Astenendosi su Mattarella, Berlusconi consente
a Renzi di ricompattare il Pd. È quello che voleva? Berlusconi ruota di scorta
di Renzi, è tutto qui? Il giaguaro non si vuole sgonfiato, ma sbiancato sì. Si può metterla così, il risultato non cambia: con
i Fitto in politica, e i cinesi per il Milan, Berlusconi non è più lui.
“Questo atteggiamento non trova riscontro nel
comportamento di qualsiasi altro grande popolo verso uno statista di questa
grandezza”, così Max Weber apre “Parlamento e governo”: “In nessun altro luogo
del mondo la stessa ammirazione più
sconfinata per la personalità di un uomo politico ha indotto una nazione
orgogliosa a sacrificargli così interamente le proprie reali convinzioni”. Poi
lo statista cadde, continua Weber, e “che cosa sperimentò?” Coloro “che lui
aveva sollevati dal nulla, che cosa fecero costoro? Continuarono a sedere ai
loro posti”. E “quale discorso di commiato” gli rivolsero? “Essi non dissero
una parola”.
Weber parlava di Bismarck, e Berlusconi non è
Bismarck. Ma la sua caduta lascia lo stesso ammutoliti. Ammutoliti i suoi, che
fanno come se nulla fosse. Berlusconi non è Bismarck anche perché non ha “Memorie”
da scrivere. Perché, mentre Bismarck passò gli ultimi anni a fustigare i suoi
conservatori, inetti e rapaci, cosa potrebbe scrivere Berlusconi se non
rimproverarsi le sue scelte quasi sempre infelici – con l’eccezione di Confalonieri,
Gianni Letta e, finora, Dell’Utri, sempre? Di mediocri perlopiù. E di gente che ci ha mangiato e poi
gli ha fatto la guerra. Peccato capitale, questa scelta degli uomini, tutti
traditori, da parte di uno che si picca di essere il miglior manager, oltre che
padrone.
Tutti traditori e ingrati, oltre che più spesso incompetenti : nessuno che abbia in curriculum un’idea, nella lunga lista dei suoi protetti, da Fini a Fitto, una proposta, una buona azione. Quando gliene è capitato uno competente e riguardoso, Tremonti, l’ha osteggiato in tutti i modi - uno che gli ha consentito di aumentare le pensioni minime a 500 euro, di distribuire la social card, di togliere l’Imu sulla prima casa, senza aumentare di un centesimo le tasse. lui l’ha sacrificato a Fini e Casini, da ultimo a Alfano, altro colosso (a Fini e Casini, e da ultimo Alfano, che lo guatavano - guatavano lui, Berlusconi, che morisse, o per fargli comunque le scarpe).
Tutti traditori e ingrati, oltre che più spesso incompetenti : nessuno che abbia in curriculum un’idea, nella lunga lista dei suoi protetti, da Fini a Fitto, una proposta, una buona azione. Quando gliene è capitato uno competente e riguardoso, Tremonti, l’ha osteggiato in tutti i modi - uno che gli ha consentito di aumentare le pensioni minime a 500 euro, di distribuire la social card, di togliere l’Imu sulla prima casa, senza aumentare di un centesimo le tasse. lui l’ha sacrificato a Fini e Casini, da ultimo a Alfano, altro colosso (a Fini e Casini, e da ultimo Alfano, che lo guatavano - guatavano lui, Berlusconi, che morisse, o per fargli comunque le scarpe).
Non un’aquila insomma. Anche come padrone
del Milan non ne azzecca una, si sfoga licenziando allenatori. Uno che si fa rappresentare da Lotito, il calcio asservendo alla comune passione democritistiana. Ed è ora “sul mercato”, come dice lui, a cercare qualche “filippino” che ci metta un euro - e magari azzecchi un allenatore. Sarà
ricordato, azzardiamo, per l’italianizzazione che ha fatto della televisione.
Azzardiamo, non sarà facile: il concetto è “scorretto” – ancora vent’anni fa, a
giugno del 1995, il Pci-Pds promuoveva referendum contro le tv di Berlusconi (che
regolarmente perdeva: il Pci ha sempre perso i referendum, il divorzio, la
scala mobile). Anche perché la tv non si pensa – si pensa come a un water, a un
padella da cucina. La vulgata lo vuole l’americanizzatore della tv. Lui invece
l’ha italianizzata. Provincializzata
anche, con la pubblicità alla portata di tutti. E italianizzata, in due
maniere: il riflesso del paese-che-non-c’era, e la liberazione dei linguaggi,
dal “Drive in” di Italia 1, o Carlo Freccero, a “Striscia la notizia” di Canale
5, allo stesso Tg 5 di Mentana, o delle “figlie”. . Due rivoluzioni semplici
semplici, di cui si comprende la portata innovativa comparativamente, col persistente
paese di gesso e col collo torto del nazionalpopolare Rai. Fuori della tv i flop si accumulano.
I successi del
Milan di sua proprietà sono roba dell’ottimo Sacchi, uno che si è fatto da sé, e del trio olandese
delle meraviglie, con Franco Baresi, l’altra mezza squadra insieme con Paolo Maldini,
entrambi obliterati. “Berlusconi detta la
linea da seguire”, ha stabilito Galliani dieci anni fa: “Il Milan è nato per
giocare con quattro difensori, una mezza punta e due punte. È stato così fin
dagli anni Sessanta, quando in campo andavano Rivera, Sormani e Prati. Chiarita
la linea editoriale, l’allenatore può confezionare il prodotto a suo piacimento”.
Ridicolo, oltre che eretico. Berlusconi è del resto quello che dopo l’ottimo
Europeo del 2000, fece questo commento contro l’allenatore Zoff: “Nella finale
di ieri è stato indegno: si è comportato come l’ultimo dei dilettanti. Mi sono
indignato. Si poteva e bisognava vincere. I problemi riguardano la conduzione
della squadra: non si può lasciare la fonte del gioco avversario, Zidane,
sempre libero. Era una cosa che anche un dilettante avrebbe visto”. Un’idiozia
- poi si smentì, come suole.
Anche questa del qui l’ho detto e
qui lo nego indigna molti. Diciamo tutti gli italiani, suoi elettori compresi.
E questo è lo statista Berlusconi: uno che occupa uno spazio, a malgrado delle
sue indegnità. Che si diverte in compagnia di Apicella, Ruby e Luther Blissett, oltre che dell’incredibile D’Addario. Col fiuto degli affari, meglio di De Benedetti, per dire, molto meglio, e di tanti altri avventurosi capitani di ventura. Su questo è abile. E più potrebbe esserlo se manderà in porto il suo disegno non tanto nascosto: salvare il “Corriere della sera” dal fallimento, o comunque la casa editrice, con un aiuto indiretto al giornalone, e agganciare la tv ai telefoni. Magari attraverso Telecom. O attraverso Rai Way, perché no. Nell’era Renzi l'uomo potrebbe essersi già rannicchiato come già nell’era Craxi, ad accumulare affari - anche in politica c’è l’uscita dal campo, come la discesa o salita. Su questo si può capirlo: libri e cellulari sono banche, si incassa a ciclo continuo, ma per questo bisogna essere bne armati, per contenere la politica famelica.
Le sue condanne non fanno testo, a
partire da quella per sfruttamento della prostituzione, giù giù fino al lodo
Mondadori e alla Sme - in cui è stato processato per non dover condannare i colpevoli. Roba milanese. Di una città che, si sa, è la città degli untori. E degli affaristi, non per nulla anche lui è
milanese. E come se lo è. Non untore, ma della parrocchietta. Quella raccolta
attorno al potere. Lui in special modo, essendo un baüscia, un
mediatore d’affari, e quindi un arrivista. Noi siamo abituati, come lettori,
all’aristocrazia che accetta gabellieri e straccivendoli, quantomeno ci parla,
ma bisogna leggere i francesi, per sapere che la borghesia non li accetta e
anzi li jugula: il borghese è classista - proponete a un borghese una nuora
operaia o commessa, impazzirà, o un genero carpentiere. Milano è arrivista, e
quindi non ama gli arrivisti. Il discorso della giustizia nasce e finisce qui
Del baüscia ha la
volgarità, a tasso incommensurabile. Con un minimo di sobrietà avrebbe fatto
sfracelli. Ognuno inorridisce alla volgarità del suo modo di vivere.. Le dodici
o quindici ville. Il mancato ritiro dagli affari - che non sarebbe costato
niente, se non un grado meno di avidità. I ritiri ad Arcore, o a palazzo
Grazioli, invece di un sobrio ufficio, come un buon imprenditore dovrebbe. Le
macchinone indefettibilmente tedesche. Mogli e fidanzate garrule, da
avanspettacolo. Ma il più
pulito lassù ha la rogna. Questo problema è di Milano, non il suo proprio. Il
suo è un altro.
La riforma liberale occupata
Spadolini e Gianni Agnelli dicevano a Urbani:
“Giuliano, ma come fai a pensare che uno come Berlusconi realizzerà la riforma
liberale?” Era vero, lo sapevano tutti: Berlusconi è sempre stato un
democristiano in pelli laiche. Liberale, repubblicano, socialista, di quel
tanto che gli consentiva il pluralismo tv invece del solido monopolio
confessionale Rai, con una tv solo lievemente più sbiadita. All’epoca anche
usava, la doppia tessera, dei dc che si dicevano liberali, repubblicani e
socialdemocratici, per aggirare qualche posizione del loro monolito originario.
Lui non ne avrebbe avuto bisogno, essendo una brutta copia di Gianni Letta. Col
quale faceva periodicamente il giro delle sette chiese - che poi erano una:
andare da De Mita, cioè da Mastella, che ne era il giovane tuttofare (e poi si
divertiva a mimarlo ai cronisti) - a promettere e piatire. Ma voleva già allora
essere ecumenico.
Questo è
il fatto. Lo
storico – se si farà ancora storia – dirà in poche righe che in Italia, nel
1994, a seguito di una serie di soprusi dei giudici del Msi e del Pci, erano
rimasti in attività due soli partiti, l’Msi e il Pci. Il Pci, molto più grande
e meglio organizzato, si apprestava a conquistare i tre quarti del Parlamento.
Berlusconi scese allora in politica, o in campo, come dice lui, e vinse lui le
elezioni. Fu l’inizio di una serie di ricatti del Pci al presidente della
Repubblica Scalfaro, e di una serie interminabile di processi dei giudici del
Pci – l’Msi momentaneamente l’aveva recuperato - a Berlusconi, che, dopo
vent’anni, lo portarono a una (prima) condanna. Nel mentre che il Pci,
scheletro e polpa, si dissolveva – oggi si dice si liquefaceva – nella pancia
della balena bianca.
Senza
residui? Beh, Berlusconi ha dato lavoro ai comici, anche loro del Pci, che
altra materia non avevano. Vent’anni di lavoro ai comici può essere un buon
merito. Ma. Non solo non ha fatto la riforma liberale di Agnelli, Spadolini e
Urbani, ma il sovietismo non l’ha nemmeno intaccato. L’Italia dopo tanto
Berlusconi si può dire il solo paese in Europa dove il Muro ancora non è
crollato: comandano sempre “loro”. Sì, ha ripulito Napoli della spazzatura. Sì,
è stato bravo
a dare voce ai commercianti, artigiani, piccoli
imprenditori, alla “gente che lavora”. E a vincere quattro elezioni – compresa
quella del 1996, che perse con un milione di voti in più di Prodi – e a
perderne una, contro tutti i sondaggisti che lo davano per spacciato, per poche
migliaia di voti. Ma irresoluto e inetto nella conduzione dei governi, come ora
del partito – che pure è suo da tutti i punti di vista, sigla, cassa e voti. A
suo merito anche l’aver addomesticato due partiti eversivi, la Lega e il Msi,
ma “troppo buono” per liberarsi dei loro infausti leader: le crisi di governo
che si è fatto imporre da Bossi, Casini e Fini sono raccapriccianti. La
sinistra lo ha promosso e lo tiene in rispetto Grande Corruttore, Moghul dei
Media, Mussolini, mentre era ed è un personaggio minore di Gadda, un piccolo
provinciale lombardo.
Non è
stato protagonista, se non elettorale, da abile venditore, e sempre ruota di
scorta in realtà. Ben prima di Renzi, da sempre: del nebuloso, immarcescibile, corrotto
conglomerato che è il potere in Italia. All’altezza solo qualche volta degli
altri potentati che tengono l’Italia in soggezione, come e più di lui opachi e
ignobili, dalla Procura di Milano alle “sinistre”. Un fantasma politico. La sua inadeguatezza
dà la misura dell’indigenza della sinistra, contro la quale l’Italia ha così a
lungo dovuto cercare rifugio in lui.
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