Nell’evocazione che Felice Cavallaro è riuscito
a proporre sul “Corriere deal sera” delle donne attive e decisive quaranta e
trent’anni fa a Palermo contro i Riina - le Battaglia, Giuliana Saladino, Lina
Colajanni, Rosanna Pirajno - il nome di Simona Mafai esce come Mafia. Ci è nemico
anche il proto - è nel dna del giornale, delle sue macchine, che al Sud c’è
solo mafia?
Come capogruppo del Pci al Comune di Palermo
dal 1980, Simona Mafai aveva impegnato il partito principalmente nella lotta
alla mafia, negli appalti e nella Pubblica Amministrazione.
Il Sud è
diverso
Nel racconto di Borges dallo stesso titolo, “il
Sud” è “lasciarsi semplicemente vivere”. Al protagonista che ci arriva in treno
“tutto era vasto, però nello stesso tempo era intimo e, in qualche modo
segreto”. “Diverso” è “anche il treno”: “La distanza e le ore lo avevano trasfigurato”.
Un altro mondo: “La solitudine era perfetta e alquanto ostile, Dahlmann poté
sospettare che viaggiava al passato e non solo al Sud”. Il Sud è anche
passatista (questo è discutibile: è solo indifeso, aperto a ogni contagio). Alla
prima tappa al Sud, provocato all’osteria, per un puntiglio di onore il
viaggiatore si fa uccidere.
Un insieme di luoghi comuni, ma suggestivi. Sinceri. È Borges che s’immagina morto in “El Sur”, di
mano meridionale, violenta – “forse il mio miglior racconto”: Borges si sognava
libero dall’intelligenza fantastica, un peón libero nella pampa.
Il
rispetto-di-sé
“Un Comune, quello di Roma, nel cui Consiglio sono ormai decenni che non
mette più piede quasi nessuna persona disinteressata, appartenente all’élite
sociale e culturale della città, desiderosa di offrire le proprie competenze,
vogliosa di impegnarsi per il bene pubblico. Niente:
da decenni quasi solo vacui politicanti di serie B, faccendieri, proprietari di
voti incapaci di parlare italiano, quando non loschi figuri candidati a un
posticino a Regina Coeli”. Non lesina Galli della Loggia sul “Corriere della sera” giovedì gli improperi contro Roma.
A che effetto? A nessun effetto: sono cose che i romani sapevano da tempo.
Lo storico non
fa eccezione, Roma è
città vituperata. Ogni giorno. Per un vezzo del “Messaggero”, che le cronache
romane dei giornali milanesi, “la Repubblica”
(si fa a Roma ma si vuole “milanese”, padana, diceva Scalfari) e il
“Corriere della sera” ripetono. Tutto il peggio vi succede, riferito a Roma: mafie,
corruttele, malasanità, abusi, sporcizia, buche. La città se ne cura ma non ne
fa un dramma, va avanti come sempre, e resta la metropoli meglio amministrata d’Italia.
Meglio cioè di Milano, l’altra metropoli italiana – la terza metropoli, Napoli,
è fuori concorso.
Galli della Loggia, storico contemporaneista,
sa che questa è la Seconda Repubblica,
quella che ha voluto fare a meno della politica, a vantaggio di giurisperiti,
banchieri d’Italia, presidenti della Repubblica per grazia divina, tecnocrati,
e altri uomini della Provvidenza, incensati dagli affaristi (i media). Lo dice
anche, indirettamente: “Del resto non è a un dipresso così dappertutto?
L’Italia del federalismo e dei «territori» non è forse, con qualche eccezione,
tutta più o meno nelle mani della marmaglia?”. Ma per farne
una colpa al Pd – di suo limitandosi allo sdegno: “Serve il lanciafiamme”.
Lo storico non fa eccezione anche perché
chiunque esca di casa a Roma la mattina lo ha già visto di suo. Dopodiché? È anche
vero che Roma spesso si avvicina al baratro napoletano: per la circolazione, la
pulizia, la criminalità. Ma sempre se ne ritrae a tempo. E resta la meglio
amministrata in Italia. Al livello delle città europee con cui si compara,
Berlino, Madrid. Ma riuscendo a venire a capo di molte difficoltà specifiche: l’enorme
estensione urbana, il tantisssimo verde, l’enorme centro storico e monumentale.
È più pulita di Milano. Ha meno buche per strada. Ruba meno: la corruzione vi è
diffusa, ma popolare e quasi democratica, egualitaria, e la sommatoria è poca
cosa. Ha scuole migliori – gli asili nido e le materne anzi di lusso. Ha una
sanità più efficiente. Perfino della Toscana, che si vanta efficientissima. Ha trasporti
pubblici insufficienti, ma sa lo stesso muoversi anche se ormai circola un’automobile
per ogni abitante. E i pochi mezzi pubblici ha più efficienti, pendolari,
metro, tram, bus. Gestisce, con tre milioni di residenti, un milione di ospiti:
politici, ecclesiastici, turisti. S’immagini una Milano con in più solo i
torpedoni dei turisti. E mantiene a ottimi livelli di qualità una vocazione
pluridisciplinare unica: è città religiosa, politica, amministrativa, universitaria,
commerciale, industriale, tecnologica.
La cosa non è rilevante per farne il
panegirico. Ha ragione anche chi se ne lamenta. La cosa si segnala perché tanta
critica e autocritica, anche cattiva, anche spropositata, non ferma la città. Cha
appunto sa cavarsela, e anche progredire – è una delle poche grandi città europee
in crescita. Come? Con la fiducia in se stessa. Cresciuta nei secoli
naturalmente, ma anche attraverso secoli
bui, di spoliazioni e abbandono, che sono stati lunghi. E pur essendo città di
meteci - oggi di abruzzesi, calabresi, umbro-marchigiani (si dice che i soli
romani antichi siano i suoi ebrei, che sono poche migliaia).
La storia c’entra, ma solo in quanto ha consolidato
il rispetto-di-sé. Un fondo di fiducia, un minimo anche, ma un substrato ineliminabile
di ogni esistenza. Il Sud “non esiste” perché sommerso dall’odio-di-sé.
Il rispetto-di-sé non è una ricetta e non è
l’opposto dell’odio-di-sé. Ma ne è l’antidoto. Non bisogna passare naturalmente
sopra a tutte le cause, siano anche non
motivate, che alimentano l’odio-di-sé, ma la sua forza demolitrice va
contrastata e lo strumento migliore non è tanto il successo o l’apologia, quanto la forza interiore – la coscienza-di-sé.
Napoli
C’è, c’è
stata, un’associazione a delinquere nel calcio: tra i dirigenti della
Juventus e un solo arbitro. Per una partita che non interessava la Juventus. Si stenta a crederlo, ma è quanto
sostengono i giudici in otto gradi di giudizio, Cassazione compresa. Poi si
scopre che sono tutti di Napoli e dintorni, la terra dei miracoli.
Di Calciopoli Moggi può dire, il maggior “colpevole”:
“Abbiamo scherzato per nove anni, il processo si è risolto nel nulla, solo
tante spese”. Nel nulla no: Narducci è procuratore capo, Beatrice in
Cassazione, un paio di giornalisti direttori, e il tenente colonnello generale.
Una sua logica la città ce l’ha: Napoli-Torino 5-0. Ma a quale partita?
Gli ultimi tre papi napoletani hanno fatto
sfracelli, Bonifacio IX, Giovanni XXIII, quello di Procida, e Paolo IV Carafa, quello del ghetto.
Rapina e inseguimento a Ottaviano. Tra i
rapinati, con concorso di pubblico via via sulla strada, e i rapinatori. L’inseguimento
si fa come al cinema, con macchine veloci, svelte, blocchi, sorpassi, deviazioni, e l’impatto finale. I ladri, che intanto
hanno ucciso uno dei due rapinati e ferito grave suo fratello, sono ricoverati per
primi in ospedale e se la caveranno.
I carabinieri intervengono all’ultimo, a
western finito, perché il piantone agli ospedali deve prendere le generalità
dei ricoverati. Ma sono carabinieri anche i rapinatori assassini..
La prima notizia dell’evento sarebbe che i
rapinatori assassini sono carabinieri dei reparti speciali. Ma niente si dice
di loro. Dei rapinati si dice invece, subito, che sono stati inquisiti,
“qualche tempo fa”, per riciclaggio. E assolti evidentemente, ma non si dice.
Lo dicono, cioè non lo dicono, i carabinieri.
Si saprà solo per caso, molto più tardi, che
uno dei carabinieri felloni, il basista locale, era stato trasferito a Chioggia
per motivi disciplinari. Certo non riciclava. O sì? Comunque non era un
camorrista. O sì? Ma non bisogna chiederlo ai carabinieri: al Sud sono una
tomba.
Si viaggia nelle periferie napoletane tra
cumuli di spazzatura. La quale però ora, da qualche tempo, viene ritirata
regolarmente. Questi sono cumuli autarchici, spontanei: la gente fa volentieri
un breve viaggio in macchina per lasciare rifiuti ingombranti non nel suo
quartiere.
È straordinaria la prosopopea della nobiltà
napoletana, tutta naturalmente antica, non recente, non degli affari, cioè
povera, diventata la cifra della città, e quindi della sua borghesia,
soprattutto quella intellettuale. In un’epoca ormai lunga quasi un secolo, a
partire dal laurismo, in cui la città è preda dei lazzari. Non per caso: la
superbia era per questo un peccato capitale.
Straordinaria è anche l’operosità del ceto
medio produttivo, anch’esso vecchio ma vivo. La costanza dell’operosità, anche
fare il piccolo ambulante a Roma, cinque ore di treno ogni giorno. L’inventiva
sempre fertile. Che viene pervicace a capo dei tanti handicap e ritardi imposti:
le mafie, la corruzione, la neghittosità. Artigiani, soprattutto dell’abbigliamento
(compresa l’ingegnosissima lavorazione à
façon da Saviano – o chi per lui – incongruamente vilipesa), cuochi,
camerieri, ristoratori, direttori d’albergo, librai, figurinai, cantori, mimi,
attori, virtuosi della finanza. Incomprimibile. Incoercibile. Napoli ce la mette
tutta per soffocarli, ma loro niente.
Da Bocchino a Di Maio, e lo stesso De
Magistris, Napoli si è specializzata a sfornare politici belli in qualche modo
e forbiti, di quelli che “bucano lo schermo”, non fanno mai niente, a
scompaiono alla prima elezione. Non se ne può fare colpa alla città, che non se
ne può difendere. Bisognerebbe instaurare delle primarie cittadine per chiunque
si proponga a parlare in nome della città, un esame d’ammissione.
C’è un porto enorme e vuoto, a Napoli.
Commissariato. Di cui la città non sa nulla e non si occupa.
leuzzi@antiit.eu
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