venerdì 27 febbraio 2015

La fantasia stava in Italia, anche a Cortina

La vecchia antologia dell’Universale Fetrinelli che più non si ristampa conteneva i racconti scritti da Forster “a varie date precedenti la prima guerra mondiale”. Pubblicati in due raccolte. La prima con questo titolo, dedicata “Alla memoria della Independent Review”, la rivistina fine secolo degli amici che l’avevano “incoraggiato a scrivere”. La seconda, intitolata “L’attimo eterno”, dall’ultimo dei racconti di questa raccolta, dedicata “A T.E. in mancanza di meglio”, a T.E.Lawrence.
Sono racconti che Forster ricorderà mezzo secoli dopo come esperienze “vissute”: sensazioni, visioni, impronte del genius loci. “Fantasie”, le chiamerà nell’introduzione alla ristampa nel 1947. Della fantasia che “si mostra oggi incline a ritirarsi dalla scena, a cacciarsi sotto terra, oppure a farsi apocalittica in omaggio alla bomba atomica” – “Lei o lui” che sia, “giacché la Fantasia, più spesso femmina, talvolta prende sembianze d’uomo e funge da Ermes, quello che doveva eseguire i comandi minori degli dei”.
Un viaggio “wagneriano” – “è strano come, in menti piuttosto illetterate, si trovino baluginii di Verità Artistica”. Un viaggio letterario, di autori e personaggi. Un omnibus che porta a un castello, alla cui entrata sta appeso il cartello “Lasciate ogni baldanza voi che entrate”, invece di “speranza” - un omnibus “celestiale”, più che celeste . Un incontro-scontro tra il poeta e il filologo, l’autore-creatore, che è un bambino curioso, e il critico onnisciente: l’uno vede e l’altro non vede niente. Alla maniera, al meglio, di De Quincey. Ma affettati. Alla maniera di quello che poi sarà Bloomsbury, della puzzetta al naso. In forma di irriverenza – di non puzzetta. Qui in forma di apparizioni e sparizioni, di fauni e naiadi, sirene e sireni, angeli e diavoli - “l’anima del mondo” - che appaiono e scompaiono tra i prosaici interdetti.  Più frivoli che non. Compresi gli a parte - “son solito riscrivere i classici”. Salvati dal sorriso, l’ironia gentile, il trademark forsteriano. Del racconto del titolo, dell’ultimo, “L’attimo eterno”, della “Macchina che si ferma”, del “Metodo combinato”, di “Mister Andrews” che sale al paradiso e se ne va schifato.
Cogitazioni “di certe vacanze anglo-italiane”, le definisce Forster nel 1947, quando ha deciso di non scrivere più. Riandando probabilmente a una libertà che dopo d’allora, primissimo Novecento, dopo i viaggi con la mamma in Italia, non aveva più avuto. Mescolate a “tante cose accadute in seguito”, dal lato pratico e politico: disordini, guerre. Quei primi lunghi soggiorni in Italia, nelle città d’arte e di svago, sono stati la sua prima e duratura fonte d’ispirazione, e quasi una costrizione alla scrittura. Forster le riduce al tema dell’inglese, meglio femmina, che va all’estero, prima in Italia e poi in India, che sarà la sua specialità. Non un grande tema, e molto datato, se non per il mito dell’“inglese”, che i mondi che incontra lascia sullo sfondo, benché affardellato di tic e convenienze (piccolo) borghesi.
“L’attimo eterno”, che chiude la raccolta, è “una meditazione su Cortina d’Ampezzo”. Un omaggio alla Cortina che fu, quando ancora si chiamava, prima della guerra, Hayden, benché molto italiana. Immaginata prima del turismo che premeva per prenderne possesso, zittendone le campane, e il garbo. Tra invadenza e avidità – è un secolo dunque che si parla male di Cortina. Il racconto, concepito a Cortina nel 1902, fu scritto nella primavera del 1904 e pubblicato nell’estate del 1905, in tre numeri della “Independent Review”. È stato il primo lavoro lungo d’invenzione di Forster. E l’ultimo racconto prima del suo primo romanzo, “Monteriano”. Una “vecchia signorina”, scrittrice, ritrova il suo innamorato giovanile, un cameriere, l’unico spiraglio di verità della sua vita, e ne resta delusa. Simboleggiando l’incontro tra l’Inghilterra e l’Italia, infelice come dev’essere una mésalliance. Ma il ricordo è felice: “Un ragazzo presuntuoso le aveva schiuso le porte dei cieli: e anche se lei non aveva voluto entrare, l’eterno ricordo della loro visione era bastato a rendere la vita bella e degna di essere vissuta”.
E.M.Forster, L’omnibus celeste

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