Il
QE di Draghi è meglio di niente. Ma non solo è in ritardo ed è lento e
macchinoso: non cambia nulla nei diversi pesi e le diverse misure, in campo
monetario e bancario, che alimentano la crisi e hanno creato uno squilibrio
ormai permanente tra paesi forti e paesi deboli – tra essi l’Italia.
Intanto,
non è un quantitative easing. Non è l’immissione
di liquidità nel mercato attraverso l’acquisto di titoli pubblici senza interesse. È la sostituzione della
Banca d’Italia ai fondi e le banche estere che vogliano disfarsi dei titoli
italiani, alle condizioni di prezzo che essi
fisseranno. E nient’altro. Non accresce la liquidità. Non diminuisce il
costo per l’emittente, per lo Stato. È una misura a favore del mercato: banche,
fondi, altri operatori.
Non
solo. È elaborata in modo da fissare, se non accrescere, le disparità nazionali
a favore del debito meglio considerato, quello tedesco. Ne istituzionalizza,
poco meno, le disparità ai livelli attuali – mentre lo spread aveva tutte le premesse per dimezzasi, se non ridursi ai
40-50 punti che sono fisiologici.Lo stesso debito favorisce secondariamente con la provvista di cento miliardi per l’acquisto di titoli del Fondo salva Stati (ex, Efsf). Come controassicurazione per il caso in cui qualche paese, leggi la Grecia, dovesse far saltare il Fondo stesso non ripagando il debito con esso contratto - il Fondo è stato sottoscritto dai paesi Ue pro quota, secondo le quote di bilancio, quindi con la Germania in testa.
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