Correlativo oggettivo – È l’emozione, o
la serie di emozioni, che un evento, un oggetto, una situazione evoca con
immediatezza. Per abitudine mentale, o anche solo lessicale – ma forse per
imprinting. Il caso più famoso è “Ossi di seppia”, il titolo della prima
raccolta di Montale, 1925: gli ossi di seppia sulla spiaggia evocano sensazioni
crepuscolari, malinconiche e anche di morte
o abbandono. Il conio della nozione stilistica, che sarebbe stata
elaborata da Washington Allston, il pittore e poeta paesaggista americano,
nella prima metà del’Ottocento, nell’introduzione alle sue “Lectures on Art”
del 1849, è attribuito a T.S.Eliot, che la spiegò e utilizzò nel 1919 nel
saggio su Amleto – “una serie di oggetti, una
situazione, una catena di eventi pronta a trasformarsi nella formula di un’emozione
particolare”.
È la forza del romanzo-scandalo di Houellebecq,
“Sottomissione”: l’impossibilità di associare all’islam, in qualsiasi forma,
non altro che sensazioni negative. Nulla è detto contro l’islam, che d’altronde
nulla fa nel romanzo di riprovevole, ma il solo fatto che ci sia, che percorra
la società francese, che stia andando al governo, crea uneasiness.
Dante – Islamizzarlo
è impossibile. Nel mentre che si ripropone Asìn Palacios, “Dante e l’islam. L’escatologia
islamica nella «Divina Commedia»”, e si riscoprono le fantasiose ipotesi di
Maria Corti sul suo arabismo, il fondamentalismo islamico non lascia varchi:
Dante è blasfemo. Non si potrebbe dargli torto, Maometto e il suo genero Alì
Dante tratta nel canto XXVIII dell’“Inferno” con la stessa ferocia dei fondamentalisti
. Le tante traduzioni della “Commedia” in arabo, una mezza dozzina, devono tagliare
o censurare i quaranta versi (22-63) del canto in cui si insolentisce il
profeta dell’islam.
Ci sono versioni preliminari del “Libro
della Scala” - dell’ascensione del profeta al paradiso, che secondo Palacios Dante
avrebbe imitato – che rappresentano Maometto squarciato dall’angelo di Dio. Lo
rappresentano cioè come Dante lo rappresenta. Ma con significati opposti. Lo
squarciamento è in quelle prime versioni del miraj, il viaggio di Maometto, preliminare allo svuotamento di tutte
le cattive dottrine e le malvagità, per riempirlo di fede e saggezza. In Dante è
una pena, il “contrappasso” – termine hapax,
qui usato per l’unica volta: Maometto viene diviso in due per avere diviso l’umanità
in due fedi.
Mamma
- È
lemma inglese antico, anche se non tanto quanto in italiano, che lo registra
plurimo in Dante. Anche con la doppia mm-.
Il “mammismo” si vuole invece italiano.
Un neologismo coniato da Corrado Alvaro nel 1952 in un articolo per il “Corriere
della sera”, per dire della madre chioccia, e più dei figli che oggi si direbbero
bamboccioni. Con riferimenti alla Grande Madre mediterranea, etc. Un fatto sociologicamente
non provato, e contro il senso comune. La Grande Madre è piuttosto la famiglia,
la parentela, e questa non ruota attorno alla madre. .
Pane
–
C’era il pane ferrarese. Di forme leggiadre, fantasiose, e anche sexy.
Giambattista Vicari ne fece illustrazione sul “Caffè”. C’è ancora ma si vende
come pane coreano.
Pasolini – Si presentò a
Venezia per “Medea”, due anni dopo aver denunciato la Mostra come una
celebrazione di borghesi, fingendosi innamorato della Callas, la quale si fingeva
innamorata di lui, roba da ufficio stampa. Sarà stata un’idea di Rossellini,
Franco, il produttore, che aveva avuto l’idea della Callas tragica – ne aveva
ben motivo: dopo otto anni di passione con Aristotele Onassis ne era stata
abbandonata, per la frigida Jacqueline Onassis. E solenne annunciò un film su
San Paolo. “In alternativa”, aggiunse, “a Gilles de Rais”, quello che si faceva
i bambini. Dopo aver fatto l’estate con Moravia in Romania la cura del
gerovital.
Una
vera biografia ancora manca, e un assestamento critico dell’opera. Specialmente
dolente, alla rielttura, nella parte saggistica, per la quale in Italia è più
famoso. Era stato a Mogador, anche lui, al
tempo giusto, malgrado il suo rifiuto programmatico del ’68, quando ogni freno
era caduto, vi aveva scoperto il mondo arabo, maschile, ne fece oggetto di
eccitata cronaca. Meditando “nuovamente”, scrisse ai lettori nella rubrica, di
crearsi un’altra nazionalità. Nel mentre che dava lezioni a Moravia: “Il codice
grammaticale è non normativo, non normativo, caro Alberto”. Distrattamente, peraltro,
da maestro di scuola - il maestro è sedentario
mentale, e normativo. Dicendosi ormai “impegnato” nel cinema. Di cui però
decretava: “Il pubblico del cinema è «massa»”, c’è ma è come se non ci fosse,
mentre “il pubblico del teatro è «folla», può reagire”.
Troppe
volte è deprimente. Uno scrittore, astraendo dalla sua storia, che esercita
l’arte di Liala tra maschi membruti e signorine Scudéry, un mondo irreale e
assurdo seppure nella vergogna – mademoiselle aveva però esordito con un
titolo promettente, le Lettres masculines, sulle pene che le donne
infliggono agli uomini. Il mondo dei vinti è come la carte du
tendre, astrazione. La voglia di scandalo pure, se non è stanchezza.
L’“Usignuolo
della chiesa cattolica” fu già
celebrazione dell’amore dei ragazzi – non censurata peraltro, e nemmeno
contestata. Fresca, prima della maniera e la carriera. Di religiosità profana,
essendo i preti moralisti. Blasfema forse, se nell’amato Giovanni, giovinetto,
il poeta ritrova Dio col Cristo: “Perduti in nubi\ d’indifferenza\ in Sé ci
chiama\ e a Sé c’informa\ questo Tuo Corpo”. E tuttavia poesia religiosa, per
quell’intimità col creato che fa il cristianesimo di Roma. Con l’unica poesia
verginale per la Vergine dei moderni canzonieri. Gioioso nella malinconia.
Al
cinema è diverso: il cinema è lampo e libertà, in quanto è luce, ma il sesso il
poeta vi fa sordido.
Scrittura
- È
recente, nel Mediterraneo ha 2.500 anni. Nel senso di letteratura scritta, e
quindi tramandata tal quale, anche con le varianti, e della storia. Da quando
Pisistrato, a metà del VI secolo a.C., fece mettere per iscritto Omero – di cui
pero continuò la recitazione, e quindi la variazione, introdotta
contemporaneamente da Ipparco nelle Panatenaiche. Le tragedie di Eschilo,
Sofocle e Euripide, alcune, dalla
decisione di Licurgo nel 335 di farle trascrivere – quelle (alcune) di
questi tre autori e non altre.
Ancora due secoli dopo Pisistrato,
Platone manifestava ripetutamente, nei dialoghi e nelle lettere, la nota avversione
per i testo scritto. “I libri”, dice nel “Protagora”, “non saprebbero né
rispondere né porre domande”. E nel “Fedro” il libro “ingenererà oblio nelle
anime di chi lo imparerà”.
La scrittura promuoveva un’accelerazione-moltiplicazione
nei processi della memoria analoga a quella che dopo due millenni e mezzo produce
la rete.
letterautore@antiiteu
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