso posticcio
della Colpa è nel persistente peccato della carne, che ingombra la chiesa da
tempo. In tutte le sue gradazioni. La chiesa da tempo è fissata sulle colpe
della carne, dopo averla creata. La concupiscenza non è un delitto e quindi non
è una colpa, nella forma solitaria e in quella condivisa: nella stessa dottrina
della chiesa la lussuria è un vizio e non un peccato, e come l’acedia e la
vanità, vecchi vizi ora abbandonati, potrebbe anch’essa venire dequalificata. Anche
a considerarla un peccato, la chiesa non avrebbe però su di essa oggettivamente
alcuna giurisdizione, essendosi trincerata nella castità. Ma è parte della
liberalizzazione dell’epoca, delle donne, dei sessi, degli istituti familiari,
e la chiesa vi si lascia irretire.
Si dicono le
religioni monoteiste simili. Ma il cristianesimo se ne distingue per questo. È
sulla Colpa che si fonda la chiesa – riprodotta in piccolo anche nelle chiese
protestanti.
Maternità – La Medea di Euripide dice
tre volte meglio la guerra che i dolori del parto. E non aveva letto la Bibbia.
Poi i figli li uccide. E dà fuoco alla città.
Morte – È un concetto, più che il
fatto: il concetto della morte, di cui tutto si può permeare estendendolo, come
fine di ogni cosa.
L’evento
è fisico, il fatto è mentale. In contrasto con la realtà che ognun sperimenta
ordinariamente, in qualità di ascendente, discendente, collaterale, amico, nemico,
conoscente anche solo occasionale: che la persona non muore. Né l’animale, la
pianta, la pietra, l’ambiente, con i quali un rapporto si sia stabilito anche
episodicamente. Vive, si può dire come
il “Ka” degli antichi egiziani, il doppio, come una personalità, quale che sia,
sia pure falsata, mentre il corpo muore.
L’evento
fisico è minore, per quanto traumatico possa essere. È uno tra i tanti, anche
se connotato luttuosamente, come una perdita. In realtà il morto continua a
vivere in tutti i luoghi, gli istanti, le azioni, le parole che ha pronunciato –
che solo hanno preso vita, anche nel corso naturale della vita stessa. Rivive
in una memoria che non è soltanto un fatto soggettivo, di una speciale
sensibilità, ma dei luoghi, degli eventi, sia pure una semplice conversazione,
dei tempi che scandiscono il tempo (anni, stagioni, epoche, notte, giorno).
È sempre
penetrata dalla vita, anche se la scandisce inesorabilmente, senza rimedio
possibile. Anche come concetto: metafisicamente (concettualmente) è la vita che
è, la morte non è, è un ciclo e un modo di essere della vita.
Progresso – Quello materiale può
essere rapidissimo – quarant’anni fa i potentati della penisola arabica, ora i
più ricchi del mondo e i più avveniristici, erano pescatori poveri e
cammellieri. Quello civile (politico, giudiziario, redistributivo) è lento. Quello
culturale non c’è: è sempre, anche se in vario modo, ermeneutica, esplorazione
dell’esistente.
zeulig@antiit.eu
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