“Di fatto Roma non è mai stata tanto
Roma, mai ha espresso il suo pieno significato, come oggi” – a fine
Ottocento-primi Novecento, ma non solo: “Il cambiamento e la dissacrazione,
questa intrusione della modernità, semplicemente completano la sua eternità”.
Un omaggio a Roma, dove Violet Paget-Vernon Lee è cresciuta adolescente, ma anche un’autoanalisi felice,
un ritrovamento di se stessa. Effetto dei monumenti, dell’aria, e delle persone
– tra esse Pascarella, il poeta. Vagabondando
a piedi e in bicicletta, più spesso, benché andasse per i cinquanta, e il papa ne avesse condannato la utilizzazione da parte delle donne (un papa non malvagio, Pio X), su e giù per i colli, per la campagna
romana, e fino a Subiaco, lungo la valle dell’Aniene fiorita. Come anche oggi
lo è, se nella stagione giusta, che Vernon Lee sceglieva ogni paio d’anni
accuratamente, sempre di marzo-aprile.
Tradotto solo di recente, a cura di
Attili Brilli e Simonetta Neri, cultori della scrittrice, è un testo di note
di diario, che copre un decennio, 1895-1905. Non sistematico ma approntato
per la pubblicazione, che si fece cinque anni dopo, in un volumetto Tauchnitz,
insieme con le riflessioni su bellezza, la musica, la Toscana (“L’arte e il
paese”), la salute, i piaceri, raccolte sotto il titolo “Laurus nobilis”. Per
una sorta di identificazione, la scelta di una patria: “Sono cresciuta a Roma,
dai dodici ai diciassette anni, ma non ci sono tornata per molti anni. L’ho
scoperta di nuovo da sola, benché ne conoscessi tutti luoghi e i dettagli; ho scoperto, cioè, il
suo significato per i miei pensieri e sentimenti. Da qui, in tutte le mie
impressioni, un misto di familiarità e meraviglia; un senso, forse
rispondente alla realtà, che Roma – sembra una banalità – è radicalmente differente
da tutto il resto, e che perciò siamo in rapporti differenti con essa”.
Un’autrice
fatta per la misura e l’introversione toscane, che Roma vede come teatro e
rappresentazione, e tuttavia di fascino irresistibile. In mezzo al continuo sorprendersi,
felice e non, interrogarsi, riscoprirsi, se stessa fuori di se stessa: “Ieri
mattina, mentre scorrevo, per copiarle, le note romane degli ultimo diciotto
anni, ho sentito, stranamente vividi, i vari me stessa che soffrivano e
speravano mentre le scrivevo”, con le presenze dei beneamati che peraltro “sono
tutti cambiati: alcuni sono morti, altri non vivevano di fatto”.
Sotto
forma di annotazioni quasi tutte di visite, e quindi una guida personale,
piena di novità però ancora oggi. Di Roma, dei quartieri, dei monumenti -
con un occhio sempre a San Pietro, lo vede ovunque. E dei dintorni, da Palo a
Mondragone, Civita Castellana, Valmontone, Olevano. Tra le solite tempeste
improvvise di gradine.
Impressioni,
vaghe anche, e tuttavia un omaggio a Roma più sorprendente di quanti se ne
possono leggere. I giardini privati, di palazzi e conventi. Villa Adriana, “ giardini di Armida per un Rinaldo-Faust”.
Gli allievi del Collegio Germanico che sciamano nel chiostro a San Saba per
la loro ricreazione settimanale, in
tonaca geranio - alcuni raccolti sotto una colonna a cantare… la “Lorelei”. A
San Saba dove si reca in bicicletta per scambiare col giardiniere semi inglesi con piantine di garofani di campo. Gli itinerari sono
molti in così poche pagine, di questa prima felicità in bicicletta.
Mario
Praz, che ha dedicato tre saggi a Vernon Lee (l’unico, avendola frequentata a
Firenze quand’era ragazzo), conclude con quanti la consideravano perenta dopo
morta: “Una cerebrale, dallo stile tutt’altro che esemplare”. E invece no,
Vernon Lee si fa leggere, anche se a circolazione limitata, proprio per
quello stile: sempre giusto, anche se volutamente evocativo. In questi
appunti di viaggio, evidentemente, come nei racconti “supernaturali” che
ancora si ripubblicano.
Vernon Lee, Lo spirito di Roma, f.c. Banca
dell’Etruria e del Lazio, ill., f.c.
The spirit of Rome, free online
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