Una fiction di fantapolitica
alla Ballard, alla Philip Dick, anche loro come Houellebecq narratori, saggisti
e filosofi. O meglio, essendo la narrazione senza suspense, né artifici
terrificanti, al modo delle “vite immaginarie” di Walter Pater, e poi di
Schwob, di uno dei due filoni, quello del contesto, di cui Houellebecq
narratore è specialista, della storia possibile - l’altro è far rivivere una
persona come personaggio, dal vivo, senza cioè il distacco prospettico e
critico del biografo perfezionista, che la verità storico-psicologica atteggia
come attendibilità, attento ai particolari, alle virgole, alla lettera (il
filone di “vite immaginarie” di cui è cultore Emmanuel Carrère - “Limonov”,
etc. – ora il più entusiasta sostenitore dell’umorale Houellebecq, soprattutto
di questo). Il fatto è semplice: fra non molti anni, contro Marine Le Pen, gli
altri partiti candidano un “centrista” d’obbligo islamico.
Il
titolo è del film olandese dieci anni fa, di Theo van Gogh e Ayaan Hirsi Ali,
una sfida che provocò una mezza guerra di religione - opera di coraggio, o di
provocazione. La storia è diversa, divertente. E quasi appeaser, a fronte
dello scandalo sopravvenuto con le stragi a Parigi. Di una vigilia elettorale
in cui il partito islamista di Francia si avvia a prendere il potere, in un
futuro non lontano. Una satira bonaria, della maniera come l’Europa si fa fare
dagli eventi: l’immigrazione di massa, l’islam. Nel mentre che fa come se il
Mediterraneo, l’Africa, l’Asia non esistessero, non alle sue frontiere. Che le
stanno invece alle costole, e in tutti i modi vogliono possederla, senza
più complessi e senza rispetto. È una storia di possessione più che di
sottomissione: non c’è masochismo, se non nella passività, nell’inerzia.
La
sottomissione di Houellebecq non è nemmeno quella di maniera di cui si fa
carico all’islam - che significa “sottomissione”. Della passività, cioè: l’islam
è al contrario bellicoso e conquistatore, fertile di figli e di odio. È quella
dell’europeo nella sua buona coscienza, di ecologista, animalista e agnostico.
Houellebecq non è anti-islamico, cioè finge di non esserlo – così come i suoi
editori: fa di peggio, ride dell’Europa sciocca. Di un’Europa passata in una
generazione dalla “fortezza” alla spiaggia indifesa, con una popolazione
allogena cresciuta in pochi anni a un decimo del totale e in rapida
moltiplicazione – i coefficienti demografici la danno maggioritaria tra non
molto. L’Italia registra ogni anno un record negativo di nascite, e si dice la
crisi. Ma la Germania pure. E la fertilità ha i suoi ritmi che vanno come
treni.
La
storia è semplice, di come la Francia si è adattata, quando fra non molto un
islamico si candiderà vincente alla presidenza. Non arrabbiata, alla maniera
dei pamphlet di Oriana
Fallaci che si ripropongono. È naturalmente un islam attraente, non solo per la
poligamia. A cui le donne non si ribellano – ma Houellebecq è sicuramente
misogino. Si possono (ancora) avere idee diverse. E si beve, tra gli stessi
agitprop del presidenziabile – l’ottimo Mersault, lo chardonnay verdeoro della
Borgogna.
Sprezzante
ma non il solito Houellebecq: non acido e arcigno, ma uno divertito e forse
sorridente. Distaccato, tra il comico e il cinico – è un po’ il personaggio dei
film in cui si è ultimamente specializzato, “Near Death Exprerience”, e “The
Kidnaping of M.H.”. Un divertissement, si sarebbe in altra epoca editoriale. Per il lettore
pure. Probabilmente anche per il lettore islamico. Un apologo più che una
fantapolitica visionaria. Un tempo si sarebbe detto un’utopia, in Campanella, o
in Tommaso Moro che inventò il genere. O in Orwell che lo ha rovesciato, in
utopia negativa o distopia. Ma non l’Orwell di “1984”, scientificamente
plumbeo, quello della leggibile “Fattoria degli animali”. In forma di apologo.
Houellebecq
non è altrettanto godibile perché ha eletto a suo mondo quello comune,
“simenoniano”, della piccola gente. Non protagonista della storia, e nemmeno
sua vittima, ma gregario, in qualche modo remissivo. E per ciò stesso
malinconico, senza dover essere – in questo caso – razzista: la sensazione il
racconto diffonde che quella che viviamo non è un’osmosi, un incrocio o
meticciato in qualche modo avvincente, ma uno tsunami di varia umanità, cui non
si può non rassegnarsi.
Nessun commento:
Posta un commento