giovedì 26 febbraio 2015

La scuola è gaia dei Millennial

La scuola evoca pensieri tristi. Levatacce, ogni mattina, corse con l’affanno, e lunghe ore chiusi con altri bambini molesti e vice-madri arcigne. E così appare all’entrata, alle otto: i piccoli millennials sgambettano insofferenti, seri, tesi. Si ammucchiano ai cancelli senza guardarsi intorno, come vitellini che si affollassero alle porte del macello. Ma quando finalmente i cancelli si aprono si avventano dentro senza guardarsi indietro, senza rispondere ai “ciao, ciao” e ai “mi raccomando”, urtandosi, spingendosi, improvvisamente loquaci. Vanno alle arcigne maestre che li aspettano ai piani come se corressero a una meta agognata.
Che sia la scuola diventata un paradiso? Sarebbe utopia. Certo è che quando escono, dopo cinque, otto ore, ammutoliscono, e fanno l’occhio triste. Forse i bambini sono invidiosi dei genitori che li aspettano rumorosi, giulivi. Benché da loro accuditi e quasi soffocati, loro sì gelosamente onnipresenti. Alla stessa maniera dell’animale domestico, un oggetto di amore sconfinato, non più di rispetto e di attenzione vigile, la filosofica cura, che vuole il bene del paziente per il bene proprio, e non viceversa. A cui non si lascia nemmeno il gioco,  nemmeno il sonno. Una proprietà esclusiva, una droga.
Si dice, ora è d’uso nella psicologia, che i bambini siano cattivi. E sarà vero, chissà, loro non parlano, neppure se interrogati, soprattutto non se interrogati. Repressi, forse, dal rancoroso ultimo Novecento, della fine delle illusioni, e forse già depressi, saranno in petto, chissà, dei fieri rivoltosi.

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