giovedì 19 marzo 2015

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (239)

Giuseppe Leuzzi

Lunedì 7 la Banca centrale europea ha avviato il piano di allentamento dei vincoli sul debito dei paesi euro, tra essi l’Italia, che ritardano l’uscita dalla profonda depressione economica. Giovedì 11 Jens Weidmann, presidente della Bundesbank tedesca, e Klaas Knot, presidente della banca centrale olandese, hanno chiesto di fermare il programma Bce per evitare di surriscaldare l’economia – come succede quando c’è “troppo” crescita. Senza crescita. E senza nessun deterrente tecnico, giusto per riaffermare un vantaggio competitivo dei loro paesi – anche sa viaggiano a un punto, un punto e mezzo percentuale, un crescita irrisoria – rispetto ad altri paesi, tra i quali in primo luogo l’Italia. C’è sempre  un Nord più a Nord degli atri, sinonimo di presunzione e avarizia.

“L’autostrada Salerno-Reggio Calabria sembra regredire. Il tutto dopo 50 anni di lavori e miliardi di euro spesi. Non sarebbe meglio, vista l’impervietà della zona e le infiltrazioni criminali, sospenderne il completamento?” È la lettera di un lettore – anche se firmata “Ardengo Alebardi” - che Sergio Romano sceglie di pubblicare sul “Corriere della sera”.
Non è vero niente, l’autostrada non regredisce, ma il “Corriere della sera” lo dice. Non è istigazione a delinquere? Magari di stampo mafioso?

La Corte dei Conti denuncia una catena di mala burocrazia a Nord. Ma la cosa non fa notizia.
Non c’è nessuno specialista della “casta” per il Nord, sono tutti, in abbondanza, per il Sud. Si mangia meglio al Sud?

Si suicida l’ex giudice di Palmi Giancarlo Giusti, dopo essere stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Davanti al gip, scrive Cesare Giuzzi sul “Corriere della sera”, tre anni fa si era discolpato così: “Dopo sere stato cacciato di casa sono andato in depressione. Mi sono aggrappato a questa persona solare, sveglia. Con lui mi sentivo rinato”.
Bisogna calcolare anche il mariticidio, nella crisi della famiglia e dell’Italia.
E la mafia? La “persona solare, sveglia” del giudice Giusti era Giulio Lampada, che viene processato da qualche anno come capomafia delle macchinette mangiasoldi. Cosa è mancato a Lampada per fare l’imprenditore onesto? I capitali? L’origine?

Le leggi e i costumi non valgono nulla, sostiene Machiavelli, senza la paura. Ma si può sostenere il contrario, che la paura rende irrilevanti leggi e costumanze.
Per “senza la paura” Machiavelli intendeva “senza la violenza” della legge, l’imperio. Il problema nasce quando la violenza dell’illegalità sorpassa quella delle legge: se bisogna avere più paura dei Carabinieri o dei mafiosi.

Il cardinale Ravasi dà molto credito alla mafiosità religiosa. Dei mafiosi che pregano santa Rosalia, e della chiesa, lascia capire, “concorrente esterna”. Un lasciar capire che si direbbe mafioso. Tanto più che il cardinale lo dice in sintonia con Prestipino e Sciacchitano, teorici del “Dio mafioso”, nonché col virtuoso Pignatone, per i quali solo la mafia esiste. Non che non ci dormano la notte.
Un cardinale che non sa che la chiesa, in tutte le sue forme, dalla vita in parrocchia ai piccoli e grandi appalti e alla vita associativa, è sicuramente la più estranea al Sud al fenomeno mafioso? Alla mentalità, oltre che alle insorgenze. Bisogna che ci ricrediamo sull’intelligenza della chiesa stessa. Millenaria come si sa, non per questo saggia.

Non s’incontrano più discariche abusive, nel napoletano e casertano, e nelle Calabria reggina, ma tentativi personali e familiari sì, a ogni passo. Meglio, a ogni rivo, ogni prato, anche solo a una piazzola. “In questo luogo per lungo tempo”, osserva Knut Hamsun nel 1948 (“Per i sentieri dove cresce l’erba”, p. 16), passeggiando in un bosco di periferia davanti a una forra, “la gente è venuta a gettare pietrisco, pattume, stracci e rifiuti di ogni genere”. Dunque, il fenomeno è universale. Solo che la Norvegia è diventata un giardino ordinato: basta poi fare pulizia, e far rispettare i regolamenti. Oppure mandare il netturbino a ritirare i sacchi. Anche una volta al mese.

A Serra San Bruno – Serra San Bruno è nelle Serre, giustamente, non nell’Aspromonte, nella Calabria reggina, ma tanto per fare un esempio -  trent’anni fa, prima che i cistercensi chiudessero l’abbazia alle visite, nell’area picnic sotto la pineta, molto frequentata, i rifiuti venivano coscienziosamente raccolti nei sacchetti blu, e legati ai rami bassi dei pini. Per evitare che cani e gatti li spargessero intorno. Ma attirando sciami di mosche e di vespe, al punto da rendere l’area inutilizzabile. Sarebbe bastato che il sindaco mandasse il pomeriggio un netturbino a ritirare i sacchetti. A volte basta poco.

Il Sud si racconta
“La Calabria di allora era identica a tutti gli altri Sud del Mediterraneo, terre calde coltivate a frumento, tabacco, mais, olivi alti come querce, giardini di aranci e di bergamotti, pergole di zibibbo e di malvasia”: Scalfar ricorda generosamente, in “L’amore, la sfida, il destino”, il sesto e ultimo volume della sua personalissima autobiografia,  l’anno e mezzo che dalla liberazione di Roma passò in Calabria, con i suoi, a casa dei nonni paterni. Un Sud che estende da Creta e Corinto a Sibari, Locri, Siracusa, e fino a Ceuta e Melilla. Ma di quel Sud gli è rimasto impresso soprattutto il desiderio, e quasi la necessità, di raccontare. Di raccontarsi – rappresentarsi.
“Mi accorsi ben presto che il raccontare rappresentava per gli abitanti di quei luoghi  il modo principale se non addirittura esclusivo di rappresentare se stessi e la vita che dentro gli scorreva”. Tutti raccontiamo, “ma nelle contrade del meridione il racconto si identifica con la vita stessa; la propria e quella dei personaggi ricordati fluisce senza interruzione”. Arricchita dalla gestualità, “che non è accompagnamento ma sostanza dei fatti e delle posture”. Sottolineati dalle tonalità e la scansione.
Il Sud si pensa e si esprime tangenzialmente, obliquamente, ma anche sinceramente: nei più riposti recessi.

Il romanzo “non c’è più”, argomenta Scalfari ancora in “L’amore, la sfida, il destino”, “perché non c’è niente di corale da raccontare e il romanzo è una forma corale di racconto”. Che non ci sia più è un dato di fatto. Ma non che non ci sia niente di corale da raccontare. Al contrario, oggi ne saremmo pieni, di cose da raccontare, ma non si vuole che si raccontino. Si dice: il mercato non gradisce. Ma il mercato non gradisce perché lo si indirizza altrove – il mercato è marcato, a vista, segnato, seguito, in ogni suo minima piega.
È tuttavia vero che non c’è interesse. Non c’è più curiosità. Sarà stato l’effetto peggiore del leghismo, del particolarismo sciovinista: la chiusura in un piccolo astioso “particulare”, la famiglia, il paese, al più la città, la regione. In chiave sempre polemica, di esclusione di ogni altro. Se non per gli affari, quelli non si rifiutano, ma senza interesse. Padovani e trevigiani hanno fatto e fanno molti affari – l’immobiliare è l’affare per eccellenza, rapido e senza rischio: vendere a cento quello che si è appena comprato a dieci - a Rocca Imperiale, o Trebisacce, Amendolara, San Nicola Arcella, ma non sanno esattamente dove sono, e non se ne curano.

leuzzi@antiit.eu

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