Classicità – È frammentaria.
È storia, ricostruzione storica. È composta di frammenti, ricostruiti a volte,
rimessi insieme. Contro il principio che il vaso rotto non si ricompone. Un puzzle più o meno verosimile. Di alcuni
autori piuttosto che di altri, le tragedie greche per esempio, che sono quelle
scelte e fatte trascrivere da Licurgo nel 335 a.C. – un canone composto di alcune opere di alcuni autori, non tutte
intiere, e più o meno ricopiate fedelmente e\o riadattate. Mondi, opere e
personaggi si scompongono anche a seconda dell’illuminazione che vi si
proietta: di luci, toni, angolazioni, tagli,di prospettiva e di testi.
È anzi il campo
privilegiato della storia, dell’ermeneutica. Il sottinteso essendo che la
classicità è normativa, e quindi va ricostituita, interpretata e presentata. Un
procedimento tanto più vero – dichiarato – agli inizi del classicismo: gli umanisti
se ne sono serviti, forse non proditoriamente. per dire altro. Anche per gusto
antichistico. Ma di più per liberarsi di una normativa etico-religiosa che
sentivano stretta e inadeguata. Coma fattore
di rinnovamento, quindi, più che di ricostruzione dell’antico.
Il frammentarismo
è d’altronde il suo fascino: la classicità è un terreno fertile, basta seminarvi
sostanze vive e riproducibili. Ciò ne spiega anche i cicli: la romanità oggi spenta,
dopo un secolo e mezzo di fulgore, il revival di etruschi e italici, i fenici
obliterati, la riscoperta micenea, o celta, le voghe.
Il mondo antico
potrebbe non essere esistito, alla Baudrillard: è una scoperta e non una
riscoperta – è una proiezione di sé: L’antico andrebbe più conseguentemente
visto come Fellini, il regista, quando si apprestava a girare “Satyricon”: “Il
mondo antico forse non è mai esistito, ma non c’è dubbio che lo abbiamo
sognato”. Felini si apprestava a girare “Satyricon” – lo stesso poi con “Roma”
- come “un film sui marziani”.
In una visita ai
Musei Capitolini in cerca di ispirazione
(di immagini) il regista si fece accompagnare da un antichiesta. Che davanti al
busto di Solonina o Salonina, a Fellini sconosciuto, che gli ricorda una cuginetta
dai capelli ricci rossi, sempre allettata, a bere acqua contro un’allergia, gli dice: “Questa Solonina era una specialista
di stragi crocifissioni, il suo più
grande godimento era quello di togliere con le sue mani il cuore alle vittime
umane durante i sacrifici”. Mentre Solonina non faceva sacrifici, tanto meno
umani, assicurò col marito imperatore Gallieno il più lungo periodo di pace ai cristiani
nella seconda metà del terzo secolo, e fu a suo modo una classicista, favorendo
la ripresa degli studi greci.
C’è continuità ma
a ritroso, a partire dal presente.
Corpo
- Locke prima del sensismo, nel “Saggio
sull’intelletto umano”, spiega che non c’è niente d’intelligibile che non sia
stato prima una sensazione – “È dal corpo che l’anima tiene la facoltà di
pensare”. O D’Alembert, volendo
bypassare la questione dell’innatismo: “Tutte le nostre conoscenze dirette si
riducono a quella che riceviamo dai sensi”. Ma questo è già in sant’Ambrogio,
“De Abraham”, libro II, cap. VIII: il vescovo di Milano vi spiega che non c’è
nulla che non sia materia, eccetto la sostanza della Trinità.
Dio – “L’empio parla con disprezzo di ciò che crede
al fondo del suo cuore”, Diderot. Anche se ne parla con compassione, ma non
volendo credere. E certo è una forzatura, dovere o voler credere: credere è un
atto e non un fatto o una condizione. La prova del divino è che sia così
ingombrante. Il marziano ne è esente?
Dubbio – È il lievito dell’esistente. E ne è la controprova: non ci
può essere dubbio che di una cosa possibile. L’esistente – la realtà – è
intessuto di possibilità – è una possibilità.
Fedeltà – Nella coppia è molto
apprezzata da Diderot: “Non siamo più allo stato di natura selvaggio”, afferma
con insolita eloquenza a chiusura della voce “Infedeltà” nell’ “Enciclopedia”,
“in cui tutte le donne erano di tutti gli uomini, e tutti gli uomini erano di
tutte le donne. Le nostre fedeltà si sono perfezionate; sentiamo con più
delicatezza; abbiamo idee di giustizia e d’ingiustizia più sviluppate; la voce
della coscienza si è risvegliata; abbiamo istituito tra noi un’infinità di
patti differenti; un non so che di santo e di religioso s’è mescolato ai nostri
impegni: annienteremo le distinzioni che i secoli hanno fatto nascere , e
riporteremo l’uomo alla stupidità della prima innocenza, per abbandonarlo senza
rimorsi alla varietà dei suoi impulsi? Gli uomini producono oggi uomini;
rimpiangeremo i tempi barbari in cui non producevano che animali?”
Filosofi
– Non possono darsi senza “un onesto superfluo”, spiega Diderot nell’ “Enciclopedia”. La con
la casa in Toscana. Anche in Umbria. I “philosophes” della stessa enciclopedia
e dell’illuminismo è regola censire come aedi e araldi della verità e la ragione.
Ma hanno biografie controverse, tutti eccetto forse Diderot. Erano anche poco
anticonformisti: a metà Settecento la guerra ai gesuiti e per il laicismo era
matura anche senza i loro pamphlet e
trattati. Molti lasciarono l’“Enciclopedia”,
che non pagava, quando il censore Malesherbes rischiò di non poterla più proteggere,
a metà opera – l’ “Encicloepdia” è di Diderot. Voltaire fu sempre accomodante,
anche al di là delle convenienze. Quando Palissot fece rappresentare alla
Comédie Française “Les Philosophes modernes”, contro gli enciclopedisti e i
loro sostenitori, Helvétius, Rouseaau, Diderot (“Dortidius”), madame Geoffrin, rappresentati
con nome e cognome quasi alla lettera quali intriganti, bricconi malversatori,
ricattatori, Voltaire rispose due mesi dopo con una contro-commedia, sempre alla
Comédie Française, “L’Écossaise ou le café”. In cui però non attaccava Palissot
ma il solito Frèron – Palissot era un suo protetto.
Nella
bilancia fra il potere e l’antipotere, l’illuminismo pende più a favore del primo
piatto.
Occidente – È, fatte le somme, si
sa, la ragione. Che è presuntuoso, presumere
troppo di sé. Ma inutile non è. E consente l’understatement,
quella specie di regia teatrale con cui il regista fa delle sue pedine prodi
Orlando sul Baiardo. Se è qualcosa, la ragione è utile: capisce, fa. I filosofi
fanno buoni manager, e i pedagoghi.
Razzismo - È nozione composita, contrariamente
all’opinione comune, anche quando si vuole biologico (“sangue”, “territorio”,
etc.). Nozione non scientifica, ma pratica (politica) e sentimentale. Il
razzismo più radicale, quello nazista, temperava il dato genetico e
territoriale con la “tenuta”, lo “stile”, l’ “impronta” di Heidegger, il “mondo
ambiente”, l’“essere in comune”.
Selfie – Ha Heidegger per
araldo, inconsapevole: l’affermazione del sé e la cura del sé. Nella
ripetitività, la superficialità, inutilità. Di immagini falsamente reali – Roma
pullula di selfie davanti al
Pantheon, a San Pietro, all’Altare della Patria, a Castel Sant’Angelo e perfino
al Palazzazzio, di cui non resterà forse nemmeno il nome di Roma, giusto
l’emozione per il grandioso e il massiccio. Di questa affermazione e questa mania
resta solo il movimento introspettivo. Ma inesausto e inesauribile,
insignificante. Divorante anzi, non costruttivo: divagante. Nemmeno, come usa
la psicoanalisi, asservito a certi parametri – noti: depistabili, contestabili.
Una deriva passiva.
Quanto di questa deriva non era inevitabile?
zeulig@antiit.eu
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