giovedì 26 febbraio 2015

Secondi pensieri - 207

zeulig

Agonismo - È un fatto di misticismo, di ascesi mistica. Che è sempre voluta, forzata. Ed è essa pure un fatto fisico, di postura, respirazione, ritmi psicofisici. Molto vi concorre: il protagonismo, anche nello sport di squadra: la concentrazione, l’eccitazione convergente (indirizzata, regolata), la preparazione mirata (procedure, modalità).

Amico\Nemico – Non è concetto politico o sociale anodino, neutro. Si connota quasi sempre in Carl. Schmitt e poi in Heidegger, così come all’origine in Jünger, per l’aggressività, come scontro. Che viene sempre portato all’estremo, all’annientamento. È uno schema relazionale aggressivo, distruttivo. Anche perché non c’è compromesso possibile, traslazione da uno stato all’altro, la delimitazione è tribale e razziale, del “sangue e suolo”. Di un radicamento esclusivo e escludente.

Complotto - È della politica anzitutto. Che crede a se stessa, alle bugie – la propaganda.

Ineguaglianza – È come la libertà: è uno spreco, ma non si può eliminare. Sfugge pure ai liberali, che per essere utilitaristi erano già comunisti - e al movimento, che si voleva anarchico. Che l’utilitarismo liberale sia una finzione comunista sull’unità della società è scoperta di Myrdal: tutti finalizzati a uno scopo, quindi tenuti assieme dalla solita Mano Invisibile.

Memoria – È dei luoghi più che del tempo, della storia. Parigi si continua a descrivere e immaginare città frizzante, di piume e cancan, mentre è la capitale-paese, la capitale di un paese che non c’è, molto grande e anche triste - non pensosa: distratta.  O Praga che per un paio di generazioni è sinonimo di libertà, mentre è una modesta città, dove si fa commercio di tutto. Mosca viene sempre descritta, dopo un quarto di secolo di arricchimenti, mafie e spregiudicatezza, come un ammasso stalinista, un cupo parallelepipedo chiuso. Mosca o la pésanteur. Una città insonora, di fascino fosco, per l’attrazione persistente del non essere, o essere in negativo. Dei compagni che sparivano di notte, a opera di compagni. Dei condannati in attesa, al manicomio o in Siberia. Di uomini che hanno tentato di volare, eliminando la fisica e la fatica. Ma erano uomini forse sbagliati, pingui, finti. Con un’eco persistente di propaganda, che, non creduta e anzi rifiutata, pure si ripete. Non per abiezione, per la rivoluzione. Ma “faro spento” diceva Mosca già all’epoca Mario Tronti.

Rimuove. Si costituisce, si ricostituisce, navigando tra le rimozioni. Più spesso di eventi e emozioni recenti – la memoria gradisce il passato. Ed è avvilente scoprirsi rimossi, in una memoria recente e già antica. Ma è il “vuoto del cuore” di Wilhelm von Humboldt. Che pure lo portò alla felicità. Con una che anch’essa coltivava il “vuoto del cuore”, Caroline von Daschröden, la vita come prova, l’attesa. La memoria è una zavorra?

La sensualità non coltiva la memoria, e anzi la rifiuta. Un’infatuazione ogni giorno varia e senza residui è l’essenza dell’eccitabilità. Della disponibilità. Dell’innamoramento. Poi svanisce. Perché l’amore non si costruisce sulla memoria? Perché i sensi sono curiosi e quindi incostanti.

Papa – Paolo VI abolì il latino per rendere la religione ordinaria, come bere, e poi fare pipì. Papa Francesco il pisciatoio l’ha messo nella basilica. Ma il cristianesimo non è un’etica: questa c’era, e c’è, anche altrove, altrettanto raffinata e mite, amore del prossimo compreso. Mentre una sola bella donna mette in imbarazzo i preti. Il Deuteronomio e i Vangeli dicono di scegliere il bene e la vita invece del male e la morte, ma sembra solo ovvio. Non c’è ancora un’etica senza religione, per la nota ragione che non c’è stato ancora un popolo ateo per tre o più generazioni, il tempo di cancellare la memoria del divino, ma questo è un altro discorso: di valori è pieno il mondo, ma senza costrutto.
Il cristianesimo non è escatologico, una promessa di salvezza in altri mondi. E non è conquistatore: Cristo, che lo fonda, è finito male, tra i ladroni, giustiziato da povera gente, povera di spirito. Il cristianesimo è un’istituzione, la sola durata millenni, e in quanto tale può attrarre o respingere. Ma soprattutto è Cristo, questa figura unica di Dio con noi. Che molte cose ha detto giuste, come tanti le dicevano all’epoca, e talvolta si è stizzito, non sempre amorevole se non a sorpresa – ridurre Cristo a un uomo buono è un’assurdità.

Possesso – Sarà innato, come il linguaggio, impresso nel dna. Uno, se lo volesse, non potrebbe grugnire come il porco. Lo stesso per il possesso. Come fanno i cinesi allo stadio, come facevano, quando vestivano lo stesso camiciotto nero, e avevano un solo tipo di bicicletta, nera? Come facevano, uscendo dallo stadio, a trovare ognuno la sua bicicletta.

L’identità è definita più spesso dal possesso: ci identificano le cose – che del resto sono nostra espressione. Anche quelle di possesso recente o valore infimo. La camicia dimenticata e la macchina rubata sono una mancanza ugualmente onerosa, una sottrazione alla persona e una violenza. Con l’aggravante, rispetto alla violenza fisica, che è impossibile il gesto di difesa con cui d’istinto si reagisce all’aggressione, con effetto comunque risarcitivo.

Potere – Fa a meno della proprietà, e anche del possesso. E pure delle bombe e i cannoni. La controinformazione, ormai ipercollaudata, meglio di tutti lo sa, che è divenuta un potere incontrollato: esso fa a meno della proprietà, e pure del possesso, e si esprime con rebus e tagliole, anche solo verbali, non avendo in realtà bisogno di bombe e cannoni. O meglio, volendo accedere alla fonte della proprietà, dire che essa non è possesso, non c’è bisogno del Devoto per spiegarselo: la proprietà di linguaggio, per esempio, la proprietà di pensiero – lo sanno da sempre i parroci, che diffidano delle beghine – e il pensiero stesso.
La democrazia si praticava in Atene fra chi possedeva la parola, il censo è rilevante se facilita la conoscenza - chi ha il denaro ha i libri, argomenterà il prete Cosma alla vigilia dell’anno Mille nel trattato contro i Bogomili, ha il sapere e i vantaggi che ne derivano. Il vantaggio della ricchezza, si sa, è che si può permettere il vino buono. Mentre la controinformazione è dai tempi di Tacito l’arma dei servizi segreti, che sono il cuore del potere.

Roma – Heidegger si faceva un dovere di evitare quelle che chiamava römische Worte, la terminologia latina. E quando le usa, lo fa a casaccio – numerose attribuzioni ha trovato Emmanuel Faye di Heidegger a Descartes, nel corso su Nietzsche del 1940, anno ferale, in cui Heidegger era signore della Francia, che non sono roba di Descartes e sono anzi anticartesiane: “cogito me cogitare”, l’ “ego cogito” come “subjectum”, e anche come “fundamentum absolutum inconcussum veritatis”. Per questo non parla di Rasse, non per altro, ma usa Geschlecht, Stamm, Sippe, genere, stirpe, schiatta. In abbondanza. Roma non ne ha colpa.
La latinità era evitata in Germania non da tutti, nel decennio di fuoco, gli anni 1930. Carl Schmitt, per molti aspetti di Heidegger maestro, ne era a sua volta maestro, e non si svitava una citazione latina – le maneggia come una clava. La latinità rifiutata di Heidegger è quella cristiana, dell’irenismo: la realtà (la Germania) voleva combattiva (agonale), e non aperta, inclusiva, ma chiusa.

zeulig@antiit.eu 

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