Autobio - L’epoca ama le viscere in vista, la confessione è genere
privilegiato, quanto meno uno ha da dire. Ma il memorialista raramente è
gradito, uno che si parla addosso.
Giusto i futuristi sovietici del
Lef poterono apprezzarlo, avanguardie del Diamat, che credevano alla realtà, e
la realtà dicevano nelle confessioni, nei diari.
Basaiti – Di Marco
Basaiti, pittore veneziano, di origine albanese, rivale nel primo Cinquecento
di Giovanni Bellini, Rilke fa gran conto nelle “Note sulla melodia delle cose”,
avendone ammirato i santi nel suo primo viaggio in Italia, nel 1898, a 23 anni.
Il pittore era allora molto ammirato dai visitatori nelle chiese di Venezia. Oggi
ha cinque righe nella Treccani, niente nelle enciclopedie minori.
Blurb – Bisognerebbe chiedere i danni, più volte che non. Certo,
bisognerebbe creare un’Autorità per la Creatività, che certifichi il danno, col
rischio connesso della censura. Ma non
se ne può più: queste testimonianze volontarie di grandi scrittori e
critici, entusiaste, sono quasi sempre false. Sono un furto della fede, delle fiducia, della
buonafede.
Il blurb è nato come pubblicità: è la fascetta editoriale, spesso
firmata da un autore affermato, e la sfilza di apprezzamenti che correda la
pubblicità commerciale e le pagine di guardia dei libri. Ma è la sola forma
residua di critica, e quindi più spesso che non trae in inganno. Con effetti
deleteri, per l’acquirente e per il testimonial.
Emmanuel Carrère, stimato autore di
“Limonov” e altre biografie immaginarie, ha scritto ben due pagine di giornale
per l’ultimo Houellebecq, un aneddotino. E lascia ora il suo incontro con Gesù
per sostenere il porno soft di Marco
Missiroli. Carrère si fa pagare? Allora ci deve ripagare. E anche se non si fa
pagare, ci ruba comunque la fiducia.
Classici – Sono “modelli”. Di plots,
scrittura, ispirazione. Per l’inevitabile acculturazione dello scrittore,
compreso il franco narratore cui ambiva Feltrinelli. Che più spesso è un
professore che finge l’incultura. Ma anche quando è o è stato incolto – Gavino
Ledda – ne è ispirato, li ha vissuto nell’aria, nell’ombra, nelle vite vissute
degli altri. E inevitabilmente, al momento di scriverne, nella scrittura
stessa.
E.M. Forstere lo dichiara, nel
racconto “L’Altro regno”: “Son solito riscrivere i classici”. E a un
personaggio bello e giovane che legge fa dire: “I classici giovano, sì. Sono
pieni di trucchi, ; sanno insegnarti a scansare le cose”.
Italia – Il “viaggio in Italia” è divenuto un capestro col turismo,
a cominciare dal primissimo Novecento. Un
paese di cui si danno per scontati i punti di interesse, peraltro limitati (i “capolavori”),
mentre non cessa di indignare in quanto non è come dovrebbe. Cioè come “a casa”:
il turismo non apprezza la qualità della vita se è diversità, si muove rapido e
vuole le piccole comodità, senza sovvertire le abitudini.
L’italofilo E.M.Forster ha concetto
dell’italiano come del “più disonesto fra i popoli”. Nel racconto “La storia di
un panico”. Con in più “l’eterna avidità del Sud”. Nell’Italia dove ha
cominciato a scrivere, ha scritto di più, e le sue cose migliori: “Monteriano”
(San Gimignano), “Stanza con vista” (Firenze), le raccolte “L’omnibus celeste”
e “L’attimo eterno”, e il romanzo storico che ha voluto inedito, su Gemisto Platone
e Sigismondo Malatesta – nonché, per molti aspetti, “Maurice” e la raccolta “La
vita che verrà”, che ha voluto postumi, sugli amori omosessuali. Ma senza mai
imparare l’italiano, e come in colonia. In anni non poi tanto remoti, a partire
dal 1901
Lo studioso polacco Krzysztof Fordoński, “L’attimo eterno – L’Italia nella produzione giovanile di Edward Morgan Forster”, ricorda che nel 1959, nelle conferenze tenute a Roma e Milano, Forster riconobbe il suo debito: “L’Italia ha forzato (l’ispirazione) nel mio animo, quasi con forza fisica, e mi ha avviato come narratore”. E aggiunge di suo: “I diari e le lettere agli amici provano che quasi ogni giorno trovava nuovi spunti su cui lavorare”. Ma con senso distinto del “noi” e “loro”, del post-vittorianesimo imperiale, coloniale. Al contrario di altri scrittori inglesi in Italia, come Norman Douglas – che però era di padre scozzese, cresciuto in Scozia.
È l’effetto della trasformazione
del viaggio in Italia. Da viaggio di formazione, o Grand Tour, per cui si
veniva in Italia per imparare e acculturarsi, a turismo. Forster è l’anello di
passaggio: malgrado i lunghissimi soggiorni e le tante ispirazioni, fu un turista
in Italia. Una specie che depreca fieramente nel racconto di Cortina, “L’attimo
eterno”. Ma a cui non si sottrasse. Fordoński
ne cita un altro passo delle conferenze del 1959: “Il vostro apese mi ha
insegnato molto. Disgraziatamente non mi ha insegnato tutto. Non mi ha in
segnato l’italiano come gli italiano hanno scelto di parlarlo… E non mi ha
introdotto in nessuna sezione della società italiana, che per me come narratore
è uno svantaggio. Il turista può essere intelligente, bene
intenzionato e vigile, e io credo di esserlo stato, ma deve tornare ogni sera
all’albergo o alla pensione e può limitarsi a sapere pochissimo della struttura di classe
del pese che visita, o dei suoi problemi economici”. Nel suo caso, però, il turismo
limitativo fu volontario: la società italiana non era chiusa, e le persone come
lui non avevano difficoltà a procurarsi presentazioni e introduzioni.
Forster
non è il solo che l’Italia ha “forzato a scrivere”. Anche i fratelli Thomas e
Heinrich Mann vi si avviarono, benché neppure loro italianisti, nel lungo
soggiorno che progettarono ed effettuarono a Palestrina. Anche Yourcenar negli anni 1920-1930, giovane
bellezza che molto attraeva l’intellettualità romana.
Italia-Germania – Lo stesso Forster così distingue, nell’evocazione
smisuratamente nostalgica di Cortina
d’Ampezzo, “L’attimo eterno” (“pur nel suo aspetto di cronaca, quant’è vero
Iddio quasi vera”):
“«Il tedesco è la lingua del futuro»,
rispose il colonnello Leyland: «Qualsiasi testo importante su un determinato
argomento è scritto in tedesco».
«Qualsiasi testo su un argomento
importante è scritto però in italiano»”, gli ribatte la signorina Raby,
scrittrice, autrice di un grande romanzo attorno a Vorta-Cortina. Una battuta,
ma non insensata, molti esempi se ne possono fare.
La signorina Raby ritrova poi a Vorta-Cortina
un amore di gioventù, il solo della sua vita, annidato nelle montagne circostanti, imperiose e soavi.
Il quale però annega nella volgarità, per la mésalliance costante tra la nobile Inghilterra e la plebea Italia.
Scrivere - Nei racconti di avventure, da Omero alle “Mille e una
notte” e Dumas padre, e nelle favole, il punto di vista è di nessuno. Popper
direbbe che è di tutti, ma la narrazione si appartiene.
Il punto di vista fu pensato per
variare, è il racconto di Achille Tazio che introduce l’io narrante, il gusto vuole
varietà. Si può dunque scrivere in prima persona, l’io narrante sarà indigesto
ma non offende nessuno. Anche perché si scrive per sé, è inutile dire, per il
piacere di scrivere. Perché, sennò, chi è Guido Milanesi? O Mario Mariani,
autore di “Purità”, “Le smorfie dell’anima”, “Lacrime di sangue”, o Barrili, o
Frescura, “La croce dei vivi”, “Milioni di stelle”, Willy Dias, “La rivale”, “La
fiamma”, due romanzi l’anno, vendutissimi, per dieci anni, prima del silenzio
saracinesca.
Solženitsin - Usciva incognito in Italia
quarant’anni fa l’ “Arcipelago Gulag”, libro di duemila pagine. Berlinguer non
gradiva, e dunque non se ne parlò. Giusto perché Parigi ne parlò, per sparlare
dei francesi. Di mediocre romanziere e reazionario ignobile anche per i critici
alla Fortini: “Una pagina di “Živago” distrugge tutto il bravo Solženitsin”. Il
mite Cassola opinava il complotto: il “Gulag”
come una manovra della Cia per oscurare Pinochet.
Gulag è
Direzione generale dei campi di lavoro. La parola e la cosa non erano ignote, da “The
dark side of the moon”, 1947, anonimo ma edito da Eliot. Dante Corneli ne aveva
scritto da una vita, la sua vita da sopravvissuto, invano proponendola agli
editori anticomunisti, e quarant’anni fa il suo Gulag si pubblicava a sue spese
a dispense.
letterautore@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento